sabato 12 ottobre 2024
Il circo sport, che noia
Due-tre ore al giorno di tennis, in orari impervi, per 365 giorni l’anno, brandendo cinque-sei numeri 1, per fare cassa. Da gladiatori in pantaloncini – ora pure a colori da fierucola di via Sannio, residuati americani firmati. Un tennis dove la Wada corrotta, l’agenzia mondiale antidoping, squalificherà Sinner per un paio d’anni, informa il “New York Tines”. Ma non per punirlo: non gli toglierà le vittorie - eccetto una, che non fa testo. Per liberare il sito per altri concorrenti - Sinner è troppo forte. E lo fa perché l’antidoping americano glielo chiede, bisogna movimentare la scena: il tennis italiano occupa troppi posti in classifica, rilevava un mese fa il “New Yorker”, con finto entusiasmo. E questo non sta bene alla Usada, Us Antidoping Agency, che ha “ispirato” i due giornali di New York - due gior- e i eminentmente progressisti, della “società civile”, dei “belli-e-buoni”: il mercat americano è ben il più lauto, anche per il tennis.
Truman Show al maneggio
Un
«Truman show» di Scandicci”, come lo stesso Pieraccioni si dice. Una
rimpatriata di umorismo toscano, compiaciuto. Nel maneggio che lui gestisce.
Qualche
anno fa due fratelli di Pisa, o dei dintorni, pare siano venuti alle cronache
per avere esaudito il desiderio del padre moribondo di vedere Parigi scarrozzandolo
per qualche giorno in tondo nella loro proprietà. Pieraccioni ne fa una serie
di piccole gag. E più raccontate che rappresentate. Benché sorretto da
una buona ventina di comici, anche di nome: Frassica, e mezza Toscana
(Francini, Bevilacqua, Ceccherini, Gianna Giachetti, cattivissima vicina, Marta
Richeldi, Giorgio Borghetti, Alessio Binetti….) - o forse per questo.
Leonardo
Pieraccioni, Pare parecchio Parigi, Sky Cinema, Now
venerdì 11 ottobre 2024
Andreotti a Bruxelles
Parte all’insegna degli andreottiani
“due forni” il secondo governo Von der Leyen a Bruxelles. Eletta da una
maggioranza di centro-sinistra, deve governare a destra. Sull’immigrazione. Sull’Ucraina.
Sulla transizione verde.
È l’imperativo dei Popolari europei,
il cui asse è la Germania: recuperare il voto moderato che è scivolato verso l’estrema
destra. Non è un esercizio di poco conto, ma in Germania è essenziale.
Esiziale: la crescita al 30 per cento minacciata da un’estrema rosso-bruna, inaffidabile,
più neonazista che populista o nazionalista, non si valuta abbastanza fuori, ma
la Germania la vive con paura.
Da qui la politica del “doppio
forno”. Già avviata con la precedente legislatura. Specialmente indirizzata verso
l’Italia, il perno mancante dei Popolari europei, se Fratelli d’Italia non va a
occupare il centro perduto - Forza Italia è ritenuta di consistenza minoritaria
dopo la morte di Berlusconi, anche se alle Europee ha guadagnato. La catalizzatrice
è Meloni, per Weber, il capo dei Popolari europei e per Von der Leyen
personalmente – e per Metsola, la presidente del Parlamento.
Cronache dell’altro mondo – abortive (296)
“I Democratici tendono a evitare le
domande se questi aborti non dovrebbero essere controllati” - gli aborti nel terzo trimestre di gravidanza.
Negano anche di voler consentire l’aborto tardi nella gestazione, e spiegano che
comunque sono rari, e per questo non pongomo problemi morali.
“Di fatto”, sostengono, “l’attenzione
speciale sui ‘diritti di riproduzione’ ha aiutato a vincere le elezioni di
medio termine (dopo la cancellazione dell’aborto libero da parte della Corte Suprema,
n.d.r.), e ha generato entusiasmo per la campagna presidenziale di Kamala
Harris. Kamala Harris farebbe bene a tenere da conto la questione”. (“The Atlantic”).
Per il settimanale, fortemente impegnato
nella campagna anti-Trump, la questione non è marginale. Le statistiche degli
aborti in Usa prima della pronuncia della Corte Suprema (avventatamente adita
contro lo stato del Mississippi, che ha stabilito un limite di quindici
settimane di gravidanza per avere diritto all’aborto, invece della pratica
dell’aborto libero) ne registra il numero maggiore al mondo in rapporto agli
abitanti, con casi di aborti perfino “perinatali”, subito dopo la nascita:
http://www.antiit.com/2022/05/cronache-dellaltro-mondo-abortive-186.html8
http://www.antiit.com/2022/05/il-mondo-come-446.html
La discesa all'inferno dell'americano bianco impoverito
“Ero al primo anno di
liceo, e mi sentivo profondamente infelice”. Tra “le fughe e le liti”, dei vari
genitori, naturali o acquisiti – la madre cambiava spesso marito o compagno - e
“il carosello incessante di persone che dovevo incontrare, imparare ad amare e
poi dimenticare”. Le memorie, sceneggiate e ragionate. di un uomo subito poi di
successo, pubblicate nel 2016, dopo un lungo percorso di riscritture, a 32 anni
– bestseller a lungo in America, in traduzione in ristampa continua dal
2017. Poi in politica, nel partito Repubblicano, come i suoi hillbilly, da due anni senatore, dapprima anti-Trump e ora candidato alla vice-presidenza
di Trump. Lo hanno salvato i quattro anni nei Marines (sei mesi anche in Iraq,
alle relazioni pubbliche con gli iracheni), con la necessità di discipinarsi e
i risparmi per pagarsi poi l’università – molto hillbilly anche lui, Vance
dubita sempre dei prestiti, anche agli studenti.
Una storia strappalacrime,
in altro ambito e ambiente. Di un giovane dato in adozione dal padre a due anni,
nella causa di divorzio, per non lasciarlo alla madre. La madre alcolizzata, drogata.
Il padre uomo buono, cristiano, a cui J.D. non trova nulla da rimproverare, la
volta che dopo qualche anno all’improvviso si rifà vivo, e la volta, morto il
nonno materno, che J.D. decide di andare a vivere con lui, per non gravare sulla
nonna – l’idillio dura solo un’estate. Il padre naturale. Quelli putativi si succedono,
la madre è volubile, pochi anni o pochi mesi, ognuno diverso dagli altri.
Un ragazzo degli Appalachi,
il mondo rurale povero dei bianchi americani. D’improvviso industrializzato, e
poi deindustrializzato: della rust belt, la fascia arrugginita. Cresciuto
dai nonni. E il mondo hillbilly, buzzurro, montanaro, cocciuto, in cui
cresce. Un mondo di origini irlandesi e scozzesi, di ceppo duro, “non ci piacciono
gli estranei e i diversi”. Un tempo solido, e lavoratore. Ora lavativo,
attaccato ai sussidi. Un mondo disadattato, povero anche di spirito, tra alcol
e droghe. A un certo punto Vance legge un’analisi sociologica che con grande
precisione descrive la condizione dei suoi hillbilly, ma è un’indagine psico-socio-economica
sui neri metropolitani.
Una storia di sofferenza personale,
seppure rivissuta da adulto “salvato”, mimando l’allegria del ragazzo, dell’adolescente.
Ma un racconto che si vuole anche quadro sociale. Della vasta zona al cuore
dell’America dal Kentucky all’Alabama. E un ritratto anche politico, della
vasta area dei “bianchi poveri”, una decina di stati, che non lo erano e lo
sono diventati. Un tempo democratica, ora repubblicana – ugualmente arrabbiata
e combattiva, ma indefettibilmente povera, peggio, impoverita. Gli Appalachi
sono un modo di dire più che un’area geografica determinata, “una regione sterminata
che si estende dall’Alabama alla Georgia del Sud”, grandi pianure, grandi
fiumi, “e dall’Ohio ad alcune parti del Nord dello stato di New York”.
Vance, oggi uomo di destra,
politico d’attacco, la foto senza barba del risvolto lo fa un pacioccone, di
una psicologia più convincente della vita tribolata che ha avuto per
vent’anni, unica áncora una nonna mezzo paralitica, sboccata, che sempre minaccia
di prendere la pistola, ma intelligente e generosa. Ma è inevitabile leggerlo con
la lente politica. Che già nel 2014-2015, quando scriveva il libro, e non c’era
ancora Trump, ha netta: “È stato lo spostamento dei Grandi Appalachi dal partito
democratico al partito repubblicano a ridefinire gli assetti politici dell’America
dopo Nixon. Ed è nei Grandi Appalachi che le fortune dei bianchi della classe
operaia sembrano particolarmente in declino. Dalla bassa mobilità sociale alla
povertà, dalla diffusione dei divorzi alla droga endemica, la mia patria è un
luogo d’infelicità”. La prima base di un quadro sociologico, concisa e “esatta”,
che la pur dilagante sociologia politica americana non fa, semplice e chiara,
persuasiva. Un ritratto e un’analisi originali – malgrado l’enorme
pubblicistica americana socio-culturale - dei rapporti familiari e dei criteri
sociali in famiglia e nella comunità (quartiere, villagio) americani. Dalla critica
dura, ma motivata, alle politiche assistenziali, per cui il lavoratore povero
paga, con le sue ritenute fiscali, le bistecche e il marameo al vicino, più
speso la vicina, che non fa nulla. Alla fine della religione, nel cuore della Bible
belt, della fascia bilica, bigotta: “Le istituzioni religiose rimangono
una forza positiva nella vita delle eprsone” ma non sono d’aiuto nella crisi:
“In una parte del Paese afflitta dalla deindustrializzazione, dala disoccupazione,
dall’abuso di alcol e droghe e dal disgregarsi delle famiglie, la pratica religiosa
è crollata”. Ci sono pure le “guerre di Natale”, le azioni legali di gruppi
laici contro i sindaci che fanno il presepe, parte di un’aggressività laica
che fa - faceva? - sentire i cristiani, e gli hillbilly ex operai, gente
comune, “buoni cristiani”, dei perseguitati: “Ho letto un libro di David Limbaugh,
‘Persecution’, sulle discriminazioni ai danni dei cristiani. Internet ribolliva
d’indignazione per le mostre newyorchesi che esibivano immagini di Cristo o della
Vergine Maria coperte di escrementi”. La lettura può anche servire a capire la
divisione dell’America politica, tra fronti da guerra civile.
Un racconto e una
riflessione curati, non di getto, anche se ne dà l’impressione: la scrittura è
riveduta più volte, anche per contributi critici, si argisce dai ringraziamenti.
Un racconto quindi non semplice, forse per questo mativo, la materia sensibile.
Per una lettura impegnativa, riga dopo riga. Ma un racconto sempre pieno, anche
se le disgarzie sono le stesse, ripetute ogni paio di pagine, ogni pagina.
Appassionante come un vechio libro di scoperte, di esploratori.
Un racconto talmente
“onesto”, di una scrittura cioè limpida, e di sintesi obiettive, comunque
incontrovertibili, anche a fare la tara di un editing redazionale
pesante, o la riscruttura di un collaboratore professionale anonimo, da
suscitare meraviglia con l’immagine dell’uomo diventato nel frattempo, due anni
fa, senatore Repubblicano, e ora candidato di Trump alla vice-presidenza.
Le ultime pagine sono in
difesa di Obama, e contro il cospirazionismo dilagante. Prima di entrare in
politica, Vance lavora anche per David Frum, editorialista di “The Atantic”, il
sito e la rivista più ostili a Trump, con martellamento plurigiornaliero. Ma il
fatto è che in America “non c’è gruppo etnico-sociale più pessimista dei
bianchi della classe operaia”, p. 192 - la divisione dell’America non ce la raccontano
giusta?
J.D.Vance, Elegia
americana, Garzanti, pp. 255 €15
giovedì 10 ottobre 2024
La giustizia fuorilegge
Si condanna De Pasquale. Dopo Davigo.
Per la gestione personalissima, e violenta, delle procedure penali. Una metà
buona dei giudici di Mani Pulite che si sentivano sopra la legge.
Nel conto bisogna mettere anche Di
Pietro, che non è mai stato condannato, anzi ha vinto centinaia di cause contro
chi lo ha criticato. Ma semplicemente non è stato perseguito per la sospetta appropriazione
indebita dei rimborsi elettorali al suo partito, l’Italia dei Valori – ha preferito
lasciare la politica.
Gli altri due giudici di Mani Pulite,
D’Ambrosio e Colombo, erano due comunisti che al solito non sapevano cosa
facevano – salvo tenere il Pci fuori dalle inchieste. Mentre il procuratore
capo Borrelli, furbo uomo di potere, non firmava nulla – lui suonava il piano,
muoveva la tastiera.
Dire questa giustizia “politica” è
forse sbagliato. Ma non si può più dire da Terzo Mondo.
Cronache dell’altro mondo – tennistiche (295)
Il Tas, tribunale arbitrale dello sport,
squalificherà Sinner, “il n.1 del tennis mondiale e due volte campione Grand Slam”,
per un anno. Oppure per due. Dopo che la Cas, Court of Arbitration for Sport,
ha avallato l’appello della Wada, World AntiDoping Agency, allo stesso Tas, contro
l’assoluzione pronunciata, sempre in arbitrato, dall’Itia, Inernational Tennis
Integrity Agency. Ma lo squalificherà “senza l’annullamento di alcun risultato”,
in aggiunta a quello disposto dall’arbitrato, il torneo di Indian Wells, “U.S.
Open”, o “BNP Paribas Open”, il 10 marzo, con la cancellazione del titolo e dei
punti ranking maturati con la vittoria, e la restituzione del premio (Sinner
si era imposto su Taylor Fritz, speranza del tennis americano - ma già di 26
anni, Sinner ne ha 23, n.d.r.).
Il Tas trasformerà la sentenza dell’Itia
da “nessuna colpa o negligenza” in “nessuna colpa o negligenza significativa”.
(Una lunga lista di commenti negativi
all’assoluzione di Sinner segue, di tennisti in attività o in pensione, anche
di condannati per doping).
La Wada si è mossa a seguito della
polemica aperta a luglio dalla Usada, Us Antidoping Agency, in prossimità dell’olimpiade
di Parigi. La Usada ha rispolverato il caso del 2021, alla vigilia dell’Olimpiade
di Tokyo, quando la Wada non aveva dato seguito alle denunce di doping dei nuotatori
cinesi.
(“The New York Times”)
Inventarsi portiere (di calcio) nell’Italia del boom
Trapiantato di
colpo da Vigevano a Milano dal vecchio padrone, che ha deciso di vendere e
godersi la vita a Bordighera, il giovane contabile diventa vittima di un padrone
interista fanatico, che soprattutto dagli impiegati vuole che facciano la migliore
squadra aziendale di calcio. Il giovane contabile sa tutto di tutto, a casa, a
“Lascia o raddoppia” – è l’epoca in cui i vicini venivano con la sedia dopo
cena la sera del Mike - sapeva le risposte sempre in anticipo, e anche a Milano
è apprezzato, migliora subito i conti, m non sa nulla di calcio. Non sa nemmeno
come muoversi. I colleghi perfidi lo mettono in porta, per farne un bersaglio. Ma
un vecchio portiere, campione mancato e per questo soprannominato Zamora, il
grande portiere spagnolo, un mezzo barbone, gli insegnerà come fare.
Un ritratto
d’epoca: l’Italia del boom, semplice e fiduciosa. Un debutto felicissimo di Marcorè alla regia. Piana, quasi sottovoce, per un mondo che immagini e suoni fanno
semplici, anche mediocri, senza declamazioni – il soggetto è alla Fantozzi, ma trattato
con gli ingredienti più delicati della commedia all’italiana.
Marcorè stesso è
misurato nei panni del fallito “Zamora”. Ma soprattutto tira fuori il meglio, in
un ruolo impossibile, per Alberto Paradossi, debuttante poco più che ventenne
nel ruolo di protagonista, e a una serie di ottimi caratteristi – nomi nuovi al
cinema, ma evidentemente attori di pedigree a Milano. Insuperabile la
serie dei “padroni” macchietta, l’interista Storti, il milanista Poretti, e
Antonio Catania il vecchio “padrone” che non sa stare “a Bordighera” – tutt’e
tre ben diretti, con le redini tirate, assurdi ma mai eccessivi. Marcorè si
riserva il ruolo dello Zamora d’Italia - avendo anche l’altezza dei portieri,
1,90.
Un omaggio del fine
produttore Agostino Saccà, ex Rai, a Roberto Perrone, il cronista sportivo che
moriva settantenne mentre si cominciava a girare il film, colonna della
“Gazzetta”, che della figura del portiere era specialista e appassionato (suo
anche il libro su Buffon), e lo “Zamora” milanese aveva tratteggiato in un
romanzo.
Neri Marcorè, Zamora,
Sky Cinema, Now
mercoledì 9 ottobre 2024
Letture - 560
letterautore
Albergo – “La camera d’albergo,
con la sua doppia fugacità, quella del tempo e quella del luogo, è per me il
posto che fa più provare il dolore dell’amore. Nello stesso tempo ho sempre
avuto l’impressione che fare l’amore in albergo non impegna, perché, in certo
modo, non vi si è nessuno. Per le stesse ragioni, è senza dubbio più facile
morirvi, come Pavese, o Marco Pantani” – Annie Ernaux, “L’usage de la photo”,
p.38.
Caravaggio – “Caravaggio ha
inventato l’illuminazione hollywoodiana. Ha inventato un modo di illuminare le
cose in maniera drammatica”, David
Hockney, “I miei occhi su mondo”.
Cinema – Paolo Kessissoglu,
che fa anche cinema, ricorda della “megaproduzione internazionale Asterix
alle Olimpiadi” come esperienza più grata: “Di diverso c’è che si apre l’ascensore
e ci trovi Alain Delon…. O fai una scena con Depardieu e lui non c’è”. Come è
possibile? “Perché lui fa solo i primi piani. Per tutto il resto ci sono le
controfigure”.
Empatia – È di Edith
Stein, “Il problema dell’empatia”, tesi di dottorato preparata con Edmund
Husserl, a venticinque anni, nel mezzo della Grande Guerra, 1916, mentre faceva
l’infermiera volontaria nelle zone di combattimento. Si parla molto di empatia, ormai entrata nel
linguaggio comune al posto di simpatia, ma non della sua studiosa e teorica. Non
se ne parla perché opera di suora, cattolica, “Teresa Benedetta della Croce”?
Già atea. Anzi ebrea e atea, poi convertita e suora, carmelitana scalza. Arrestata
con la sorella, terziaria carmelitana nel suo stesso convento, nel 1942 quando
Hitler ordinò la caccia anche agli ebrei da tempo convertiti, e avviata a
Auschwitz. Una santa di due religioni – v. in questo sito
http://www.antiit.com/search?q=empatia
Hollywood – “In California
a luce è molto limpida. A volte riesci a vedere a centinaia di km. di
distanza. È davvero limpidissima”, David
Hockney, “I miei occhi sul mondo”. Ma Los Angeles è portata a esempio di citta
più inquinata - dopo Shangai e le atre megalopoli cinesi, dove non si vedono le
case di fronte.
Pasolini – “Dolciastro
comunista” per Italo Calvino? Della ghiotta citazione che circola in rete non si trova la traccia, dove e
quando Calvino l’avrebbe pronunciata o scritta. Sul “Corriere della sera” nell’ottobre
del 1975, nella polemica sul “delitto del Circeo” – quindi alla vigilia della
morte di Pasolini? In un’intervista del 1974? Però si attaglia.
Rembrandt
– “Rembrandt ha messo nei volti più di qualunque
altro, prima e dopo di lui, perché vedeva di più. Era una questione di occhio,
e di cuore”, David Hockney, “I miei occhi sul mondo”: “Chiunque abbia disegnato
capisce quanto siano meravigliosi i disegni di Rembrandt: c’è un’economia di mezzi
che ti lascia senza fiato. Si vede la velocità” – si vede?
Togliatti
– Un ritratto diverso ne fa Lisa Foa nel libro di
memorie “È andata così” – un ritratto ancora inedito anche se il libro ha
vent’anni: “Di
Togliatti mi ha sempre colpito il viso segnato che gli conferiva un’espressione
drammatica. Pensavo fosse la conseguenza di quella selezione staliniana che
aveva subito passando attraverso il lavoro nell’Internazionale, la vita a Mosca,
la guerra civile in Spagna. Altri dirigenti comunisti, con esperienze non
dissimili, avevano mantenuto invece un viso sereno, quasi giulivo, come se la
loro vita di militanti fosse stata un’allegra passeggiata. Lo stesso Longo, che
pure aveva qualche dote umana – era bello, con gli occhi azzurri – era passato
attraverso esperienze pesanti e aveva combattuto in Spagna, ma non ne aveva conservato
segni sul viso. Togliatti, non che sembrasse avere dei rimorsi, ma non era
passato indenne attraverso tutte quelle vicende. Era in fondo sopravvissuto per
caso. Ci si chiedeva a volte perché Togliatti non fosse stato ammazzato anche
lui, da Stalin. Ricordo la tesi di Karol che diceva: «Un professore, con
un’aria un po’ petulante, forse Stalin non lo considerava un tipo pericoloso»”
– lo scrittore franco-polacco K.S.Karol, analista politico dell’Europa orientale
durante la guerra fredda, editorialista del “Manifesto” e del “Nouvel
Observateur”, compagno di Rossana Rossanda.
Lisa Foa, redattrice di “Rinascita” al momento della trasformazione da
mensile in settimanale, nel 1962, quale specialista delle economie dei paesi dell’Est
Europa, lo ha frequentato negli ultimi due anni di vita, nelle riunioni redazionali
per programmare il settimanale, cui Togliatti teneva molto, con precedenza su
ogni altro impegno.
Velo – A proposito
della parrucca che ha indossato durante e dopo la chemioterapia per un tumore
della mammella, Annie Ernaux nota, “L’usage de la photo”, p. 37: più che un
accessorio, “per la verità, un segno, quello del cancro, come il velo è quello
della religione islamica. Da qui l’abbandono dell’uno e dell’altro come puri
accessori di moda femminile, quali sono stati fino alla chemioterapia e allo
sviluppo dell’Islam”.
Viaggiare – “Dove stiamo
andando in realtà? Sempre a casa”, Novalis.
“Chi viaggia lontano vede spesso cose\ …\ che quando ne parla tornando a
casa\ lo fanno spesso accusare di mentire” - Herman Hesse, “Viaggio in
Oriente”.
Luchino Visconti – Di lui
Lisa Foa, memorialista senza riguardi - diretta come era nella vita - ricorda
la signorilità: “Un
vero signore, cordiale, alla mano, e potrei dire persino galante”, che “non era
iscritto al Pci perché, essendo omosessuale, non lo avevano ammesso”. ….”.
Non si ricorda invece che non volle il premio Mosca, un festival di cui
era giurato, per Comencini, per il capolavoro che è “Tutti a casa”, da ogni punto
d vista, comico e drammatico, storico e “paesano”, di fine tessitura linguistico-psicologica,
“dialettale”, perché era, a suo giudizio, in quanto “commedia all’italiana”, un
film di consumo, di genere deprecabile. Aristocratico? Ma allora in senso
stretto. O era la “concorrenza”?
letterautore@antiit.eu
La commedia del gender fluid
Un titolo già di culto
per Veronesi, e per Pilar Fogliati, a poche settimane dall’uscita. Di commedia
all’italiana innestata sull’attualità, del gender fluid, dell’indistinzione
maschio-femmina. Feroce e compassionevole come il genere si vuole. Essendo riuscito
anche a mantenersi salace malgrado i paletti del politicamente corretto. Sul
fondo delle miserie, tante, e dei trionfi, pochi, del teatro - delle arti e dei
mestieri teatrali. Una storia immaginata dallo stesso regista, col produttore Valsecchi,
e da lui sceneggata, con Pilar Fogliati.
Fogliati che finisce
prescelta in una lunga serie di provini. per una serie di equivoci, a fare
Romeo, è un capolavoro, di trucco e di portamento, dizione, espressione. Il
culmine è la scena da Romeo con il fidanzato, col quale ha appena deciso di fare
un figlio: un attore-cane imbarcato per caso nella produzione come Mercuzio, che
per mettere lei\lui a suo agio si professa “ambidestro” e quindi follemente gay,
per cui il rapporto può continuare, senza necessità di spiegazioni. La chiave
della commedia all’italiana: l’equivoco (derivato da Plauto?), per cui si è conformisti
e – per essere – anticonformisti.
Una presa in giro,
come vuole la commedia all’italiana del sesso, e un film d’epoca, una pietra miliare.
Sergio Castellitto, il regista trombone ormai fuori dal giro e molto gay, tiene
le fila dell’aggrovigliata vicenda, fino al “tutti contenti” finale.
Giovanni Veronesi,
Romeo è Giulietta, Sky Cinema
martedì 8 ottobre 2024
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (573)
Giuseppe Leuzzi
Il
dopoguerra fu scandito a lungo in Calabria, e anche in Sicilia, dalle
alluvioni. In Calabria per le terribili fiumare, piccoli corsi d’acqua che all’improvviso in autunno dilagavano, rompendo ponti e strade. Quella del 1951 danneggio 68 paesi, e due furono ricostruiti su siti più sicuri, San Luca e Africo. Poi le fiumare sono state arginate. Dieci anni più tardi frane, crolli, smottamenti a Napoli, sempre con le prime piogge. Da qualche
decennio le alluvioni colpiscono il Piemonte, la Liguria, la Lombardia, e ora la
Romagna. Sono le piogge alluvionali che si sono spostate da Sud a Nord? Le
alluvioni del Sud non devastavano paesi, non si costruiva a ridosso dei torrenti.
Si
vuole che i traffici sui tifosi di Milan e Inter fossero di ‘ndrangheta. Poi
viene fuori che i conti li gestivano tre gentildonne. Molto milanesi, di tratto
e nei ragionamenti, ma pur sempre donne. La ‘ndrangheta ha rinunciato a essere
maschilista - fare figli maschi, eccetera?
La
sociologia della mafia sarebbe da stand up comedy, da ridere.
La
giustizia, purtroppo, no – non è da ridere. Se non c’entrava un Bellocco le
mafie di Milan e Inter, in attività da decenni, non sarebbero state
incriminate. Pur agendo alla luce del sole. Le Procure si muovono solo se c’è
odore di mafia. E dunque c’è una gerarchia nel crimine, anche se il codice dice
di no, un delitto è un delitto: la mafia è già un nastrino, una medaglia, un
onore.
Ricordando
Comencini, per l’uscita del film biografico della figlia Francesca, Fofi esuma
il dimenticato “Delitto d’amore”. Stefania Sandrelli è la sposa, meridionale,
di Giuliano Gemma, settentrionale. Il quale, quando lei muore per i veleni
respirati in fabbrica, si compra una pistola, va in fabbrica e uccide il padrone.
La pistola unificava l’Italia.
Teo
Teocoli, di Taranto, ricordando i primi incontri con Celentano, di Milano, a 14
anni, dice: “Pensavo si chiamasse Celendano con la d, la somiglianza era la
faccia da terrone che avevamo tutti e due”. La faccia da terrone?
Taurianova,
la Città del Libro 2024, fu famosa non molti anni fa, venticinque, tra il 1989 e
il 1991, per l’ultima faida, che fu sanguinosissima, 32 morti. Tra le famiglie
Zagari (coi parenti Avignone, Viola e Fazzalari) e Neri (con gli Asciutto e i
Grimaldi). La faida divideva anche i due quartieri-paese che avevano dato vita
a Taurianova, Iatrinoli (gli Zagari e parenti) e Radicena (la fazione dei Neri).
Un “genere” già allora da tempo in discredito, ma che non si può non dire
illustre - “Romeo e Giulietta” – e che ora Netanyahu e Israele rispolverano.
Il
Sud è malato di pubblico
Sono
tutte settentrionali, e tutte al di sopra dell’Appennino, con le eccezioni di
Firenze e Siena, le prime dieci province del Benvivere, del “Rapporto 2024 sul
BenVivere e la Generatività delle Province Italiane”, che la Federcasse BCC-CR
(Federazione Italiana delle Banche
di Credito Cooperativo e Casse Rurali) realizza
ogni anno, col giornale “Avvenire”. E sono tutte al di sopra dell’Appennino,
con l’eccezione di Rimini, le dieci province classificate per “generatività” –
c’era Ragusa ma ne è uscita. Per “generatività” il rapporto intende “la
capacità di un territorio di «accendere» il singolo affinché con la sue azioni
e relazioni abbia un impatto positivo sulle altre persone” - la socialità,
calcolata su questi indici: raccolta differenziata, start-up, tassi
di nuzialità, e di natalità, riduzione dei Neet, i giovani che non studiano e
non lavorano.
In
termini di BenVivere (tredici indicatori, tra cui cooperative iscritte e età
media delle madri al parto, suddivisi in Legalità e Sicurezza, Ambiente Cultura
e Turismo, visto col segno positivo, Economia e Inclusione, Demografia e
Famiglia), al fondo della classifica vengono Crotone e Reggio Calabria.
Precedute da Taranto. Che viene dopo Caltanissetta, Foggia, Catania e Napoli. Le
uniche oasi in tanto grigiore sono Isernia e Benevento, province minuscole.
Nela classifica della “generatività” invece, il Sud è più vivace. Catanzaro in
particolare recupera in un anno 66 posizioni, sfiorando la top venti
della classifica. Co un punteggio positivo in otto indicatori su tredici, per
un globale 89,61 su cento. Più in generale, il rapporto individua una
“generatività” più vivace al Sud che al Nord – mentre al Centro la dà in calo.
In sintesi, si direbbe che il Sud sta male perché male amministrato, ma da solo
si muove - i giovani scalciano, dove riescono a fare a meno del “pubblico”. Il Sud
è malato di “pubblico”, del meridionalismo.
L’assistenza
invece dell’operosità
In
più punti di “Elegia americana”, il racconto della sua storia di “bianco povero”,
in mezzo al popolo dei cafoni d’America, gli hillbilly, assimilabili ai
terroni, figlio di genitori disadattati, nell’America impoverita degli
Appalachi, dal Kentucky all’Alabama, J.D.Vance, ora candidato alla vice-presidenza
con Trump, critica il modo di essere e di pensare di chi fa una professione di
vivere dei sussidi pubblici: i fortunati sono ricchi di famiglia, o
specialmente dotati. L’operosità non c’è, non c’è più. Se non a chiacchiere.
Che Vance esemplifica con la “vicina di casa” che non ha “mai lavorato in vita
sua”: “«Poiché tanti si approfittano del sistema, per le persone laboriose
diventa impossibile ricevere l’aiuto di cui hanno bisogno», diceva”, scroccona
a buon diritto.
La
critica dei sussidi è normale a destra. Ma Vance, all’epoca del libro peraltro
non ancora di destra, non ne fa un caso politico. Oppure sì, ma al contrario:
gli hillbilly, lavoratori da sempre Democratici, passano con i
Repubblicani, che non amano il welfare, quando l’assistenza pubblica si fa invasiva – gli anni di Bush
jr. e di Obama: il lavoratore povero paga, con le sue ritenute
fiscali, le bistecche e il marameo al vicino, più spesso la vicina, che non fa
nulla.
Il lungo,
dettagliato, ripetitivo racconto è del grande e improvviso
deperimento dei volitivi irlandesi-scozzesi degli Appalachi, degli hillbilly,
già teste dure se mai ce n’erano (i nonni che lo crescono, i bisnonni), faticatori,
orgogliosi, per la deindustrializzazione degli anni 1990, ma anche per i
divorzi a catena, l’alcolismo, così comune, le droghe. E ne indaga
tentativamente le cause. Ma ha capito che non se ne esce a motivo dei sussidi
pubblici.
L’assistenza
si è sempre detta necessaria al Sud nei tanti decenni ormai della Repubblica,
dalle finte pensioni di invalidità al reddito di cittadinanza. Indispensabile? Una
medicina che non cura. Ma non un palliativo: diseducativa, e deprimente –
l’assistenza fa male, è una medicina poco salutare.
Quando
la mafia divenne mito
Sembra
che ci sia sempre stata, tanto è pervasiva, ma la mafia è mito da una trentina d’anni,
quaranta. Da “La piovra”, la serie Rai che dal 1984 ne ha fato una potenza
invincibile, in piena era Riina, della mafia cioè delle stragi, a ripetizione. Impunite,
è vero, ma questo è un altro discorso. Mentre era solo sanguinaria. E ancora
non aveva i pentiti “eroi”, il genere Buscetta dialettico, o i sanguinari Spatuzza,
i Brusca, autori di centinaia di assassinii, anche crudeli (il ragazzino Di
Matteo sciolto nell’acido, le stragi con le autobombe), che dicono tutto quello
che si vuole dicano.
Il
successo della “Piovra”, ben fatto da Damiano Damiani, rese il genere popolare
in America, nel business delle serie tv. Portato anche lì in casa con
successo, dalla serie dei “Sopranos”, di cui ora Sky offre tutta la serie,
tanto è di culto, e celebra con un film documentario, “La vera storia”, con
elogi sperticati. Alla regia e alla produzione, ma che inevitabilmente si ripercuotono
sul soggetto – come di recente è avvenuto per “Gomorra”, il film scuramente
magistrale, e poi la serie, tanto “dura” e tanto esibita, anche negli interpreti
che venivano dal male e sono finiti male.
Ma,
poi, la mafia diventa monumento in casa, in tv su Rai 1 e in America, cioè nel
“mondo”, dopo la serie del “Padrino”. Invenzione dunque di Francis Ford
Coppola. Che però, dopo i tre padrini, non si è più ripreso, non ha saputo fare
granché – compreso, apre, l’ultimo film, “Megalopolis” (un remake non riuscito
di Rosi, “Mani sulla città”?). E si vuole a tutti i costi lucano, della terra dei
suoi nonni paterni, un meridionale familista.
Un
cerchio che si chiude. Sul Sud come una morsa: tutti ci guadagnano, il Sud ci perde.
La
squalifica del Sud
La
questione meridionale nasce con l’unità - ovvio, prima dell’unità non poteva.
Ma dopo è nata per un motivo preciso: per come è stata fatta l’unità. Amministrativamente
ma anche culturalmente.
Prima
dell’unità, cioè fino a metà Ottocento, il Sud era bello e brutto, buono e
cattivo, ma non era “il Sud”. Viaggiatori, economisti e politici parlavano di
Napoli, Palermo, delle Puglie come parlavano di Firenze, peraltro molto
decaduta, Milano, allora poca cosa, o Torino come si fa di ogni soggetto o
materia d’indagine: per quello che sono, senza graduatorie.
Non
c’era “il Sud”, non c’era il preconcetto. Gladstone era un politico, e parlava
da politico. Goethe scrisse di Venezia scandalizzato
dalla sporcizia – una città che pure “potrebbe essere pulita come qualunque
città olandese”, il mare non inquina. Mentre trovava la Sicilia “chiave di tutto”
e Napoli un “paradiso…. Essenza e oblio
di se stessa”.
Il
Sud diventa “Affrica” con gli impiegati piemontesi, sia pure col grado di
generale.
Non
c’è da scandalizzarsi. Oggi il Sud è mafia a maggior gloria di Saviano,
Gratteri, e altri meridionali scrittori di bestseller analoghi ai loro – i
“gomorra” tirano al mercato.
Cronache della differenza: Napoli
“Un
paradiso abitato da diavoli” non è di Goethe, Croce spiegava nel 1932, dopo lunga,
e al solito accurata, ricerca bibliografica – la prima traccia trovava nel
Cinquecento, in uno scrittore polacco. Ma è vero che Napoli è celebrata per
iperboli. Dallo stesso Goethe: “Un paradiso, essenza e oblio di sé stessa” - essenza
e oblio insieme? O Malaparte: “La più misteriosa città d’Europa, la sola città
del mondo antico che non sia perita, come Ilio, come Ninive, come
Babilonia”. Ma in tante fantasie letterarie
scompare, fisicamente. In “Malacqua”, il racconto di Nicola Pugliese, per lo
stesso Malaparte, “La pelle”.
“Vittoria”,
la madre di Torre Annunziata che vuole una figlia femmina dopo i tre maschi, e
ci riesce, o “Nata per te”, su Luca Trapanese, infermiere single e omossessuale
che riesce ad adottare e accudisce Alba, nata con sindrome di Down, due film di
largo richiamo, cambiano un po’ l’immagine di Napoli – Torre Annunziata non è
Napoli, ma Napoli è metonimia dominante. Come i due ultimi film di Sorrentino. Da qualche tempo vengono fuori da Napoli
storie fuori quadro, niente camorra e guapperia, niente grande core e core ‘ngrato.
Cioè sì, ma su un fondo di impegno applicato e continuativo.
Significativo
anche che Vittoria e Trapanese non sono dichiarati “eroi”, come il linguaggio
corrente vorrebbe.
Torna
in circolo la storia di Totò, che la figlia avrebbe raccontato, che la mattina
usciva di casa con un fascio di banconote in tasca, perché “c’è sempre qualche
napoletano disoccupato da aiutare”. Certamente falsa, perché Totò non era
demente, e non “usciva di casa la mattina”, le celebrità non possono – serve a
dire il napoletano di buon cuore? Ma è vero che a lungo c’erano a Napoli i “disoccupati
organizzati”. Parte del folklore. Il cambiamento potrebbe essere questo: Napoli
non privilegia più il folklore.
In
carattere è invece la scoperta di una chiesa fatta da un “archeologo” clandestino:
una chiesa dell’anno Mille, a otto metri di profondità, nel centro storico. Una
struttura cioè rilevabile, con strumentazioni semplici, come l’ha rilevata lo
scavatore clandestino, se non per documenti. Uno in realtà non clandestino,
solo non autorizzato, era ben uno scavo in piena città, all’aperto. Di una capacità
di fare dove il resto del mondo è ingessato – le Belle Arti, l’archeologia
accademica.
Rosella
Postorino, “Nei nervi e nel cuore”, ha un tassista napoletano che la lascia,
per un ingorgo, lontano dall’albergo dove lei ha bisogno di passare, non si fa
pagare la corsa, e promette di aspettarla per portarla al suo appuntamento. Lei
ci mette mezz’ora e forse un’ora per rassettarsi, e all’uscita dall’albergo si
pone il quesito: vado all’appuntamento con un altro taxi o cerco di rintracciare
il primo? E se se ne è andato? Ma il taxista l’aspetta, “appoggiato a un muro”,
e la porta all’appuntamento.
È
vero che “il taxista forse veniva da fuori anche lui, perché ebbe bisogno d’impostare
via Chiaia sul navigatore”. Ma comunque lavorava a Napoli, con i canoni di
Napoli. È vero anche che col cellulare si fa presto anche a tenere i contatti,
anche negli ingorghi napoletani. Ma l’aneddoto resta ugualmente ben costruito e il
taxista “napoletano” credibile – tutto è possibile a Napoli.
Il
primo carico di vasetti di Nutella “verde” o vegana, prodotta dalla Ferrero a
Sant’Angelo dei Lombardi, in Irpinia, è stato venduto “in un negozietto che si
affaccia su uno dei vicoli del centro storico di Napoli”. Era stato rubato
all’uscita dallo stabilimento. Peccato, Napoli faceva di meglio, contraffaceva
la merce – contraffare la Nutella “verde”? un impero.
Piange,
dicono le cronache, Dino De Laurentiis celebrando i suoi vent’anni di gestione
del Napoli calcio, portato fuori dal fallimento, ripotato in serie A, e da
protagonista, in Italia e in Europa. L’uomo d’affari, sbrigativo e cinico, a
Napoli è sempre coinvolto personalmente? Sarà questo che fa la differenza con
Milano: quanto spreco di energia (nostalgie, rimorsi, scuse, vanti…) senza return, senza utile.
Bisognerebbe istituire un dividendo
sentimentale?
leuzzi@antiit.eu
Annie senza veli
In
apertura il sesso senza più, in albergo di passo, a ore, un fatto fisico come per
l’uomo (un racconto del 1998 “scritto per un giornale femminile italiano”), un
ricordo sull’onda di odori e macchie di sperma: una frenesia che è una sorta di
rivendicazione paritaria – si può “desiderare il membro di un uomo”. Nelle pause
dell’accudimento della madre, alla fine dei suoi giorni nel cronicario. Tre ricordi
della madre seguono in altrettante brevi prose. Un altro racconto sexy chiude la piccola raccolta, “La fëte”, con molto “fumo”
e molta promiscuità. Due temi fra i più ricorrenti della narrativa di Ernaux: la
guerra mai composta con i genitori, pur amabili, ma vecchia Francia, con la
loro memoria, e il desiderio femminile.
Altri
testi sono il ricordo di Jeanne Calment, “la donna più longeva di sempre”, morta
nel 1997, di 122 anni. Di Pierre Bourdieu. Di viaggi a Mosca, al tempo della perestrojika, un anno prima del crollo del Muro, e a Lipsia, un
anno dopo la riunificazione tedesca – viaggi su invito degli istituti francesi
di cultura, ma con poco genio.
Più
a genio negli scritti critici – Ernaux a lungo ha insegnato al liceo. Quello su
Pavese è, pur nella brevità, quanto di meglio si sia letto sullo scrittore
piemontese. “L’ammirabile di Pavese è in questa sospensione del senso e
in questa reclusione in un presente senza scampo” – a proposito di Ginia de “La
bella estate”: “Ginia attraversa la sua prima estate di ragazza nel piacere e i
guai senza misurare la portata dei suoi desideri, delle sue frequentazioni”. Pavese
scrittore tragico, di scrittura essenziale.
In
“Perdersi”, il racconto di un amore folle e molto fisico per uno sconosciuto
russo, la narratrice s’immagina “quella festa in cui io non ci sarò. O
Pavese…”. Pavese ritorna spesso in Annie Ernaux, pur non avendo un posto
speciale oltralpe. Per la sua scrittura di “assoluta necessità”. Partendo
dall’incipit famoso della “Bella estate”: “A quei tempi era sempre festa”. Che
Ernaux vuole antifrastico: la festa non ha luogo, oppure finisce male. Come del
resto nel racconto di Pavese.
Il
saggio inizia annotando, dopo apposita ricerca, che il 27 agosto 1950, quando
Pavese decide di morire, è “giorno di festa”, una domenica. Due i nodi
pavesiani che Ernaux enuclea. “La festa è la forma del tragico di Pavese, forma
dichiarata d’anticipo”. Un tragico che “sembra nascere dal funzionamento
naturale della vita”. E la “scrittura trasparente, intesa, come Pavese dice, a
«presentare senza descrivere»”, una scrittura che “mostra senza analizzare né
giudicare”. Sospensione del senso e presente-prigione sono forse artifici
tecnici, “ma si può bene impiegare questo termine, che è una impossibilità di
raggiungere mai l’Altro (vedi il Diario: «La donna è un popolo
nemico come il popolo tedesco»)”.
L’altro
saggio, sempre breve, “”Littérature et politique”, è una contestazione di Claude
Simon, il Nobel francese prima di Ernaux, della sua pretesa, a proposito del
libro “L’Invitation” pubblicato all’inizio del 1989, di ritorno dalla Russia (anche
lui su invito dell’Istituto di Cultura?), che non parla di Gorbaciov né della perestrojika, “se non in termini allusivi”. Pretendendo che “la
letteratura non ha niente a che vedere con la politica”. Una contestazione dell’“estetismo”,
presentato cone “un valore etico: sarebbe la libertà, l’indipendenza”. Indigeribile.
“La concezione di una letteratura specchio di se stessa…..non la capsico, mi è
quasi dolorosa”. Al contrario, la scrittura “può, sul lungo termine, impregnando
l’immaginario del lettore, renderlo sensibile a delle realtà che ignorava, o
condurlo a vedere altrimenti ciò che considerava sempre sotto lo stesso angolo”.
Dodici testi
brevi, quattro racconti e alcune note di viaggio e critiche, riprese dal volume
“Écrire la vire”, un “tutto Ernaux” Gallimard del 2011. Scritti degli anni tra
il 1984 e il 2006, riproposti a parte come iniziazione alla scrittrice, ai suoi
temi “più ossessivi e fondatori”.
Annie Ernaux, Hotel
Casanova et autres textes brefs, Folio, pp. 98 € 2
lunedì 7 ottobre 2024
Problemi di base biblici - 824
spock
Se occhio per
occhio dente per dente è precetto biblico, allora la guerra è perpetua?
Ma allora la
faida era un rito biblico?
Bisognerà
riabilitare la faida – non era selvaggia?
È la guerra un
dovere per ebrei e cristiani?
Non c’è amore
nella Bibbia, è per caso?
Neanche una
carezza, un segno?
spock@antiit.eu