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sabato 4 gennaio 2025

Secondi pensieri - 551

zeulig


Classicità
Il quinto secolo ad Atene fu epoca di falsi. Atene era stata bruciata, dagli ateniesi. La storia si riscriveva, cioè si scriveva.

Anche il quarto secolo fu epoca di falsi.
 
Destra-sinistra – Nell’affievolimento oggi, quasi indistinzione, della contrapposizione politica, l’opposizione fra i due termini resta terminologica, di radicali, che tutti vanno in un senso preciso: positivo per la destra, negativo per la sinistra. È la distinzione che Ernst Jünger faceva  diffusamente, con molti esempi, in epoca iperideologizzata, di contrasto politico vivo, radicale, in “Linguaggio e anatomia”, 1947 – lo faceva da destra, da conservatore, ma senza pregiudizio. Partendo da una constatazione semplice – naturalistica (fisica) più che simbolica: “Una legge generale, nel mondo dei simboli, vuole che, sotto le apparenze dell’unità e dell’uguaglianza, si dissimulino delle divisioni”. Anche nei suoni e nei colori (“nel rosso s’incarnano ugualmente e l’amore e l’odio, nel giallo la distinzione e l’invidia, nel blu il meraviglioso e il niente”), con gli animali e con le piante, e in tutti gli oggetti del mondo sensibile”. Così nelle mani (come poi, nella trattazione, nei piedi), “che da una parte offrono l’immagine dell’uguaglianza perfetta, e dall’altra quella di una grande differenza gerarchica”. Una differenza, cioè, in cui la destra è “più” (capace, giusta, migliore) dela sinistra.
Una serie di casi pratici Jünger faceva poi seguire. Agli incroci, “a destra, a sinistra” sono due direzioni, “ma il linguaggio ha già preso partito con un  giudizio, giacché la «direzione» è, di fatto, l’orientazione verso al Destra. L’espressione suggerisce che in fondo non esiste che una buona direzione. Più chiaramente anche in Italiano, in cui «dritto» e «tutto dritto» sono identici. La stessa opzione si traduce nei termini tedeschi che indicano la direzione migliore, dall’alto in basso, la verticae: senkrecht, lotrecht, aufrecht. In tutti i casi la destra è la regina, come tra gli angoli, dove si distingue l’angolo retto”.
E la sinistra? “Al contrario, la sinistra è la serva, che deve tenersi in disparte, cedere il passo.
 
Il conservatore è così detto da Henry James nei “Bostoniani”, a proposito del personaggio principale Basil  Ransom – attraverso la femminista Verena: “Educata, come lei era stata, ad ammirare idee nuove, a criticare le convenzioni sociali nelle quali ci si imbatte  quasi ovunque, e a disapprovare un gran numero di cose, non aveva tuttavia mai immaginato una  requisitoria così accesa come quella di Ransom, tanta asprezza vedeva lumeggiare dietro le due esagerazioni, i suoi travisamenti. Sapeva che era un forte conservatore, ma non sapeva che essere un conservatore potesse fare una persona così aggressiva e spietata. Pensava che i conservatori fossero solo pieni di sé e cocciuti e compiacenti, soddisfatti dell’esistente, ma Ransom non sembrava affatto più soddisfatto di quanto esisteva più di quanto lei voleva che esistesse, ed era pronto a dire cose peggiori su alcune di quelle che lei avrebbe supposto essere dalla sua propria parte di quanto lei avrebbe pensato giusto dire di ogni altro”.
Il conservatore può essere anticonformista e estremista.
 
Fede - “La nostra fede è una cosa vivente proprio perché cammina mano nella mano con  il dubbio”, fa dire al decano del Sacro Collegio (dei cardinali) in conclave lo scrittore Robert Harris (“Conclave”, p. 92): “Se esistesse solo la certezza, e non ci fosse il dubbio, non ci sarebbe mistero e quindi nessun bisogno di fede”. Lapalissiano, ma vero.
 
Heidegger – Si può ridurre a “l’essere dell’essere” – una lunga e lenta, ossessiva, divagazione sul tema.
 
Odio-di- – 
È la connotazione dell’epoca – nelle culture dette occidentali? Classificato in medicina (psichiatria) come un disturbo della personalità, all’origine di molti “disturbi mentali”, particolarmente della dismorfofobia, o “narcisismo «nascosto»”, e di forme di depressione, dilaga nelle discipline umanistiche e perfino in quelle scientifiche, nel senso esteso, storico, etnico, sociale, individuato per primo da Theodor Lessing, 1930, come “odio-di-sé ebraico”, la difficile, o disfunzionale, appartenenza etnica. E vent’anni fa, nel 2004, da Roger Scruton nel senso più lato di “oikofobia”, l’odio di sé della civiltà occidentale.

Rémy Brague può ora aggiornarlo (“Il Foglio” ,30 novembre) alla cancel culture o\e alla cultura woke di matrice americana, o anche alla “destrutturazione” francese del secondo Novecento, Foucault, Derrida, Bourdieu. Ma, più che ad attori\agenti determinati, precisa e insiste, a “un’atmosfera generale, dell’aria che respiriamo”. Di un pessimismo, o discredito, generale che è la chiave della percezione attuale. Dell’immigrazione come aggressione. Della storia dell’Occidente, come una serie di crimini. Dell’odio della religione. Delle istituzioni, compresa la famiglia. E fin della “legittimità dell’uomo nella sua esistenza concreta” (“secondo gli adepti dell’ecologia profonda, l’uomo è l’animale più pericoloso, un predatore universale…. Sarebbe più bello il pianeta senza uomini, diceva già Flaubert in una sua opera giovanile”).
Per misoneismo dunque (immigrazione)? O, al contrario, per desiderio di novità? Un’odio, si può aggiungere, nevrotico o rifiuto di sé, in contrasto con la situazione odierna, del never had it so good, mai stati così bene, nel reddito del più gran numero, nei consumi, l’alimentazione, la sanità, la durata della vita, nell’accumulo (proprietà), nell’autogestione. Donde, allora, l’ipercriticità? Dall’individualismo, secondo Brague, dalla percezione di sé come il tutto, ma senza sapere perché né come: “L’“odio verso sé” dell’uomo occidentale di oggi è un odio indiretto o, per meglio dire, per sostituzione. L’uomo dell’élite occidentale odia tutto ciò che viene da fuori e che lo determina. Ci sono determinazioni culturali come i genitori e l’ambiente sociale, il paese con la sua lingua, la sua cultura e la sua storia, ecc. Ci sono anche determinazioni naturali come il sesso o l’età, fino al fatto fondamentale di appartenere alla specie umana”.
 
Storia – “La storia vera è segreta”, Ronald Syme, il latinista del Novecento.
 
“Più si risale nel tempo e più numerose si fanno le menzogne” – detto cinese.
 
Verità – Il poeta René Char Char censiva “la perdita della verità, l’oppressione dell’ignominia artefatta che si nomina bene”, già nei “Fogli d’Ipnos”, i fogli della Resistenza.
 
La scienza non sa più verità del mito.
Ma alcune verità sono fatti, altre no.
 
Evola preparava una “Storia segreta delle società segrete”, a Vienna, dove le bombe lo resero cionco, con nome e documenti falsi, con i quali accedeva all’archivio segreto delle SS di tutti gli archivi segreti delle società esoteriche, massoniche, teosofiche. Ma la verità slitta.

zeulig@antiit.eu

Come spulcellare il figlio imbranato

Il titolo italiano richiama “Una fidanzata per papà” (l’originale è un anonimo “No hard feelings”, senza rancore), ma nulla del genere, della vecchia commediola di Vincent Minnelli. Una trentenne, un po’ svitata con problemi di lavoro e soldi, risponde all’avviso di una coppia che cerca compagnia per il figlio. Un diciottenne che deve andare all’università, ma è introverso e isolato, e i genitori temono che rischi il bullismo.
L’incontro darà vita a una serie di equivoci e imprevisti più o meno da ridere – e senza il lieto fine che s’immagina. Ma non particolarmente brillante, non nei tempi né nelle situazioni.
Jerzy Stupnitsky, Fidanzata in affitto
, Sky Cinema, Now

venerdì 3 gennaio 2025

L'ecobusiness è cinese

La Cina ha un vantaggio incolmabile nella produzione di auto elettriche, in termini di tecnologia (batterie di lunga durata al silicio, batterie con ricarica da 10 minuti) e di prezzo unitario sul mercato. Da qui la coraa ai dazi, in Europa e probabilmente negli Stati Uniti. E il rallentamento dei programmi europei e americani di transizione verde.
La Cina è anche il maggiore produttore di elettricità da fonti rinnovabili, oltre che il maggiore inquinatore del pianeta (dopo l’India) con le emissioni di CO2.
La Cina è il maggiore investitore in energia pulita (680 miliardi di dollari nel 2024).
Seguita dalla Ue (370 miliardi). Terzi gli Usa (300 miliardi). Ma non abbandona le fonti di energia fossili: il rapporto tra gli investimenti in energie pulite e in quelle fossili è attualmente di 10 a 1 in Europa e di 3,2 a 1 in Cina - di appena 1,4 a 1 negli Stati Uniti.

L’Europa alla canna del gas

Cresce – continua a crescere – il costo del gas per la guerra in Ucraina, e il caro energia per l’Europa. Insieme con la insicurezza degli approvvigionamenti.
Sono i due problemi che Mario Draghi individuava quattro mesi fa e poneva al centro del suo rapporto sul futuro della Ue. Da allora sono peggiorati, e non di poco.
Draghi valutava i costi europei dell’energia superiori di quattro-cinque volte rispetto a quelli americani. Questo divario è un fattore d’inflazione intrinseco che riduce la competitività europea. Ed è destinato ad aumentare con l’abbandono del gas russo e l’aumento delle forniture di gas liquefatto, più costoso – venduto dall’America principalmente.

Tutte le tonalità della malinconia

Malinconia a piena mani, dalla primissima scena, l’arrivo in uno stabilimento di talassoterapia in capo al mondo in Bretagna, davanti a un mare di scoglio che non è mare. Tutto in grigio, nelle varie tonalità, sempre spente. Entro un orizzonte indistinto, incolore come tutto il resto. Dove lei, che di lui ha memoria sempre viva benché ne sia stata abbandonata molti anni prima, lo rintraccia. E non per caso, per averlo sempre atteso. Poche ore di felicità, sempre malinconica, la festa si svolge in un centro per anziani, e poi di nuovo addii.Hors-saison, fuori stagione, è il titolo originale.
Un racconto che si vuole romantico. E in qualche misura ci riesce. Ma non per la figura di lui, che domina tutte le scene ma restando sempre lo stesso: un attore di cinema di successo che ha voluto tentare il teatro ma avvicinandosi il debutto è preso dal trac e s’inguatta in un centro benessere lontano dal mondo, insensibile agli appelli della moglie e del capocomico, e tale sempre rimane, uno che si guarda l’ombelico.
L’unico stimolo viene da Alba Rohrwacher. Che finalmente ha un ruolo complesso (robusto) – o tale lo rende lei: compagnona, innamorata e fallita, brillante, sentimentale e incattivita. Specie a fronte del protagonista, Guillaume Canet, che domina ogni scena, dal ghigno simpatico ma sempre uguale – un sorriso ebete, da “guardincielo” se fosse nel presepe.  00
Più che una storia un film di montaggio, delle scene più riuscite. Così abbiamo un monologo lungo, di cinque-dieci minuti, un’eternità al cinema, la lunga recitazione di un’anziana della casa di riposo, per l’estrema bravura dell’interprete, schermo fisso, sul suo volto. O dei due imitatori dei versi degli uccelli, Jean Boucault e Johnny Rasse.  
Stéphane Brizet,
Le occasioni dell’amore


giovedì 2 gennaio 2025

Problemi di base dubbiosi - 841

spock


Senza il dubbio non può esserci fede (il problema della fede)?
 
Senza il dubbio non c’è vertà?
 
Senza il dubbio non c’è coscienza?
 
Chi non dubita non capisce?
 
O si dubita per non vivere?
 
È il dubbio la matrice della scienza?


spock@antiit.eu

Il romanziere come analista politico

Per metà è la raccolta delle introduzioni scritte per una collezione dei suoi romanzi. Di poco interesse: l’anno, le condizioni di scrittura, il bisogno di lavorare, di guadagnare, i dubbi, i fallimenti, i successi a sorpresa. Poi vengono diari e ricostruzioni delle esperienze da reporter, nell’Austria occupata e nelle guerriglie anni 1950. Di interesse assoluto, come storie di un tempo dimenticato e che fu effettivamente “rivoluzionario”, in Malesia, in Indocina (Vietnam), in Kenya, a Cuba. Diari e ricordi confluiti anche questi in romanzi, ma qui raccontati o ripresi per sé, non legati a personaggi e situazioni da romanzo. Di una capacità di analisi, se i diari e gli appunti non sono ricostruiti, incredibilmente acuta. Compresa la violenza del “comunismo” (il sovietismo), anche se poi, nelle vicende dei suoi amici di Oxford acclarati spie di Mosca lo scrittore si esibirà filorusso.
Affascinante l’anamnesi indiscutibile della fine del colonialismo, a Dien Bien Phu nella primavera del 1954, contro la tattica attendista, di logoramento, del generale Giap, e l’anno successivo della rivolta Kikuyu nel Kenya. Altrettanto lo sono le riserve sulle “liberazioni” centroamericane, dei “Tonton Macoute” haitiani e altre bande sanguinarie. Accanto a Cuba castrista anche tra i bambini, sotto il regime corrotto e violento di Batista.
Sul Kenya c’è di più. Da una parte i settler, i coloni, che si ritengono kenyani e non più inglesi – così come sarà in Rhodesia-Zimbabwe e in Sud Africa. In Indocina, il futuro Vietnam, ci sono ancora le tante componenti poi cancellate dagli annali. La forza della chiesa cattolica, con un paio di vescovi-generali. Un paio di altri staterelli sincretico (astrologia compresa)-militari. La semplicità e dirittura dei francesi, amministratori e soldati - l’Europa con con cui G. Greene si sente in sintonia, avvertita e leale, anche nella sconfitta. Con le non impercettibili manovre americane per scalzare l’influenza francese. In Kenya l’estrema violenza dei Mau Mau, i rivoltosi, con bambini tagliati a metà e altre abominazioni. Di una etnia, tra l’altro, nemmeno dominante nel paese, solo più abile nei commerci. E l’estrema (naturale) religiosità dell’africano – quella che gli etnologi chiama(va)no animismo.
Con molti personaggi ed episodi che da soli fanno romanzo o racconto. Alexander Korda su tutti, il produttore cinematografico inglese di origine ungherese. Il vecchio compagno di molte malefatte a Oxford che Greene si ritrova governatore del Kenya. Monsieur Cachin, il direttore de “L’Humanité”, il quotidiano del partito Comunista francese, che mezzo partito a Varsavia si raduna a salutare alla partenza, alla scatetta dell’areo – il burocratismo comunista. I gurkha, soldati efficienti, mercenari con moglie e figli al seguito. Padre Pio visto da vicino, mentre dice messa, con le stimmate. Il successo in Francia patrocinato dal filosofo Maritain, e dopo la guerra dallo scrittore Mauriac (oggi dimenticato, all’epoca un’autorità), due eminenti intellettuali “cattolici”. Il “grande”, “grandissimo” poeta norvegese Nordhal Grieg. T.S. Eliot in privato. Il processo che Shirley Temple, nove anni, gli muove per diffamazione, per la recensione del film “Wee Willie Winkie” – una pochade ma non del tutto.
Più di tutto invita alla lettura il non detto. Che Greene spiega nella nota iniziale: “Quella parte di una vita di cui il giornalismo più è goloso resta fuori dallo scopo di questo libro”. Ma viene allusa, o se ne intravede, la trama. Di un marito e padre che non divorzierà mai ma non si occuperà della moglie e dei due figli, se non per i soldi. Che vive altre vite, con altre donne more uxorio, dapprima nella stessa Londra, poi ad Anacapri, poi ad Antibes. Ogni donna un luogo, di cui qui lascia solo la traccia topografica, e tuttavia ne fa risentire la sostanza. E soprattutto l’imbelvimento.
Di G. Greene il lettore ha l'immagine di un gentleman inglese vecchia maniera, nodo scappino o windsor, chioma ondulata chiara, occhi blu, mentre ha lunghe stagioni di alcolismo, e soprattutto di droga. Non propriamente, non da essere perduto, ma quanto basta per vivere da solo. I suoi lunghi giorni, in cinque inverni di fila, tra Hanoi e Saigon trascorrono in compagnia di una delle “bellissime vietnamite vestite di bianco”, che gli tiene in ordine la casa, quando torna dalle fumerie di oppio, dopo tre, cinque, sette “pipe”.

Una delle più interessanti narrazioni di G. Greene è una delle poche trascurate in traduzione - se ne è fatta solo una, alla prima pubblicazione della raccolta, nel 1980.
Graham Greene, Ways of Escape
, Vintage, pp. 309 €12

Vie di scampo, Mondadori, pp. 310 pp.vv.

mercoledì 1 gennaio 2025

Carter, che "liberò" il terrorismo islamico

Si apre l’anno con l’ennesimo eccidio jihadista, ancora in America. A poche ore dalla morte dell’ex presidente Carter. Di cui non si ricorda, ma fu il presidente che “liberò” il jihadismo. Insediando Khomeiny in Iran.
Il nome di Carter non viene associato al khomenismo, ma fu lui a crearlo. A “liberare” il fondamentalismo islamico. Cioè il terrorismo indiscriminato - anche kamikaze, con bombe a tempo, con eccidi nei luoghi affollati, scuole, mercati - fatto legge divina. Che dall’Iran ha travalicato nel mondo arabo, in varie sette, sciite e salafite-sunnite. In quarant’anni ormai di stragi, nel mondo islamico, specie in Algeria (con mezzo milione di morti, almeno), in Africa (Nigeria, Somalia e altrove), in Europa (Gran Bretagna, Spagna, Francia, Germania, Belgio) e negli Stati Uniti – qui con numerosissimi attentati sanguinari, anche se si ricorda solo quello incredibile dell’11 settembre 2001.
Sono stati i servizi segreti francesi a destabilizzare l’Iran. Recuperando in Iraq uno dei tanti ayatollah nemici della modernizzazione impressa all’Ira dallo scià, Ruhollah Khomeiny, e facendone in poche settimane, da una base in Francia vicino Parigi, con un sistema di videocassette giornalmente moltiplicate in milioni di esemplari e contrabbandate in Iran, e giornalieri discorsi diffusi accuratamente nei media, un capo rivoluzionario. Di una rivoluzione, secondo il Deuxième Bureau, “dei fiori”. Ma fu Carter a dare il via alla rivoluzione “dei fiori”, al vertice a quattro della Guadalupa a Capodanno del 1979, convocato da Giscard d’Estaing – un presidente francese che finirà ingloriosamente per traffici di diamanti con dittatori sanguinari africani – con Usa, Gran Bretagna e Germania Occidentale.
Gli Stati Uniti avevano con l’Iran un patto di mutua difesa, anticomunista-antisovietico (l’Iran, non si ricorda, ma è dai tempi del Grande Gioco di “Kim”, di Kipling, nella sfera d’interesse russa). M Carter, apostolo dei diritti umani (sarà per questo premio Nobel per la Pace nel 2002), decise che Khomeiny avrebbe assicurato i diritti politici e civili ai persiani, e mandò il suo capo di stato maggiore a comunicare allo scià che le manifestazioni di piazza organizzata dai neofiti khomeinisti (Khomeiny fu a lungo inviso alla maggior parte degli ayatollah, dei più colti e autorevoli :a Qom, una sorta di città santa dello sciismo, non poteva mettere piede) non andavano confrontate, e che anzi doveva abbandonare il paese.
Il resto è noto. Il primo gesto di Khomeiny al potere fu un atto di terrorismo con gli Stati Uniti: l’occupazione dell’ambasciata americana, e la detenzione in ostaggio, per quindici mesi, dei 52 dipendenti che vi si trovavano. Seguirono lunghi mesi di trattative a nessun fine – solo a esporre la debolezza americana. Carter, l’uomo di pace, spinse Saddam Hussein alla guerra contro l’Iran, ma a nessun esito. Tentò allora un attacco da giallo d’azione, con un commando di liberatori che dovevano atterrare al centro di Teheran in elicottero, prendere d’assalto la prigione (sconosciuta) degli ostaggi, e liberarli. Gli elicotteri si insabbiarono, Carter perse  le elezioni a vantaggio di un attore di poco conto, Ronald Reagan, e Khomeiny fece festeggiare a Teheran la sua sconfitta cone una sua, ennesima, vittoria.
La liberazione degli ostaggi comporterà per Reagan un tortuoso giro di forniture di armi, al nemico (ormai) Iran. In due mandate. Di cui la seconda divenne uno scandalo, all’epoca molto famoso (ci pensava Mosca, all’epoca ancora in controllo del “comunismo” nel mondo), denominato “Irangate” o “Iran contra”: Khomeiny aveva rilanciato nel 1984 la presa di ostaggi americani, sette persone di varia statura politica, questa volta in Libano, tramite le sue milizie Hezbollah, per la liberazione dei quali pretese una fornitura militare, che pagò (Reagan si servì del ricavato per comprare segretamente armi ai Contras, la guerriglia di opposizione al governo sandinista-marxista in Nicaragua”).
Ps. Nel 1982-1983 furono i bersaglieri (truppe corazzate), mandati da Spadolini, a salvare la faccia a Reagan e ai Marines. Allo schieramento occidentale a protezione del Libano dall’Olp. Il 18 aprile 1983
un attentato suicida Hezbollah a Beirut, all’ambasciata americana, aveva fatto 63 morti:  alcuni passanti e una cinqnuantina di addetti all’ambasciata, compresi agenti della Cia e Marines di guardia.

Cronache dell’altro mondo – giudiziarie (318)

Il processo a Trump per l’hush money pagata all’attrice porno “Stormy Daniels” è ancora in piedi – la somma pagata su ricatto della pornoattrice – e il giudice deve decidere presto, prima dell’Inauguration Day (il 20 gennaio p.v., n.d.r.) se condannarlo, oppure abbandonare il caso” – con il presidente in carica” (“The Washington Post”).
È il processo intentato per il pagamento brevi manu da Trump su ricatto della pornoattrice all prima candidatura di Trump alla presidenza, nel 2016. Il giudice federale dello stato di New York Juan Manuel Merchan, nato in Colombia, naturalizzato americano, lo ha rinviato a giudizio (lo ha fatto rinviare a giudizio da una giuria) con 34 capi d’accusa.
Il “Washington Post” ha una rubrica domenicale – ce l’aveva e ce l’ha ancora, si vede che è molto letta – “The Trump Trials”. Tenuta da Perry Stein, la cronista giudiziaria “e dell’Fbi” del quotidiano. Nella quale non c’è mai la menzione che che i procuratori e i giudici di Trump, a New York, in Georgia e altrove, sono nominati o eletti dal partito Democratico (anche i familiari del giudice Merchan lavorano per il partito Democratico). Come se i processi fossero un atto di giustizia e non politico.
Si capisce che i media Usa siano (ancora) sorpresi dalla vittoria elettorale dell’improbabile Trump. Ma dove sta il “mucchio selvaggio” della questione, i cacciatori di taglie? Non sarà un trucco pee rendere Trump simpatico anche ai disappetenti?

Il bello del vampiro

La vecchia storia del vampirismo, del conte Dracula-Nosferatu che si alimenta del sangue ogni notte delle sue vittime, storicizzata tra Germania e Transilvania, con una trama normale e avventurosa. Una giovane coppia tedesca di tranquille abitudini, un agente immobiliare e la sua giovane moglie, siamo a inizio Ottocento, entra nel cerchio demoniaco quando lui è incaricato di vendere un vecchio castello sui monti Carpazi in Transilvania.  
Un remake del classico del cinema muto “Nosferatu il vampiro”, cent’anni dopo. Ricco di facce note di attori, Willem Dafoe, Bill Skarsgård, Lily Rose-Depp, Nicholas Hoult et al..E del paesaggio da sogno della Transilvania. Che risollevano il film dalla serie B cui il genere si confina, degli incubi.
Robert Eggers,
Nosferatu

martedì 31 dicembre 2024

Ombre - 752

Si celebra in morte il presidente Carter come uomo di pace, premio Nobel, e dei diritti umani e civili. Dimenticando che fu lui a consegnare Teheran a Khomeiny, dichiarando nulli gli accordi di protezione militare con lo scia - interinando balordamente lo sgambetto francese agli stessi Usa, col build-up propagandistico di Khomeiny in un rifugio presso Parigi. Avviava il radicalismo islamico, e il terrorismo. Inaugurato con la presa in ostaggio degli americani in ambasciata. Una eredità terrificante. Khomeiny fece celebrare la sua sconfitta contro il signor Nessuno Reagan come una sua vittoria.


Si moltiplicano ormai da due mesi, con periodicità quotidiana, le paginate su “Trump farà questo” e “Trump farà quello”. Mentre non ha fatto e non può fare nulla, se non indicare i suoi futuri ministri (che poi cambia). Non ha messo dazi, non ha espulso immigrati, non ha disarmato l’Ucraina – e si dedica all’unica cosa che non viene anticipata, ricucire con la Cina.
Non c’è nient’altro da dire? No, è che Trump è stato votato, e la cosa non va giù ai “democratici” – l’America non si può nemmeno dirla fascista, come l’Italia di Meloni.
 
La Cassazione non può non dare ragione al governo, che solo può dichiarare un paese “sicuro” o non “sicuro” per i suoi cittadini - per i suoi propri cittadini. In base a criteri prestabiliti dal diritto internazionale. Lasciando però la valutazione ultima alla Corte di Giustizia Europea, cioè al “mai”.
Si dice che i giudici sono onesti ma in realtà sono solo furbi – alcuni sono più furbi, sta tutta qui la loro onestà.
 
C’è di fatto molta “destra” nella sinistra politica per quanto riguarda l’immigrazione. Che non vuole libera di fatto, cioè attraverso i canali legali, a poco prezzo. La vuole selvaggia, cioè in mano ai trafficanti. A costi usurari e a rischio della vita. Come se fosse naturale e anche giusto che alcune migliaia ogni anno, anche bambini, ci lascino la pelle.
 
Djokovic e Kyrgios che speculano sulla denuncia di Sinner alla Wada, sapendo che non c’è alcun dopaggio – un miliardesimo di grammo, di un dopante, closterbol, che agisce solo in dosi massicce ripetute – non sono squallidi, non sono invidiosi. Ma deprimenti uguale, confermando che lo sport è solo una macchina da soldi. Con Sinner squalificato Djokovic ritorna il n.1 e Kyrghios può scalare le quotazioni, nei tornei e alle comparsate negli speciali tv: tutto qui.
 
Il centravanti Kean, regalato per 15 milioni alla Fiorentina dalla Juventus, che è rimasto con un solo centravanti per 50-60 partite, è il capocannoniere della stagione, 15 reti, e domenica ha fatto perdere da solo alla sua ex squadra due punti - e forse la partecipazione alla prossima Champions League. Commisso, il patron della Fiorentina, spiegava qualche tempo fa al “Financial Times” la sua grande sorpresa: la serie A spende il 70-80 delle entrate in ingaggi, fattura trasferimenti abnormi, sui 6 miliardi a stagione, su di essi paga il dieci per cento agli agenti che li muovono, e paga perfino la dual representation - di agenti che si fanno pagare una percentuale doppia, dal venditore e dall’acquirente. Sono i direttori sportivi stupidi? Questo sicuramente no.
 
Escono i giornali il 27, dopo due giorni di astinenza. Ci sono state due morti di nome, Walter Pedullà, letterato, e Gian Paolo Ormezzano, giornalista sportivo. Ormezzano ha la prima pagina. Per Pedullà, coscienza critica di mezzo secolo, il ricordo, non esteso, di qualche critico sopravvissuto.  La cultura è nel palone.
 
Vertice straordinario, in Finlandia, terra di Babbo Natale, in un rifugio polare, in cui due governi di sinistra (insomma, di centro-sinistra), Svezia e Finlandia, invitano due governi di destra (insomma, centro-destra), la raffreddatissima Meloni e l’apollineo greco Mitsotakis. Su temi un po’ generici – si sono capiti poco. Ma di grande novità: di Nord e Sud uniti nella lotta più che di sinistra e destra.
In estate il mini-vertice si rifarà nel Mediterraneo? Poi si dice che l’Europa non serve.
 
La sentenza del Riesame era attesa per il 17, e niente. Due settimane dopo ancora niente. Niente arresti per il giudice Laudati e l’ufficiale di Finanza Striano, gli spioni della Direzione Nazionale Antimafia, da parte del Riesame, dopo il no del(la) gip? Di fatto, è così. Si vede che non sanno come fare, ma col rinvio è come se avessero detto no, gli imputati sono liberi di complottare la difesa. Non è che i giudici sono disarmati, per esempio di fronte alla mafia. Loro sanno come fare.


Rifacciamo le elezioni in Romania e ci proviamo anche in Georgia. Non hanno votato come volevamo noi, e quindi ora faremo elezioni libere - di votare come gli diciamo noi. Sembra ridicolo ma è peggio: non finisce solo un brutto anno per la Ue, finisce una certa idea di Europa - sembra quella di prima della Grande Guerra, presuntuosa (dominatrice del mondo) e sciocca.

Bob Marley, chi era costui

Un po’ di rastafarianesimo, che non fu soltanto grandi cascate di broccoli - una derivazione del “garveysmo”, il primo confuso nazionalismo africano degli afro-americani, Molte parole. Moltissimo “fumo”. Poco reggae.
Sullo sfondo anche una Giamaica che valeva più di un film. Sull’orlo di diventare mezzo secolo fa, all’indipendenza, un’altra Haiti, di tutti contro tutti. Ma questo Marley è preso quando prova a troncare la guerra civile con un concerto gratuito, ne viene impedito da una gang che lo aggredisce a pistolettate, si ritrova in Europa. In Belgio, Olanda, Danimarca, Germania Federale, Parigi, Londra (non in Italia negli stadi, al Comunale di Torino e a San Siro, stipati in ogni centimetro, al “riscaldamento” Pino Daniele….…). Continua a parlare molto, si riunisce con la moglie vocalist, da cui si era allontanato, ritorna in Giamaica, e poco dopo muore, di cancro.
Ci sono anche, ricorrenti, le immagini di Bob bambino abbandonato, di padre bianco: emerge da un bosco in fiamme, a volte salvato da una figura slanciata sul cavallo, e sullo stesso cavallo un giorno il padre che abbandona la madre. Ma neanche il bimbo abbandonato fa storia.
Come un’occasione mancata – un racconto di progetti di racconti.
Reinaldo Marcus Green, Bob Marley (One Love)
, Sky Cinema, Now

lunedì 30 dicembre 2024

Sono gli Usa la nuova Arabia Saudita (e la Russia) – 2

Dieci anni fa, nel 2014, la produzione petrolifera americana superava quella della Russia, e quella dell’Arabia Saudita, fino ad allora i due maggiori produttori mondiali. Nel decennio successivo gli Stati Uniti si sono confermati la prima potenza mondiale del petrolio e del gas, sia come riserve, sia come produzione – e per il naturale come esportazione.
Tra il 2010 e il 2023 la quota americana sulla produzione mondiale do greggio è raddoppiata, dal 7,3 al 15,6 per cento. La quota nel mercato degli idrocarburi (greggio più gas) è diventata ancora più importante, passando dal 9,1 al 20,1 per cento.
È il gas naturale che ha fatto degli Stati Uniti, tradizionalmente importatore netto di idrocarburi (compreso il gas, dal Canada), uno dei maggiori esportatori nel mercato mondiale. Nel mercato del gas naturale liquefatto (lng) la quota americana è arrivata in pochi anni a coprirne  un quarto, il 25,5 per cento nel 2023.
Un balzo prodigioso: dieci anni prima l’export americano di lng era insignificante, e frontaliero – in una partita di dare e avere col Canada. Nel 2023 ha ammontato a 114,4 miliardi di mc, oltre un quinto dell’export mondiale globale, il 21 per cento – primo esportatore, avendo superato di botto Qatar e Australia.

Giallo suicida

Il giallo è come dice il titolo: si parte da un suicidio. Commesso in una ricca dimora prospiciente il Central Park a New York. Il padrone di casa, un imprenditore, si incarica di sbrogliare la matassa retrospettiva che ha portato lo sconosciuto al suicidio, a casa sua.
Un giallo a ritroso: dato il delitto (qui non propriamente, trattandosi di un suicidio - dato il morto), scoprire perché e come ci si arriva. Un procedimento non inconsueto, anzi forse quello prevalente del gialo, il whodunit, di chi la colpa. Questo si segnala per la complessità – l’ingegnosità – del ghiommero, senza essere pretestuosa o elucubrata.  
Un giallo del 1949, prima pubblicazione in America. Di autore ignoto, a parte il nome - dato per morto in giovane età, per alcolismo, autore di due soli gialli, questo e “Qualcuno alla porta”.
Una riedizione da amatori di una ripresa, voluta da Sciascia, pubblicata da Sellerio nel 1990, qualche mese dopo la sua morte – successivamente ripresa in allegato a “L’Unità”. Con la nota di Sciascia sull’incredibile vicenda dell’autore e del libro. Letto in treno in un vecchio giallo Mondadori, regalato a Guttuso, che poi l’ha buttato via, e di recupero difficilissimo: niente più copie presso Mondadori, niente dall’editore americano, niente copyright (il testo fu recuperato alla Library del Congresso).
Geoffrey Holiday Hall, La fine è nota
, Sellerio, pp. 256 ril. €10

domenica 29 dicembre 2024

Sono gli Usa la nuova Arabia Saudita (e la Russia)

Da sempre importatori netti di petrolio, gli Stati Uniti sono diventati in questi pochi anni 2020 esportatori netti, di petrolio e di gas, per lo più in forma liquefatta - cone esportatori di lng (liquefiad natural gas) sono sono diventati il maggior fornitore dell’Europa in questi anni 2020, in particolare della Spagna e dell’Italia, coprendo circa la metà del fabbisogno europeo.
Per le forniture europee di gas gli Stati Uniti hanno soppiantato la Russia. E sono in crescita come esportatori di petrolio e prodotti petroliferi nel mercato internazionale, in concorrenza con la penisola arabica.
Da tempo in posizione attendista sulla transizione verde, hanno sviluppato negli anni 2000, a partire dalla seconda presidenza Obama, e più ancora con la presidenza Biden, l’industria petrolifera nazionale. Liberalizzando i permessi di ricerca. In particolare per la produzione di shale oil e shale gas, petrolio e gas “non convenzionali”, cioè non di origine minerale (giacimenti), ma prodotti attraverso un processo industriale complesso (fortemente inquinante) di pirolisi e idrogenazione, o dissoluzione termica, su rocce di scisto bituminoso. Un processo termico che converte il cherogene, la materia organica all’interno dello scisto, in petrolio e gas sintetico.
A lungo osteggiati per l’impatto inquinante, gli scisti bituminosi sono diventati campo d’investimento privilegiato, e indirettamente anche sovvenzionato, a motivo della “sicurezza nazionale”.

Puccini regista all’opera

Partendo dalla fine della casa Ricordi, acquisita nel 1994 da Bertelsmann giusto per i (residui) ricavi da diritti d’autore, l’eminente musicologo americano, specialista dell’opera italiana, parte dalla constatazione che il nuovo editore ha “quasi del tutto bloccato la pubblicazione della musica contemporanea”. Mentre Giulio Ricordi, pur non sottovalutando gli “interessi comerciali”, “fu capace di addossarsi i fallimenti e i successi parziali del giovane Giacomo Puccini negli anni 1880 perché credeva nel compositore”. E di fiducia “il giovane Piccini aveva molto bisogno”.
La seconda osservazione nasce da una scoperta. Cinquant’anni fa, venendo a spirare i diritti d’autore delle tre opere pucciniane più eseguite, “Bohème”, “Tosca” e “Madame Butterfly”, la casa Ricordi aveva provato a rientrare nell’affare con le edizioni critiche. E Gossett fu richiesto di rieditare “Madame Butterfly”. Scoprì nell’occasione che il modo di comporre l’opera era radicalmente cambiato con Puccini: “«Madame Butterfly»… va vista come il prodotto di una varietà di collaboratori. Diversamente dalle opere italiane da Rossini fino all’Aida di Verdi (1971), per le quali il manoscritto nella calligrafia del compositore rimane la nostra fonte migliore”, l’elaborazione dell’opera pucciniana è composita: sotto “la supervisione di Puccini, redattori, librettisti, maestri e altri collaboratori contribuirono a portare il lavoro in stampa”. Gossett non lo dice, ma spiega che la creazione di un’opera era come oggi fare un film, con un regista e molti tecnici.
Una serie ghiotta di osservazione di questo metodo composito di composizione segue, di Gossett e dei tre scrittori che recensisce, Michele Girardi, Julian Budden e Mary Jane Phillips-Matz.
Per il Centenario la rivista ripropone un saggio di vent’anni fa, in forma di recensione delle prime biografie “critiche” di Puccini.
Philip Gossett, The Case for Puccini
, “New York Review of Books”, free online