sabato 28 settembre 2024
Idillio
Il tempo cambia rapidamente mentre saliamo in montagna. Quando arriviamo a Carmelia è tutto nuvolo. E il “Cavallino”, il bar-cucina della signora Liliana, è già chiuso. Tornersene a casa? Provare a Zervò, dalla “sciditana”, la signora Scarcella, lei esiste, per la stagione dei funghi e per la caccia. Ma è una strada lunga. Ma tornarsene a casa digiuni è ancora più lungo. Decidiamo per Zervò.
La vita avrebbe potuto essere migliore – ma forse non vale il rimpianto
Due ragazzi coreani, lui
e lei, compagni “d’anima” a scuola, si ritrovano a distanza d’anni. Dapprima
dopo una diecina d’anni, su zoom, da militare non pensava che a lei e allora l’ha
cercata tanto in rete, lui l’ha cercata tanto. Finché lei non decide di
chiudere il collegamento. Ancora un’altra decina d’anni e lui decide di andare
a cercarla a New York. Lei era emigrata in Nord America col padre regista in
cerca di affermazione internazionale, e ora vive a New York, dove ha avviato la
sua attività di scrittrice “in cerca del Nobel”, vive nell’East Village, ed è
sposata, con un altro aspirante scrittore, americano ebreo. Sarano alcuni
giorni d’intensa felicità, e poi la separazione ultima.
Una trama semplice: la
vita come avrebbe potuto essere e come è – delle porte girevoli. Ma il film è già
di culto, a un anno dall’uscita. Perché è un film d’immagini. Semplici – l’inquadratura
può essere fissa anche per minuti – e memorabili. Soprattutto quella iniziale e
quella finale, dell’addio. La più celebre apre il film: lu, lei e il marito di
lei in formato cartolina, e i curiosi fuori campo che si dicono: “Lui e i saranno
fratello e sorella, e lei è sposata col bianco”, “lui e lei sono sposati, il bianco
è un amico americano”, “ma perché lui e lei si parlano senza mai coinvolgere il
bianco, il bianco non sarà un autista che li ha portati qui?”
La regista ha l’età, 33 anni quando girava il film, e la condizione della sua protagonista: sudcoreana
naturalizzata canadese, residente negli Stati Uniti. Come lei, la sua protagonista ha preso un nome occidentale, Lena.
Celine Song, Past
Lives, Sky cinema, Now
venerdì 27 settembre 2024
La Germania ha paura della guerra
Non si fanno analisi dei flussi
elettorali in Germania – non ne sono state fatte per il voto di queste settimane
nei tre Lānder dell’Est, Sassonia, Turingia e Brandeburgo. Ma è palese, dal
crollo massiccio dei Socialdemocratici e dei Verdi, che c’è stato un travaso da
sinistra a destra. Al movimento sempre più estremista Afd, fondato e presieduto
da una lesbica dichiarata, e al movimento personale di Sara Wagenknecht, ex
Linke, cioè ex estrema-sinistra.
I Verdi sono anche fuori dai
parlamentini regionali, dal 15-16 per cento essendo scesi a meno del 5 per cento.
Per questo hanno già cambiato dirigenza. Della vecchia salvando solo Robert
Habeck, vice-cancelliere e ministro dell’Economia e dell’Ambiene, e la ministra
degli Esteri Annalena Baerbock.
Ma Baerbock resta al suo posto solo
per favorine la candidatura per una “organizzazione internazionale”. A lei è di
fatto attribuito il crollo del partito, all’oltranzismo agitato contro la Russia
– a fronte dell’equilibrio del ministro della Difesa, il socialista Pistorius.
Fra le tante analisi del crollo
della sinistra, e del passaggio dalla sinistra all’estrema destra, quella della
paura della guerra è la prevalente. Avrebbero inciso anche l’immigrazione e la
recessione. Ma nelle tre votazioni il tema prevalente di discussione è stata la
guerra. Soprattutto all’Est, per motivi di contiguità (esposizione) fisica e
perché la memoria dell’occupazione sovietica si sarebbe da tempo dissolta.
Il timore è diffuso che
preoccupazioni analoghe serpeggino anche nella ex Germania occidentale, la parte
che più conta nel paese.
Cronache dell’altro mondo – turche (294)
Eric Adams è il primo sindaco di New
York rinviato a giudizio. “Ci sono voluti quattro secoli per il sindaco di New
York per essere rinviato a giudizio mentre è ancora in carica”. Prima di Adams,
nel 1986, alti funzionari furono coinvolti in un grave scandalo fianziario, ma
il sindaco Ed Koch non fu incriminato. Vicinissimo al processo fu, prima di Adams,
Jimmy Walker, il 97mo sindaco della ittà. Conosciuto come Beau James, o Sindaco
di Notte, Walker fu rimosso nel 1932 su indizi di mazzette per contratti municipali.
Lasciò la città e se ne andò in Europa con la sua amica del cuore (poi moglie),
una ragazza Ziegfield chiamata Betty Compton. Non fu mai incrimianto”. (“The
New Yorker”).
Adams è il 110mo sindaco di New York,
negli elenchi wikipedia. Il secondo afroamericano,
dopo David Dinkins trent’anni fa. Era un
poliziotto (funzionario di Polizia) prima dell’elezione.
È accusato dal procuratore federale Damian
Williams, anche lui di ascendenza afro. È a giudizio per cinque capi d’accusa,
circostanziati da prove documentali, per tangenti, finanziamenti elettorali stranieri, e frode, in combutta col governo turco e con la Turkish Airlines.
Selfie d’autore
Dopo Franchini Postorino? La macchina dei selfie
“editoriali”, degli editor eminenti, ha aperto un nuovo filone? Qui con molta infanzia, di Pavese, diarista infelice, dei bambini felici sul desktop, e del Natale –
“il Natale è la festa dell’infanzia come l’estate”.
Una
narrativa soprattutto di sé, come è l’uso da qualche tempo. Del ricordo,
dell’autobio, dei selfie. Questo selfie di Postorino è diverso, è
un riemergere di echi frammentati e variegati, grandi, piccoli e minimi, di
fobie o mancanze, personali e di genere, ubbie, lampi di ricordi, atti agiti o
subiti. Senza machete, anzi di fioretto, come a una seduta di terapia
cognitivo-comportamentale. Postorino è anche in anticipo su Franchini: alcuni
di questi “affioramenti” sono riscritture di testi già pubblicati, elzeviri sul “Foglio”,
sui femminili, e altrove. Sulle letture fatte, numerose, su eventi e ricordi
personali. Partendo dovutamente dall’infanzia: la casa, le case, le nonne, le
zie, la madre naturalmente e il padre – e nella sua vicenda, di “donna del Sud”,
lo sradicamento (tema già di una sua diffusa esumazione, “L’estate che perdemmo
Dio”, su cui è voluta ritornare per la riedizione Feltrinelli). Nell’ottica del femminismo d’obbligo, sulle aggressioni o
prevaricazioni subite, fisiche e verbali - “Potrei scrivere pagine intiere
sulla violenza delle parole che gli uomini rivolgono alle donne. Molte sono in
questo libro”. La scrittura anche è “femminile”, il termine e la cosa sono
vieti, ma così è. Da paziente con l’analista muto, il lettore imperscrutabile.
Racconti di vita – di vite - non avventurosi. Se non in
interiore homini, come il vecchio genere delle confessioni. Oggi il genere
è alluvionale, di drammi picoli e minimi, da sedentari, abitudinari. Ma Postorino
si mantiene selettiva, riflessiva. Seppure procedendo per lampi, baluginii.
Tanto più che molti problemi deriva da una vita sacrificata alla presentazione
di libri - al “commercio”, da cui tanta fatica ha messo a liberarsi. Il più drammatico
di questi problemi, col tassista a Napoli, eletto a “dilemma del prigioniero”, poteva
risolvere con una call, o un whatsapp, invece dei tanti affanni.
Ma è un libro felice, sopra i drammi e i dilemmi, a quanto si può leggere tra
le righe – e sotto la roboante, ditirambica, presentazione che Eugenio Borgna
ne ha fatto prima dell’uscita, sul giornale dell’editore, un blurb perfino imbarazzante:
https://www.corriere.it/cultura/24_settembre_07/viaggio-abissi-dell-interiorita-nuovo-libro-rosella-postorino-dfa9b042-6d1b-11ef-a867-ce8605b07dff.shtml
Un libro d’autore, alla fine originale. Anche
se si procede per richiami o memorie occasionali, incidentali. E riflessioni
fugaci. Di pensieri, a volte fastosi, più spesso lugubri, su temi per lo più di
genere, dell’essere donna, femmina. Un libro cioè personale. Ma con
sufficiente, in qualche modo attraente, richiamo esterno. Nelle presentazioni
l’autrice spiega che non è un diario, non è un selfie, anche se – ma che
- si è “esposta molto”. Volendosi, dice, “un campione dell’umano in mezzo agli altri”
- dell’umano femmina se ancora esiste la parola.
Una sorta di “testimone del presente”, Postorino si
vuole. Ma anche questo si direbbe un presente che non è più: c’è poco o niente oggi della “condizione femminile”, per dire coatta, sacrificata - e anche ieri e avant’ieri, di madri, zie e
nonne, soprattutto fra le donne meno urbanizzate, meno “società civile”. Le sue
sono, si leggono, come storie personali, un racconto di sé. Varietà tra l’altro
con la quale aveva cominciato, con le Fresserinnen, se la memoria non
sbaglia, le ragazze mangione, e altri minimi aneddoti. E ha continuato fino a
recente, con i testi brevi sul “Foglio”, che sono la traccia di questa raccolta
– una raccolta e non un racconto finito, di immagini, flash, ricordi, anticipazioni,
eventi occasionali, paure, fobie. Apparentemente lievi queste, non prendere l’ascensore,
non volare, non guidare, malgrado la patente, piangere, anche solo davanti a un
libro. Che però sa raccontare. Con qualche radice psicologica.
Postorino
pone, involontariamente?, molti temi. Ricostruisce ambienti e storie,
soprattutto di sradicamenti e malesseri, come Ernaux, che mostra di avere letto.
Curioso, a proposito del suo “campione dell’umano in mezzo agli altri”, emerge
il ricordo di Ernaux in apertura del volumone Quarto Gallimard (la Plèiade dei poveri), 2011, la prima raccolta delle sue opere, che intitolava “Ècrire la vie”: “Scrivere la
vita. Non la mia vita, né la sua, neppure una vita. La vita, con i suoi
contenuti che sono gli stessi per tutti ma che si provano in modo individuale:
il corpo, l’educazione, l’appartenenza e la condizione sessuali, la traiettoria
sociale, l’esistenza degli altri, la malattia, il lutto. Non ho cercato di scrivermi,
di fare opera della mia vita: mi sono servita di essa, degli avvenimenti,
generalmente ordinari… per cogliere e portare alla luce qualcosa dell’ordine di
una verità sensibile”. Alla Ernaux, sono raccontati i genitori “bottegai”, le
zie e le nonne, la scuola, le scuole, con le compagne e i filarini.
Ma l’eco è piuttosto di Duras – di cui Postorino è
traduttrice, “Moderato cantabile”, “Testi segreti”, etc., e si professa cultrice.
Su problemi che solleva. E ci naviga dentro problematica, come Duras. Racconti,
echi, di un self frammentato, malgrado l’authorship – o non è l’authorship
del frammento? Assertivo (riflessivo) ma senza un filo.
Il riserbo, al fondo di tanto denudarsi, e i toni e i temi sono da Duras. Di un
selfie per lampi, problematici ma non risolutivi. E più spesso
indignati. Ma in small talk, senza discese agli inferi, le tragedie durasiane.
Il tutto più spesso rivissuto attraverso le letture – e questo la differenzia
(come gli affanni delle “presentazioni”: effetto del mestiere?) Poche esperienze,
minime: i genitori, le nonne, il compagno Livio, i cani, i gatti, le
presentazioni. E molte letture. Anche esse femminili, di scrittrici. E legate
al tipo di “ragazze” che “hanno problemi relazionali: sono aggressive, emotive,
egocentriche”, benché “non svincolate dai legami”.
Una narrativa psicoanalitica, per lo più. Ma anche
questa vivacizzata, in note mobili, narrative – a partire dalla “Rosella”
omonima che è la sua prima terapeuta, alla Casa Internazionale delle Donne. La psicoterapia
è altro tema obbligato della letteratura selfie. Di inconcludenti,
angosciate?, soporifere sedute, anche artificiose, seppure involontariamente –
al modo della mula del Berni, che sollevava i sassi per inciamparvi dentro. Il pavesiano
“mestiere di vivere”, o mal di vivere, o dell’inadeguatezza come ora è d’uso
dire, che però dilaga robustamente in letteratura, nel giornalismo, nell’intervista-che-non-si-
nega-a-nessuno, tra i divi del cinema e della canzone, oltre che della letteratura,
arti e mestieri che pure richiedono nervi, saldi, e organizzazione, piani
finanziari discussi e ridiscussi, e pure la cognizione del tempo. Qualche volta
avvincenti, anche se Sainte-Beuve non voleva che si desse peso alla vita degli
scrittori, come pure ancora Proust. Ma un secolo fa, quando Freud era una novità,
in Joyce, in Saba, nello stesso Proust, o in Kerouac, Carver, Lucia Berlin, et
al.. “Scrivere della propria intimità è un atto politico”, Postorino proclama
ancora nelle presentazioni. Duras lo ripeteva ossessiva – ma lei con un fardello
politico, in senso stretto, piuttosto pesante, fra tradimenti non indifferenti,
subiti o inflitti, di cui, si può dirlo con certezza, faticava a liberarsi.
Di fatto, Postorino si muove con una differenza sostanziale
da Ernaux, e anche da Duras, due autrici che non si sono “giustificate per il proprio
corpo” (intervista con Chiara Buratti su “7”). Ma questo, va aggiunto, per una
“condizione femminile”, cioè una psicologia (sedimentazione storica), una
sociologia e una prassi estremamente diverse in Francia rispetto all’Italia di
quaranta e cinquant’anni fa. Quando c’erano ancora le nazionalità nei massimi sistemi,
prima della globalizzazione (della pax americana) linguistica e semantica, in termini di cultura, storia, organizzazione sociale e familiare, pratiche tribali, claniche: le mentalità, o “psicologie nazionali”. Postorino non lo sa, non
lo registra, pur essendo passata nell’infanzia da Sud a Nord, da Reggio Calabria
alla Riviera di Ponente. Per essere i due mondi lontani ma simili, nella psicologia
del paguro e perfino nel linguaggio, nel riserbo e il non detto, nelle vocali
in u? Ma passando le Alpi, la differenza avrebbe visto enorme, fra il ceppo magnogreco
e quello celtico.
Un libro femminile, anche se pure questo non si può
più dire. Il rapporto complicato con la madre, come di tutte le ragazze, quello
improbabile col padre. E la scoperta del corpo. Molte pagine sul tabù (?) del mestruo.
Altre sullo sviluppo del seno. O sull’attenzione alle cosce, cose da cui i
ragazzi sono esenti – bella scoperta. E qualche abuso sessuale, accenno di abuso,
compreso il professore della celebrata laurea a Siena – ma l’università, forse
non a conoscenza del misfatto (non pubblico), tuttavia la tiene in considerazione
grande. Molto è delle vittime per se, in quanto donne. Qui c’è un vizio
in ogni rapporto. O altrimenti non c’è, non c’è rapporto - Postorino è giù
autrice di un “Corpo sociale”.
Il racconto di fatto di un un uncomfort
nell’epoca del comfort, se non di uno sconforto. Senza motivo – a parte l’inesausto
(inesauribile?) femminismo. Ma per ciò stesso più temibile? Secondo la
psicoanalisi sì. Le “angosce abissali” che l’autrice ha taciuto a tutti, anche
ai diari, le ha confessate “agli analisti, ma soprattutto ho lasciato che si
sedimentassero in me e si trasformassero, senza che lo decidessi, in
scrittura”.
Non è la sola insidia. Si parla troppo, negli spazi
infiniti aperti dalla rete, ma anche prima e fuori della rete - si direbbe con la
“caduta delle illusioni” - e quasi sempre di se stessi. La stessa autrice nella
stessa pagina, la 176, se (ce) lo dice: “Non so se è colpa dei social media…
Non so di chi sia la colpa, ma sospetto che non abbiamo più il permesso di tacere”,
anche quando non abbiamo o “non sappiamo che cosa dire”. E così è, il racconto è di come l’autrice si
vede e ci vede. A seguito di inciampi: letture, incontri, “presentazioni”,
gite, film – anche “Barbie” pone problemi, il film che è una colossale beffa, a
pagamento. Non manca Lacan, buon retore, qui con “il rapporto
sessuale non esiste”, uno dei temi a effetto con cui affollava i suoi seminari,
a pagamento. Ci sono anche le elezioni europee 2024 (giugno), per dirle “un
risultato avvilente” – giusto per mettersi tra i “belli-e-buoni” (ma, certo, ci
sarà pure chi soffre per un voto, elettorale)?
Dalle narrazioni iniziali per frammenti, cui qui
ritorna, Postorino si era fatta romanziera, con la reinvenzione di realtà storiche
attraverso l’occhio personale, di Hitler, di Sarajevo. Un’opportunità? Un
rischio?
Rosella Postorino,
Nei nervi e nel cuore. Memoriale per il presente, Solferino, pp. 22 €
17,50
giovedì 26 settembre 2024
Secondi pensieri - 545
zeulig
Collezionismo – “I
collezionisti tengono in ordine il mondo. Alcuni hanno quasi delle pretese
filosofiche, di interpretazione della realtà attraverso il catalogo delle cose
possedute e delle cose desiderate. Tutti però hanno un istinto naturale di
risposta al caos. Granello dopo granello. Come di fronte al mare del tempo. Con
la sabbia di dieri, di oggi e di domani”, Chiara Grom Negro, “una delle maggiori
collezioniste al mondo di moto d’epoca”, con Paolo Bricco sul “Sole 24 Ore
Domenica”.
Del
collezionismo si sa poco, pochi ne hanno scritto, W. Benjamin, Chatwin, U. Eco
- e più per spiegare se stessi, i propri eccessi (in rapporto al reddito), la “fissazione”.
È in realtà fermare il tempo. Vivere il passato, più passati. “A me capita con
le motociclette”, continua Chiara Grom Negro, “che sono bellezza, tecnologia,
storia. E, per capire l’esperienza di chi ci ha preceduto, scelgo di percorrere
le stesse strade di cento anni fa, vestita con l’abbigliamento di cento anni
fa. Per provare la stessa poesia del disagio e dell’avventura”.
Creatività – Non è
ideologica – o l’ideologia non è creativa? Soprattutto, non c’è creatività in democrazia?
Il genio si lega a epoche e regimi principeschi, anche imperiali, dai tiranni assiro-mesopotamici
ai sovrani indù e imperatori cinesi, agli imperatori romani, e successivi, papi,
principi. Il tema curiosamente solleva l’architetto Desideri, a proposito di
una sua collaborazione giornalistica e di “una lunga e appassionata discussione
sul tema del rapporto fra creatività e democrazia” che ha avuto con Eugenio Scalfari
(“100 volte Scalfari”, p. 224): “Concordavamo che, furi da ogni ideologia, non
c’è proprio alcun rapporto”. Ma, più che i regimi politici, non conta la
committenza? Plurima, suntuaria, quella dispotica, misurata quella democratica.
L’arte, la creatività, è suntuaria? Supererogatoria, superflua?
Destra-sinistra -
È un diverso senso della critica della storia – della Verità? Sartre, “ultracomunista” critico premio Stalin, ossessionato dalla
politica di cui fu sempre cattivo
maestro (già “ultracomunista” – Merleau-Ponty -, si apprestava a negare il
Nobel per la letteratura come insegna capitalista e ad accreditarsi padre
nobile del ’68), si vede bambino in “Le parole”, p.67 (1964) “pronto ad ammettere - se soltanto fossi stato in età di comprenderle
– tutte le massime di destra che un vecchio uomo di sinistra (il nonno
materno-padre putativo, nd.r.) mi insegnava con le sue condotte: che la Verità
e la Favola non una stessa cosa, che bisogna vivere la passione per sentirla,
che l’uomo è un essere di cerimonia. Ero stato convinto che noi eravamo creati
per recitare”.
Errore – È il testimone della verità.
Felicità – “Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti
queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal
Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la
Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”, è il secondo capoverso
della Dichiarazione di Indipendenza americana del 4 luglio 1776. Un comma sul
quale si scrive molto, a proposito del “perseguimento della felicità” fra i
diritti fondamentali. Nella prima bozza c’era la “proprietà”, il possesso, non
la felicità.
Un riferimento non asociale, non antidemocratico,
quello alla proprietà, venendo prima della rivoluzione francese. Anzi, in linea
con la rivoluzione francese, se (che) fu quella del Terzo Stato, della borghesia,
intellettuale e produttiva.
Memoria – Prolunga la vita, delle persone, le cose, gli
eventi. E la trasforma – la varia, la atteggia, la trasforma, anche radicalmente.
Cioè la crea.
È il fondamento della storia ma anche l’essenza
della vita.
Se la memoria è anche pre-natale, affonda in
radici remotissime – mitocondriali. Ha avuto e perpetua una vita lunghissima.
La morte nel quadro della memoria diventa solo un
momento, per quanto tagliente, e indifendibile imprevedibile, incurabile,
etc.) - “la memoria resiste”,
Annie Ernaux.
Psicoterapia – Si può dire
il “metodo”, o la terapia, della mula mula del Berni, la quale sollevava i sassi per
inciamparvi dentro. Il “mestiere di vivere”
sospeso di Cesare Pavese, il male di vivere, o dell’inadeguatezza come ora è
d’uso dire, dilaga però in letteratura, nel giornalismo, tra i divi del cinema
e della canzone, ambiti che pure richiedono nervi saldi, volontà decisa, perseveranza,
organizzazione, piani finanziari discussi e ridiscussi. Inadeguatezze pure avvincenti,
un secolo fa, quando emergevano, in Joyce, in Saba, nello stesso Proust, o in
Kerouac, Carver, Lucia Berlin.
zeulig@antiit.eu
La sera andavamo a via Veneto, tristemente
Cento testimonianze su Scalfari,
uomo felice. Ricordi e aneddoti personali, di un uomo e un anftrione leggero,
scherzoso – anche se non lo era. Con molto papa Bergoglio, che deve averlo chiamato
spesso – molti hanno ricordi legati alle sue telefonate. Il sottotitolo dice: “La
Repubblica di Eugenio nelle testimonianze di cento amici raccolte dal nipote Simone
Viola”, l’unico nipote di Scalfari, ma “la Repubblica” c’entra poco.
Ricordi felici di un mondo
felice: una raccolta di “memorie grate”, brevi e divertite. Una sorta di
personale “Una sera andavamo in via Veneto” - qui in via Nomentana oppure a
Velletri - senza cioè lo spessore politico. Che richiama però irresistibile il “generone
romano” bersaglio del vecchio “Espresso”. Feste, in città e in campagna, balli,
bons mots, allegria, simpatia. In redazione è sempre “messa cantata”, il
coordinamento antimeridiano, aperto alla redazione, è sempre una celebrazione.
Con il papa a sancire la grandeur di Scalfari. Persona del resto, nel
suo calcolato cinismo, attraente – “Eugenio diceva di essere un narciso, ma era
soprattutto un gran seduttore”, Ezio Mauro.
Nel concertino una chicca
contabile, che aiuta a fare la storia del giornale, di Adriano De Concini, che
fu direttore amministrativo con Giancarlo Turrini fino al 1980: “Ad agosto del
1977 il giornale toccò la punta più bassa di vendite, 89 mila copie. C’era già
aria di chiusura…. A gennaio (1978) si pensava di chiudere il giornale perché
non c’erano margini di miglioramento… A marzo del 1978, con il sequestro Moro,
si arrivò a 180 mila copie”. De Concini, solo in ufficio alle 9 del 16 marzo, quando le agenzie battono l’assalto, fa
chiudere dabbasso porte e cancelli, e dispone l’edizione straordinaria, con le
locandine. Quando Scalfari arriva in redazione detta il titolo: “Moro rapito dalle
Br”. E il giornale decolla: “Uscimmo con un’edizione speciale sulla dorsale Na-To
(Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Milano, Torino), perché la distribuzione non
poteva raggiungere le altre località durante il giorno, con il traffico delle
ore diurne. Da quel momento iniziammo a tirare il massimo di copie possibili,
340 mila”.
Scorrendo l’affettuosa raccolta
all’ombra del quarantennio di politica italiana che ha accompagnato le fortune
del giornale, e il crollo successivo che lo vede ai numeri allarmati di De Concini,
la lettura finisce deprimente: sotto il fondo aneddotico, umano, personale, è il
quadro di una élite che ha dissipato un patrimonio culturale – umanistico,
liberale, socialista – senza lasciare traccia. A meno che questa non sia il recupero,
quanto involontario?, del vituperato “democristianesimo”, degli affarucci quando
non della corruzione, della politica dei piccoli e grandi poteri “invisibili”,
sotto gli occhi di tutti.
Simone Viola (a cura di),
100 volte Scalfari, “la Repubblica”, pp. 269, ill. € 8,90
mercoledì 25 settembre 2024
Problemi di base storici - 822
spock
Le novità accelerano la storia?
Non c’è storia senza novità?
La storia è
contorta – è il gaddiano ghiommero, non una freccia?
C’è vita
finché c’è storia – o è viceversa?
La storia vuole
novità?
La vita dura
finché dura la memoria?
spock@antiit.eu
La tavolata a Zervò
È rimasto l’unico posto
dove avere un caffè o ordinare le tagliatelle ai funghi in Montagna: una capanna
di lamiera ondulata. A fronte dei giganteschi edifici del Sanatorio, che è
diventato il nome del luogo senza averne mai avuto la funzione – edifici non finiti
nel Quaranta, allo scoppio della guerra, riadattati nei 1990 a comunità di recupero
per giovani drogati, e poi di nuovo abbandonati. Un prato curato fronteggia la
capanna, delimitato da ortensie blu.
Fa ancora caldo.
Sul prato giocano bambini, in gran numero. Le femmine più mobili, i maschi più
applicati, all’oggetto, lo strumentino, il meccanismo da svitare. Si vedono ma
non si sentono. Sdraiati a gruppi, attorno a giovani donne accosciate, o non del
tutto giovani. Che si applicano a ognuno di loro. Saranno una colonia estiva,
gli sgoccioli di una colonia, oggi è anche domenica.
Sotto la tettoia
si prepara un banchetto, sembra. Un grande tavolo viene apparecchiato, per
venti, trenta coperti. Uomini cominciano ad affluire, tutti si direbbe eguali,
complessione massiccia, capigliatura folta a corta, colore scuro, sneakers immacolati,
shorts e maglietta, fa ancora caldo, depilati e tatuati. Le ragazze con i bambini
a mano a mano hanno già preso posto. E anzi già mangiano. Non sembra possibile
ma sta succedendo: sono parenti e amici che passano la giornata insieme, con i
figli. I bambini quando hanno finito si alzano per una sgambata, e poi
ritornano, ognuno al suo posto.
Il sesso in testa – delle donne
A p. 109, a metà
raccolta, al finale del terzo dei sette racconti che la compongono, “Organo
indipendente”, che non è quello maschile, il titolo si esplicita così a
proposito del dottor Tokai, ottimo commensale e ottimo chirurgo plastico che si
è lasciato morire dopo un amore finito male: “Era sua convinzione personale che
ogni donna nascesse dotata di un organo speciale, un organo per così dire
indipendente, che le permetteva di dire bugie”. Senza colpa. “Con piccole
variazioni. Ma tutte a un certo punto mentivano”, secondo il dottore, “senza
esitazioni”. E “in quei momenti la loro espressione, il loro tono di voce, non
si alteravano”.
Donne bugiarde dunque, ma
anche mantidi: nei sette racconti passano dall’uno all’altro non si sa perché,
se non da inesauste. Sette racconti di uomini, di donne che “fanno sesso” ma
senza legarsi. Eccetto una gobba, che non lo fa fisicamente (e non potrebbe,
lui è un “Gregor Samsa” ancora frastornato al risveglio) ma sì mentalmente,
guardando e commentando un rigido membro maschile. E senza rilievo: figurine, si direbbero, che impersonano giusto l’atto, seppure in posizioni variate.
Murakami procede col
solito ritmo da page turner: qualche novità da feuilleton,
qualche riflessione, e qualche veduta,
qui più fisico-acrobatica, anche sul duro tatami, che paesaggistica. E molta
musica sempre, tutta americana, di tutti i generi. Senza poi lasciare nulla alla
fine. Né avventura né personaggi.
Di memorabile resta
giusto il tema, nel dolorismo femminista imperante: di uomini lasciati da donne
senza motivo, giusto per “fare sesso” con qualcun altro, e solo abbordabili in
absentia, per morte, suicidio, coincidenze, con le memorie. Di odori,
sguardi, pause, pose – una “fa sesso” raccontando storie alla Shahrazād. Un
libello anti-femminista? Si direbbero le “sfumature” del prolifico, lettissimo
e premiatissimo autore della West Coast che scrive in giapponese, anche
complimentoso – “le donne offrivano un tempo speciale che annullava la realtà,
pur restandovi immerse”.
Murakami, Uomini senza
donne, Einaudi, pp. pp. 225 € 13
martedì 24 settembre 2024
Letture - 559
letterautore
Argentina – “Come diceva
Borges: «L’argentino è un italiano che parla spagnolo»”, Cazzullo a Velasco sul
“Corriere della sera”. Velasco: “Hanno attribuito a Borges una frase in realtà
più popolare: l’argentino è un italiano che parla spagnolo, pensa in francese e
vorrebbe essere inglese”.
Con molta massoneria: “Alla nascita dell’Argentina i governi incoraggiarono
l’immigrazione dall’Europa, pensando di attrarre la classe media: ovviamente
arrivarono i poveri. La Plata (la città di Velasco, n.d.r.) è una città di fondazione.
Costruita dagli italiani. Con una grande influenza della massoneria”.
Cassola – Trascurato per
mezzo secolo, dopo essere stato deriso dalla neo-avanguardia, emerge di nuovo
con i suoi racconti piani, naturalisti, e con l’attivismo pacifista e ambientale,
oggi “ecologico”. Si ripubblicano i suoi numerosi racconti e i saggi.
Ora la Fondazione Corriere della sera annuncia la raccolta di tutte le
sue collaborazioni, “dall’ottobre 1953 al marzo1984” - e dal giugno 1968, negli
anni della direzione Spadolini, con una sua rubrica, “Fogli di diario”, già
ripresa in libro ma poi non riedita. Con uno studio approfondito di Alba Andreini,
che ha curato la raccolta, sull’uomo – Cassola fu per molti anni, prima di essere
zittito, anche un “personaggio” - e lo scrittore. Un volumone da CXXX-870
pagine.
Femminismo – “Le montagne
sono donne immense, eppure tante portano nomi di uomini”, dice Marta Aila nella
pubblicità Guanda del suo romanzo “La strangera”. Eppure, molte spiagge sono massicci
molto macho, rocciose, minacciose, turbolente, eppure portano nomi femminili:
Scilla per esempio, Gibilterra, le bianche scogliere di Dover. Dov’è la sopraffazione
- il genere è un mistero?
Funerali - L’ultimo docufilm
su Berlinguer, realizzato da Sky ma in circolazione finora riservata, il regista
Samuele illustra col funerale: le bandiere rosse che garriscono al vento, una onda
che oscilla sulla modesta collina di San Giovanni a Roma. Che la voce fuori
campo può dire “la
più imponente manifestazione di cordoglio popolare dell’Italia repubblicana”.
L’arte funeralizia Gioberti diceva gesuita – “Il gesuita moderno”, 1849, prudentemente
pubblicato in Svizzera. E lo è stata, compresi gli incolpevoli Leopardi prima
di Gioberti, e poi Pirandello. Modernamente invece si può dire arte del Pci. Adottata
da Togliatti. A
partire dalla morte di Stalin.
“Gloria imperitura
a\ GIUSEPPE STALIN” fece dire nei manifesti, due metri per tre, in morte del
Piccolo Padre, “guida, maestro, amico”. Un cristallo due metri per due, di due
quintali e mezzo, lo ritrae – lo ritraeva? - a palazzo Marescotti in via
Barberis, luogo felsineo del comunismo, cui si accede(va?) sotto l’insegna Deus propicius esto, Dio sia con te, e
la Madonna della notte e delle ombre, o della Divina Provvidenza, con l’Ode al
partito di Majakovskij. Ornato dei segni
del riscatto: lampadina, cazzuola, falce, libro, penna, pallone, e un paio di
sci.
L’arte Togliatti aveva
perfezionato poi con Malaparte - il
quale aveva fatto di tutto affinché i gesuiti s’impadronissero di lui, a metà
con Togliatti: la
villa a Capri regalò al presidente Mao, la
salma al Pci e a padre Rotondi, per un funerale con bandiere rosse e messa
cantata polifonica. I fratelli Taviani l’hanno poi codificata, in
morte di Togliatti. Mortuario era pure il quadro-manifesto del Partito, di
Guttuso: un altro funerale, sempre di Togliatti.
Si è continuato con Debenedetti, dopo avergli negato la cattedra - tre
volte, per non essere neorealista, non abbastanza, l’ultima in punto di morte
(il professor Sapegno, che era stato compagno di Debenedetti al liceo, e
all’università ne bocciava la nomina, pronunciò il necrologio: il morto si
prende il vivo). Il capolavoro elaborando in morte di Pasolini, coreografico e
di massa – in vita Pasolini non poté essere del Partito, aveva dovuto
restituire la tessera. Con bandiere, grandi immagini colorate, gagliardetti
della Resistenza, e masse, in ogni dove a Roma.
Tutto
poi d’improvviso scomparso. I funerali e le masse – eccetto che ai concerti
gratuiti.
Guerra civile – Il volume di
ricordi familiari dopo il 24 luglio 1943, “I Mussolini dopo Mussolini”, che
Edda Negri Mussolini ha scritto con Mario Russomanno, esibisce in copertina una
foto piena di sorrisi e di sole, con amici di ogni genere: il calciatore
Monzeglio, un attore alla Nazzari che fa il buffo, accosciandosi sulle ginocchia
per non superare Mussolini, le nipoti allegre, Mussolini tranquillo e in buona salute,
dimagrito bene, con gli occhiali da sole in mano ma col cappotto, perché è una
giornata invernale. Nella villa Feltrinelli a Gargnano sul Garda, oggi Grand
Hotel Gardone, la capitale della repubblica di Salò – così detta solo perché
Mussolini comunicava attraverso l’agenzia ex nazionale Stefani, che operava da Salò
(e quindi datava i suoi lanci da Salò).
Milena Milani – Dimenticata
del tutto, l’autrice di “La ragazza di nome Giulio” la riporta alla memoria,
citazione unica, di striscio, Rosella Postorino, “Nei nervi e nel cuore”, 54-55
– “uno dei romanzi indimenticabili della mia adolescenza”. Il Novecento va
riscritto – Cassola e Milani sono i soli dimenticati?
“La ragazza di nome Giulio” – sequestrato e processato all’uscita per
immoralità - non anticipa un caso di disforia. Jules è il nome di una ragazza,
che su e giù per la costa marchigiana scopre i tanti tranelli – maschili e femminili – dell’amore,
in una delusione progressiva che ne minaccia la salute mentale.
Natura – “Ciò che gli
occidentali chiamano «natura» per i cinesi è un’estensione dell’umanità. Il
cielo e l’uomo sono una cosa sola”,Ye Xiaogang, “La Lettura” 15 settembre.
Padri - Sempre meno
necessari e anzi nocivi? Per i 90 anni di Sofia Loren si ricorda che il padre
le ha abbandonate, la madre, lei e la sorella. Come Giorgia Meloni.
Pasternak – Sembrava un cavallo?
“Pasternak non lo conosco che di vista, tre-quattro fugaci incontri, pressoché
muti, perché di novità non ho voglia. L’ho ascoltato una volta, insieme con
altri poeti, al Museo Politecnico. Declamava con voce sorda e si dimenticava
quasi tutti i versi. Per la sua assenza sul palcoscenico rammentava Blok. Dava
l’impressione di una concentrazione tormentosa, si avrebbe avuto voglia di sospingerlo,
come con un vagone che non si muove”. Salvo che per le apparenze: “Esternamente
l’aspetto di Pasternak è splendido: nel suo viso vi è qualcosa di contaminato
tra un arabo e il suo cavallo: la diffidenza, la tensione dell’ascolto, e da un
momento all’altro…. la più totale prontezza alla corsa. Un’immensa e insieme
equina, selvaggia e timida, mobilità degli occhi” – Marina Cvetaeva, “Un acquazzone
di luce. Poesia di eterno valore”, 1922, saggio pubblicato sulla rivista
berlinese “Epopeja”, ripreso in apertura di Pasternak, “Mia sorella la vita”,
la raccolta di poesie degli Oscar Mondadori, pp. VI-VII – prima lo ipotizza “imaginista”.
Ravioli – E\o tortellini, o cappelletti, sono diffusi in mezzo mondo, con nomi diversi.
Ma in Italia in numero strabordante di varietà. Con denominazioni diverse, regionali
o locali. E soprattutto settentrionali: solo cinque in Centro-Italia e niente al
Sud – eccetto due in Sardegna, i puligioni e i culurgiones. Telmo Pievani ne ha
fatto fare una ricerca su scala mondiale e ne pubblica i risultati su “La
Lettura”. Nel Nord Italia, compresa la Toscana, ne elenca 28.
All’estero li ha rintracciati in nove paesi: Russia, Cina, Germania, Israele,
Turchia, Grecia, Giappone, Nepal, Polonia. Di origine probabilmente euroasiatica,
opina Pievani- i wonton cinesi, i gyoza giapponesi, i pierogi polacchi.
Sally Rooney 2 – Omaggiata dal
“Robinson” con sette pagine e grandi foto, pensose, Sally Rooney non evita le frasi
memorabili: “Intermezzo (l’ultimo suo romanzo, n.d.r.) potrebbe essere letto
come un omaggio all’Ulisse, libro che amo moltissimo…. Mentre scrivevo
questo libro per me sono stati importanti, oltre all’Ulisse, anche altri
testi: uno è I fratelli Karamazov, un altro Amleto”.
“Credo che vivere insieme alle altre persone sia sempre complicato”, è un’altra
riflessione, “sia i gruppi più piccoli e stabili sia in ambienti urbani più
fluidi”. E: “Se mi capita di rileggere una mia intervista, ogni volta vorrei sprofondare”.
Il “New Yorker” si limita a un’intervista breve. E all’esumazione di un
vecchio articolo che situa la scrittrice nella stagione, in cui l’uscita dei suoi
libri è programmata: “Il libro è ben programmato per la stagione. C’è qualcosa
di autunnale in lei”.
Stati Uniti - Un americano su
due, il 46 per cento, nel 2023 non ha letto nemmeno un libro. Il 26 per cento
ne ha letti tra 1 e 5. Il 29 per cento più di sei. Sono pochi, o non molti? Però,
un americano su tre “lettore forte”, non sarà qui il segreto della pax americana?
Un parco lettori di 153 milioni, di cui quasi cento milioni “lettori forti”,
sono un fondamento enorme, anche se (tanto più perché?) invisibile.
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