Cerca nel blog

martedì 17 dicembre 2024

Il problema dell’Italia è l’America, - ma non l’Argentina

Con la visita a Roma di Milei, basettoni, sfottò, noncuranza, ritorna l’Argentina come brutta copia dell’Italia. O fantasma dell’Italia, quale l’Italia potrebbe diventare, se non…. Oggi ne fa la sintesi Cazzullo, sul “Corriere della sera”: “L’Argentina, con l’inflazione che Milei si vanta di aver ridotto al 124 per cento, è per noi un memento di come potrebbe essere ridotta l’Italia senza l’ancoraggio europeo”.
Che c’entra l’Italia con l’Argentina? Da qualche decennio il tormentone mancava.
Ignoranza dell’Argentina? Sicuramente del problema italiano, il debito, creato con la corsa a entrare nell’euro, auspici Ciampi, Draghi e Prodi, senza prima consolidare il debito stesso (l’Italia entrò nell’euro con la barzelletta del prestito forzoso di 35 mila lire per ogni contribuente, per “rientrare nei parametri”). E da allora il debito si moltiplica da solo.
Da trent’anni l’Italia ogni anno stringe la cinghia – spende meno di quanto incassa (il famoso “attivo primario”). Ma ogni anno deve pagare una taglia di 50 miliardi. Per interessi che le agenzie del credito tengono altissimi - con la ridicola ragione che l’Italia non è più affidabile del Paraguay, e anzi peggio della Bulgaria (agenzie americane, per investitori americani: quindi, se si vuole, l’America c’entra, ma non è l’Argentina).
50 miliardi l’anno non sono pochi – farebbero un paese ricchissimo.
La crisi del debito non è una novità. Carlo Cipolla, storico dell’economia, lo spiega nella sua “Storia facile dell’economia italiana dal Medioevo a oggi” – facile e accessibile, costa solo 13 euro: l’unità si è fatta a debito, e ogni pochi anni dopo l’unità l’indebitamento è diventato critico. Nel dopoguerra l’ottima politica di Einaudi, La Malfa, un po’ anche Carli, aveva evitato il cappio. Ma cinquant’anni fa, esattamente, col bilancio del 1974, finito il boom con la guerra del petrolio, e con le casse prosciugate per pagare gli sceicchi, è riapparso, e con l’inflazione si è moltiplicato rapidissimamente. Andava consolidato entro i parametri europei, prima dell’entrata nell’euro, come chiedeva la Bundesbank.

Giallo disamore

Una storia (in)amorevole, più che un giallo. Di amori quali usano, violenti: stupri, femminicidi. Anche quando sono distratti, delle belle di mestiere. Una storia, in filigrana, di uomini senza donne - inaccessibili ora come forse lo erano prima, ma in forma dichiarata. “Il buio su un piatto d’argento” è il sottotitolo.
Una storia di (dis)amori intervallati dalla poesia. Dal mistero della poesia, della parola. Quale si può cogitare a Roma, al cimitero degli Inglesi, in pace idilliaca in pieno cafarnao. Luogo d’elezione del quartiere Ostiense.
Una storia di quartiere. Patrizia Licata se ne può dire ormai specialista, dei quartieri di Roma, geografia e anime - il quartiere come il paese, il villaggio, ha un’anima, seppure compressa. Ha già raccontato il Nomentano e Trieste (“Un caso irrisolto”) e Montesacro (“La donna nella vasca”). Qui racconta Ostiense, tra Piramide, Porta San Paolo, Gazometro e l’ex Porto fluviale, col ponte pedonale verso l’altra riva del Tevere. Un quartiere notturno, di movida.
Tre poliziotti indagano, un detective, un ispettore e un commissario, sulle violenze che si succedono, contro donne trenta-quarantenni. Figure materne, seppure giovanili? Ma vanno senza indizi, a naso. E anche loro, più che altro, ragionano, o non ragionano, delle strane forme di rapporti amorosi che hanno intrattenuto e intrattengono. Un giallo degli amori.
Con un ricordo e un medaglione di Jacqueline Risset, francesista alla Sapienza e poeta, “bellissima, gentile, sensibile, piena di talento”. Che “la poesia è ritmo, diceva”. Un cameo unico nella letteratura italiana, anche se Risset ne fu in larghi segmenti generosa protagonista.
Patriza Licata, Le due facce
, Laurum, pp. 200 € 16

lunedì 16 dicembre 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (579)

Giuseppe Leuzzi


La città dove si vive peggio in Italia è Reggio Calabria, 107ma. Appena meno di Reggio Calabria sta messa Napoli, al posto 106. E sul serio, “Il Sole 24 Ore” ci lavora su un anno, non per ridere. Con Reggio Calabria e Napoli condividono il basso della classifica altre città del Sud, che è inutile elencare.

Si sta bene solo in Lombardia, sei città tra le quindici migliori. E nel Veneto, cinque. Si sta bene solo nel leghismo. 
 
Per la visita del re di Spagna Felipe VI a Napoli, e l’accoglienza fervorosa ed ei maggiorenti della città, accademici e imprenditori, Marino Niola nota che “per loro e per i partenopei in generale gli antichi sovrani sono insieme un sogno e un mugugno”. Per gli uni l’incarnazione della modernità anticipata, per gli altri della centralità perduta”. Della modernità prima dell’Italia, dell’unità.
 
Le tre materie prime da tenere sotto osservazione nel 2025”, titola l’“Economist” nel suo numero di fine anno “The World Ahead” (, cosa accadrà: “Il prezzo di arance, caffè e uranio resterà elevato”. Delle arance? Non delle arance italiane, di Sicilia e Calabria – la Puglia va un po’ meglio, sa vendere. Perché non sanno organizzare la distribuzione - il valore aggiunto va ai grossisti-distributori.
 
L’Europa fatta a Palermo
In “Verranno di notte”, nelle pieghe del panegirico contro la barbarie che ci minaccia, “Lo spettro della barbarie in Europa”, Paolo Rumiz ha l’idea di un’altra Europa. Non più quella che ci governa. Carolingia. Renana. Franco-tedesca per intendersi. Rugginosa in effetti, da operetta triste. Ma quella del nome, della principessa di Tiro che invaghì Zeus con la sua bellezza e fu dal dio sedotta in forma di toro mansueto, bianco, e trasportata in volo a Creta.

Quella di Federico II, lo “stupor Mundi” degli epicedi, del monaco benedettino inglese Matteo da Parigi, che ne registra la morte il 13 dicembre 1250: Obiit… principum mundi maximus Frethericus, stupor mundi et immutator mirabilis»”, il magnifico riformatore. “L’imperatore che riconquistò Gerusalemme senza versare una goccia di sangue”, continua Rumiz, “il monarca illuminato dalla corte itinerante, che aveva al seguito anche consiglieri arabi, greci ed ebrei. Federico, il migliore dei re d’Italia. Il tedesco che mise in riga i feudatari, unì il Nord e il Sud del Continente e separò lo Stato dalla Chiesa. «Più leggo di lui e più mi accorgo che rappresenta il vertice dei valori oggi più dimenticati»”, si fa dire da “Lucia, colta ed appassionata guida turistica pugliese”.

Il terzo “vento di Soave” di Dante, imperatore venuto di Svevia - “la luce de la gran Costanza”, al canto III del Paradiso, “che del secondo vento di Soave\ generò ‘l terzo e l’ultima possanza”. Una Germania mediterranea, un’Italia transalpina (partendo da Palermo)? Si può fantasticare anche sulla storia, per quanto indelebile.

Il nome riporta sempre lì, attorno al Reno. La sostanza, certo, era diversa.

Il sogno dello sviluppo
La Cina, dove trent’anni usava per tutti un decoro modesto, la stessa bibicletta, nera, e bluse grige, senza colletto per risparmio, sfila ora con intere scolaresche, non classi, scuole, dal Pantheon a Largo Argentina: centinaia di ragazzi in tutte le fogge, pettinature, calzature, abbigliamenti, loquaci o silenziosi, col cellulare in mano oppure no, in gita scolastica trascontinentale. Sono immagini reali che sembrano un sogno.
O fatti. La Corea che con difficoltà passa dai generali al voto, e in otto-dieci anni è all’avanguardia per urbanistica, istruzione, sanità e industria. La stessa Russia bolscevica, finita nel marciume e la violenza della corruzione, appena trent’anni fa, ora capace di tenere testa all’Occidente in guerra, e insieme d’investire, commerciare, viaggiare, per affari o per riposo, spendendo anche molto.
Ci vuole una “liberazione”, una scossa, per stimolare la “crescita” (l’economia), il benessere, la ricchezza. Il sogno è che un giorno Carabinieri e Polizia dicano che non si può più essere mafiosi – le categorie sono cambiate. E vedere se il Sud non si arricchisce e arricchisce come tutti gli altri “sottosviluppati”. 


Se il Sud è un trampolino di lancio
Grasso, Pignatone, Cafiero de Raho, Scarpinato, Gratteri, c’è una categoria di persone per le quali il Sud è una miniera, altro che ritardo. Il Sud è una buona pedana per fare carriera, nell’antimafia, che ovunque. E chi non ci riesce, forse per avere mirato troppo in alto, come Ingroia o Di Matteo, può comunque passare i suoi giorni comodo in tribuna, seduto sulla sua buona coscienza, con lo Stato mafia, e il Dio dei mafiosi.
I giudici minacciano ora sfracelli, ma non se la passano male. Fanno la legge. Nessuno li ha delegati, ma loro la fanno lo stesso. Come scrive il giurisperito massimo Cassese, “oggi sono diventati il quarto potere dello Stato”. Per autorità propria, poiché nessuna costituzione li regola, e quindi di potenza massima.
Minacciare sfracelli è manifestazione infine non surrettizia di tanto potere. Al Sud è senza limiti, Col cosiddetto “concorso esterno” in reati associativi (da cui non ci si può difendere se non “dopo” il giudizio) e col sequestro preventivo dei beni – col noto affarismo di comodo, alla fine del quale nulla resti da restituire. Il Sud può essere provvido.
 
Il futuro della Sicilia
Franco Lo Piparo contesta Sciascia rudemente – “Sicilia isola continentale. Psicoanalisi di un’identità”, pp. 42-46 - a proposito del futuro che in Sicilia  non c’è, il tempo grammaticale. Tra l’altro spiegando che il tema, sollevato da Sciascia in “La Sicilia come metafora”, 1979, era stato introdotto, incidentalmente, dallo storico Denis Mack Smith nella “Storia dell Sicilia Medievale e Moderna”, 1968.
Scriveva Sciascia: “”La paura del domani e l’insicurezza qui da noi sono tali che si ignora la forma futura dei verbi. Non si dice mai «Domani andrò in campagna», ma «Dumani vajiu in campagna», domani vado in campagna. Si parla del futuro al presente. Così, quando mi si interroga sull’originario pessimismo dei siciliani, mi viene voglia di rispondere: «Come volete non essere pessimisti in un paese dove il verbo al futuro non esiste?»”  
Mack Smith: “I contadini disdegnavano anch’essi i nuovi metodi di coltivazione… Si riteneva comunemente ... che un cambiamento fosse sinonimo di peggioramento… In un’economia in cui tutto era precario, un comune lavoratore della terra non poteva mai fare programmi per l’avvenire. Forse la mancanza del futuro nel dialetto siciliano era espressione di questa difficoltà a pensare al domani”.
Per il linguista il problema non si pone: “In tutte le lingue l’evento futuro può essere segnalato da un avverbio temporale mantenendo il verbo al presente: domani vado in campagna in italiano, demain je vais à la campagne in francese, mañana voy al campo in spagnolo….. e si può continuare ancora per molto”. E poi: “In alcune varianti, ma non in tutte, del siciliano moderno manca o è debolmente presente il cosiddetto futuro sintetico (formatosi nelle lingue neolatine secondo lo schema verbo all’infinito + habere, per cui mangiare ho = manger-ò) ma non il futuro perifrastico o analitico (avir a + verbo all’infinito = aiu a ghiri, aiu a manciari). Il futuro perifrastico si trova in lingue come l’inglese (I will go) ol il tedesco (Ich werde gehen) parlate da parlanti che nessuno ritiene etnicamente pessimisti”.
 
Cronache della differenza: Calabria
“Dopo il delitto di Miami”, ricorda Santo Versace a proposito dell’assassinio del fratello Gianni, “le banche d’affari ci davano per falliti e dovevamo persino respingere le accuse di mafia. Litigai con Gianni Barbacetto: se fossimo stati di Voghera come Valentino non avrebbe mai insinuato una cosa del genere”.
 
Si scopre casualmente, per le vicende travagliate della sua eredità. che Ginni Vatitmo era di origine calabrese. Il padre lo era, di Cetraro (Cosenza), arrivato a Torino dopo il concorso per guardia carceraria, e lo stesso filosofo, già orfano di padre, aveva passato nella famiglia paterna a Cetraro gli anni dello sfollamento, dopo i bombardamenti del 1942. Le radici contano e non contano.
 
 “C’è più somiglianza tra un calabrese e un piemontese che tra un calabrese e un siciliano”. È un complimento, Gramsci ne scrive alla cognata Tania l’11 aprile 1927, tra righe feroci contro la Sicilia, dove era temporaneamente carcerato.
 
Genesio, l’allenatore del Lille, brillante squadra di calcio costruita con pochi soldi, nipote di nonni di Mammola, che in casa parlavano solo francese (ci provavano) per francesizzarsi prima, non sa niente di italiano ma ha forte il senso della famiglia – pasti in comune, zie, cugini, eccetera.  
Il nono era un bambino abbandonato, cui l’assistenza pubblica diede il cognome fittizio di Genesio – piuttosto che di Italiano, Esposito, Trovato, Innocenti, e i vari composti di Dio.
 
Non c’è conoscenza che sia stato in Calabria in vacanza e non se ne lamenti: niente corrisponde al sito, disordine, sporcizia, strafottenza. La Calabria è salita ai primi posti quest’anno per il turismo delle famiglie, favorita dall’impraticabilità di molte destinazioni tradizionali, romagnole e marchigiane, per le mucilaggini. A buon prezzo. Ma non sa capitalizzare – le risorse non mancano, non si sa gestirle.
 
Non è violenta, contrariamente alla percezione. Reggio Calabria viene all’80mo posto nella classifica della delittuosità del “Sole 24 Ore”. Catanzaro è la più pericolosa, avendo ancora nel 2023 il Procuratore Gratteri, al 41mo posto. Segue la provincia di Vibo, al 61mo posto, per il troppo turismo, e quindi gli scippi, prima sconosciuti. Crotone segue al 77mo posto, Cosenza al 95mo.
 
Commisso? È calabrese, e non conta. “Gli Agnelli? Lui è il loro opposto”, dice un manager della Fiorentina di Rocco Commisso, il patron della squadra, al capo dei servizi sportivi del “Financial Times”, Ahmed Murad, nella pagina che il quotidiano dedicò alla Fiorentina e a Commisso un paio d’anni fa: “Se lei passa un minuto con qualcuno di Torino, e poi con uno della Calabria, è come l’olio e l’acqua, non importa quanti soldi abbia. Non voglio dire non c’è gente per bene al Sud. Ma non sarà alla pari”.

A Commisso, benché abbia investito, di soldi suoi, nella Fiorentina 350-400 milioni, o forse per questo, “La Gazzetta dello Sport” non aveva risparmiato, nota incredulo il giornalista del “Financial Times”, il solito commento: “Don Rocco, più che da un grande gangster movie di Coppola o Scorsese, sembra uscito da un poliziesco italiano di serie B”. Incredulo, il giornalista, perché sapeva degli intrallazzi cinesi e americani a carico delle squadre milanesi – ne riferisce.

leuzzi@antiit.eu

La scoperta del figlio, da morto

Industriale indaffarato a New York, settantenne, che non ha mai voluto un figlio (un ruolo per il dimenticato Richard Gere), scopre di averne uno, in Canada. Lo scopre perché il giovane è morto, suicida.
Lo scopre cone un figlio ancora vivo. Padre protettivo, anche nelle magagne – non ha mai voluto un figlio perché disprezzato e percosso dal padre fino alla maggiore età.
Il finale è alla canadese – freddo, bizzarro: un matrimonio fra due morti, un rito taoista, pare, o cinese, di buon auspicio per le famiglie (ci sono nelle cronache traffici illeciti in Cina di spose-cadavere). Ma il soggetto e il trattamento sono multiformi, pieni di situazioni e persone bizzarre-normali, coinvolgenti.  
Savi Gabizon, Era mio figlio,
Sky Cinema

domenica 15 dicembre 2024

Problemi di base bellicosi siies - 837

spock


“Le bombe dell’esercito israeliano hanno fatto 150 mila vittime tra morti e feriti e distrutto l’80 per cento di Gaza”, Abu Mazen?
 
“In questi mesi Biden ha permesso a Netanyahu di fare quello che voleva”, id.?
 
Gli Usa hanno respinto tre volte le risoluzioni dell’Onu”, id.?
 
“Mentre proponevano il cessate il fuoco, da noi sostenuti, gli Usa continuavano a fornire armi all’Idf”, id.?
 
“È scritto che il futuro di Israele va da Gerusalemme a Damasco”, Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze?
 
“Ogni guerra è una guerra civile”, C. Pavese?

spock@antiit.eu

Il mite macellaio

Dietro l’immagine del vegliardo tremebondo e mite, Biden lascia una presidenza da rude macellaio. Per avere abbandonato gli afghani, le afghane, dopo quasi vent’anni, ai talebani. Come ora in Siria, alla mercé di un terrorista venduto come un br av’uomo – uno su cui aveva messo una taglia di 10 milioni di dollari, organizzatore di attentati suicidi e stragi d’innocenti. Liberando peraltro la Siria mentre la bombarda, e tiene in campi di conentramento decine di migliaia di siriani, per lo più ragazzi e bambini.
E per l’Ucraina, dove tanto ha fatto per provocare l’invasione, e niente dopo, né una tregua, né un negoziato qualsiasi. Una guerra buona per smaltire l’armamento obsoleto, a spese degli ucraini. E imporre sanzioni selettive che colpiscono di ritorno l’Unione Europea - mentre gli Stati Uniti gozzovigliano con gli attivi russi nelle piazze finanziarie della City e di Wall Street. Ma più per avere fornito a Netanyahu il munizionamento per un anno di bombardamenti quotidiani di due milioni di persone stipate in un quartiere di Roma. Mentre mandava su e già, a giorni alterni, il suo ministro degli Esteri Blinken in “missione di pace” - per meglio prendere la mira? Europa alo stremo e Medio Oriente in fiamme, di nuovo, un monnmento.

Giallo d’acqua, sporca

Poirot nel dopoguerra si è ritirato a Venezia in solitudine, in lite con l’umanità che tanta violenza ha esercitato in guerra. Ma non pacificato – i suoi baffi su Kenneth Branagh sono sempre ritti, ispidi. E si lascia perfino trascinare in una storia trucida di spiritismi, morti improvvise, porte che sbattono, arpie che volano, bambini saputi, su un sfondo cupo, di acque turbolente. Un guazzabuglio.
Branagh nei panni d Poirot era inverosimile anche nel primo episodio del suo trittico, “Assassinio sull’Orient-Express”. “Poirot e la strage degli innocenti” (tit. orig. “Hallowe’en Party”), l’originale di Agatha Christie “Assassinio a Venezia”, non è a Venezia, ed è cupo ma non catastrofico – fu pubblicato, nel 1969, con dedica a P.G.Wodehouse, lo scrittore umoristico di Jeeves il maggiordomo. Branagh più che a Poirot tiene alla sua opera di regista: nel primo episodio ha fatto un racconto di un paio d’ore con protagonista la neve, i ghiacci, i silenzi (e un Poirot mobile, quasi saltimbanco), nel secondo “Assassinio sul Nilo” la luce che viene dal deserto (e un Poirot innamorato….), in questo l’acqua, brutta e sporca. 
Kenneth Branagh, As
sassinio a Venezia, Sky Cinema, Now