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martedì 12 novembre 2024

Letture - 563

letterautore

Čechov – I suoi personaggi vanno visti come i viaggiatori compulsivi, secondo Graham Greene – a margine del suo “In viaggio con la zia”. Nei tanti punti morti che ogni viaggio comporta: “C’è tanta stanchezza e disappunto nei viaggi che le persone devono aspettarsi – nelle stazioni, sui ponti dei traghetti, sotto le palme nel cortile degli alberghi in un giorno di pioggia Devono passare il temo in qualche modo, e possono passarlo solo con se stesse. Come i personaggi di Čechov esse non hanno riserve, si vengono a sapere i segreti più intimi”.
L’accostamento più verosimile nella considerazione successiva: “Si riceve l’impressione di un mondo popolato di eccentrici, di strane professioni, di stupidità quasi incredibili e, per riequilibrarla, di sopportazioni sorprendenti”.
 
Danza
– È sacra e popolare – popolare per essere sacra, Ernst Jünger, “Anatomia e linguaggio”:
“La danza è strettamente legata al gioco e al canto”.
“Uomini e animali hanno in comune le danze e la melodia. Danze e canti accompagnano, in una successione naturale, il lavoro e il ciclo annuale delle feste”.
“La realizzazione più libera della vita ctonia è la danza. In essa si concentra tutto ciò che dispensa il potere della  terra – il ritmo delle semine e della mietitura, la voluttà profonda del vino e del sesso”.
 
Fantascienza
– “Venom-The last Dance” e “Il robot selvaggio” (“The Wild Robot”), due film di fantascienza, uno Marvel (azione-horror) e uno d’animazione, hanno incassato nelle due settimane tra fine ottobre e inizio novembre sei milioni di euro, l’uno - più di “Parthenope”, il film d’autore più visto, 5 milioni.
 

Indelicatezza
– Una colpa da tempo scomparsa, inattuale. L’ultimo riferimento si trova in Camus, “Il primo uomo”, al capitolo “La scuola”, a proposito del maestro di Camus alle elementari poi sempre ricordato e celebrato, Monsieur Bernard, al secolo Louis Germani: “Non condannava che con più forza ciò che non ammetteva in discussione, il furto, la delazione, l’indelicatezza, la sporcizia”.
 
Italianità – Tre musicisti del Novecento son ricordati, incidentalmente, solo dal maestro Pappano, nelle sue memorie, “La mia vita in musica”: Anton Coppola, lo zio del regista, in realtà Antonio Francesco Coppola, detto Anton, l’autore dell’opera “Sacco e Vanzetti”, e Anton Guadagno, di Castellammare del Golfo (Palermo), direttore del Metropolitan di New York e della Wiener Staatsoper per l’opera italiana, che in America, negli anni 1970-1980 “riuscivano miracolosamente a mettere su un allestimento nel giro di pochi giorni” – un allestimento d’opera, opera complessissima. E Giusy Devinu, la soprano cagliaritana che fu Violetta in mezza Europa negli anni 1980, “scomparsa troppo presto”.
 
Leggere – “Il lettore compare dell’autore” vuole E. Jünger in “Lettera dalla Sicilia all’uomo sulla luna”.
 

Libero scambio – “La libertà economica è come la libertà politica – un ideale, al quale gli uomini possono con fiducia ambire, ma impossibile da realizzare finché non tutti pensano su linee ideali. Il detto: «È bene tutto quello che fa bene al mio paese» è criminale, il diritto e la giustizia si radicano in n principio divino”., Hjalmar Schacht, “Confessions of «The Old Wizard»”: “Dopo che la Gran Bretagna ebbe completato con successo la sua grande innovazione industriale e affermato la superiorità della sua flotta mercantile, gli economisti politici britannici cominciarono a elevare la libertà di commercio, cioè la concorrenza senza limiti, a teoria economica standard, culminando con la clausola della nazione più favorita che avrebbe assicurato la supremazia economica della Gran Bretagna per sempre, se altri paesi non si fossero infine ribellati, per mera necessità”. Da Ricardo a Marx, e a Sraffa, l’amico di Gramsci?
La lamentazione è – era – corrente fra gli economisti tedeschi, ma non per questo è meno vera. Ancora oggi, sostituendo all’Inghilterra gli Stati Uniti, e alla sterlina il dollaro.
 

Minotauro – Due racconti, “La casa di Asterione”, Borges, e “Il minotauro, Dürrenmatt, e due testi teatrali, “I re”, Cortázar, e “Chi non ha il suo Minotauro?”, Yourcenar, trova Erika Filardo (online) nel Novecento: una predilezione per il “mostro”. Ma non ricorre anche in Gide,  Cvetaeva, Kazantzakis, Butor, Tammuz. E in Richard Strauss, Picasso, Masson: il Novecento ne è stato ossessionato. Dal mostro, o non piuttosto dai labirinti?
Dürrenmatt, da ultimo, 1985, subito dopo Tammuz, 1981, ne fa la sofferenza del diverso. Non sessualmente, dell’alieno, del newcomer, del solitario o abbandonato.
 
“Chi non ha il suo Minotauro?”, chiedeva Yourcenar. Rimproverando implicitamente Freud, che il lato oscuro lega a Edipo. Ma è anche vero che nessuno prima di lui se ne occupava – si occupava dell’inconscio.
 
Telefonate – Si mitizzano periodicamente i tre minuti di telefonata di Stalin a Pasternak nel giugno del 1943. La telefonata fu fatta all’indomani dell’arresto di Osip Mandel’štam. E si ipotizza che Stalin volesse il parere di Pasternak sull’arresto – si ipotizzava in regime sovietico che Pasternak, pavido, non avesse dissuaso Stalin, o non gli avesse dato buone ragioni per la liberazione. Ora un libro di Ismail Kadaré ipotizza quattordici possibili conversazioni.
È il fatto più importante della vita di Pasternak, e questo inquieta. È uno Stalin che ancora non era arrivato a concepire e comandare l’assassinio di tutti i comunisti che gli facevano ombra – cioè, più o meno, tutti: gli arresti, anche dei poeti, erano normali nella rivoluzione bolscevica. Ma era una questione di qualche mese, o di settimane – le “purghe” erano già su strada. Una telefonata per questo inquietante: Stalin, “lo” Stalin, ancora leggeva poesia. E nient’altro.

L’ossessione sulla telefonata non mostra l’irrilevanza della poesia – di Pasternak si ricorda poco o niente di altro?
 
Usa – “È un grande paese, forte e disciplinato nella libertà, ma che ignora molte cose e anzitutto l’Europa”, Albert Camus di ritorno dall’America scriveva al vecchio maestro Louis Germain ad Algeri a settembre del 1946.
 
Vocali
– “Le vocali racchiudono una determinazione sessuale segreta delle parole, più istruttiva e più necessaria che il loro genere grammaticale”, E. Jünger, “Anatomia e linguaggio” (in “Il contemplatore solitario”). Tutto il lavoro di demolizione del genere dovrà fare a meno delle vocali?

letterautore@antiit.eu

Ma Camus critica Marx, e le rivoluzioni politiche

 “Io mi rivolto, dunque noi siamo”. La capacità – la possibilità di ribellarsi è la sola breccia nell’assurdo che avvolge l’uomo, l’esistenza umana. Questo è assioma costante della riflessione di Camus. “Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no”, è l’incipit di questo saggio: “Ma se si rifiuta, non rinuncia: è anche un uomo che dice sì, fin da suo primo movimento. Uno schiavo, che ha ricevuto degli ordini tutta la sua vita, giudica all’improvviso inaccettabile un nuovo comando”. Semplice.
Il contenuto di questo “no” è da vedere. E qui si viene a sapere molto di ciò che si vuole salvifico e non lo è - non nel senso di Camus, come uscita dall’assurdo dell’esistenza, della nascita. L’incipit vero di questo lungo saggio, che è in realtà un lungo pamphlet, le prime righe della prefazione, è devastante: “Ci sono crimini di passione e crimini di logica. Il Codice penale li distingue, abbastanza comodamente, per la premeditazione. Noi siamo al tempo della premeditazione e del crimine perfetto. I nostri criminali non sono più quei ragazzi disarmati che invocavano la scusa dell’amore. Sono adulti, al contrario, e il loro alibi è irrefutabile: è la filosofia che può servire a tutto, anche a cambiare gli assassini in giudici”.  
Il regalo di Landini, reduce dall’appello alla “rivolta sociale”, alla capo del governo Meloni, bersaglio dell’appello, è un controsenso. L’“uomo in rivolta” di Camus non è il barricadiero, stile contestazione. Sono quattrocento pagine, piene, anche troppo, martellanti, inflessibili, che mettono in discussione le rivoluzioni storiche.

Il capitolo “Le rivoluzioni storiche” prende quasi la metà della trattazione: i regicidi, il terrore, i deicidi, Hegel e Nietzsche compresi, il terrorismo individuale (Nečaev, Bakunin, nichilismo), e quello organizzato, lo “scigalevismo” di Dostoevskij (“I demoni”), il terrore di Stato (Napoleone, Stalin, Mussolini o “la santa religione dell’anarchia”, Hitler), Marx (“Il terrore di Stato e il Terrore razionale”, “Il regno dei fini”, e, sul sovietismo, “La totalità e il processo”). Il tema, del capitolo e del libro, è come l’uomo, nel nome della rivoluzione, che pure è la sua essenza, accetta e anzi propugna il crimine. Come la rivoluzione ha avuto sempre esito nel Novecento in Stati di polizia e totalitari (“concentrazionari”)? Come l’orgoglio umano ha potuto erigersi a violenza?
L’interrogativo è insistito. Ben raccontato, tanto più che se le sue derivazioni sono state tantissime, quelle di cui Camus tiene conto, ma alla fine deprimente. Come dire: meglio non essere che rivoltarsi? Meglio non rivoltarsi, non in politica.
Le parti migliori, leggibili oggi con qualche sorpresa, e anche nel senso che Landini forse intendeva facendone omaggio provocatorio a Meloni, sono la parte iniziale, “La rivolta metafisica”, e quelle finali, sotto l’insegna “Rivolta e arte”.
La pubblicazione del lungo saggio a fine 1951 fu una sorpresa nella sinistra politica in Europa, all’Ovest e all’Est, dalla Jugoslavia di Tito alla Polonia e alla stessa Russia. Aprì una contesa furibonda di buona parte dell’intellighentsia europea contro Camus. Specialmente aspra fu la polemica in Francia. Aperta da Sartre, allora in fase bolscevica, anzi staliniana - col supporto di de Beauvoir, mediatrice ma non convinta. L’amicizia tra i due si ruppe senza nemmeno una grande discussion. La discussione ci fu ma non risolutiva - e nemmeno di grande livello, col senno di poi, ma anche con quello dell’epoca: Sartre in politica si può dire che non ne azzecca una.
Albert Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, pp. 384 € 16

lunedì 11 novembre 2024

Cronache dell’altro mondo – eleggibili (302)

Le statistiche elettorali americane tengono contro di due categorie di elettori, i Vap e i Vep, la  Voting Age Population e la Voting Eligible Population – la popolazione cioè di americani provvisti di cittadinanza, e di diritti politici.
Gli statistici preferiscono i Vep per calcolare l’affluenza alle urne - come base di calcolo della percentuale di votanti. Perché molti residenti, soprattutto negli ultimi anni, non sono cittadini a tutti gli effetti, non hanno diritto di voto.
L’affluenza è in declino da oltre mezzo secolo, dal 1971 (Nixon), ed è “interamente” spiegata dall’incremento della popolazione non eleggibile. Nel 1972 la popolazione americana senza cittadinanza era meno del 2 per cento della popolazione in età di voto, nel 2004 era già dell’8,5 per cento, e successivamente è ancora cresciuta, al 10 per cento circa.
A questo 10 per cento bisogna aggiungere i condannati a pene che compartano la perdita dei diritti politici. Una percentuale ora dell’1 per cento dei Vap - era lo 0,5 per cento circa nel 1972.
Usando come base di raffronto la popolazione eleggibile, l’affluenza alle urne è tornata nel 2020 e nel 2024 ai livelli di partecipazione elevata, degli ani 1950 e 1960.
Nelle statistiche statali, comunque, la base Vap, popolazione in età di voto, non è utile (comparabile), perché gli “ineleggibili” non sono distribuiti uniformemente. In California, per esempio, quasi il 20 per cento della popolazione non è eleggibile, perché di condannati o non cittadini.

Nostalgia di Lombardia

Un tutto Gadda (un po’“tutto”) che si può dire del Gadda milanese. Di cui molto è nei racconti, e anche ne “La cognizione del dolore”, la Brianza fa bene “Milano”. Di Milano com’era, e in fondo come è, anche ora con i grattacieli.
Una sorta di baedeker Gadda per nuovi lettori, ma con questa curiosa filigrana. Forse non curiosa, l’ingegnere del romanesco era ben un lombardo a Roma, e anzi un milanese. Molte delle sue nevrosi erano di ritegno ben lombardo. Così come la permalosità. Da ultimo si preparava alla morte, ricorda Arbasino, facendosi leggere Manzoni, il romanzo.
Un’edizione curata e presentata da Dante Isella, forse il suo miglior lettore – Gran Lombardo anche lui, curatore, oltre che di Gadda, di Maggi, Parini, Porta, Dossi, Tessa, Sereni. Col saggio famoso di Gianfranco Contini, “Lo strano ingegner Gadda”. Raffaella Redondi cura “La Madonna dei filosofi” e “Il Castelo di Udine” – con un’inedita “Appendice al «Castello di Udine»”. “L’Adalgisa” ha curato Guido Lucchini, “La cognizione del dolore” Emilio Manzotti.
Carlo Emilio Gadda, Romanzi e racconti (La Madonna dei filosofi, Il castello di Udine, L’Adalgisa, La cognizione del dolore)
, Garzanti. pp. 912 € 15

domenica 10 novembre 2024

Cronache dell’altro mondo – o zero ai democratici (301)

Il conteggio preciso del voto popolare non sarà concluso prima dei primi di dicembre. Fino a ieri Trump aveva vinto con 74,1 milioni di voti. Più di Harris ma meno che nel 2020 – l’elezione contestata.
Nel 2016 Trump aveva vinto con 62.984.828 voti (il 46,1 per cento dei voti espressi) contro i 65.853.514 di Hilary Clinton (48,2 per cento). Nel 2020 aveva perso con 74,2 milioni di voti (46,9 per cento dei voti espressi), contro gli 81,1 di Biden (51,1 per cento).
Anche per la statistica, sono i Democratici che hanno perso il voto del 5 novembre. Per astensione o per un voto d’opinione sfavorevole. I calcoli variano, ma Kamala Harris non è andata oltre i 71 milioni di voti espressi. Un calo di ben 10 milioni rispetto a quattro anni fa – un’elezione, si direbbe, a voto zero.

Cronache dell’altro mondo – astensive e partecipative (300)

È dal primo dopoguerra che la percentuale dei votanti alle elezioni politiche e presidenziali americane ogni quattro anni si è ridotta, dall’80 al 50 per cento. Pert effetto dell’allargamento del diriro di voto a tutta la popolazione. Con qualche puntata al 60 per cento – 1960, effetto Kennedy.
Le ultime due elezioni con Trump hanno mobilitato l’elettorato Nel 2020, Trump-Biden, l’affluenza è risalita al 66,4 per cento, record del dopoguerra (e anche del primo dopoguerra). Il 4 novembre, secondo le proiezioni dell’università di Florida, la partecipazione si è ridotta ma è sempre alta, il 62,3 per cento - il “Washington Post” invece calcola una partecipazione al voto “vicina al record del 2020”.

Cronache dell’altro mondo – o il Trump dei poveri, anche a New York (299)

"Kamala ha perso non soltanto perché donna. Noi democratici in Pennsylvania abbiamo fatto una campagna vecchia, porta a porta. Anche nei quartieri poveri. Ma non serve: o sono già convinti o non ti votano comunque. L’unica cosa che sta loro a cuore è il prezzo della benzina”, Margherita “Magalì” Sarfatti, “Corriere della sera”.
Per la prima volta in tre elezioni Trump ha vinto anche il voto popolare – il voto nell’urna. E lo ha vinto – effetto trascinamento - anche per i candidati repubblicani al Senato e alla Camera dei Rappresentanti.
Hanno votato Trump in larga percentuale i poveri. Veri o supposti - chi ha perso potere d’acquisto per la moltiplicazione dei prezzi nel dopo-Covid, di due e anche di tre volte. E chi, nei servizi a basso valore aggiunto (domestici, pulizie, ristorazione (lavapiatti, anche camerieri), giardinaggio, guardianie, piccole riparazioni….), si è obbligato a due, anche a tre occupazioni, per guadagnare il necessario, le paghe orarie contraendosi (in termini reali ma anche, a New York, in termini monetari) per l’offerta esuberante da nuova immigrazione.
Alta la percentuale per Trump negli Stati poveri, anche se scarsamente popolati – agricoli, deindustrializzati, decentrati, del “profondo Sud”: Wisconsin, Montana, Iowa, North Carolina, Oklahoma, Mississippi, Arkansas.
Per la prima volta un repubblicano, il newyorchese Trump, è riuscito ad aumentare i voti a New York - Staten Island, Bronx, Queens, la parte meridionale di Brooklyn. Solo la ricchissima Manhattan era e resta indefettibilmente tutta Democratica – malgrado il riuscito ultimo raduno di Trump al Madison Square Garden (che ha riempito, luogo di celebrazione alto-borghese, di afro, latinos, arabi, indiani, donne grasse e magri teen-ager). Nel 2016 Hillary Clinton aveva staccato Trump nel voto popolare a New York di 63 punti. Biden nel 2020 di 54 punti. Kamala Harris ha visto il margine nella Grande Mela ridotto al 37 per cento.

Il romanzo del Vietnam prima del Vietnam

Reporter e romanziere di tutte le guerre e guerriglie, Graham Greene non si è fato mancare il Vietnam, “prima del Vietnam”- nel 1955, quando la guerra era d’Indocina, della Francia che tentava di recuperare la colonia (ogni notte scoppiano bombe a Saigon, ma anche di giorno). Di cui però sapeva anche gli sviluppi futuri. Al punto da essere per questo dichiarato “persona non grata” negli Stati Uniti, niente più visto d’ingresso - criticato perfino, per leso americanismo, dal “New Yorker”, rivista progressista se mai ce ne sono state. G.Greene non sapeva di Kennedy naturalmente, ma sapeva dell’ansia “umanitaria” americana di imporsi nel resto del mondo. Come i vietnamiti sconfiggerlo gli Stati Uniti venti anni più tardi è scritto in poche righe qui, a pagina 52, al primo capitolo.
Il morto è anche lui al primo capitolo. Un racconto tanto semplice, nello svolgimento, quanto intricato, perfino carognesco, nel ghiommero dei personaggi. Che poi sono semplici anche loro, sono solo tre: Pyle, l’americano del titolo, volontario della pace, Fowler, il giornalista inglese blasé, fra oppio e alcol, e la ragazza Phuong vietnamita, nome vero di una vecchia amica di Greene a Saigon. Con l’autore impersonato in  uno dei personaggi del racconto, un “inviato speciale” – quale del resto era – insabbiato, a metà tra oppio e amanti. Con l’elogio della donna vietnamita.
Zadie Smith, che presenta questa riedizione, dovendo dare a G. Greene un appellativo, è un Tolstoj?, è uno Stendhal?, lo riduce a “più grande giornalista mai esistito”. Ma è ben di più. Oltre che romanziere, è scienziato politico raffinatissimo del secondo Novecento. In questo “romanzo” come in quelli dell’Africa e dell’America Latina – sapeva di che parlava. E narratore di vasta – aperta, non conchiusa, non definita – umanità. E scrittore onesto, pur essendo in vita donnaiolo frivolo, buon bevitore dall’occhio lucido, pro-comunista larvato, al modo degli snob inglesi, cattolico non osservante ma quanto “religioso”.
Graham Greene, Un americano tranquillo, Sellerio, pp.360 € 16