giovedì 31 ottobre 2024
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (575)
L’immigrato a corte – o il piccolo Mozart della bacchetta
L’anno
scorso Sir Antonio Pappano ha diretto la musica per l’incoronazione di re
Carlo, nel 1969 era un ragazzino di dieci anni che accompagnava al pianoforte
gli allievi della scuola di canto di suo padre, a Londra. A 65 anni la “vita in
musica” del figlio di immigrati giovani poveri dal Sannio, musicista autodidatta,
è piena di fascino, ben raccontato.
Le
memorie partono, con molta intensità, dalla madre e dal padre, giovani in vario
modo fuggiti di casa a Londra ai vent’anni – il padre dopo la madre, contro l’avversione
della sua propria mamma, al congedo dal servizio militare. È la parte più
intensa e accattivante, questa iniziale. Del vecchio mondo che la coppia si lasciava
dietro – che Antonio, col fratello Patrizio, sperimentarono per un anno di persona,
affidati ai nonni al paese, uno a quelli paterni l’altro a quelli materni, per lasciare
liberi i genitori di lavorare di più, per guadagnare di più. Insieme col racconto,
e la meraviglia persistente, ancora oggi, della determinazione della coppia. Che
a un certo punto, nel 1973, decide di riemigrare, da Londra negli Stati Uniti. A
Bridgeport nel Connecticut.
E
qui segue un altro capitolo avvincente: di Antonio che cresce musicalmente,
sempre come pianista, sotto al guida di Norma Verrilli, “così alta e sicura di
sé” – Pappano non è alto di statura. Norma è la figlia della “signora Anna”, che
come la figlia dava lezioni di musica e insieme gestiva un suo negozio di
articoli musicali. Una conoscenza decisiva, nata dalla vicinanza del negozio
con la casa della zia materna di Antonio, che li aveva preceduti a Bridgeport e
li ospitava: Norma suona musica antica con l’ex marito, aprendo un mondo ad Antonio,
e insieme fa musica contemporanea - l’ex marito era assiduo di Hindemith - e anche
pop.
Una
storia sempre di casualità ma solidali. Di solidarietà identitarie se si vuole,
ma molto produttive. Con Pappano, ora uno dei maestri più seguiti, perfino
eccezionale.
L’unica
istruzione formale (scolastica) in musica di Pappano sarà stata quella ricevuta
alle elementari, che i genitori vollero facesse nella scuola (privata) delle suore
Ministre della Carità di San Vincenzo, le suore (allora) del cappellone, della “terribile
suor Claire”. Non è proprio così, la sola Norma successivamente bastava per un
conservatorio, ma è vero che Pappano è un autodidatta. Che con la sua singolare
preparazione è forse il miglior specialista del canto in musica. E, nemmeno lui
si spiega il perché, nella sua solitaria formazione ha sviluppato una “energia
indomabile”. Che lo ha molto aiutato nella conduzione - e specialmente (lui non
lo dice ma si sa) nella conduzione per vent’anni dell’orchestra di Santa
Cecilia, di cui ha fatto un complesso di prestigio, oltre che,
contemporaneamente del Covent Garden.
Una
discografia lunga quaranta pagine testimonia del rilievo di Pappano nel mondo
musicale. Musicista dalle curiosità inesauribili, segnalano gli editori dell’originale
inglese, “da Mozart a Birtwistle e Mark Anthony Turnage, come alle arti sonore
a alla musica da camera” – nonché all’“esercizio virtuoso del piano”, col quale
è cresciuto.
Le
memorie corrono veloci per lo sguardo sempre umano, puntuale, fattuale, curioso,
che porta su di sé e sulle persone e gli eventi che via via incontra nel suo percorso.
In modo del tutto naturale, spontaneo, traccia anche involontariamente un repertorio
socio-psicologico dell’emigrazione italiana degli anni 1960-1970 – non sentimentale
e tuttavia commovente. Sullo sfondo, non detto ma richiamo irresistibile, del bambino
pianista per antonomasia, Mozart, di analoghe ristrettezze e analoga energia.
Antonio
Pappano, La mia vita in musica, Marsilio, pp. 320, ill. € 20
mercoledì 30 ottobre 2024
Letture - 562
letterautore
Baltici – Hjalmar
Schacht, il presidente della Reinchsbank (ora Bundesbank) e ministro dell’Economia
del primo governo Hitler, ricorda Hitler in uno degli incontri insoddisfatto degli
eccessi di Rosenberg, il teorico dell’arianesimo: “Ho fatto di Rosenberg, che
viene da Riga, il direttore del ‘Völkische Beobachter’, e dopo appena tre mesi
tutta la redazione è strapiena di suoi compatrioti baltici” – il “Völkische
Beobachter” era il giornale del partito Nazista. Secondo Schacht, Hitler
rimproverava a Rosenberg eccessi di “arianesimo”.
Schacht continua il ricordo nelle memorie con una sua interlocuzione consolatoria:
“Non è una novità, cancelliere. Lo stesso Goethe diceva: “i Baltici si tengono insieme
come colla”, alle Balten zum Trotz sich erhalten, tutti i Baltici
malgrado tutto si preservano. Curiosa
citazione, nonché errata: Schacht – che si pregiava di rimette e giochi di
parole - adatta ai baltici due versi di una poesiola del Singspiel (Festspiel
mit Gesang und Tanz“) “Lila”, composto da Goethe nel 1777 per i vent’anni
della duchessa Louise di Sassonia-Weimar-Eisenach. “Contro ogni violenza (allen
Gewalten zum Trutz) tieniti forte”. Ma adatta i versi originali in senso
scherzoso questa volta senza dirlo, come se fosse una citazione.
Questa la
poesiola:
“Feiger Gedanken\ Bängliches
Schwanken,\ Weibisches Zagen,\ Ängstliches Klagen\ Wendet kein Elend,\ Macht
dich nicht frei.
“Allen Gewalten\ Zum
Trutz sich erhalten,\ Nimmer sich beugen,\ Kräftig sich zeigen,\ Rufet die Arme\ Der
Götter herbei!”
Antisemitismo – Hitler trovava
solidi appoggi, oltre che in Lutero, nella migliore filosofia tedesca – Heidegger
non ha inventato neanche questo. In una celebre frase di Schopenhauer, “Parerga
e paralipomena”, di cui nel “Mein Kampf” fa tesoro del primo passaggio: “Gi ebrei
soni i grandi maestri del mentire”. Seguito dalla prima teorizzazione del
complotto mondiale: “Se qualcuno pesta i piedi a un ebreo a Francoforte, l’intera
stampa internazionale da Mosca a San Francisco alzerà la voce in lamentazione”.
Ma il copyright era di Kant, della non abbastanza celebre “Antropologia”
avventurosa, che insegnò tutta la vita: gli ebrei sono “una nazione di
ingannatori”.
Ecce Bombo – “Il titolo del
film (di Mor etti, n.d.r.) era un’espressione che la mia compagna Benedetta
Bini aveva sentito spesso dalla finestra gridata da uno straccivendolo” – Alberto
Abruzzese (“era il 1978, conoscevo Nanni che mi scelse per una particina nel
film… Interpretavo l’intellettuale un po’ trombone e frustrato”).
Germania-Italia - Presentando
i saggi di Ernst Jünger che ha riunito sotto il titolo “Il contemplatore solitario”,
il germanista francese Henri Plard notava nel 1975 che “i saggi seguenti hanno
tutti un tema meridionale, e con una sola eccezione - le pagine recenti su una
giornata passata a Lisbona – mediterraneo. Ancora una volta, un conoscitore della
letteratura tedesca evocherà esempi illustri, e quel grande movimento che, attraverso
i millenni, ha trascinato i Tedeschi (in italiano, n.d.r.. nel saggio francese)
verso l’Italia – tema inesauribile, che parte dal Medio Evo e dagli imperatori
Staufen a Dürer, a Winckelmann, a Goethe, a Nietzsche soprattutto, e a
centinaia di signori minori, senza parlare delle folle vacanziere”.
Mussolini – “Il nuovo M.
di Scurati è già sul podio”, appena uscito al primo posto per le vendite – un
volumone di 6-700 pagine. Come già i tre precedenti, altrettanto spessi e
altrettanto di successo, uno l’anno. Anche se raccontano le storie già note –
già raccontate dozzine e probabilmente centinaia di volte. Per generazioni ormai molto lontane da
Mussolini e dal fascismo. Dopo la biografia politica in otto volumi, seimila fitte
pagine, dello storico Renzo De Felice cinquant’anni fa.
Mussolini resta
il soggetto di lettura, più o meno storicizzato, preferito in Italia. Mentre si
pubblicano ricordi, foto e racconti di familiari, anche non di linea diretta. E
si fanno spettacoli teatrali sempre esauriti. Anche se la storia dovrebbe ormai
essere stata digerita ampiamente, da tutti. “M. Il figlio del secolo”, il promo
volume di Scurati sceneggiato da Popolizio, ha fatto il pieno all’Argentina di Roma,
per un mese di programmazione, trenta giorni, la “corta” settimanale inclusa - poi
per due settimane al Piccolo di Milano, che ha una capienza da quasi mille
posti.
Nievo – Stanislao,
l’ultimo della progenie, nato a Milano da Antonio, titolare di una fabbrica di
bottoni, e da Xavierine Nasalli Rocca, di ascendenze nobili, annoverava nella
biografia Treccani una nutrita ascendenza letteraria. Fra i tanti Erasmo di
Valvassone, Ciro di Pers, Ermes di Colloredo e Ippolito Nievo per la parte
paterna, e per quella materna nientemeno che Joseph e Xavier de Maistre.
A Colloredo di
Montalbano, Udine, si trova – o si trovava – “l’antico castello di proprietà
della famiglia”.
Prataioli – Sono i poeti sentimentali per il ventenne Ippolito Nievo al suo esordio
come narratore, “Antiafrodisiaco per l’amor platonico”.
Putin – “Il più occidentale
di tutti i russi”, secondo Al Bano, il cantante, che in Russia è molto popolare,
e più volte ha cantato davanti a Putin. A Roberta Scorranese che gli chiede
(“Corriere della sera” di martedì 29): “Lei ha conosciuto Putin”, Al Bano
risponde: “Molto bene, ho cantato davanti a lui tante volte. Posso dire che è
il più occidentale di tutti i russi, penso che sia stato mal consigliato”.
È così, nei 25 anni di vita politica Putin è sato sicuramente “il più
occidentale” dei governanti russi, sulla scia di Primakov, il diplomatico che
lo precedette a capo del governo. Ma è occidentale anche nell’aggressione all’Ucraina,
in Crimea dapprima e poi nel Donbass. L’irredentismo è ben occidentale, anche
se esercitato imperialmente – la Polonia vincitrice a danno della Germania,
p.es.: lo spirito tribale è ben all’origine dell’Occidente.
Whatever it takes – Il
mantra cult di Draghi in difesa dell’euro ha un antecedente, bizzarramente
quasi eguale nell’inglese in cui è stato anch’esso tradotto, come quello di
Draghi, nelle memorie di Hjalmar Schacht, “Confessions of «The Old Wizard»”. A p. 303 Schacht a colloquio
da Hitler, che voleva sondarlo per il
ritorno alla presidenza della Reichsbank, a metà maro 1933, quindi col primo
governo Hitler, del partito Nazista con lo Zentrum, richiesto con quale somma
(investimenti pubblici) a suo avviso la Reichsbank, la banca centrale, avrebbe potuto
o dovuto contribuire alla lotta alla disoccupazione, afferma: “La Reichsbank
deve fornire qualsiasi somma necessaria (“whatever will be necessary”) a
togliere dalla strada l’ultimo disoccupato”.
Schacht tornò alla Reichsbank, finanziò un numero vasto di lavori
pubblici, comprese le (allora nuove) autostrade – e divenne pure ministro
dell’Economia.
letterautore@antiit.eu
Tra velocità e resistenza
La ricostruzione
del Mondiale auto di Rally del 1983, quando la Lancia vinse, attraverso una serie
di gare su strada emozionanti, contro la superfavorita Audi. Grazie a un modello
di Delta molto leggero. E all’organizzazione di Cesare Fiorio, da vent’anni direttore
sportivo della Lancia, che allora era un’azienda viva.
Un film di genere
hollywoodiano, dello sportivo che si afferma a sorpresa, contro ogni handicap. Che
però si presta anche a letture europee, il tentativo è riuscito – sull’onda del
“Ferrari”, il film di Michael Mann. Benché un po’ ripetitivo, e con accelerazioni
manierate, senza sorprese.
Fiorio non sarà altrettanto
fortunato successivamente con la gestione della Ferrari, pur raccogliendo in
pochi mesi decine di podi e di vittorie in Gran Premio. Di suo però pluricampione
di motonautica, europeo e mondiale.
Un sequel
sarà l’altra impresa per la quale Fiorio è ricordato, ben più emozionante dei rally?
La traversata atlantica record, che stabilì dieci anni dopo – il Nastro
Azzurro, record che tuttora detiene. Col “Destriero”, motoscafo gigante speciale
costruito dalla Fincantieri, per lo Yacht Club Costa Smeralda. Leggero, in
alluminio, e superveloce, da 6.000 cv. Per due giorni e mezzo di navigazione
(58 ore, 34 minuti e 50 secondi), a una velocità media di 53 nodi, per 3.106
miglia nautiche tra il faro di Ambrose, New York, e il faro di Bishop Rock,
sulle Isole Scilly in Inghilterra.
Stefano
Mordini, Race for Glory, Sky Cinema
martedì 29 ottobre 2024
L’Italia ricca è povera
La disoccupazione è ai minimi, “ma il
tasso di occupazione è ancora basso”. E “che tipo di lavori stanno aumentando”? “La risposta è che si tratta di lavoro povero.
Lo dimostrano i consumi interni”, fiacchi, di basso prezzo, da paese povero: “Sta
aumentado l’occupazione ma non il reddito disponibile”. Alessandro Profumo, ex
banchiere (Unicredit, Mps), poi amministratore delegato di Finmeccanica-Leonardo,
in entrambe le posizioni di grande esperienza internazionale, si fa le domande
e si dà le risposte, in conversazione con Dario Di Vico, su “L’Economia”.
L’Italia in realtà espelle lavoro
qualificato. Espelle “cervelli” e si riempie ogni anno di mezzo milione di manovali
e braccianti senza mestiere e aiuti domestici non qualificati, col problema
della lingua – da poter pagare così anche meno. Ha scelto trent’anni fa, al momento
della globalizzazione, un profilo produttivo da paese emergente, unica bussola
della competitività l’esportazione a costi inferiori, e non ne esce.
La competitività fonda solo su un
costo del lavoro compresso, spiega Profumo. Esito “di una strategia della
competitività centrata sui costi e non sul valore aggiunto, anche se ottenuto
lavorando in nicchie di mercato”. Si esporta comprimendo i costi, più che per qualità
e innovazione – creazione di valore.
È
così che l’Italia con più occupati e con più esportazioni resta il parente (sempre
più) povero dell’Europa. Quello cioè che, fondatore e tutto dell’Unione Europea,
fra le maggiori economie del continente, secondo solo alla Germania per
industria ed esportazioni, è il pase meno democratico in termini di produzione
e di reddito. Quello, dice Eurostat oggi, dove “l’ascensore sociale” è fermo:
nel 2024 un terzo degli adulti poveri viene da famiglie povere (all’estremo opposto,
la Danimarca, meno di uno su dieci). Chi è nato povero ha una “buona” possibilità
di restarlo - peggio dell’Italia, in tutta l’Europa, si vede solo in Romania e
in Bulgaria. ed è tutto dire.
L'Italia
non è un Paese povero, metà Paese ha beni e consumi da ricchi. Ma non sa far
crescere la ricchezza: i nuovi produttori, i nuovi consumatori, regionalmente il
Sud, socialmente le periferie e la provincia scollegata.
Troppe piste tra le nevi
Gli
ascolti premiano la riedizione della miniserie “I casi di Teresa Battaglia”.
Elena Sofia Ricci è trascinante, per un personaggio complesso e senza glamour
- capo della Mobile contestata dal suo proprio capo, dallo sguardo ciononostante
sempre acuto, ma rosa dalla solitudine al limite dell’ipocondria, fino alle
prime perdite della memoria (si fa un obbligo di scrivere sempre tutto). Con
comprimari ognuno preciso e spontaneo nel suo ruolo, Gobbi navigato disarmante,
Spata preciso e imbranato. Le location anche aiutano, le distese di
neve, le irte cime della Val Resia, la festa di paese in costume, le malghe
isolate. E i cani intelligenti. Ma intrecciare quattro o cinque vicende, o sei?
Vicende
s’intrecciano difficili da seguire al montaggio frammentato, intervallate peraltro
da pubblicità ogni venti minuti. Una fatica più che un coinvolgimento – vediamo
se sono capace di seguirle tutte: chi è chi (le identità sono tutte contradittorie
- giusto, ma tutte?), chi ha ucciso chi, chi era chi, tra morti, ascendenti,
discendenti, cugini e altri parenti vari, confidenze, segreti, un ragazzo disadattato che (non) si recupera, qualche foto d’epoca
sparsa. A un certo punto si deduce che nel Friuli tutti hanno un lato Frankenstein
– e qui si aggiunge anche Teresa battaglia, che già l’anno scorso nascondeva un
segreto, ma qui sembra addirittura essere stata sposata, forse, al suo nuovo, e nemico, capo.
In
breve, ci troviamo in una storia di droghe, una di un dipinto con sangue
umano, storioni familiari vari, complicata dalla Nuova Famiglia, quella che si
scioglie, e si ricompone, appena creata, forse anche tra la commissaria e il commissario capo, che si odiano, storie di eredità, odi paesani di lungo
periodo, dalla guerra civile 1943-1945?, traffici di opere d’arte, assassini-e
mascherati-e, amiche-nemiche… Sembra un
discount, un’offerta plurima, quattro-cinque per uno, una beneficenza, una
cornucopia, e invece toglie il respiro – con le immagini in movimento bisogna
andare veloci.
Sono
le trame di Ilaria Tuti, la creatrice di “Teresa Battaglia”? Ma a leggere si fa
meno fatica – si può sempre tornare indietro, per trovare un raccordo. Un artificio
per tenere alti gli ascolti anche stasera, per il seguito? Ma poi si annuncia
una terza puntata, fra una settimana, c’è da aspettare – senza dimenticare (prendere
appunti?). Gli sceneggiatori avevano paura di non essere interessanti - in quelle latitudini, su quegli sfondi?
Kiko
Rosati, Ninfa dormiente, Rai 1
lunedì 28 ottobre 2024
Problemi di base visivi (827)
spock
Sappiamo
perché vediamo, anche ciechi?
Ma vediamo che
cosa, se non sappiamo?
Vediamo perché
abbiamo già visto?
O (non) si nasce
imparati – innatismo?
La
tradizione è dove si esercita la libertà?
È la tradizione che ispira il mutamento?
spock@antiit.eu