martedì 17 dicembre 2024
Il problema dell’Italia è l’America, - ma non l’Argentina
Con la visita a Roma di Milei, basettoni, sfottò, noncuranza, ritorna l’Argentina come brutta copia dell’Italia. O fantasma dell’Italia, quale l’Italia potrebbe diventare, se non…. Oggi ne fa la sintesi Cazzullo, sul “Corriere della sera”: “L’Argentina, con l’inflazione che Milei si vanta di aver ridotto al 124 per cento, è per noi un memento di come potrebbe essere ridotta l’Italia senza l’ancoraggio europeo”.
Giallo disamore
Una storia
(in)amorevole, più che un giallo. Di amori quali usano, violenti: stupri, femminicidi.
Anche quando sono distratti, delle belle di mestiere. Una storia, in filigrana, di uomini senza donne - inaccessibili ora come forse lo erano prima, ma in forma dichiarata. “Il buio su un piatto d’argento”
è il sottotitolo.
Una storia di (dis)amori intervallati dalla poesia. Dal mistero della poesia, della parola. Quale si
può cogitare a Roma, al cimitero degli Inglesi, in pace idilliaca in pieno cafarnao.
Luogo d’elezione del quartiere Ostiense.
Una storia di quartiere.
Patrizia Licata se ne può dire ormai specialista, dei quartieri di Roma, geografia
e anime - il quartiere come il paese, il villaggio, ha un’anima, seppure
compressa. Ha già raccontato il Nomentano e Trieste (“Un caso irrisolto”) e Montesacro
(“La donna nella vasca”). Qui racconta Ostiense, tra Piramide, Porta San Paolo,
Gazometro e l’ex Porto fluviale, col ponte pedonale verso l’altra riva del
Tevere. Un quartiere notturno, di movida.
Tre poliziotti indagano,
un detective, un ispettore e un commissario, sulle violenze che si succedono,
contro donne trenta-quarantenni. Figure materne, seppure giovanili? Ma vanno senza
indizi, a naso. E anche loro, più che altro, ragionano, o non ragionano,
delle strane forme di rapporti amorosi che hanno intrattenuto e intrattengono.
Un giallo degli amori.
Con un ricordo e
un medaglione di Jacqueline Risset, francesista alla Sapienza e poeta, “bellissima,
gentile, sensibile, piena di talento”. Che “la poesia è ritmo, diceva”. Un cameo
unico nella letteratura italiana, anche se Risset ne fu in larghi segmenti generosa
protagonista.
Patriza Licata, Le
due facce, Laurum, pp. 200 € 16
lunedì 16 dicembre 2024
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (579)
Giuseppe Leuzzi
La città dove si vive
peggio in Italia è Reggio Calabria, 107ma. Appena meno di Reggio Calabria sta
messa Napoli, al posto 106. E sul serio, “Il Sole 24 Ore” ci lavora su un anno,
non per ridere. Con Reggio Calabria e Napoli condividono il basso della
classifica altre città del Sud, che è inutile elencare.
Si sta bene solo in Lombardia, sei città tra le quindici migliori. E nel Veneto, cinque. Si sta bene solo nel leghismo.
Per
la visita del re di Spagna Felipe VI a Napoli, e l’accoglienza fervorosa ed ei maggiorenti della città, accademici e imprenditori, Marino Niola nota che “per
loro e per i partenopei in generale gli antichi sovrani sono insieme un sogno e
un mugugno”. Per gli uni l’incarnazione della modernità anticipata, per gli
altri della centralità perduta”. Della modernità prima dell’Italia, dell’unità.
Le
tre materie prime da tenere sotto osservazione nel 2025”, titola l’“Economist” nel
suo numero di fine anno “The World Ahead” (, cosa accadrà: “Il prezzo di
arance, caffè e uranio resterà elevato”. Delle arance? Non delle arance
italiane, di Sicilia e Calabria – la Puglia va un po’ meglio, sa vendere.
Perché non sanno organizzare la distribuzione - il valore aggiunto va ai grossisti-distributori.
L’Europa fatta a Palermo
In “Verranno di notte”, nelle pieghe del panegirico contro la barbarie
che ci minaccia, “Lo spettro della barbarie in Europa”, Paolo Rumiz ha l’idea
di un’altra Europa. Non più quella che ci governa. Carolingia. Renana.
Franco-tedesca per intendersi. Rugginosa in effetti, da operetta triste. Ma
quella del nome, della principessa di Tiro che invaghì Zeus con la sua bellezza e fu dal dio sedotta in forma di toro mansueto, bianco, e trasportata in volo a Creta.
Quella di
Federico II, lo “stupor Mundi” degli epicedi, del monaco benedettino inglese Matteo da Parigi,
che ne registra la morte il 13 dicembre 1250: “Obiit…
principum mundi maximus Frethericus, stupor mundi et immutator
mirabilis»”, il magnifico riformatore. “L’imperatore che
riconquistò Gerusalemme senza versare una goccia di sangue”, continua Rumiz, “il
monarca illuminato dalla corte itinerante, che aveva al seguito anche consiglieri
arabi, greci ed ebrei. Federico, il migliore dei re d’Italia. Il tedesco che
mise in riga i feudatari, unì il Nord e il Sud del Continente e separò lo Stato
dalla Chiesa. «Più leggo di lui e più mi accorgo che rappresenta il vertice dei
valori oggi più dimenticati»”, si fa dire da “Lucia, colta ed appassionata
guida turistica pugliese”.
Il terzo “vento di Soave” di Dante, imperatore venuto di Svevia - “la luce de la gran Costanza”, al canto III del Paradiso, “che del secondo vento di Soave\ generò ‘l terzo e l’ultima possanza”. Una Germania mediterranea, un’Italia transalpina (partendo da Palermo)? Si può fantasticare anche sulla storia, per quanto indelebile.
Il nome riporta sempre lì, attorno al Reno. La
sostanza, certo, era diversa.
Il sogno dello sviluppo
La Cina, dove trent’anni
usava per tutti un decoro modesto, la stessa bibicletta, nera, e bluse grige,
senza colletto per risparmio, sfila ora con intere scolaresche, non classi,
scuole, dal Pantheon a Largo Argentina: centinaia di ragazzi in tutte le fogge,
pettinature, calzature, abbigliamenti, loquaci o silenziosi, col cellulare in
mano oppure no, in gita scolastica trascontinentale. Sono immagini reali che
sembrano un sogno.
O
fatti. La Corea che con difficoltà passa dai generali al voto, e in otto-dieci
anni è all’avanguardia per urbanistica, istruzione, sanità e industria. La stessa
Russia bolscevica, finita nel marciume e la violenza della corruzione, appena trent’anni
fa, ora capace di tenere testa all’Occidente in guerra, e insieme d’investire,
commerciare, viaggiare, per affari o per riposo, spendendo anche molto.
Ci vuole una “liberazione”,
una scossa, per stimolare la “crescita” (l’economia), il benessere, la ricchezza.
Il sogno è che un giorno Carabinieri e Polizia dicano che non si può più essere
mafiosi – le categorie sono cambiate. E vedere se il Sud non si arricchisce e arricchisce
come tutti gli altri “sottosviluppati”.
Se il Sud è un trampolino di lancio
Grasso,
Pignatone, Cafiero de Raho, Scarpinato, Gratteri, c’è una categoria di persone per
le quali il Sud è una miniera, altro che ritardo. Il Sud è una buona pedana per
fare carriera, nell’antimafia, che ovunque. E chi non ci riesce, forse per
avere mirato troppo in alto, come Ingroia o Di Matteo, può comunque passare i
suoi giorni comodo in tribuna, seduto sulla sua buona coscienza, con lo Stato
mafia, e il Dio dei mafiosi.
I
giudici minacciano ora sfracelli, ma non se la passano male. Fanno la legge.
Nessuno li ha delegati, ma loro la fanno lo stesso. Come scrive il giurisperito
massimo Cassese, “oggi sono diventati il quarto potere dello Stato”. Per
autorità propria, poiché nessuna costituzione li regola, e quindi di potenza
massima.
Minacciare sfracelli è manifestazione
infine non surrettizia di tanto potere. Al Sud è senza limiti, Col cosiddetto “concorso
esterno” in reati associativi (da cui non ci si può difendere se non “dopo” il
giudizio) e col sequestro preventivo dei beni – col noto affarismo di comodo, alla
fine del quale nulla resti da restituire. Il Sud può essere provvido.
Il futuro della Sicilia
Franco
Lo Piparo contesta Sciascia rudemente – “Sicilia isola continentale.
Psicoanalisi di un’identità”, pp. 42-46 - a proposito del futuro che in Sicilia
non c’è, il tempo grammaticale. Tra
l’altro spiegando che il tema, sollevato da Sciascia in “La Sicilia come
metafora”, 1979, era stato introdotto, incidentalmente, dallo storico Denis
Mack Smith nella “Storia dell Sicilia Medievale e Moderna”, 1968.
Scriveva Sciascia: “”La
paura del domani e l’insicurezza qui da noi sono tali che si ignora la forma futura dei verbi. Non si
dice mai «Domani andrò in campagna», ma «Dumani vajiu in campagna»,
domani vado in campagna. Si parla del futuro al presente. Così, quando mi si
interroga sull’originario pessimismo dei siciliani, mi viene voglia di
rispondere: «Come volete non essere pessimisti in un paese dove il verbo al
futuro non esiste?»”
Mack
Smith: “I contadini disdegnavano anch’essi i nuovi metodi di coltivazione… Si
riteneva comunemente ... che un cambiamento fosse sinonimo di peggioramento… In
un’economia in cui tutto era precario, un comune lavoratore della terra non
poteva mai fare programmi per l’avvenire. Forse la mancanza del futuro nel
dialetto siciliano era espressione di questa difficoltà a pensare al domani”.
Per
il linguista il problema non si pone: “In tutte le lingue l’evento futuro può
essere segnalato da un avverbio temporale mantenendo il verbo al presente: domani vado in campagna in italiano, demain je vais à la campagne in francese, mañana voy al campo in spagnolo….. e si può continuare ancora per molto”. E poi: “In
alcune varianti, ma non in tutte, del siciliano moderno manca o è debolmente
presente il cosiddetto futuro sintetico (formatosi nelle lingue neolatine
secondo lo schema verbo all’infinito + habere, per cui mangiare ho = manger-ò) ma non il futuro perifrastico o analitico
(avir a + verbo all’infinito
= aiu a ghiri, aiu a manciari). Il futuro perifrastico si trova in lingue come l’inglese (I will go) ol il tedesco (Ich werde gehen) parlate da parlanti che nessuno ritiene etnicamente pessimisti”.
Cronache della differenza:
Calabria
“Dopo il delitto di Miami”,
ricorda Santo Versace a proposito dell’assassinio del fratello Gianni, “le
banche d’affari ci davano per falliti e dovevamo persino respingere le accuse
di mafia. Litigai con Gianni Barbacetto: se fossimo stati di Voghera come
Valentino non avrebbe mai insinuato una cosa del genere”.
Si scopre casualmente, per le vicende
travagliate della sua eredità. che Ginni Vatitmo era di origine calabrese. Il
padre lo era, di Cetraro (Cosenza), arrivato a Torino dopo il concorso per guardia
carceraria, e lo stesso filosofo, già orfano di padre, aveva passato nella
famiglia paterna a Cetraro gli anni dello sfollamento, dopo i bombardamenti del
1942. Le radici contano e non contano.
“C’è più somiglianza tra un calabrese e un piemontese
che tra un calabrese e un siciliano”. È un complimento, Gramsci ne scrive alla cognata
Tania l’11 aprile 1927, tra righe feroci contro la Sicilia, dove era temporaneamente
carcerato.
Genesio, l’allenatore del
Lille, brillante squadra di calcio costruita con pochi soldi, nipote di nonni
di Mammola, che in casa parlavano solo francese (ci provavano) per
francesizzarsi prima, non sa niente di italiano ma ha forte il senso della
famiglia – pasti in comune, zie, cugini, eccetera.
Il nono era un bambino abbandonato,
cui l’assistenza pubblica diede il cognome fittizio di Genesio – piuttosto che
di Italiano, Esposito, Trovato, Innocenti, e i vari composti di Dio.
Non c’è conoscenza che sia
stato in Calabria in vacanza e non se ne lamenti: niente corrisponde al sito, disordine,
sporcizia, strafottenza. La Calabria è salita ai primi posti quest’anno per il turismo
delle famiglie, favorita dall’impraticabilità di molte destinazioni
tradizionali, romagnole e marchigiane, per le mucilaggini. A buon prezzo. Ma
non sa capitalizzare – le risorse non mancano, non si sa gestirle.
Non è violenta, contrariamente
alla percezione. Reggio Calabria viene all’80mo posto nella classifica della delittuosità
del “Sole 24 Ore”. Catanzaro è la più pericolosa, avendo ancora nel 2023 il Procuratore
Gratteri, al 41mo posto. Segue la provincia di Vibo, al 61mo posto, per il
troppo turismo, e quindi gli scippi, prima sconosciuti. Crotone segue al 77mo posto,
Cosenza al 95mo.
Commisso? È calabrese, e non
conta. “Gli Agnelli? Lui è il loro opposto”, dice un manager della Fiorentina di
Rocco Commisso, il patron della squadra, al capo dei servizi sportivi del “Financial
Times”, Ahmed Murad, nella pagina che il quotidiano dedicò alla Fiorentina e a
Commisso un paio d’anni fa: “Se lei passa un minuto con qualcuno di Torino, e poi
con uno della Calabria, è come l’olio e l’acqua, non importa quanti soldi
abbia. Non voglio dire non c’è gente per bene al Sud. Ma non sarà alla pari”.
A Commisso, benché abbia investito, di soldi suoi, nella
Fiorentina 350-400 milioni, o forse per questo, “La Gazzetta dello Sport” non
aveva risparmiato, nota incredulo il giornalista del “Financial Times”, il solito
commento: “Don Rocco, più che da un grande gangster movie di Coppola o Scorsese,
sembra uscito da un poliziesco italiano di serie B”. Incredulo, il giornalista,
perché sapeva degli intrallazzi cinesi e americani a carico delle squadre
milanesi – ne riferisce.
leuzzi@antiit.eu
La scoperta del figlio, da morto
Industriale indaffarato
a New York, settantenne, che non ha mai voluto un figlio (un ruolo per il
dimenticato Richard Gere), scopre di averne uno, in Canada. Lo scopre perché il
giovane è morto, suicida.
Lo scopre cone un
figlio ancora vivo. Padre protettivo, anche nelle magagne – non ha mai voluto un
figlio perché disprezzato e percosso dal padre fino alla maggiore età.
Il finale è alla
canadese – freddo, bizzarro: un matrimonio fra due morti, un rito taoista,
pare, o cinese, di buon auspicio per le famiglie (ci sono nelle cronache traffici
illeciti in Cina di spose-cadavere). Ma il soggetto e il trattamento sono multiformi,
pieni di situazioni e persone bizzarre-normali, coinvolgenti.
Savi Gabizon, Era
mio figlio, Sky Cinema
domenica 15 dicembre 2024
Problemi di base bellicosi siies - 837
spock
“Le bombe dell’esercito israeliano hanno
fatto 150 mila vittime tra morti e feriti e distrutto l’80 per cento di Gaza”, Abu
Mazen?
“In questi mesi Biden ha permesso a Netanyahu
di fare quello che voleva”, id.?
Gli Usa hanno respinto tre volte le
risoluzioni dell’Onu”, id.?
“Mentre proponevano il cessate il fuoco, da
noi sostenuti, gli Usa continuavano a fornire armi all’Idf”, id.?
“È scritto che
il futuro di Israele va da Gerusalemme a Damasco”, Bezalel Smotrich, ministro
delle Finanze?
“Ogni guerra è
una guerra civile”, C. Pavese?
spock@antiit.eu
Il mite macellaio
Dietro l’immagine
del vegliardo tremebondo e mite, Biden lascia una presidenza da rude macellaio.
Per avere abbandonato gli afghani, le afghane, dopo quasi vent’anni, ai talebani.
Come ora in Siria, alla mercé di un terrorista venduto come un br av’uomo – uno
su cui aveva messo una taglia di 10 milioni di dollari, organizzatore di attentati
suicidi e stragi d’innocenti. Liberando peraltro la Siria mentre la bombarda, e
tiene in campi di conentramento decine di migliaia di siriani, per lo più ragazzi
e bambini.
E per l’Ucraina,
dove tanto ha fatto per provocare l’invasione, e niente dopo, né una tregua, né
un negoziato qualsiasi. Una guerra buona per smaltire l’armamento obsoleto, a
spese degli ucraini. E imporre sanzioni selettive che colpiscono di ritorno l’Unione
Europea - mentre gli Stati Uniti gozzovigliano con gli attivi russi nelle piazze
finanziarie della City e di Wall Street. Ma più per avere fornito a Netanyahu
il munizionamento per un anno di bombardamenti quotidiani di due milioni di persone
stipate in un quartiere di Roma. Mentre mandava su e già, a giorni alterni, il
suo ministro degli Esteri Blinken in “missione di pace” - per meglio prendere
la mira? Europa alo stremo e Medio Oriente in fiamme, di nuovo, un monnmento.
Giallo d’acqua, sporca
Poirot nel dopoguerra
si è ritirato a Venezia in solitudine, in lite con l’umanità che tanta violenza
ha esercitato in guerra. Ma non pacificato – i suoi baffi su Kenneth Branagh
sono sempre ritti, ispidi. E si lascia perfino trascinare in una storia trucida
di spiritismi, morti improvvise, porte che sbattono, arpie che volano, bambini saputi,
su un sfondo cupo, di acque turbolente. Un guazzabuglio.
Branagh nei panni
d Poirot era inverosimile anche nel primo episodio del suo trittico, “Assassinio
sull’Orient-Express”. “Poirot e la strage degli innocenti” (tit. orig. “Hallowe’en
Party”), l’originale di Agatha Christie “Assassinio a Venezia”, non è a
Venezia, ed è cupo ma non catastrofico – fu pubblicato, nel 1969, con dedica a
P.G.Wodehouse, lo scrittore umoristico di Jeeves il maggiordomo. Branagh più
che a Poirot tiene alla sua opera di regista: nel primo episodio ha fatto un
racconto di un paio d’ore con protagonista la neve, i ghiacci, i silenzi (e un
Poirot mobile, quasi saltimbanco), nel secondo “Assassinio sul Nilo” la luce
che viene dal deserto (e un Poirot innamorato….), in questo l’acqua, brutta e
sporca.
Kenneth Branagh, Assassinio a Venezia, Sky Cinema, Now
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