domenica 24 novembre 2024

Ma l’Europa non è gli Stati Uniti

Gli Stari Uniti non sono Europa. Non solo per Trump e l’America First del movimento Maga, make America great again. Il più europeista degli ultimi presidenti, Kennedy, “Ich bin ein Berliner!”, ne è stato forse anche il più lontano. E l’Europa ovviamente non è gli Stati Uniti.
Ci sono paesi europei, tra essi l’Italia, che hanno con gli Stati Uniti un rapporto stretto e vincolante, per scelta: di politica internazionale, anche europea (sic!), e di economia. Non sempre con fortuna. L’americano Soros affossò la lira e l’Italia nel 1992, a beneficio dei suoi sottoscrittori americani. E l’America di Hillary Clinton sostenne nel 2011 Sarkozy nel tentativo di sottrarre la Libia all’influenza italiana, con l’assassinio di Gheddafi  - e la dissoluzione della Libia stessa (e i 3 o 4 mila morti poi con le mafie delle migrazioni). Ma gli Stati Uniti non parteciparono alla congiura di Merkel e Sarkozy contro l’Italia nella crisi del debito nello stesso 2011. Nel complesso, però, gli interessi dell’Europa, non solo economici, anche politici, sono diversi e spesso concorrenziali con quello degli Stati Uniti.
La diversità, anche lo scontro, degli interessi è normale, scontata, in America, per il governo e per l’opinione pubblica. Non invece in Europa. L’Europa ha affidato all’America l’“ultima difesa”, l’ombrello nucleare, e sotto l’ombrello sta seduta.
L’Occidente vive in un imperialismo sghembo, al suo interno. Non dichiarato, benché non per questo debole e non riconosciuto. Nel quale resta il sospetto – il dispetto - che ha accompagnato la formazione e il rafforzamento dell’Unione Europea, anche se solo in campo economico, la “Fortezza Europa”.
Beda Romano ricorda oggi sul “Sole 24 Ore” che quando nacque il Consiglio d’Europa, il 9 dicembre del 1984, a Parigi, perché il Consiglio era stato proposto dal presidente francese  Giscard d’Estaing, “l’ex ambasciatore Claude Martin (collaboratore di Michel Jobert, un “centrista”, n.d.r.) ricorda che gli organizzatori tirarono le tende della sala «per smorzare i rumori provenienti dalla strada e per impedire ai servizi americani, che erano con ogni probabilità appostati dall’altra parte della place de la Concorde, di filmare o di registrare a distanza le discussioni»”.

Cronache dell’altro mondo – vendicative (309)

Il “Washington Post” tiene una rubrica settimanale, la domenica, sui processi contro Trump, “il primo ex presidente degli Stati Uniti mai incriminato”. Questa domenica passa in esame le sue nomine al ministero della Giustizia. Tre suoi avvocati, di cui il giornale trova a tutti titoli eccellenti. Todd Blanche, vice-ministro, Emil Bove, sottosegretatio, John Sauer, avvocato dello Stato. Niente da dire su Pamela Bondi, procuratrice generale della Florida indicata futuro ministro dopo la rinuncia del primo nominato, Matt Gaetz, che la Cnn accusa di reati sessuali – se non che è “fedele da lunga data”.
Uno dei tre, Blanche, è “diventato specialmente frustrato” dai processi federali contro Trump, e potrebbe diventare il vice-ministro a capo degli uffici e le persone che hanno lavorato a questi processi. Sotto scrutinio l’operato del “procuratore speciale” Jack Smith. Blanche e Bove “dovrebbero riesaminare le inchieste dei procuratori di Jack Smith e le loro interazioni con gli agenti Fbi”.
La giustizia come forma della vendetta?

Cronache dell’altro mondo – giudiziarie ter (308)

 Il “New Yorker” s’interroga sul processo contro Trump a New York per avere pagato una prostituta. Un processo dove il neo presidente è stato rinviato a giudizio con 34 capi d’accusa, d a uan cotr persieduta dal giudice Merchan.
Il cronista del settimanale che ha seguito il caso dice in breve, dopo molte righe, che il procuratore distrettuale che aveva esaminato la denuncia, Cyus Vance jr., non l’aveva ritenuta fondata – uno dei casi “zombie” che vengono riproposti regolarmente, da non si sa chi. Il suo successore Alvin Bragg, tuttora in carica, invece sì. Ma non dice che il giudice Merchan, che ha presieduto al rinvio a giudizio, è nominato politicamente, in quanto democratico (come del resto i Procuratori distrettuali Vance jr. e Bragg) e che la famiglia Merchan lavora per il partito Democratico.
Il caso potrebbe ora essere congelato, opina il settimanale. Ma non dice che tra quattro anni Merchan non sarà più al suo posto.
E non è ipocrisia.

Il bisogno – o è una condanna - del desiderio

Non un romanzo della negritudine, né un apologo “nero” dell’imperialismo, un’anticipazione di Conrad, questo racconto del Dr. Johnson, 1759. Che non era dottore, anche se con questo titolo l’ha immortalato la biografia più famosa della letteratura, “Life of Samuel Johnson LL.D.” – era Dottore in Lettere: critico, saggista, lessicografo, biografo a sua volta, nonché poeta in proprio e, come si vede, narratore. È una riflessione sulla forza del desiderio. Della curiosità. La vera forza della vita dell’esistenza. Della ricerca incessante del nuovo. E, perché no, del diverso.
In questa veste lo presentano i curatori dell’edizione più recente, Marsilio, vent’anni fa. Una riflessione sotto forma di racconto, di viaggio, sulle radici della dromomania intellettuale. Del desiderio più che del bisogno – del desiderio che diventa un bisogno. Che termina con una “Conclusione in cui nulla si conclude”, in cui ciascuno dei personaggi della storia s’immagina un Altro e un Altrove ancora da scoprire, non figurabile ma certo.
Un racconto filosofico che è inevitabile, anche per i curatori, avvicinare al “Candide” di Voltaire, curiosamente coetaneo. Analogo anche il tema: la ricerca, o l’illusione, di un eden. Ma senza le arguzie di Voltaire. E senza la sua “modernità”, va aggiunto. Nelle forme del pessimismo, anche sarcastico. E nella scrittura rapida - Jonhson è ancora prolisso.
Nell’edizione Marsilio con testo inglese, ritradotto. Per la cura dei due anglisti di Genova, Giuseppe Sertoli e Goffredo Miglietta. La prima traduzione, quasi coeva alla prima pubblicazione del racconto, fu di Giuseppe Baretti.
Per la vecchia edizione Sellerio trent’anni fa, per la collana Il Divano, il curatore Vittorio Orsenigo poneva l’accento su una riflessione filosofica invertita. Come storia di un Principe destinato alla delusione dall’irrazionalità del mondo. Di un Dr. Johnson pessimista, si direbbe, invece che ottimista. Di un Candido vittima del mondo e non della sua propria superficialità (irrazionalità): “Entrambi esotici nella decorazione narrativa; entrambi di scrittura vivace e pura, per esser letti; entrambi satire filosofiche della dolorosa irrazionalità del mondo, che è percorso in un vasto e avventuroso volo; entrambi enciclopedie dei luoghi comuni del tempo”. Facendo però di Johnson il più moderno: dubbioso “sul drastico bisturi della ragione, quale medicina. O sulla desiderabilità stessa, tutto considerato, di una medicina”.
Samuel Johnson, Rasselas, Principe d’Abissinia, Marsilio pp. 351 pp.vv.
Sellerio, pp. 264 pp.vv.