zeulig
Concezione – È femminile, nell’excursus
semiologico del corpo umano che E.Jünger fa in “Anatomia
e linguaggio” (il saggio è ripreso nella raccolta “Il contemplatore solitario”): “Nel campo in
cui si sfiorano il tatto e lo spirito, la parola conceptio merita una menzione particolare: designa l’impossessamento
passivo, femminile, delle idee. L’organo femminile è comparato alla mano: cunno-captio.
Ma bisogna ugualmente pensare al contatto rapido come il fulmine che feconda l’uovo.
Virile, al
contrario, è «intuizione»”.
Heidegger – I “quaderni neri” saranno stati i suoi “Parerga e Paralipomena”?
Altrettanto pronti per la citazione - per la discussione, le contestazioni, le
polemiche. Anche se non da lui stesso preparati per la pubblicazione (questo però
non si sa, curatore e editori non lo spiegano). Digressioni e divagazioni,
libere (non autocensurate), più spesso in forma di frammento, ma come piume dello
stesso corpo.
Diritto - Vico contrappone il
diritto, jus, alla aequitas. Lo jus è di diritto divino,
viene da Jous, Giove, perché anticamene concepito come divino. Così come l’arte,
che si riteneva decisiva, della divinazione. L’aequitas è invece il
rapporto del giusto e dell’equo, nelle questioni penali e in quelle civili. Fondata
sull’intelligenza dei fatti – mentre lo jus su una rivelazione. La bilancia
di Temis, la personificazione della giustizia, è l’aequitas.
Aequitas è anche simmetria. Aequis è uguale, e
anche amico. La giustizia non si vuole nemica.
Linguaggio – Non è la forma del
pensiero. Il pensiero non ordina (comanda) il linguaggio. Non necessariamente,
non direttamente. Orwell immagina nel saggio “Newspeak”, in appendice a “1984”,
un linguaggio nuovo, che elimina il pensiero. Su questa elementare simmetria: “Se
il pensiero corrompe il linguaggio, il linguaggio anche può corrompere il
pensiero”.
Internet,
la “rete”, invera l’analisi di Orwell anche in assenza di una tirannia stile “1984”,
della dittatura politica. La possibilità istantanea e aperta, incontrollata, ai
social, alle fake news, ai falsi deliberati imposti come veri per
ragioni surrettizie, pubblicitarie (di promozione commerciale), politiche, e anche criminali. L’intelligenza artificiale
moltiplica questa potenzialità del falso-vero, all’infinito. Allentando ulteriormente la
vigilanza critica. La capacità critica che si lega alla riflessione. Una forma
di “azione” orwelliana autonoma, spontanea, non imposta (eterodiretta), e
quindi incontrollabilmente “vera”.
Politica – Si dice che la politica non soffre il vuoto. Invece la politica
è il vuoto. Un recipiente che va riempito di senso. E se non ha questi
contenuti, l’indulgenza, il coraggio, la forza, la stima di se stessi, risuona
spaventoso. È molto tempo ormai che la politica non è più la libertà, come
vorrebbe la vecchia trattatistica della polis greca. Già tra i romani
era maneggio dichiarato, attorno al potere. Platone ha portato l’agorà, il
luogo in cui la libertà si fa politica, nell’accademia. Senza esito dopo
duemila anni, solo chiacchiere - la logica è sterile in politica, che forse non
è materia di possibile ricerca. La politica strumento di un fine elevato è del
cristianesimo romano, che non la realizza ma ne ha creato le istituzioni, che
oggi si chiamano democrazia. Anche di recente: la Svizzera ha avuto una intensa
stagione democratica contro lo statalismo, salvata dai cattolici. La differenza
nelle Alpi è stata salvata in Italia dopo l’unità dai cattolici. Funzione
materiale democratica, se non ideologica, ha avuto il cattolicesimo nella
Vandea. Ripetuta coi massisti in Calabria, che erano sanfedisti, per Dio e il
re, ma erano eserciti a massa, di volontari veri, il popolo.
Si può preferire di vivere tra i nemici che
nell’indifferenza, tanto la solitudine è desolante. Ma il potere, senza leggi e
buone azioni, è tirannide. Il problema non è la politica, a quella ci pensano
Arendt e Hobbes. Benché la filosofia soprattutto vi inciampi, Aristotele
incluso, per non dire di Platone, che vi balbetta. L’incognita è il potere, che
la politica non sa risolvere. E questo Nietzsche lo spiega. L’uomo è apolitico
anche se compattato nell’umanità. La quale è tutto e quindi è niente. O è
perversione, in quanto fonda la storia, la necessità storica che invece è gratuita.
Ora il superuomo Nietzsche Gramsci e Eco dicono roba d’appendice, di romanzo
popolare a puntate. Ma Bismarck era un Räuber
per il giudice supremo Ernst Ludwig von Gerlach, fondatore del partito conservatore
prussiano, un predone. Hans Frank, che comandava i lager, è il Re tedesco di Polonia in Kaputt, il viaggio nella guerra di Malaparte. Un re cattolico della
cattolica Polonia, con austriaci pii per cortigiani, che il Rinascimento voleva
impiantare a Cracovia, la sua capitale. Aveva per questo studiato a Roma e
meditato a Firenze e Venezia, parlava un italiano perfetto, “con un lieve
accento romano discesogli da Goethe e da Gregorovius”, suonava “divinamente” il
piano, Schumann, Brahms, e Chopin che lo inteneriva.
Scienza – “La fede nella scienza è una contraddizione in
termini”, E. Jünger, “Linguaggio e anatomia” (in “Il contemplatore solitario”).
“Ma è fondata sulla natura umana”, continua Jünger.
E aggiunge: “È alla base dell’intolleranza della
scienza”.
Sinossi – È metodologia di ricerca oggi in disuso. Curiosamente
assente in particolare, e in maggiore misura, nella scienza, alla quale dovrebbe
invece essere consustanziale, la veduta d’insieme. La scienza contemporanea si
caratterizza anzi proprio per l’assenza di capacità o intenzioni sintetiche. Pregiando
la specializzazione, l’atomizzazione.
Nella storiografia in particolare ciò è evidente.
Nel discredito sopravvenuto “scientificamente” per le opere di sintesi totalizzanti,
come Spengler, “Il tramonto dell’Occidente”, o le opere già classiche di Jakob
Burckhardt che facevano testo sul “classico”, “La storia della civiltà greca”, “La
civiltà del Rinascimento in Italia”.
zeulig@antiit.eu
Tradotta dal
tedesco e postfata da Quirino Principe, è l’antologia di saggi che nel 1975,
quando Jünger era ancora in piena forma, appena ottantenne, fu compilata dal germanista
jungeriano francese Henri Plard. Con la prefazione (una nota sulla
compilazione) dello stesso Pilard. Senza la nota sugli “Ottant’anni” con cui Jünger
chiudeva la raccolta.
Jünger al suo
meglio, narratore dell’inenarrabile, e pensatore – più profondo che curioso. La
“Lettera dalla Sicilia all’uomo nella luna” e “Linguaggio e anatomia”, due
testi che da soli fanno un denso libro, argomenta il mondo come (possibilmente)
visto da fuori, con ovvietà incongrue, e incongruità invece rispettabilissime.
Soprattutto sulla realtà (durezza, naturalezza) dell’intelligenza e della
fantasia il primo. Una semiologia appassionante degli organi umani il secondo, lunga,
distesa, densa di connessioni linguistiche (mens-mentula, etc., quante
cose spiega il latino! o conceptio, cunno-captio, impossessamento
passivo, femminile, delle idee).
Una raccolta di
infinite scoperte. Speciale, esilarante, quella delle mani: delle dita, di
destra e sinistra, del contatto (la stretta), della distanza, del saluto
romano, dell’abbraccio invece della stretta. Fino alla mano (destra) del re taumaturgo
(fino a Luigi XVIII), che guariva le scrofole toccandole. O del pugno. Della
testa e del piede, un romanzo. Il serpente, l’essere “più lontano dall’attitudine
umana”, per essere tutto piede “in rapporto alla sua superficie totale”, ma il più
venerato, dalla Bibbia e da Esculapio a Pergamo, dalla medicina. E non si dice “Come
sta?” – in italiano nel testo – la salute ponendo nei piedi? E i sensi? “I
sensi sono parti del senso inerente a ogni vita” – sono nel sentimento, nella
sensazione, nella sensualità.
Riflessioni
sistematiche anche ne “Lo scarabeo spagnolo”. Racconti per qualche verso affascinanti
gli altri, benché non siano storie d’amore e morte, né di amicizia e tradimenti,
né di avventure – non nel senso dell’esotico: “Presso la torre saracena”, “Terra
sarda”, “Tre ciottoli”, “Una mattina ad Antibes”, “Balcone sull'Atlantico”, “I
demoni della polvere”.
Ernst Jünger, Il
contemplatore solitario, Guanda, pp. 352 € 19
Spiacevole impressione, sfogliando
la stampa americana di prestigio, della colpa addossata a Biden per la sconfitta
di K. Harris. Come di un vecchio narciso, e stupido. Mentre ha governato l’economia
meglio di Trump, e senza danni per gli europei – non quelli minacciati da
Trump. Scaricare su Biden il dispetto per non avere vinto le elezioni, anzi per
averle perse malamente, uno penserebbe la sinistra la coscienza critica, e
invece è solo vanitosa – presume di sé.
Stupida? Sarebbe peggio se non lo
fosse.
Trump ha vinto nel voto popolare
anche in stati e in città che il partito Democratico tradizionalmente ha
controllato. Ma il perché non si cerca. Si dice per colpa di Tim Walz, il candidato
vice presidente di Harris, dell’influenza di Putin, dell’influenza di Putin?, dei
media di destra, e di Biden. È possibile ma non può essere solo questo – i
media sono quasi tutti per i Democratici. Si penserebbe la scienza politica
negli Stati Uniti, la democrazia elettorale più stagionata dopo quella inglese,
di due secoli e mezzo, più articolata. Ma non c’è, c’è solo pregiudizio –
povertà di giudizio.
Fare la rassegna stampa della campagna
elettorale americana è inutile – e pericoloso: si dovrebbe concludere all’inutilità
del giornalismo. Ma è curiosa la concordia dei media nell’inaccuratezza – incapacità
non può essere, così generale, quasi totalitaria. Della Confindustria (“Sole 24
Ore”) e dei Berlusconi (Tg 5), oltre che degli editori Elkann e Caico, che
occupano il mercato di sinistra.
O forse, più che inutile, il
giornalismo è dannoso. A seguire gi speciali tv sul voto in America. Più spesso
condotti da ragazze che visibilmente ne sanno poco, e non gli interessa saperne
– il vecchio genere “presentatrici”. Che hanno votato per Trump gli uomini, per
Harris le donne (ma le donne non sono più degli uomini?). Che gli afro e i latinos
hanno votato Trump perché machos (è politicamente scorretto ma è stato
detto). Che hanno votato per Trump le campagne - la popolazione Usa è all’80
per cento urbanizzata… Senza disporre della sia pur minima analisi dei flussi
elettorali, che richiede giorni e settimane.
Si vogliono i risultati del voto
in Georgia, filo russo, e Moldavia, filo-Ue ma risicato, come manomessi da Putin
– diavolo di un uomo. È possibile, anche se non è vero – entrambe le votazioni sono
state indette e governate da persone (personagge?) filo-occidentali. Ma si
glissa sul fatto che, zero virgola in
più o in meno, questi mondi sono egualmente europei e russi. Poi si scopre che vuole la Moldavia nella UE il filoputiniano Orban. Come la mettiamo? L’Europa vanta lo
spirito critico, ma sembra averlo smarrito.
Bianca Carretto, una vita nella
confidenza Fiat, non ne può più: ne elenca su “L’Economia” una serie di
turpitudini da levare il fiato. In calo in Italia nei primi nove mesi, quando
tutti gli altri sono cresciuti. Per mancanza di modelli: “Dove sono finite le
Fiat, le Lancia, le Alfa Romeo”, si chiede retoricamente. “In tre anni”, da
quando Elkann si è venduta la Fiat, “Stellantis non ha proposto alcuna auto su
nuove piattaforme, più tecnologiche”. Alfa Romeo non ha modelli, la Junior è “solo
una Peugeot ricarrozzata”. Lancia idem: i nuovi modelli sono stati rinviati dal
2026 al 2028, e ripiegati su una piattaforma Opel. E Fiat va verso la chiusura:
nessun modello nuovo, nel 2024 vendite ridotte di un terzo, 3 mila licenziati a
giugno, 3.800 in uscita.
Do fronte allo sfacelo Fiat si capisce
che Elkann eviti di riferire in Parlamento. Ma che faccia la voce grossa con il
governo, da economista sopraffino, moralista, antifascista e quasi compagno –
possibile che il Pd non riesca ad evitare simili compagnie?
“Bianca Berlinguer faceva pesare
il cognome?” chiede Giovanna Cavalli a Maurizio Mannoni, “Telekabul” e “Linea
Notte”. “No” è la risposta: “E poi ne abbiamo avuti tanti di nomi di Botteghe
Oscure”. Di quelli che non avevano le figlie al tg 5 berlusconiano - il telegiornale
“delle figlie”. Un giornalismo da patronato.
A Roma la Roma ha un bellissimo
stadio, molto invidiato, l’Olimpico, in città, di accesso agevole, di parcheggio
(abbastanza) facile. La Lazio pure, ha un bellissimo stadio, di architetto, Pierluigi
Nervi, il Flaminio, anch’esso progettato e costruito per l’Olimpiade del 1960, anchp0esso
di accesso e archeggio agevolissimo. Ma vogliono stadi nuovi, in aree fuori
porta. Per il business immobiliare. Finalmente si capisce a che serve il
calcio.
L’Italia è sempre stata un paese
di emigrazione. Da alcuni anni, nel Millennio, di emigrazione qualificata. In questi
2020 di laureati: la Fondazione Nord Est calcola che la quota di laureati, sul
totale degli emigrati fra i 18 e i 34 anni, che era di uno su sette nel 2001, è
ora di due su cinque - nel 2022 la percentuale dei laureati fra gli emigrati
giovani è stata del 43,1 per cento, e in crescita costante sugli anni precedenti.
Si leggono con raccapriccio i
commenti della stampa impegnata americana al trionfo elettorale di Trump – ottenuto
con mezzi e investimenti minori che la concorrente democratica. Browning e la “New
York Review of Books”, solitamente palestra intelligente delle cose del mondo,
fanno eccezione, per la stupidità, sotto forma di superiore intelligenza.
Di Browning, storico della Germania
tra le due guerre, quindi di Weimar, del nazismo e dell’Olocausto, ripropone a
commento del voto, volendo spiegare il successo di Trump, un saggio del 2018, “The
Suffocation of Democracy”, nel quale egli nota “varie preoccupanti similarità e
una importante differenza”, Più preoccupante questa delle “similarità”, poiché
è la “forma” della democrazia a copertura dell’illiberalismo – non ci sono i
manganelli, ci sono i giudici, le imposture e la tracotanza. Ma non quelle di
Trump.
Per quanto il vanitoso personaggio
possa essere sgradevole, non si ricordano atti d’illiberalismo della presidenza
Trump. Non ha fatto condannare nessuno. Non ha nemmeno perseguitato nessuno. Mentre
ci sono stati invece il Russiagate, tre anni di (costose, e ridicole, vennero
pure a Roma…) indagini promosse su un “documento” redatto da una ex spia inglese
su commissione di Hillary Clinton nella campagna elettorale contro Trump. E i
tanti processi di giudici democratici, in attività politica, i procuratori di New
York Alvin Bragg e Jack Smith, e il giudice Juan Merchan, facendo strame e ludibrio
della legge, per condannare Trump per cinquanta, settanta, ottanta capi d’accusa.
Roba da Ridolini più che squallida (i processi politici sono di squallore indicibile,
avendoli vissuti di persona). Ma senza senso del ridicolo evidentemente, nella
storiografia e nella stampa impegnata, oltre che nei (piccoli politicanti
nominati) giudici.
Trump è stato eletto, anche a New
York per la prima volta, la prima volta di un repubblicano, per altri motivi, ma
per chi fa la storia, o anche solo la legge, sono raccapriccianti, sì, ma in
senso inverso. Dov’è l’illiberalismo?
Christopher R. Browning, The
Suffocation of Democracy”, “The New York Review of Books”
spock
Chi è stupido
non diventa intelligente?
Ci vuole
applicazione per essere semplici?
Le parole non
costano, anche se sono un’arma pericolosa?
La democrazia
è pacifica?
La democrazia
è violenta – nel nome della libertà, certo?
La madre,
perché si colpevolizza?
spock@antiit.eu
Quello che Orwell non ha anticipato, nel saggio sul Newspeak (la nuova
parlata o neolingua, “parlanuovo”, “nuovalingua”), che chiude “1984”, il racconto
di una la dittatura che si impone attraverso il linguaggio (e il silenziamento),
è naturalmente il linguaggio incontrollato – quello dei social. Controllato
da padroni occulti oppure no, vagante, spontaneo, superficiale. Che “forma” la realtà
nei modi più eversivi: avventurosi, nella migliore delle ipotesi (non
eterodiretti) e aggressivi. Il che è
vero e non è vero.
Non è vero, Garber stessa spiega, nel senso che Orwell dà del Newspeak.
Il saggio che chiude “1984” è un’evoluzione dell’argomento da lui già affrontato
nel più famoso saggio “Politica e inglese” (“Politics and the English Language”):
una guida al linguaggio onesto, che dice quello che intende, e intende quello
che dice. “Newspeak” argomenta “la più elementare intuizione: «Se il pensiero corrompe
il linguaggio, il linguaggio anche può corrompere il pensiero»”.
Se non che poi la stessa Garber, collaboratrice di “The Atkantic”, una
rivista fieramente anti-Trump, si diffonde lungamente sulle accuse a Trump di nazismo,
fascismo, doppiogiochismo (doppelgänger) e altre perversioni politiche.
E chiede: “Perché le mettiamo sul ridere?” Spiegando che le parole, anche quando
sono battute, sciocchezzuole, slogan pubblicitari, “sono retorica”, hanno un
senso e mirano a (comunque producono) un effetto. E qui bizzarramente il
saggio, letto dopo il voto su Trump, assume un significato opposto a quello
dell’autrice e della rivista: il newspeak di Orwell ha funzionato
eccome, autoingannatore. È, è stato, quello di “The Atlantic” e del “pensiero” Democratico,
il modo dei Democratici di presentarsi la realtà degli elettori – “il linguaggio
può anche corrompere il pensiero”: il linguaggio (democratico) attorno a Trump
ha corrotto il pensiero (democratico), che si è immaginato un paese che non c’è.
Megan Garber, What Orwell didn’t
Ancipate, “The Atlantic”
I quesiti che giudici e francescani
non (si) pongono:
Perché il calciatore Musah, terzino
ventenne del Milan e ottimo italianista, è nazionale americano e non italiano,
benché abbia vissuto in Veneto fino ai dodici anni?
Chi e come organizza da cinquant’anni
la prostituzione nigeriana in Italia?
Chi e come oganizza da trent’anni
l’immigrazione di africani giovani mendicanti – una dozzina, a turni e con cellulare,
nella sola via Carini\Barrili a Monteverde a Roma?
Chi e come organizza il traffico di
nordafricani del ricco mercato della droga nel Lombard Veneto, cuore leghista,
e in Toscana, cuore dem?
Il mercato della droga non è
illegale se gestito da nordafricani sans papiers?
Curioso film, senza nerbo – tanto più per essere un film politico, su Trump
giovane. Il presidente dell’America futura, contro venti e tempeste, superautocelebratore
dell’americanissimo self-made man, è qui un burattino docile e incapace,
animato dal suo avvocato come il titolo sugerisce, “l’apprendista”.
A meno che non sia in filigrana antisemita, del complotto giudaico-massonico:
l’avvocato, un Mefistofele e criminale, si chiama Cohn – il “tycoon”,
dolicocefalo biondo, è la sua vittima, faccendiere ma inesperto.
Ali Abbasi, The Apprentice
spock
E i 284 milioni
di Taylor Swift – di followers non di guadagni, quelli sono miliardi?
E l’inno “Flowers”,
veleno – “non incolparmi, ero veleno…”?
La candidata
yé-yé?
Come si fa a
perdere contro Trump, per distacco?
E le donne? E
gli aborti? E le case agli occupanti?
Anche il fascismo: possibile che vince, al voto, nel 2024, in America?
spock@antiit.eu
spock
Sono gli americani
stupidi (e fascisti) oppure noi?
Siamo stupidi o
ci prendono in giro?
Cosa vogliono
gli Elkann, i Cairo, i Berlusconi – aizzarci nel canile?
I sondaggi, di
chi, di che?
O è l’Europa
che ha disimparato anche a leggere?
E ora che facciamo,
la guerra all’America?
spock@antiit.eu
Il giorno in cui il solito
giudice di Catania, in odio al governo Meloni, dichiara l’Egitto un paese
insicuro, nel quale cioè non si possono deportare gli immigrati “indesiderabili”,
il diritto internazionale li protegge, uu giovane egiziano accoltella senza
motivo a Genova un capotreno. ferroviere. È così che viene percepita l’immigrazione,
come un fatto incontrollato. Per il quale Meloni ha l’approccio giusto, programmarlo
all’origine, con visto, visita medica, e possibilmente con contratto o richiesta
di lavoro.
I preti che blaterano di un diritto all’emigrazione
ne sono i peggiori nemici, perché essi sanno in che condizioni questo “diritto”
è gestito in Africa e in Asia. È gente che nella migliore delle ipotesi è il vecchio
prete, peggio se frate, sulla cui tonaca tutto scivola. Oppure sono dietro il business,
per quanto miserabile. dell’immigrazione stessa, delle ong che si fanno un
diritto di gestire i 35 euro a testa di diaria che lo Stato paga per immigrato.
Dei giudici non si può dire. Conoscono sicuramente
il diritto, ma lo torcono per pregiudiziali politiche – oggi si applica, ieri no, domani
chissà, etc. In questa stagione politica contro il governo di destra. Non sono
buoni giurisperiti, come si legge sotto. E politicamente sono confusi, come è confuso
il Pd - i respingimenti li ha inventati Napolitano, quando era ministro dell’Interno,
e da Prodi, nel governo del 1996-1998 (e proprio con l’Albania, paese allora
insicurissimo).
Per paese insicuro s’intende uno dove non
vige la legalità né la democrazia. Per cui ogni suo cittadino riparato all’estero
è automaticamente coperto dalle norme internazionali a protezione dei rifugiati
politici. Se non che applicare questo principio del diritto internazionale all’Africa
e all’Asia, anche all’America latina, dove pure si vota, è arduo: alcuni miliardi
di persone sono potenziali rifugiati politici. Il mondo della democrazia
costituzionale è ristretto, protegge un miliardo di persone al più - due
volendo aggiungere volenterosamente l’India all’“Occidente” (comprensivo di
Corea del Sud, Giappone, Australia e Nuova Zelanda). Su otto.
A valle del diritto politico c’è
anche quello economico, l’aspirazione a una vita migliore: uscire dalla povertà,
o comunque la voglia di cambiare, sono ambizioni anch’esse rispettabili, seppure
non protette dal diritto. Ma non come avviene nel Mediterraneo, per un traffico
di esseri umani. Assoggettati a taglie mostruose, per un viaggio della speranza
fatto di campi di lavoro forzato libici e tunisini, e trasbordi su gommoni e
barchette. Proteggere un immigrato irregolare, anche se delinquente, non può
che alimentare questo mercato degli schiavi. A danno di chi? Degli immigrati
spellati e abbandonati per primi.
C’era una volta il
maestro, o la maestra, qualcuno con cui si passavano i cinque anni più formativi,
dai 6 ai 10. Camus lo ricorda con affetto, il suo vecchio maestro in Algeri, in
questa corrispondenza degli anni dopo la guerra. A partire da una lettera che il
maestro, volontario in via di smobilitazione, temporaneamente a Parigi, gli
indirizza a fine 1944. Una corrispondenza sempre affettuosa ne segue, intervallata
da qualche incontro. Che la figlia di Camus, Catherine, ha parzialmente ritrovato
e pubblica.
“Figlio spirituale”
Monsieur Germain può chiamare Camus. Che sempre, in ogni lettera, in ogni riga,
gli scrive come a un padre, il padre che non ha avuto, orfano di guerra. Un
padre amato e rispettato - a Louis Germain dedicherà nel 1957 la raccolta “Discours
de Suède”, i due discorsi tenuti quando fu premiato con il Nobel nel 1957, il
10 dicembre al banchetto ufficiale, e il 14 all’università di Uppsala, corredati
da una postfazione.
Il maestro è, in
una lettera, “colui al quale devo di essere ciò che sono, e che amo e rispetto
come il padre che non ho mai conosciuto”. Della condizione da cui il maestro,
attento e premuroso, lo ha salvato bambino si sa da una casuale “la mamma, che
non sa scrivere…”. “La mano affettuosa tesa al bambino povero” è il tema del
rapporto. Una mano decisiva al momento di convincere la madre, vedova e povera,
che Albert poteva fare la scuola media, le borse di studio glielo avrebbero consentito,
tanto era applicato e capace.
Le lettere fra
Camus sono infoltite dal lungo capitolo “La scuola” del romanzo incompiuto di
Camus, “Il primo uomo”, recuperato anch’esso da Catherine esattamente trent’anni
fa.
Albert Camus, Caro
signor Germain, Bompiani, pp. 128 € 15
“Cher Monsieur
Germain…, ,
Folio, pp. 119 € 3
”
Manca
ancora un anno al voto politico, poco meno, ma lo smarcamento del liberale Lindner,
il ministro delle Finanze della coalizione che regge il cancelliere Scholz,
apre una sorta di “qualificazioni”, in termini sportivi, al voto: il partito liberale,
minacciato di estinzione, sempre sotto il 5 per cento nelle ultime elezioni
locali, si riposiziona a destra, dove è sempre stato. E dove l’opinine prevalente
in Germania oggi si colloca - sui temi sensibili: energia (transizione verde), immigrati,
guerra.
In
Germania non c’è la possibilità di un governo di centro-destra: dovrebbe includere
Alternative für Deutschland e questo non è possibile. Vige in Germania, benché
non detta, una preclusione “democratica” contro Afd, analoga a quella “repubblicana”
in Francia in atto da un quarantennio contro il lepenismo, ora Rassemblement
National. La gara è però aperta per impedire che Afd diventi un partito maggioritario,
a spese della Cdu\Csu.
A
metà ottobre, quindi a poco meno di un anno dalle elezioni politiche, previste
per fine settembre 2025, le intenzioni di voto davano un elettorato orientato verso
il centro-destra: a destra della Cdu\Csu, la forza politica centrale, stabile
attorno al 30 per cento dei suffragi, Afd col 17-18 per cento e Sahra
Wagenknecht col 6-7 per cento vedevano il centro-destra al 53-56 per cento - senza
contare i liberali, ormai al 3-4 per cento.
Con
un costo medio, quest’anno, di 1.200 euro, la Germania cs conferma per il terzo
anno il Paese europeo col più alto coso della bolletta elettrica. Avendo scalzato
Belgio e Irlanda, tradizionalmente i paesi dove l’elettricità è più cara. L’Italia
viene quinta in questa graduatria, con una spesa media che si prevede si
attesterà sui 1.000 euro. L’Ungheria viene ultima, con un costo medio annuo in
bolletta di appena 310-320 euro.
Il
basso costo dell’energia in Ungheria spiega probabilmente molto della politica più
filo-Russia che filo-Ucraina di Orbàn, il leader ungherese. In Germania il costo
eccesivo dell’energia è uno dei fattori dell’accentuato scivolamento a destra
dell’opinione – la destra è in Germania, come l’estrema sinistra, contraria allo
schieramento contro la Russia nella guerra in Ucraina.
Bambole in viaggio. Un (primo?) pornosoft lesbo, con tanti bar-disco per
il rimorchio, salivazioni e vibratori. Alternati a un po’ di horror. Prossimo
ai settanta, Ethan Coen si è staccato dal fratello Joel e con la moglie Tricia
Cooke si è divertito, sempre nella vena burlesque.
Ethan Coen, Drive away dolls, Sky Cinema, Nw
La
Germania discute se mettere fuorilegge Alternative für Deutschland, il partito
mezzo liberale-mezzo nazionalista fondato appena dodici anni fa, una fazione
democristiana (della Cdu\Csu), che virando ultimamente verso l’estrema destra, con
personaggi al vertice dichiaratamene neonazisti, è diventato il primo partito
nei Länder orientali dell’ex Germania comunista dove si è votato, in Sassonia, Turingia
e Brandeburgo. Sono Länder non di peso demografico, tre Calabrie, poco di più,
ma di grande tradizione, culturalmente non arretrati.
La
richiesta è partita da varie sezioni dell’Agenzia federale di spionaggio interno,
il Bundesamt für Verfassungschutz (BfV), Ufficio Federale per la protezione della
Costituzione - soprattutto dalla sede di Amburgo. Il BfV ha aperto varie istruttorie
contro per detti o fatti illegali, ma nel quadro di una caccia programmata
all’Afd. Con l’avallo ultimamente dall’ex presidente della Repubblica Gauck,
il pastore protestante di Rostock che era stato molto attivo per i diritti umani
e civili contro il regime comunista di Berlino Est nella Germania divisa.
La
cancellazione di Afd per legge naturalmente non è possibile – andrebbe decisa
comunque e motivata dalla Corte Costituzionale. La questione si agita politicamente,
un tentativo di acculare Afd al nazismo. Ma resta che Afd condiziona la politica
e la Germania. Il successo della destra è peraltro doppiato da una costola dell’estrema
sinistra, il movimento creato da Sahra Wagenknecht, già animatrice di Linke, il
partito scissionista a sinistra dei Socialdemocratici. In comune questa sinistra
e Afd hanno l’immigrazione e la difesa – la “questione Russia”: niente guerra
alla Russia.
La
paura della deriva elettorale a destra spiega lo spostamento dell’asse politico
in Germania, all’interno dello stesso centro-sinistra dell’attuale Grande
Colazione (liberali, democristiani, socialdemocratici, verdi) dai temi e le
politiche di sinistra di Angela Merkel (su nucleare, immigrati, transizione
verde accelerata, difesa) a posizioni di destra (immigrati, energia, transizione
verde, difesa). In particolare spiega la ricerca di contatti con la destra di
Meloni, in Italia e in Europa. Di Friedrich Merz, ora a capo della Cdu\Csu. Di
Manfred Weber, che al Parlamento europeo presiede i Popolari (democristiani) europei.
E della stessa presidente della Commissione di Bruxelles, Ursula von der Leyen.
Sempre sui temi immigrazione, difesa (difesa dell’Ucraina ma niente guerra alla
Russia), transizione verde. Da rivedere in senso restrittivo.
Umanista e ingegnere,
milanese a Roma, ma soprattutto passatista e innovatore, nei primi anni 1930
Gadda approfitta del lavoro ben remunerato del papa a Roma per le consulenze sull’Acqua
Marcia, l’acquedotto che arriva al Fontanone del Gianicolo, per farsi pubblicare nel 1934 da “Solaria” questa seconda raccolta di racconti. La prima, sempre affidata alle
edizioni della rivista fiorentina, era uscita tre anni prima, nel 1931, “La
Madonna dei filosofi” – senza echi, malgrado la mobilitazione della rivista. Con questa seconda raccolta, invece, Gadda sarà premio Bagutta 1935, e autore riconosciuto.
Dire di che si tratta in
questa miscellanea è non dire nulla. Una crociera nel Mediterraneo – ironia? I
musicanti girovaghi – un’invettiva. La festa dell’uva a Marino. Il medaglione
di un papa Innocenzo. Monotematici invece i primi cinque testi, cinque “articoli
di guerra”, sulla delusione e anzi la vergogna del reduce. Lo sconforto, da
ufficiale (di artiglieria) in trincea e da prigioniero di guerra, di una
conduzione all’insegna dell’incapacità e della furberia. Era la guerra, per il
giovane ingegnere interventista, un esercizio etico rigeneratore, per il sogno
di “una vivente patria, come nei libri di Livio e di Cesare” – “tutto, tutto
sto cinema, nel mio cuore disumano, si trasfigurò in desiderio, diventò viva e
profonda poesia, inguaribile amore”. Di cui non poteva non disilludersi. Sopraffatto
dalla mitizzazione della furberia, “ignobile e turpe”, abbandonato “verso la
riva dell’inutilità”.
Tutto qui: Gadda è linguaggio.
Sì, la critica della (piccola) borghesia milanese. Sì, l’irredentismo e l’interventismo.
Sì, ma poi – piaccia o non - è tutto nei borborigmi del brontosauro. Clownesco,
volteggiatore, prestigiatore, e illusionista della parola: un “augusto” che è
anche tutto un circo - solo gli mancano le tette. Dotato di grandi conoscenze
letterarie, giù per i secoli, forme, figure, fonemi, mitologemi, che non lo
sopraffanno come succede ai più, sa addomesticarli e rilanciarli, un addestratore
maestro.
Un'edizione “quasi critica”,
come è ora delle riedizioni Adelphi di scrittori del Novecento, Malaparte, Sciascia,
Landolfi, ricca di molteplici apparati. Claudio Vela, che con Paola Italia e Giorgio Pinotti cura il tutto Gadda di Adelphi, arricchisce la pubblicazione di un paratesto che quasi doppia i testi gaddiani. Recuperando la prima edizione, quella del 1934, e i tagli della riedizione voluta da Garzanti venti anni dopo, nel 1955, segnalando tra parentesi quadre.
Carlo Emilio
Gadda, Il castello di Udine, Adelphi, pp. 339 € 22