martedì 4 febbraio 2025
Parla forte, ma senza bastone – e punta al Nobel
Puntare grosso per ottenere un minimo viene giudicata alla Farnesina la divisa del Trump II – come lo è stata nel Trump I. Di Trump si dice e si scrive il contrario, ma anche questo avvio di presidenza è tonitruante e mite, a parere di chi ha confidenza con gli affari diplomatici.
Famiglia in un interno, borghese, solido
Rebecca, la figlia tanto attesa che nasce
con una voglia vistosa sulla guancia, porta la madre già scossa all’isolamento
e alla depressione, per lunghi anni. Tensioni anche drammatiche si succedono. Entro
una cornice di “normalità”, ora spregiata ma imprescindibile, in famiglia, a scuola,
in città, al lavoro, seppure in professioni di eccellenza, medica e musicale.
Un dramma – uno dei tanti – familiare.
Nella storia principale, della bambina con la voglia, e in quella della sua
compagna di banco a scuola, dove il padre è un violento. Ma un racconto
efettivamente borghese, senza l’ansia cioè dell’anti-borghesismo o dell’anti-familismo
ora d’obbligo: Giordana è un grande narratore. Anche nella sagomatura dell’ambiente
esterno, la provincia veneta, anzi specificamente Vicenza – che curiosamente è sempre
ancora quella di Parise.
Una regia dietro le quinte, con recitazioni
tutte in carattere: Valentina Bellé la madre, Paolo Pierobon il padre, Sonia
Bergamasco la pianista, sorella del padre e vice-mamma, sulle cui tracce si
indirizzerà la bambina “talento naturale” (premiata a Valencia, al festival che
a fine novembre si è comunque tenuto dopo l’eccidio dell’alluvione), e
sopattutto le tre Rebbecca, a sei, dieci e diciott’anni, Viola Basso, Sara Ciocca
e Beatrice Barison.
Marco Tullio Giordana, La vita accanto,
Sky Cinema, Now
lunedì 3 febbraio 2025
Eurexit
Perché l’Italia è
diventata poco competitiva? “Per il costo dell’energia. L’energia elettrica costa
l’82 per cento in più rispetto alla Francia, il 78 per cento in più rispetto
alla Spagna, il 38 per cento in più rispetto alla Germania. Per quanto riguarda
il gas: 7,4 euro al mwh negli Usa, 34,4 in Europa e oltre 36,3 in Italia”. Per
la transione verde. Mentre altrove il nucleare di prima generazione è ancora prospero, e anche il carbone - la Spagna è un caso
a parte: lontana dalla Russia, si è sintonizzata da tempo sul gas liquido Usa, e non ha risentito della
guerra, delle sanzioni.
Il costo dell’energia
pesa ma è solo uno dei tanti fattori di dipendenza e di minorazione dell’Italia
nell’Unione Europea così come è stata organizzata. Dopo il primo momento di europeismo
entusiasta egualitario, alla Spinelli, con l’iniziativa decisiva dell’Italia, a
fronte della Germania divisa e quindi incerta, e della Franca gollista, cioè
scettica, negli anni negli anni 1950.
A fronte del costo
dell’energia lamentato dal presidente di Confindustria Lombardia, sullo stesso
giornale Dario Di Vico riafferma il solito “Tutti a Bruxelles”, o “l’illusione
perduta di poter fare da soli”. Il che è
vero, ma solo per la fine: in economia è come in politica, non si può fare da soli.
Resta però il problema: con chi e come accompagnarsi? Mentre “l’illusione perduta”
è con ogni evidenza l’Europa, l’Unione.
È facile dire che
l’Italia “non può” fare a meno della Ue. Nessun può fare a meno di nessuno. Ma
quanto è conveniente? E forse – forse – quanto non è più conveniente non farne
parte?
La domanda è un’eresia.
Sembra un’eresia prima ancora che un’impossibilità, una stupidaggine, ma l’esperienza
va tutta in quel senso dopo i primi vagiti dell’Unione. Dopo i primissimi, già
la politica agricola dissipava decenni di fantasie e ideali. L’Unione è
soltanto di Francia e Germania, i due
paesi la cui storia e la cui economia sono le meno europeiste e le più nazionaliste,
e tali hanno continuato a essere. Ne è esempio perfino incredibile il mercantilismo
del lungo cancellierato Merkel, l’unica bussola di una che emergeva adulta dal
niente e quindi non era cresciuta con la paura come la Germania di Bonn con i russi
a Berlino, che per questo si attaccava all’Italia (alla Nato e al Pci….) e al
cosiddetto “Occidente” – altro fantasma. Anche oggi, la crisi Ue è la crisi politica
di Francia e Germania, aggravata in Germania da quella economica.
È per questo che i
Conservatori britannici, che avevano portoiato la Gran Bretagna nell’Unione nel
1973, contro la volontà della Francia, l’hanno portata fuori cinque ani fa:
perché la Gran Bretagna non contava nulla. Il “Financial Times”, che aveva
aperto un’edizione tedesca sulle ali dell’entusiasmo europeista, presto ha dovuto
chiuderla, dopo il ritorno della Germania a Berlino. Anche l’Italia, paese “fondatore”,
non ha mai contato nulla, neanche quando aveva a Bruxelles persone di spessore,
Mario Monti, Romano Prodi. Ma l’Italia, si sa, è conservatrice, e preferisce tenersi
il poco – tutti europeisti, gli italiani, perfino l’anarchica Salis siede a
Bruxelles beata.
L’esperienza aziendale
dice che è possibile fare tutto con la finanza e l’industria americane, su piede
di parità, niente con gli analoghi francesi o tedeschi, se non per compiacerli.
È come per la difesa, che l’Europa non sa darsi da cinquanta anni ormai, o sessanta.
Le forze armate italiane hanno collaborato e collaborano attivamente, anche
troppo, con gli americani, in Libano come in Somalia cinquant’anni fa, e ovunque
in Medio Oriente nel Millennio. Ma non potrebbero mai fare niente accanto ai
francesi, neanche un pattugliamento – per esempio, non molto tempo fa, nel
Sahel, il primo frangiflutti contro l’immigrazione di massa. Non si possono nemmeno
fare investimenti in Francia e in Germania, se non a piacimento dei governi nazionali,
mentre l’inverso deve essere possibile e fattibile. L’Italia non si
oppone, e se volesse non lo potrebbe, all’acquisto di banche da parte di banche
francesi, mentre l’inverso non è stato possibile (Société Générale e altre
minori). Nessuna acquisizione italiana è stata possibile ni Germania, Continental,
Opel, ora Commerzbank. Si cita sempre in contrario la HypoVereinsbank di Monaco
vent’anni fa, ma Unicredit operava allora il salvataggio di una banca
tecnicamente fallita, nel quadro di un accordo fra potentati “popolari”, la Csu
bavarese e Berlusconi, in una Germania in crisi da quasi un quinquennio, con
cinque milioni di disoccupati - veri. E del resto la Germania si occupa poco dell’Italia:
qualche decennio fa, prima della riunificazione, ancora con la Repubblica
Federale di Bonn aggrappata politicamente al Bel Paese, a un’indagine sugli
investimenti stranieri la piccola Svezia sopravanzava largamente la Germania.
Per quanto
riguarda la politica è presto detto: non c’è mai stata sintonia francese con i
governi italiani, basti ricordare la sufficienza del socialista Mitterrand nei
riguardi del socialista Craxi, e il parallelo, patrocinante ma beffardo,
apprezzamento del celebrato “eurocomunismo” berlingueriano. O del cancelliere
socialista Schmidt. Craxi, di cui ora si rivaluta la politica estera, non
andava mai a Bruxelles e parlava di più, molto di più, con Reagan e gli altri
americani con i quali era quasi venuto alle mani. I presidenti tedeschi vengono
spesso a Roma ma perché non hanno nulla da fare. I cancellieri ci vengono ogni
tanto, per l’aria, Adenauer a Cadenabbia, Schröder al Conero, o per le acque, Merkel
a Ischia, ma niente di più - Merkel che è stata la governante più “mercantilista”
che si ricodi dell’Unione, cioè nazionalista, per gli interessi economici
nazionali, nella crisi del debito, nei rapporti con la Russia, in quelli con la
Cina. Kohl ha avuto un po’ di patrocinante vicinanza “popolare” con la Dc in fase
di disgregazione, e basta.
Oggi che l’incontestato,
anzi plaudito, Piano Draghi è lettera morta, l’autodissoluzione della Ue è
evidente. Fa la guerra e non sa darsi una difesa – non se la darà mai, neanche
quando Trump leverà l’ombrello americano. È attorniata da guerre nel Mediterraneo,
Libia, Siria, Palestina, mar Rosso, ma non sa dove e cosa è il Mediterraneo, e
nessuna intenzione d’imparar e. Dovrebbe diventare una grande piazza finanziaria,
attirare col debito comune gli investimenti dei ricconi e riccastri del pianeta –
mai ce ne n’è stati così tanti, fondi, fiduciarie, finanziarie, in ricerca avida di piazzamenti – e finanziare
così il rinnovamento industriale, ma non ci vede e non ci sente. Parliamo
sempre dell’Europa franco-tedesca, di due tombe politiche, senza mai una visione di insieme, e da tempo senza forza politica (minacciano ora Trump e gli Usa, ma forse per ridere). L’inerzia è proprio migliore
della dissoluzione?
Cronache dell’altro mondo – educative (324)
“Le scuole private
sono diventate proprio oscene. Le scuole di élite alimentano le pretese, consolidano
le ineguaglianze, e pretendono di essere motori di mutamento sociale”.
“Come l’Ivy League
ha distrutto l’America. La meritocrazia non funziona” – Ivy League è
terminologia sportiva che identifica otto università del Nord-Est di antica
tradizione: Brown, Columbia, Cornell, Dartmouth, Harvard, Princeton,
Pennsylvania, Yale, n.d.r.).
“Gli studenti delle
università ’élite che non possono leggere libri – per leggere un libro all’università
bisogna aver letto un libro al liceo”.
“Come la vita è
diventata un’interminabile, terribile competizione. La meritocrazia privilegia il
risultato su ogni altra cosa, rendendo tutti - perfino i ricchi – insoddisfatti e
infelici!”.
“Perché bisogna
preoccuparsi di queste dodici università: cambia queste e cambi l’America” (l’Ivy
League propriamente detta, più quattro aggiuntive: Stanford, le due di Chicago
- Northwestern e Chicago - e l’Mit, n.d.r.).
(The Atlantic”).
Ritorno a “Grand Hotel”, il fotoromanzo
Curiosa evoluzione della serie,
pure tratta dai racconti “veloci”, sapidi, di De Giovanni, verso “Grand Hotel”.
Che non si ricorda, ma era il genere fotoromanzo. Nei temi (amori contrastati per lo più, o indecisi,
problemi madre-figlia, i belli-brutti e i brutti-belli, e qualche maternità,
impossibile o non voluta). Ma più ancora nel linguaggio – dialoghi come
didascalie. E nelle stesse immagini: tagli, colori, inquadrature.
Ma non solo di “Mina Settembre”,
a ripensarci. Altre serie Rai 1 rasentano qesto richiamo. “Un passo dal cielo”
è solo un po’ più complicato come trame (e comunque è favorito dagli scenari),
ma il fondo è sempre quello. O le prime serie di “Lolita Lobosco”.
È una questione di domanda o di offerta
(pubblicità) - un passo indietro del pubblico, oppure della Rai?
Tiziana Aristarco, Mina Settembre,
Rai 1
domenica 2 febbraio 2025
Almasri, tre gialli in uno – anzi quattro
C’è in questa vicenda Almasri
un fatto eccezionale, da film d’azione, che stranamente si trascura. Che la Questura
di Torino, di notte, all’uscita dallo stadio di Juventus-Milan, ferma per caso,
per un controllo di routine, tra le migliaia di macchine che defluiscono, una
di libici. E al controllo dei documenti risulta che uno di loro è ricercato.
In alternativa un’altra
narrazione, altrettanto fantastica. La Questura di Torino a tarda notte fa
irruzione nell’albergo dove Almasri alloggia, con un passaporto caraibico, e lo
arresta. Per virtù dello Spirito Santo? Ma sceneggiare l’albergo circondato, l’irruzione,
gli altri ospiti al piano, non è fantastico?
E poi c’è la Cote dell’Aja,
quella che vuole Putin e Netanyahu all’ergastolo, che lascia Almasri a
passeggiare per mezza Europa, Inghilterra, Francia, Belgio, Germania, e appena
varca le Alpi zàcchete, con gli esecutori volenterosi di Torino, cioè con i
servizi italiani, lo afferra.
Magari con lo zampino della
Francia – un pizzo di spy story non guasta. La quale già rumoreggiava
contro il riavvicinamento della Libia all’Italia – troppo pochi sbarchi. E
Macron con l’Italia è piuttosto sbrigativo, come già Sarkozy nel 2011 – con grande
successo allora, il disastro per l’Italia. E con un pizzico di storia, in chiave
naturalmente di antifascismo: Mussolini pagato dalla Francia per far entrare l’Italia
in guerra nel 1914-1915. Qui però si porrebbe un problema: Mussolini si faceva
pagare, Li Gotti, Lo Voi e la sinistra marciano gratis?
Questa si potrebbe dribblare:
sono i servizi italiani a essere venduti alla Francia, cioè a farsi pagare,
come Mussolini. Oppure sono semplicemente inutili – non è già successo nel 2011?
Ombre - 758
Unicredit è dunque anche in Generali. Che può essere un mero investimento, Generali è sicura e generosa con gli azionisti. Ma, bizzarria del caso?, il gruppo triestino è stato, nella vicenda a lungo travagliata di Commerzbank, uno dei possibili salvatori, se non il solo, una ventina di anni fa.
Governo di destra anche
in Belgio. Ci sono voluti sei mesi per formarlo dopo il voto di giugno, ma solo
per tenerne fuori l’estrema destra, per di più separatista fiamminga, secondo partito
al voto. Si completa lo scivolamento a destra del cuore dell’Europa, Italia,
Olanda, Austria, Francia, Svezia, Finlandia. con la Germania che tutto dice
seguirà il 23 p.v. Per disposizione personale, senza regimi al comando.
”Piazza Affari, utili giù
di 14,6 miliardi. Solo da Stellantis 12 miliardi in meno” – “Il Sole 24 Ore”. E
la produzione industriale in costante calo da quasi due anni? Stellantis costa caro
all’Italia. Carissimo.
Ineffabile il ministro
del Tesoro Giorgetti, vecchia volpe Dc in petto, solo “rovesciato”,
come il vecchio montone, “qui lo nego e qui lo dico”: “Mps-Mediobanca non è una
guerra Roma-Milano . La dimensione di quelle banche è internazionale”. Come no,
Mps è ovunque – soprattutto tra i risparmiatori,
giorno e notte.
Ma Mps è solo un’occasione:
il ministro vuole mettere in guardia Unicredit, l’ad Orcel che continua a snobbarlo.
Inopinato dà infatti ragione al vicecancelliere tedesco che chiede un intervento
del Tesoro italiano contro Unicredit. A un vicecancelliere talmente competente
che rischia di affondare il suo partito al voto domenica 23 – dal quasi il 15
per cento a meno del 5. Chi si somiglia si piglia? Ma, certo Giorgetti va sul
sicuro, in Italia non c’è lo sbarramento elettorale.
Giorgetti rivendica il
successo politico del governo di dui è parte: “Il governo Meloni sarà ricordato
per avere ridato fiducia e speranza aa un paese abituato a essere considerato la
pecora nera. Invece questo è un grande paese, con grandi potenzialità”. Lo
stesso si disse di Craxi, e si sa come è andata a finire, nella morsa giornali-giudici.
Che non è una cosa ovvia o naturale.
Sgambetto di Merkel al
suo successore alla Cdu\Cdu, o il solito gioco delle parti fra correnti
democristiani (popolari)? Il successore Merz ha fatto passare la mozione restringi-immigrazione
coi voti della destra, Alternative fùr Deutschland, Merkel non ha consentito
che la mozione diventasse legge. Merz ha mostrato agli elettori che farà il duro
con gli immigrati illegali, ma senza impegnare il suo partito a un’alleanza con
la destra – deve rubare voti a Afd e sperare che Liberali e Verdi superino il 5
per cento.
In Italia il giochetto
“democristiano” è presentato come uno sgambetto di Merkel a Merz. Solo in Italia.
Con ammirazione per Merkel. La quale ha sgambettato il suo predecessore e padre
politico Kohl, e ora sgambetterebbe il successore. Molta ammirazione, solo in Italia,
soprattutto a sinistra, per questo tipo di politica, “machiavellica”.o
Il governo decide che
sulla sicurezza dei paesi d’origine degli immigrati (ai fini del riconoscimento
del diritto d’asilo) è competente la Corte d’Appello. E allora il presidente della
Corte d’Appello Meliadò chiama alla speciale sezione le quattro giudici che già
si erano pronunciate contro il governo – tutti paesi insicuri, loro ne sanno di
più. La questione immigrati è seria, ma ci sarebbe tutto da ridere – le giudici
si divertono moltissimo, nelle foto che postano.
Marina Terragni, proto e toto
femminista, che sa anche di che parla quando parla di diritti, sull’utero in affitto, la prostituzione, la
“transizione” indotta, è il bersaglio non solo del Mit, Movimento identità
trans, ma anche della “sua” Libreria delle donne. È sempre Milano, città sempre
ultrà – ma, poi, Marina è ben milanese. Ma più che altro è fanatismo – a
essere sempre più all’estrema non si sbaglia mai.
Singolare retroscena di “la Repubblica” sul caso Lo Voi-Meloni, affidato
a due cronisti principe del giornale, Ciriaco e Foschini,
https://www.repubblica.it/politica/2025/01/31/news/governo_contro_lo_voi_macchina_fango_almasri-423971995/
che per dare ragione a Lo
Voi spiega finalmente come e perché potrebbe essere lui l’incriminato – al Csm
naturalmente, e cioè al peggio diventare Procuratore Generale: i voli di Stato
per il week-end, con un primo tentativo di ritorsione spiando Caputi, il capo di
gabinetto a palazzo Chigi di Meloni, il secondo attraverso la vecchia
conoscenza Li Gotti.
È impressionante la
difesa che la i giornali per bene fano del Procuratore Lo Voi, che con l’amico
Li Gotti denunciano Meloni per essersi liberata di Almasri, persona non grata. Usava
l’aereo di Stato per i fine settimana, ma per ragioni di sicurezza. Candidato
alla Corte dell’Aja, ma in quanto giurista eminente. Persona mite, e di destra, portato
a Roma dalla sinistra ma per caso.
Si capisce la proprietà
dei giornali, si capiscono i direttori, funzionari della proprietà, ma i giornalisti
che firmano? Chi è Lo Voi?
A Roma gli ultrà
delle squadre di calcio si dividono per colore politico: quelli della Roma si
vogliono “rossi”, quelli della Lazio “neri”. Ma quando vengono in città gli
ultrà delle squadre olandesi, che si prestano al gioco degli scontri, tutti inalberano
il “Sieg, Heil”, Tutti hitleriani. Non è solo ignoranza.
Non c’è modo per Lo Voi e
Li Gotti di far decadere Meloni. Quale che sia l’orientamento politico (il
giudizi è politico) delle tre donne del Tribunale dei ministri non ci sarà mai
un’autorizzazione della Camera (Meloni e
Nordio) e del Senato (Piantedosi). Ma la questione galvanizza i media. Poterà
voti, e copie\ascolti? A Meloni?
DeepSeek dopo TikTok: è
durato un week-end il turbamento americano per l’irruzione dell’IA cinese – il
tempo di due miliardarie (in 40 ore) manovre di Borsa, al ribasso e al rialzo.
“Pechino ci spia, ruba i nostri dati” ed è fatta: fuori DeepSeek, oppure si americanizzi.
Non una sorpresa, è successo cinquant’anni fa col Giappone, succede ora con la
Cina. La sola novità è che gli onorati corrispondenti ci credono – sembrano perfino
convinti.
Si tengono a Roma due
mostre in contemporanea sul primo Novecento, una sul Futurismo e una detta dell’Espressionismo,
cioè dei (tantissimi) artisti non futuristi per programma – e non “Novecento”,
Futurismo e Novecento essendo assimilati nelle didascalie dell’“Espressionismo”,
al fascismo. Ma con una strana differenza: il Futurismo è una mostra benissimo organizzata
(centinaia i prestiti importanti) e molto bene esposta, l’“Espressionismo” rinchiuso
nelle stanze anguste e poco praticabili dell’Arte Moderna comunale, e senza
catalogo – benché sia la prima grande mostra di pittura a Torino e Milano tra
le due guerre. La Cultura è di destra, la sinistra nelle cantine?
Non si conclude l’analisi
del comitato speciale per l’esercizio del “golden power” su Unicredit-Bpm, sull’offerta
di acquisto. Anche se, pare, attende ancora le carte richieste a Unicredit. È che
dovrebbe provare l’equazione, a suol tempo anticipata ai media, che Unicredit
è straniera, “proprietà” dei fondi che ci hanno investito perché rende, mentre
Bpm è italiana. E non sanno che fare con Crédit Agricole, che non è un fondo,
che fa piazzamenti finanziari, ma la seconda grande banca francese, ed è l’azionista
di maggioranza di Bpm.
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Curie radioattiva, in laboratorio e fuori
Un ritratto a tutto tondo della
scienziata, nelle sue varie componenti, caratteriali (volitiva), sociali (“la
polacca” in Francia), affettivi (altalenanti, col marito, tra la riconoscenza e
il rimprovero, e con le figlie, tra cura e disattenzione), sempre corretti solo
con la sorella, ma per l’equilibrio della sorella (la stabilità della comune
origine, polacca). Con l’adescamento, da vedova, del ricercatore in laboratorio
sposato, a un’attrice di teatro molto combattiva, che ne fa il ludibrio nazionale.
E con la prima, ssatta, valutazione dei rischi delle proprie scoperte, delle radiazioni
– di cui forse finisce vittima, come forse lo è già stato il marito Curie.
Una rivalutazione del genere bio
dilagante. Il più “veritiero”, cioè convincente oltre che appassionante, dei
tanti film su Marie Curie. “Basato sul fumetto di Lauren Redniss” forse per solidarietà
tra fumettisti, ma capolavoro della romanziera grafica di “Persepolis”,
iraniana di nascita, francese di adozione. Coadiuvata da una Rosamund Pike che
sembra la perfezione in tutti i registri.
Satrapi stranamene, dopo il
successo dell’autobiografica graphic novel “Persepolis”, in quattro
volumi, portata anche al cinema, ha soltanto tre film all’attivo come regista, “Pollo
alle prugne”, “The Voices” e questo “Radiactive”, vecchio ormai di cinque-sei
anni - non distribuito in Italia per via del covid, pare (si presenta datato 2023).
Marjane Satrapi, Radioactive,
Sky Cinema, Now
sabato 1 febbraio 2025
Letture - 569
letterautore
A memoria – “Della ‘Divina
Commedia’ conosco gran parte dei canti a memoria”, dice lo scultore Di Stefano,
infanzia contadina in Abruzzo, a San Giovanni di Cagnano Amiterno,”a una
quindicina di chilometri dal Gran Sasso”. E nota: “Sarà un retaggio contadino”.
La poesia è orale.
Convergenze parallele - Così fu detto il primo centro-sinistra “organico”, 1963, fra la Democrazia
Cristiana e il partito Socialista, con i socialisti cioè al governo, non più soltanto
sostenitori in Parlamento La locuzione ironica è di Eugenio Scalfari, e non di
Aldo Moro come comunemente si crede – per un centro-sinistra cioè che Moro aveva
preteso di presiedere in qualità di “garante per la destra” del suo partito,
che non ne voleva sapere - Aldo Cazzullo, “Craxi, l’ultimo vero politico”, p.
98.
Europa – “L’Europa è in
uno stato deplorevole. L’insaziabile desiderio di infinito, che è anche il
cuore della poesia, è stato sostituito da un volgare tentativo di battere
l’altro per ottenere un piccolo beneficio”, Michae1 Krüger, il poeta tedesco, nella
prolusione in qualità di vincitore del premio Nonino. L’infinito o immensità,
di Ungaretti che lo stregò ragazzo, e il mercantilismo di cui l’Europa
s’infarina – ma è l’Europa franco-tedesca, più tedesca che francese.
Foscolo – Dimenticato “figlio
della rivoluzione”, quale si voleva, della rivoluzione italiana. Carlo Emilio Gadda
non ne aveva buona opinione, del “basetta Foscolo”, di cui fa ripetutamente
oggetto di vituperio, e specie in “ Il guerriero, l’amazzone, lo spirito
della poesia nel verso immortale del Foscolo”. Foscolo gli è antipatico, dice
in una finta intervista con il “Radiocorriere Tv”, perché è “un campione del
distillato spirito” dell’autore, di se stesso, “delle sue ragioni e dei suoi
umori”. Gadda si voleva indisposto dalla “lindura faraonizzata” del poeta
dei “Sepolcri”, come in genere dalla “poesia dei Vati”,
Frammento – Depreca Aldo
Gasso, a proposito del racconto sportivo per highlight, che ne sia
rimasto vittima il “riassunto” dei cronisti. Con una falsa narrazione: “È un
montaggio di frammenti, secondo una logica di scrittura che ha fatto del
frammento la sua unità di significato”. Con un esito falsato: “Attraverso gli highlight
ogni partita sembra spumeggiane, anche se è stata noiosa”. Non solo:
“Attraverso gli highlight non si capisce come gioca una squadra”.
Ma è un frammento d’immagine, è qui l’inganno. È
come con la Var, che s’impunta su falli, eventi, inciampi che non ci sono, un rimbalzo, un
urto, l’ombra di un dito fuorigioco. Il frammento in sé ha un potere evocativo, narrativo: teorizzato
da Philippe Sollers negli anni 1970-1980 con la sua rivista “Tel Quel”, titolo alla Valéry, praticato
in italiano da scrittori sensibili, Alberto Santacroce, Jacqueline Risset, “la ragazza ‘Tel Quel’
che sapeva Dante”, Antonella Santacroce in francese su “Chimères”, la rivista di Deleuze e
Guattari, et al.
Erminia Fuà – Rodigina, è la
promotrice delle fortune letterarie di Ippolito Nievo: è lei che si è presa
cura delle “Confessioni di un Italiano”, impegnandosi a lungo per la pubblicazione
e la valorizzazione del romanzo. Non visse molto, poco più di quarant’anni,
1834-1876, ma fu patriota, attiva e nota, poetessa, e riformatrice dell’istruzione
femminile, al ministero e al Magistero, oltre che “creatrice” di Nievo scrittore.
Sposa a 22 anni di Arnaldo Fusinato, poeta affermato, vedovo, ma di 17 anni più
vecchio, contro la volontà della famiglia. Del padre, contrario per la differenza
d’età, e di religione – in realtà di etnia: ebrea lei, benché di famiglia non religiosa,
cattolico Fusinato. Gli zii paterni però la sostennero, e presso uno di essi, a
Venezia, si rifugiò per celebrare il matrimonio in chiesa. Con “viaggio di nozze”
nella tenuta friulana di Nievo, amico del marito.
Dieci anni dopo il matrimonio si trasferì col marito a Firenze, la nuova
capitale, dove tenne salotto frequentato, di patrioti e scrittori, Carducci, Tommaseo,
Capponi, Mamiani. Fu ispettrice delle scuole femminili, e dal 1872 professore
di Morale a Magistero a Roma. Alla morte di Nievo, nel 1861, si era assunta l’impegno
di pubblicare le “Confessioni di un Italiano”. Ci riuscì nel 1867, dopo sei
tentativi inutili. Il romanzo fu pubblicato da Le Monnier – che cambiò il
titolo in “Confessioni d’un ottuagenario”, perché il pubblico non sospettasse
una “pappolata politica” (già allora il patriottismo era indigesto?). In due
volumi, curati dalla stessa Fuà. Il titolo originario sarà restaurato solo nel
1931, in un’edizione filologica, più o meno, curata dal linguista Ferdinando
Palazzi.
Linguaggio - “Il linguaggio è, di tutti gli edifici, il più solido e il più
antico castello fiabesco, con i suoi labirinti e le sue oubliettes, i
suoi osservatori e i suoi saloni, le cui alte finestre danno su vasti paesaggi di
storia e di preistoria” - Ernst Jünger, preambolo a “Linguaggio e anatomia”,
1949 (ora in “Il contemplatore solitario”).
Risorgimento – “Il viaggio
intorno al Risorgimento parte da lontano e da un romanzo che racconta una
rivoluzione mancata o, piuttosto, una rivoluzione tradita. Questo romanzo è ‘Le
ultime lettere di Jacopo Ortis’, scritto da un autore che poteva definire se
stesso «figlio della rivoluzione»” - Matteo Palumbo, intr. a I.Nievo, “Trecento
giorni con il Generale”.
Scrittura – “La scrittura
come una gelosia del reale”, adombra Annie Ernaux gelosa, in “L’occupation”.
O anche: “Scrivere è anzitutto non essere visti” – in deshabillé,
con i brufoli, nell’incertezza.
Torino – È l’“unica
città dell’adolescenza” per Carlo Levi, “L’orologio”, ricordando Pavese.
“Città della fantasticheria, per la sua aristocratica compiutezza
composta di elementi nuovi e antichi; città della regola, per l’assenza
assoluta di stonature nel materiale e nello spirituale; città della passione, per
la sua benevola propizietà agli ozi; città dell’ironia, per il suo buon gusto
nella vita; città esemplare, per la sua pacatezza ricca di tumulto. Città
vergine in arte, come quella che ha già visto altri fare l’amore e, di suo, non
ha tollerato sinora che carezze, ma è pronta ormai se trova l’uomo, a fare il
passo. Città infine, dove sono nato spiritualmente, arrivando di fuori: mia
amante e non madre né sorella. E molti altri sono con lei in questo rapporto.
Non le può mancare una civiltà, ed io faccio parte di una schiera. Le
condizioni ci sono tutte.” Cesare Pavese, una delle prime annotazioni del
diario, “Il mestiere di vivere”, 17 gennaio 1935.
Wagenbach – Il poeta Michael
Krüger, premio Nonino, celebra nella prolusione Ungaretti, che diciottenne lo
introdusse alla poesia, col celebre distico “M’illumino\ d’immenso”, e Klaus
Wagenbach, “a quel tempo un editore molto di sinistra”, che lo introdusse all’editoria.
Insieme cofondarono e diressero la rivista “Tintenfisch”, calamaro, “per proteggere
l’idea di letteratura dalla supremazia politica e ideologica che a quei tempi
era dominante”, anzi 1970-1980. Wagenbach,
gande editore tedesco molto italianista, di doleva, alla Fiera del Libro a Torino
nel 1992, che non ci fosse più “letteratura italiana”: “Si pubblicano solo
giornalisti”. Il che non è più vero: si pubblicano anche le scuole di scrittura
- dipende dall’impegno, da quanto si investe nei professori-agenti.
letterautore@antit.eu
Germania record, per assenze malattia
È tedesco il
record dei lavoratori in malattia, certificano “Handelsblatt”, il “Sole 24 Ore”
tedesco e l’“Economist”, fra tutte le economie europee. In media per 15 giorni
l’anno – contro una media europea di 8 giorni (in Italia di 10).
Il calcolo è stato
fatto dal ceo di Allianz, la maggiore assicurazione privata, Oliver Bäte, che
ha proposto come rimedio l’introduzione del “giorno di attesa”, un primo giorno
non pagato di assenza per malattia – “consentirebbe di risparmiare 40 miliardi”.
Ma il “giorno di attesa”, adottato variamente in Scandinavia e poi dismesso, è
a rischio incostituzionalità (è ora in uso in Gran Bretagna, dove i “giorni di
attesa” sono addirittura tre, che però il governo laburista ha promesso di
abolire).
È vero, spiega l’“Economist”,
che la Germania è stata “campione mondiale dei diritti dei lavoratori alla
salute, a opera del cancelliere Bismarck, già dal 1883 - in realtà in forza
della crescente diffusione del “socialismo della cattedra” tedesco. Ma ora si pone
il quesito: la protezione legale induce la malattia al lavoro? L’IW di Colonia,
Institut der deutschen Wirtschaft, un organismo di ricerca privato, calcola che
il costo per i datori di lavoro delle assenze per malattia è aumentato da 36,9
a 76,7 miliardi tra il 2010 e il 2023.
In Germania i lavoratori
in malattia ricevono il 100 per cento della paga dal primo giorno per sei
settimane.
A nozze con Goldoni e Haydn, sulla luna
A un Buonafede che ha in casa due figlie da
marito e una serva padrona piacente si fa credere che possa trovarsi telescopicamente
sulla luna, grazie a un elisir speciale – che lo addormenta. Al risveglio la
scena è cambiata, e un Imperatore della Luna lo porta a consentire ai matrimoni
delle figlie, e della serva piacente, senza pretese e senza riserve. Una
commediola semplice e riuscita di Goldoni, 1750 – lo stesso anno della “Bottega
del caffè”. Piena di scherzi, e di arie cantabili.
Un caso di “opera buffa” – “opera giocosa”
è la denominazione ufficiale – prodroma di Rossini, dei tanti maneggi che
animano le sue opere. Eccezionale anche perché un caso eccezionalmente riuscito
per la musica germanica – prima di Mozart. E di repertorio in Austria e Germania.
Mentre in Italia, malgrado il successo della commedia a Venezia (fu musicata, prima
e dopo Haydn, 1777, da una pletora di musicisti, Galuppi, Paisiello e il portoghese Avondano,
e poi di nuovo Paisiello, Gennaro Astarita, Michele Neri Bondì, e l’altro portoghese
Marcos Antonio Portugal), rimane ignota – anche in clima di “made in Italy”,
strombazzato per ogni pomodoro o fazzolettino venduto. È stata esumata da
Giulini nel 1950, ma per l’Holland Festival, con ripresa qualche mese dopo, stagione
estiva, a Aix-en-Provence – con un cast
di tutto rispetto: Luigi Alva, Michel Hamel e Mariella Adani. Ripresa in questa
edizione nel 1980, a Benevento, a un Festival Fantascientifico che si teneva
nella “città delle streghe”. Di cui la Rai ha il merito di tenere ora viva la
memoria.
Con una messinscena tanto ridotta, da teatro
da camera, e semplice quanto riuscita, di Ugo Gregoretti. E con un cast
di qualità: la mezzosoprano Benedetta Pecchioli nel ruolo di Lisetta, la serva padrona,
il tenore Ugo Benelli nel ruolo principale, l’astronomo per beffa Eclìttico, e
la soprano Carmen Lavani in quello di Clarice, la figlia intraprendente del
beffato Buonafede – nomen omen.
Joseph Haydn, Il mondo della luna, Rai
5, Raiplay
venerdì 31 gennaio 2025
La disfida dei giudici - cicli storici
“Craxi coltiva rapporti difficili con i magistrati di Milano. Sul caso
Tobagi (l’assassinio di Walter Tobagi, giornalista del “Corriere della sera”, a
opera di giovani dabbene della borghesia milanese in veste di brigatisti, presto
mandati liberi, n.d.r.) attacca duramente la procura, tanto che nel dicembre
1985 il presidente della Repubblica Cossiga vieterà al Csm di discutere la
mozione di censura contro Craxi, allora primo ministro (in realtà presidente del
consiglio, n.d.r.). Non è ancora il Cossiga picconatore, anzi, si muove con stile
e linguaggi prudenti. Eppure minaccia di presentarsi personalmente alla
riunione e fa schierare un battaglione di carabinieri in assetto antisommossa
nei pressi di Palazzo dei Marescialli, sede del Csm, pronti a intervenire –
almeno secondo Cossiga - nel caso in cui la mozione sia discussa. Nessuno osa
correre il rischio” (Aldo Cazzullo, “Craxi, l’ultimo vero politico”, p. 159).
Non sembra oggi, Lo Voi vs. Meloni? Per i week-end negati al
giudice in aereo di Stato o per altri reconditi motivi?
Ora la mozione viene presentata contro Lo Voi. Manderà Mattarella i
carabinieri antisommossa? Fose non è una cosa seria, neanche il Csm.
La cosa che indignava Craxi era che quelli della XXVIII Marzo, così i terroristi si facevano
chiamare, Paolo Morandini, Mario Marano, Francesco Giordano, Daniele Laus, Manfredi
Di Stefano, furono liberati presto, e il capo e ideatore Marco Barbone anzi
subito perché si “pentì” - con il plauso del procuratore e pubblico ministero
Armando Spataro.
Cronache dell’altro mondo – sburocratiche (323)
Gli americani passano due miliardi di
ore l’anno (83 milioni 333 mila 333 giorni) in pratiche burocratiche federali, cioè
del governo degli Stati Uniti – in aggiunta alle pratiche statali. Trump promette
di tagliare queste pratiche, e potrebbe avere ragione.
Ma non è solo Trump: in tutto il mondo,
India, Argentina, perfino in Cina, “una rivoluzione anti-burocratica sta prendendo
piede”.
Se ben fatta la deregulation potrebbe
avviare un nuovo ciclo di rilancio delle economie mondiali. Dopo la crescita abnorme, ora in sofferenza,
dovuta alla globalizzazione.
(“The Economist”, “The revolt against
regulations”)
La scoperta di Craxi
Un’agiografia. Da miscredente – antipatizzante:
“Sono uno dei tanti italiani a cui Craxi, quando era Craxi, non piaceva” è l’attacco.
Ma subito poi, con Cazzullo giovane cronista alla “Stampa”, con i giornalisti in genere, Craxi si ricorda “molto gentile” - il gerarca in stivaloni di Forattini, il “cinghialone”
di Feltri (Vittorio).
Un volume grande, di grafica curata, lussuosa,
cartonato bianco immacolato, ripieno di foto di Craxi, anche magro e con i capelli,
sorridente e attento per lo più e non spavaldo, già dalla copertina, e una bio-carrellata
da cronista, di semplice dati ed eventi. Ma curiosamente attendibile, a ogni
riscontro. E problematica, articolata com’è sulla conclusione che poi
confluisce nel titolo, polemica benché piana: di questi uomini non ce n’è più,
l’Italia non li nutre e non se li merita – o non sarà l’Italia che scrive?
Un monumento editoriale - un tributo,
affettuoso, generoso. Apprezzabile anche perché è il solo in circolazione. Il libraio,
che attorno al “Cazzullo che riempie le librerie” apre uno scaffale Craxi, non
riesce a mettere assieme più di quattro titoli oltre questo - di cui solo due di qualche
consistenza, Massimo Franco e Fabio Martini (“Controvento. La vera storia di
Bettino Craxi”), di cui il primo, “Il fantasma di Hammamet”, di trent’anni fa, è
l’ennesima damnatio memoriae appena camuffata, il settarismo non è
morto. Ma il richiamo maggiore è probabilmente che la ricostruzione di Cazzullo
su cui il volume si regge è piena di verità. Una rarità in Italia, dove la
storia politica, non solo della Repubblica ma anche del fascismo, e anzi del Risorgimento,
è impossibile – politica è sinonimo di faziosità.
“I racconti e le immagini” è il sottotitolo.
Il libro si avvale di una ricchissima documentazione fotografica, di Craxi giovane
agitprop socialista scaricato nelle periferie, del dignitosissimo padre, una
sorta di nobiluomo siculo in missione a Milano, di cui è stato vice-prefetto
alla Liberazione, dei familiari, e non sfigura nemmeno di fronte al santino Berlinguer.
Poco è preso da Craxi al governo, la parte comunque che la damnatio non è
riuscita a elidere: l’inflazione ridotta dal 25 al 3 per cento, il referendum
contro la scala mobile, l’Italia quinta economia mondiale, prima della Gran
Bretagna, una politica atlantica ma anche socialista, contro gli avventurismi
americani - in piazza contro la guerra in Vietnam, in piazza e con Nenni contro i colonnelli in Grecia, a Santiago del Cile all'abbattimento di Allende, e poi a Sigonella, e contro l’assassinio di Gheddafi.
Un racconto lusinghiero, per un approccio
non più settario. Partendo dalla fine, ingloriosa, in Tunisia – non gli fu
consentito di farsi operare in Italia. L’inizio della fine Cazzullo pone nel
passo falso di Craxi al referendum del 9 giugno 1991 sulla preferenza unica.
Lui invita a non votare, Dc e Pci invece mobilitano gli elettori, e quasi il 100
per cento, fra astenuti e favorevoli, gli vota contro. Cazzullo lo rimprovera: “Alla fine di giugno,
Craxi celebra il congresso a Bari. Fa molto caldo, la camicia madida di sudore
lascia intravedere la canotta, e non è un bell’intravedere”.
Anche il giudizio politico comincia a prendere
forma, dal vero invece che dalla narrazione tuttora granitica, post-comunista. Cazzullo non prende
posizione, malgrado il titolo. Il suo punto di vista argomenta con quelli degli
altri, di chi ha preso parte ai vari eventi, per come li ricorda o ricostruisce,
o preferisce presentarli. Ma con evidente giudizio critico, nel taglio e nel montaggio
degli stessi ricordi. Per una volta, merito non minore e forse anticipatore, ridimensionando
il ruolo e il potere del Pci - e giustamente, da troppo tempo ruota di scorta
della Dc, e non della migliore (uno guarda all’eredità romana, al Pd della
capitale, e trasecola, tale è l’ammasso, non sbrogliabile, di arraffoni).
Il resto, evidentemente, si ridimensiona.
Non solo il non nominato Francesco Saverio Borrelli, andreottiano terribilista
a Milano. Ma anche un Michele Serra, che si acquisì l’agognata ascesa da
moralista triste a “la Repubblica” con la prima pagina del suo “Cuore”, “un
gigantesco fotomontaggio di Craxi dietro le sbarre con il titolo Pensiero stupendo,
e un fotomontaggio più piccolo del figlio, sempre in carcere, con il titolo Pensierino
stupendino”.
A conclusione Cazzullo si concede una considerazione: l’Italia è perduta, si è perduta. Non vota, non fa figli, e lavora anche poco. Il che è vero ma non è la fine: l’Italia purtroppo non è stata e non sa essere altro. Con un dubbio, però, riguardante i Cazzullo, i suoi giornalisti (che sgomentano i corrispondenti esteri), anche quelli colti e bene intenzionati: l’Italia è peggio o meglio della sua stampa, della sua immagine?
Craxi l’antipatizzante, per essere socialista soprattutto, quindi inviso a nove italiani su dieci - e soprattutto ai direttori e padroni di giornali, a cui il buongoverno è inviso, “se non c’è crisi non si vende” - sapeva di politica, sapeva di libertà e buongoverno. Un solo errore fece, Cazzullo ci rimediti, e fu di attenersi all’ordine delle cose, ad Arnaldo Forlani segretario della Dc invece che ad Andreotti, nella fatale elezione presidenziale del 1992, e l’ha pagata caro, carissimo. L’inizio del suo racconto, del resto, è sintomatico: il 23 ottobre 1999 “la quinta sezione penale del tribunale di Palermo, dopo una camera di consiglio durata undici giorni, assolse Andreotti Giulio dall’accusa infamante di aver favorito la mafia”, e come no, quando mai, il 24 Craxi fu ricoverato all’ospedale di Tunisi per morirvi. L’ultima beffa del sardonico Giulio – con gargantuesca camera di consiglio a Roma, e a Milano un Pulcinella tenuto fermo sul no.
Con una “cronologia essenziale”, ma ragionata.
E con un ricordo di Gianni Pennacchi.
Aldo Cazzullo, Craxi, l’ultimo vero
politico, Rizzoli, pp. 279, ril., €25
giovedì 30 gennaio 2025
Se la Germania va a destra
A Berlino la Cdu\Csu ha voluto la legge restrittiva dell’immigrazione subito,
in campagna elettorale – una legge che avrebbe dovuto - e potuto, senza danno
emergente - essere votata dal Bundestag che sarà eletto fra quattro settimane. È
la conferma che lo sposatmento a destra è nei sondaggi una frana. E questo è
il timore maggiore da sempre dei Popolari (Democristiani): recuperare l’opinione
moderata e reazionaria, tenerla sotto controllo.
Ma non c’è solo l’immigrazione. Se la guerra continuerà, la Germania che
uscirà dal voto difficilmente continuerà a sostenere l’Ucraina. Buona parte della
Germania non sente ostile la Russia, e non apprezza l’Ucraina – il sostegno all’Ucraina
si estingue con i Verdi, condizionanti nel govern dimissionario ma ora a rischio
5 per cento, soglia di accesso al Bundestag - e non potrà contare sui
socialdemocratici, col cancelliere uscente Scholz o con altro leader.
La transizione green, infine, subirà un arresto. La Germania sperimenta per
la prima volta il caro energia, e questo è forse il fattore che più sposta l’opinione
a destra: non più contro la Russia, se non a favore della Russia (che forniva
il gas a buon mercato, in sostituzione del carbone e del nucleare), e ritorno
al carbone e al nucleare. L’elevato costo dell’energia è anche ritenuto il fattore
maggiore della crisi industriale – di vendite interne (a causa del minore
potere d’acquisto per effetto dell’inflazione implicita) e di esportazioni (per
la diminuita competitività).
Su questi presupposti, il voto in Germania fra tre settimane sancirà lo spostamento
a destra dell’elettorato del Centro Europa, dopo l’Italia, l’Olanda, la
Francia, l’Austria.
Se l’Europa va a destra a causa degli immigrati
Il maggior fattore di crescita delle destre in Europa, in tutti i
sondaggi, è l’immigrazione illegale. Ma non per razzismo, ovunque più o meno screditato,
ma perché questa immigrazione impatta sul sociale – sull’economia dei meno
abbienti. Nella parte tedescofona, estesa alla Scandinavia, Finlandia compresa.
Per prevenire questa deriva l’Austria aveva adottato nel dopoguerra, fino agli
anni 1970, benché necessitasse si braccia, la crescita zero.
In Italia l’immigrazione è un problema limitato: all’accoglienza, e all’esercizio
del primo controllo di validità dei diritti dell’immigrato, come frontiera Schengen,
avamposto di tutta l’Europa. Nei paesi “tedescofoni”, in Germania e Austria, e
anche in Olanda, Belgio, Danimarca, Svezia, le leggi privilegiano l’immigrato. Che
ha diritto, oltre che alle cure sanitarie e all’istruzione, anche all’abitazione
e ai sussidi sociali (che per molti immigrati sono più che un salario). Specie se
immigrati con diritto d’asilo, in teoria accertato dalla burocrazia dell’Italia,
il paese di primo accesso - cioè, si ritiene, con superficialità.
Questi i fondamentali della spinta anti-immigrazione. Con
l’aggravante della piccola malvivenza, prostituzione e spaccio. E dell’islamismo
militante, in Germania e in Francia – episodi da qualche tempo, cioè atti
isolati, ma maturati, si ritiene, in ambienti di immigrati, senza “controllo sociale”,
senza cioè che nessuno si premuri di mettere in guardia.
E adesso povero Elkann 4– bastonato ma esentasse
Non esiste nel
calcio una squadra che prende gol su rilancio del portiere avversario. Nella
Juventus di John Elkann sì. Dopo aver silurato il manager Marotta, che vinceva
tutto – e fa ora lo stesso all’Inter. Dopo aver silurato il cugino Agnelli.
Dopo aver silurato l’allenatore che gli salvava la faccia. Ora, questo non è un
problema – di calcio non muore nessuno. Ma con la Fiat sì – e prossimamente con
la Ferrari? La produzione industriale è in crisi da due anni a causa sua.
Si potrebbe anche
pensare che Elkann porti scalogna, per primo a se stesso. Ma è anche un Grande
Editore, e quindi non si dice. A “Sky Sport Calcio”, per esempio ieri, dopo il
ridicolo del match col Benfica, i giornalisti non ridono, sono anzi rispettosi,
come avessero assistito a un vero match (solo il pensionato Capello si
arrischia a dire quello che si era visto: una squadra balorda, di sei-sette
calciatori - su dieci, il portiere era un portiere - in ruoli non loro, l’attaccante
che fa il terzino, e viceversa, il mancino a destra, il mediano all’attacco, e
tutti li a passarsi il pallone rimuginando “adesso che faccio? che ha detto il mister di
fare? che è tanto vendicativo e se sbaglio non mi fa più giocare”).
P. S. - È strano questo
fatto, che i Grandi Editori di sinistra, del partito Democratico, siano evasori fiscali.
Non propriamente, sono residenti estero, Elkann in Olanda e Debenedetti in
Svizzera. Ma sempre e solo – tutt’e due sono sempre in Italia - a fini fiscali,
per non pagare le tasse in Italia. Si potrebbe pensare che lo abbiano fatto per
dispetto contro Meloni, la nazionalista – un atto di “disobbedienza civile “
(H. Arendt). Ma loro si sono fatti esentasse da tempo.
P.S. bis - Il terzo Grande
Editore sponsor Pd, Urbano Cairo, invece risulta ancora italiano, ma siamo sicuri?
La concorrenza è falsata.
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Ombre
Un tributo all’arcilombardoveneto liberatore
“Rivoluzione in Sicilia non
ce n’era mai stata”, alla cugina Bice già il 24 giugno 1860. Alla “conquista”
di Palermo “i Picciotti fuggivano d’ogni banda”. In città vuoto e
silenzio: “Dentro pare una città di morti; non altra rivoluzione, che sul tardi
qualche scampanio”, sempre il 24 giugno. Le illusioni rivoluzionarie dei Mille
erano svanite presto. Anzi, già il 24 giugno c’era la fila, alla porta del
giovane Nievo, incaricato dell’Intendenza: “Tutti mi fanno la corte per suppliche
raccomandazioni ed impeighi – principi e principesse, Duchi e Duchesse a palate
agognano 20 ducati 12 al mese di salario”.
La disillusione è una
costante. Lieve, scherzosa, tra monache salottiere e burbe “napolitane” altezzose
in perpetua resa, e di un giovane rivoluzionario patriota che semrpe ci crede,
alla rivoluzione nazionale, ma allora tanto più imparziale. “I Siciliani sono
tutti femmine; hanno la passione del tumulto e della comparsa: e i disagi e i
peprcoli li trovano assai meno pronti delle parate e delle feste (alla madre,
già l’1luglio)….Tutta la rivoluzione era concentrata nelle bande campagnuole
chiamate qui squadre e composte per la maggior parte di briganti
emeriti che fanno la guerra al governo per poterla fare ai proprietari (ib.). “Qui
si vive in pieno Seicento, col barocchismo, le raffinatezze e l’ignoranza di allora.
– Tanto è vero che adesso noi dobbiamo farla da carabinieri contro i nostri
alleati di adesso (già il 24 giugno, alla cugina Bice). “Saprai novelle della
cosidetta rivoluzione di Sicilia e che fu tutto merito nostro che le
abbiamo creduto, e l’abbiamo suscitata o per meglio dire fatta da noi soli!
Figurati, con tali precedenze, se sul futuro si può ragionare! Chiudiamo gli
occhi, vogliamoci bene, e tanto basta per ora” (ib.). “In confidenza (alla
madre, il 15 luglio) che gente questi Siciliani! Venziani più flosci, più falsi
e senza una gran dose di coraggio!”.
Una sorpresa, un regalo, questo volume, messo assieme da Antonio Vaccaro,
lo studioso dei venosini, Orazio, Gesualdo, ma appassionato di Garibaldi. Una collazione
delle lettere che Ippolito Nievo, scrittore allora praticamente incognito,
inviò da Quaeto, dal 5 maggio 1860, alla vigilia dela morte per naufragio, a 29
anni, da Palermo il 23 febbraio 1861. Le più, e le più dettagliate, alla cugina
Bice Melzi Gobbio, e alla madre Adele Marin. Con molte foto che valgono un racconto,
di Nievo, di Bice, della madre, di dame varie e patrioti, navi a vapore e
documenti.
Un Nievo sempre equanime. Malgardo le delusioni e le fatiche. All’entrata
in Palermo “figurati che sorpresa per noi straccioni!”, sempre alla prima
lettera, alla cugina Bice il 24 giugno: “Io era vestito come quando partitti da
Milano; mostrava fuori dai calzoni quello che comunemente non si osa mostrar
mai al pubblico”. “Questo Walz saltato che si chiama la guerra della
Rivoluzione italiana”, scriverà verso la fine a Bice, il 19 novembre. E ha
giudizi premonitori su Crispi e altri siciliani, e piuttosto duri su Cavour e
la sua politica dei pesi e le misure. Senza perdere il buonumore. Possiede
infine a Palermo, Intendente, “una spada coll’impugnatura d’oro (in confidenza
è ottone dorato) che fa gola a tutti questi ladroncelli Siciliani, i Principi e
le Principesse” – alla prima lettera alla cugina. Ma non ci sta male: “Per un tarì
si sta in carrozza un’ora intiera; noi siamo sempre in carrozza: per un carlino si piglia una libbra di pezzo duro; noi
pigliamo pezzi duri tutto il giorno; con un paio di reverenze si entra nei
parlatori a chiacchierare con le monache, noi siamo tutti i dopo pranzi a far
visita alle monache”, dispensatrici di gelati e cassate – “ho conosciuto una
certa suor Agostina che è terribile per far la Crema al fico d’India. Ce
ne fa mangiare anche dopo pranzo tanto è buona”.
Questo Nievo è protagonista di uno dei primi racconti di Sciascia, “Il
quarantotto”, pubblicato recentemente, postumo.
Con una breve, sobria, presentazione di Matteo Palumbo, l’italianista della
Federico II. E una copiosa appendice: un “Giornale della spedizione di
Sicilia”, dal 5 al 28 maggio, un corredo di notte dettagliate alle lettere, un
indice dei destinatari, uno dei nomi e dei luoghi, e una dettagliata cronologia
nieviana. Senza leghismi di ritorno: un tribito “napoletano”, di un “vinto”,
all’arciveneto-lombardo “liberatore”,
Ippolito Nievo, Trecento giorni
con il Generale, Osanna, pp. 243, ill. € 20
mercoledì 29 gennaio 2025
Ombre - 757
Trump insiste: i Palestinesi
in qualche deserto, c’è tanto spazio. Lui non è razzista, è solo amico di
Netanyahu: gli voleva dare Gerusalemme, e insiste, ora anche la Cisgiordania e
Gaza. E nemmeno per cattiveria, ha un sogno: fare di Gaza un grande resort,
con palme, e campi da golf vista mare. Non si può dire che non sia geniale. Ed
è anche il presidente dell’America. E poi ha sempre ragione: ci sono altre
idee?
Meloni e “i suoi cari”,
ben scelti: Nordio, Piantedosi e Mantovano - Lo Voi conosce i polli. Su
denuncia di Li Gotti. Niente processo, per carità, q.b. per alimentare i media.
Lo Voi è un Dc ma non è stupido: un po’ di destra un po’ di sinistra, un po’
Berlusconi un po’ Prodi (per avere Roma Prodi) - come Li Gotti, il denunciante. Sovversivi?
Chi lo dice? Giustamente il gatto e la volpe si difendono.
Il Procuratore Lo Voi non
rischia nulla – al più una chiamata del papa a dirigere il Vaticano, dovesse il
suo predecessore Pignatone, ora indagato, finire male. E aggiunge beffardo a
penna alla lettera-formulario a Meloni: “Porgo distinti ossequi”. Appena aperta la lettera, poche ore prima che i ministri Piantedosi e Nordio riferissero in Parlamento: il tempo di protocollarla e via - il Procuatore sembra placido ma va veloce. Capo a Roma
da tre anni, andava a casa a Palermo per il week-end con l’aereo di Stato, “motivi
di sicurezza”. Ogni futuro teorico del potere,
dopo Machiavelli, Hobbes, Spinoza, Max Weber, Passerin d’Entrèves, Simmel, Bertrand
Russell, e ora Marramao, ne terrà conto.
Tremonti, a proposito del
suo nuovo libro, “Guerra o pace”, spiega: “Nel 1992 si scrisse il Trattato di
Maastricht: 1,2 milioni di pagine della Gazzetta Ufficiale”. Allora si capisce,
l’Europa accasciata.
Uno guarda Conte
blaterare in tv e riflette: ma questo è stato capo del governo, di ben due governi,
per tre anni. Che raccontava a Mattarella, che sembra persona sobria, quando
doveva formare i governi? È pure professore di Diritto.
L’America si prende (“nazionalizza”)
la ricchissima TikTok con la scusa che è cinese, e quindi all’orecchio del Pcc,
il partito Comunista cinese. Mentre è controllata dai fondi americani. Che evidentemente
vogliono vendere a premio, quindi non obiettano.
Si nazionalizza per modo
di dire, a vantaggio di un privatissimo riccastro americano. E niente: non solo
non si obietta, nemmeno si dice. Come se fosse normale per un governo prendersi
un’azienda solo perché florida, con la scusa della sicurezza nazionale, e darla
ai propri sostenitori. Questo è il “mercato”, e l’“Occidente”: le mani in pasta.
Folle di giovani giudici,
per lo più donne, sventolano costituzioni appositamente stampate per lo sventolio
in formato A 4, ma tristemente. Poi sono andati a votare per il sindacato, e hanno
votato destra: 599 nuovi votanti, 765 voti in più per la destra, con due di destra
i più votati.
Voto che i media dicono
un successo delle sinistre.
Sinner “travolto dallo
scandalo”, in finale con Zverev “all’ombra del doping”. Vittoria di Sinner il
giorno dopo al “retrogusto di doping”. Sono i titoli della “Bild Zeitung”, cinque
milioni di copie. Si sottovaluta la Germania, come se fosse sempre quella di
Bonn, coi russi in casa. Sono ormai trent’anni che è la Germania di sempre.
Forse si capisce anche perché
la Wada abbia deferito Sinner - certo, è meno grave che la crisi del debito 2011,
ma l’animus è lo stesso.
E Zverev è tedesco per
modo di dire, è nato ad Amburgo da tennisti russi, immigrati recenti, dopo la
caduta dell’Urss. Suo padre, di cui porta il nome per immortalare la dinastia,
era nazionale russo, ancorché mediocre, in coppa Davis nel 1979 e alle
Universiadi nel 1983.
Resta da rivendicare
Sinner, che è pur sempre tirolese, seppure del Sud.
È cauta la Prima
Presidente della Cassazione Cassano alla cerimonia per l’anno giudiziario.
C’era Mattarella, e Autorità non morde Autorità. Ma nel momento in cui ha detto
quello che detto - il richiamo al rispetto reciproco fra le istituzioni – è ai
suoi che si è diretta.
Chi ha fatto il giudice
non sopporta i procuratori, nella migliore delle ipotesi carrieristi – ma la categoria
naviga fra gli incapaci, sbirri formalisti, e sbirri veri, altro che garanti
dei diritti del cittadino.
Trump minaccia Canada e
Messico. Che sono quelli che più accrescono i loro acquisti di bot americani: da
321 a 374 miliardi nel 2024 il Canada, da 75 a 100 il Messico. E al secondo posto
minaccia l’Europa, che è il primo detentore di titoli del Tesoro Usa.
Curiosa anche la minaccia
– le minacce – alla Cina, che è il secondo investitore mondiale nel debito Usa,
con 770 miliardi – seconda solo al Giappone, 1.100.
Lovaglio (Mps) è
specialista di acquisizioni – il suo settore nei molti anni a Unicredit. Ma non
attacca Mediobanca-Generali come semplice acquisizione. Per le dimensioni, la
pulce e l’elefante. Per lo stato di salute, Mps è convalescente dopo lunga malattia.
Per cosa Mediobanca-Generali rappresenta ed è in Italia. Lo fa per i suoi soci privati,
Caltagirone e i Del Vecchio, che sono anche in Mediobanca e Generali? È possibile.
Ma Caltagirone e i Del Vecchio stanno lì per guadagnare, e non sembra il caso. Lui
stesso peraltro dice che ha azionato la cosa con l’azionista pubblico, il ministro
del Tesoro Giorgetti. Che è per il mercato, come tutti, ci mancherebbe.
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La guerra a novant’anni, senza senso
Un novantenne inglese reduce
dello sbarco in Normandia lascia la casa di riposo dove vive, a ridosso di Dover,
con la quasi coetanea amata di sempre, per partecipare alla cerimonia per il
70mo dello sbarco, con Obama e la regina. Una celebrazione che per lui è un
obbligo. E ci riesce, contro ogni aspettativa, e senza nemmeno colpi di scena:
una fuga-presenza all’insegna della camerateria – tedeschi compresi, anche loro
vogliono essere presenti, in ricordo della passata gioventù, e piangono. Con
una motivazione non detta: dare un saluto nel cimitero militare inglese a
Bayeux al commilitone carrista, che ha aiutato a sopravvivere l’allora ventenne
marinaio, terrorizzato dalla guerra, per poi, quando il mezzo da sbarco gli consente
l’ammarraggio, venire centrato da un obice nemico.
Una storia semplice, contro
tutte le guerre. Raccontata con misura – la nota capacità narrativa inglese.
Che la magia dei due interpreti principali, l’ottantottenne Glenda Jackson –
che dopo il film morirà - e il novantenne Michael Caine, erige a culto. Senza
effetti speciali né colpi di scena, una storia di guerra contro ogni guerra che
non si dimentica.
Oliver Parker, Fuga in Normandia, Sky Cinema
martedì 28 gennaio 2025
Problemi di base democratici - 837
spock
Ha senso annullare
un voto perché influenzato da un social (Romania)?
Come funziona
il social, come lo Spirito Santo?
C‘è un giudice
che decide se un voto è buono oppure no?
E il social: è
buono se americano e cattivo se cinese?
La democrazia
è dei ricchi e monopolisti, purché simpatici?
C’è un albo d’oro,
quanti quarti di ricchezza e di potenza deve avere la democrazia?
spock@antiit.eu
La Memoria, mesta
Malinconica
scena della liberazione di Auschwitz: un’arena di capi di Stato vecchi, muti,
amorfi – non propriamente vecchi, ce ne sono di giovani, ma come se. Senza il
russo, che Auschwitz liberò fattualmente, perché è loro nemico.
La scena
di un’Europa vecchia, muta, amorfa. Che non parla e non si parla. E forse non si
odia, ma non sa che dire.
Lo stesso
giorno che folle interminabili di profughi a Gaza tentano a piedi di raggiungere
i resti delle loro case – il giorno prima non essendo stato possibile perché l’esercito
israeliano, sparando in aria “a fini dissuasivi”, “per scoraggiare i terroristi
che si camuffavano da profughi”, aveva fatto alcune decine di morti.
L’ipocrisia
contribuisce – non aggressiva: debole, rassegnata. Ma sotto il ghigno di Trump che
di quelle macerie vuole fare colline artificiali, campi da golf vista mare.
Maschio cattivo – oppure no
Una rilettura di testi canonici, da
Boccaccio all’Ariosto, Manzoni naturalmente (il titolo è detto da Lucia all’Innominato),
le “Confessioni di un ottuagenario”, “La coscienza di Zeno”, “Il gattopardo”, “Il
bell’Antonio”, Fenoglio (“Una qestione privata”), Buzzati (“Un amore) e
Starnone (“Via Gemito”), tutti romanzi di maschi, scritti da autori maschi. Da
un punto di vista particolare: enucleare il “modello maschile” storico nella
letteratura. La premessa sottintesa essendo: un maschio credibile non può
essere creato che da un romanziere maschio.
La conclusione è premessa: “Nei libri che ho scelto di raccontare”, Piccolo
anticipa, “tutti fanno la guerra, si incazzano, diventano furiosi, litigano,
sono gelosi, minacciosi, e usano al forza in modo esplicito, picchiando,
violentando”. E quelli della letteratura che non ha scelto di raccontare? Un
contributo al filone: la violenza è maschile.
Piccolo parte da
un’idea estrema, un’illuminazione – cui è indotto da Simone Weil quando
analizza l’ “Iliade” come poema della forza: “La letteratura è fondativa del mito
del maschio”. È la letteratura che ha reso forte – violento – il maschio. Un’idea,
da saggio breve. Condivisibile: certo che c’è una letteratura del maschio
violento. Ma non può non esserci. E senza pregiudicare il resto: la violenza prima,
e quindi fuori, della letteratura - e la violenza senza sesso, comunque non maschile.
Allargando l’obiettivo la cosa si complica.
Piccolo si premunisce,
del maschio parlando come “è inteso”. Il ragionamento però resta monco: c’è la
tesi, c’è la sintesi, non c’è l’antitesi – maschio in confronto a che, a chi? E,
paradossalmente, ottiene l’effetto di difenderlo: il lettore è portato a difendersi,
la lettrice a difenderlo.
Francesco Piccolo, Son
qui. m’ammazzi, Einaudi, pp. X -148 € 15
lunedì 27 gennaio 2025
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (583)
Giuseppe Leuzzi
Due persone su cinque in Calabria,
Sicilia e Campania sono a rischio povertà. La più alta percentuale di tutta l’Unione
Europea – se si esclude la Gyuiana francese in Sud America (ma è il posto della
Cayenna). C’è qualcosa che non funziona nelle statistiche.
La
regione in tutta Europa a rischio povertà più basso? In Romania…..
La rivoluzione che non ci fu all’unità
“Ti ricordi quand’io ti diceva - In Sicilia non c’è mai stato granché
ed ora non c’è più nulla. I nostri si fanno illusione, come è il solito, sarà
la seconda edizione aumentata e ingrandita di Pisacane e di Sapri?! Or bene
– nulla di più vero dei miei presentimenti. Rivoluzione in Sicilia non ce n’era
mai stata”. Ippolito Nievo, 29 anni, da Palermo dov’è arrivato con i Mille, Intendente
(addetto all’amministrazione) di Garibaldi, scrive alla cugina Bice già il 24
giugno 1860. Alla conquista di Palermo “i Picciotti fuggivano d’ogni
banda”, e dentro la città vuoto e silenzio: “Dentro pare una città di morti;
non altra rivoluzione, che sul tardi qualche scampanio …. Tutti mi fanno la
corte per suppliche raccomandazioni ed impieghi – principi e principesse,
Duchi e Duchesse a palate agognano 20
ducati 12 al mese di salario”. E alla madre, l’1 luglio: “I Siciliani sono
tutti femmine; hanno la passione del tumulto e della comparsa: e i disagi e i
pericoli li trovano assai meno pronti delle parate e delle feste... Tutta la
rivoluzione era concentrata nelle bande campagnuole chiamate qui squadre
e composte per la maggior parte di briganti emeriti che fanno la guerra al
governo per poterla fare ai proprietari”.
Una lettera sbadata, quella a Bice, una prima o seconda lettera, il tentativo
di riallacciare un rapporto, tanta era la solitudine a Palermo, dopo la superattività
dei due mesi precedenti, tra l’arruolamento a Quarto, in tutta segretezza, il viaggio,
lo sbarco, le scaramucce, Calatafimi – e la fatica, la sporcizia. L’entrata a
Palermo descrive come di “straccioni. Io era vestito come quando partii da
Milano; mostrava fuori dei calzoni quello che comunemente non si osa mostrare mai
al pubblico, e portava addosso uno schioppettone che consumava quattro capsule per
sparare un colpo – per compenso aveva un pane infilato nella baionetta, un bel
fiore di aloè sul cappello, e una magnifica coperta da letto sulle spalle alla
Pollione”.
La prima lettera, il 28 maggio, era stata entussiasta, sullo sbarco e la
campagna militare, fino alla conquista di Palermo. Un mese dopo, il giovane
scrittore fa con leggerezza, come di cosa vista, un saggio, e un testamento, politico
(il giovane scrittore morirà otto mesi dopo, per il naufragio del vapore nell’agognato
per mesi viaggio di ritorno). Un trattato in poche righe di sociologia politica
e di politica: “Qui si vive in pieno Seicento, col barocchismo, le raffinatezze
e l’ignoranza di allora. – Tanto è vero che ad esso noi dobbiamo farla da
carabinieri contro i nostri alleati di ieri!… Saprai novelle della cosiddetta rivoluzione
di Sicilia e che fu tutto merito nostro che le abbiamo creduto, e l’abbiamo
suscitata o per meglio dire fatta da noi soli! Figurati, con tali precedenze, se
sul futuro si può ragionare! Chiudiamo gli occhi, vogliamoci bene, e tanto
basta per ora”.
Un Paese residuale
“Soffermati sull’arida sponda,
Volti i guardi al varcato Ticino,
Tutti assorti nel novo destino,
Certi in cor dell’antica virtù,
Han giurato: Non fia che quest’onda5
Scorra più tra due rive straniere:
Non fia loco ove sorgan barriere
Tra l’Italia e l’Italia, mai più!...”
Non
si parla molto ultimamente di Manzoni. Nemmeno per le celebrazioni: non per i
150 anni del teatro che porta il suo nome nel 2022, né per i 150 anni della
morte nel 2023 – a parte la moneta da 2 euro (roba romana, da Zecca). Ne hanno parlato
ultimamente i siciliani: Sciascia, devotissimo, Camilleri. I milanesi sono fermi
a Gadda, un secolo fa – e solo al romanzo: tragedie, inni, storie, pure
pregevoli, kaputt. Nel mezzo Natalia Ginzburg, senza misericordia.
Non
se ne è parlato neppure prima, nel 2021, due secoli dall’ode “Marzo 1821” che
si vuole Manzoni abbia scritto di getto, tra il 17 e il 21 marzo dello stesso
anno, e che pubblicherà dopo - e in omaggio a - le Cinque Giornate di Milano contro
il dominio austriaco nel 1848. Un inno, che pure è bellissimo. Sonante, tuonante,
battagliero. “Giovanile” (per dire non “manzoniano” - senile, saputo, saggio).
Ode
intelligente anche, politicamente, storicamente, e generosa. “In onore delle
cinque giornate di Milano, Manzoni pubblica l’ode “Marzo 1821”, dedicata «alla
illustre memoria di Teodoro Koerner - poeta e soldato – della indipendenza
germanica – morto sul campo di Lipsia il giorno 18 ottobre 1813 – Nome caro a
tutti i popoli – che combattono per difendere – o per riconquistare una patria»”,
ricorda il sito Ministero della Difesa, e commenta: “Come era stata giusta e
santa la guerra dei tedeschi contro l’impero napoleonico, altrettanto giusta e
santa era la guerra degli italiani contro l’invasore austriaco”.
Ma
senza più eco, in effetti è un’altra Italia, questa. Si sta insieme giusto per guadagnare
di più - un po’ di turismo delle rovine, e un po’ di made in Italy, pizze, abiti. Con un piede volentieri mezzo fuori, e senza lamenti o rimpianti, Tanto,
per la vacanze, o a Ferragosto, anche a Natale, per la mama o per la nonna si
può sempre tornare.
Terra di centenari
Dallo
straordinario studio Istat “Centenari: in 10 anni oltre il 30% in più” emerge
un Sud tenace, coriaceo. I numeri in assoluto, di centenari e di supercentenari
(“individui di 110 anni e più”) non sono molti al Sud – la Lombardia vene fuori
in assoluto la prima col più gran numero. Ma in termini relativi, cioè in
rapporto alla popolazione, sì. Specie per i semi-supercentanari (105 anni e
più): tra le prime cinque regioni figurano Molise, Basilicata e Abruzzo, nell’ordine,
con la Liguria al secondo posto e l’Emilia-Romagna al quinto. Sesta viene la Sardegna,
nona la Calabria.
Un dato
che contrasta con le condizioni socio-sanitarie delle regioni del Sud. Forse
mitigate dalla persistenza della figura del medico di base come vecchio medico
condotto, quello che conosce i pazienti. E in ragione della demografia sparsa, in
ambiente poco urbanizzato. Dell’alimentazione forse, come usa dire - del cibo
cucinato, meno artefatto. Ma soprattutto, viene da pensare, di figli e nipoti
accudenti: di molto pazienza, e dedizione - in ragione della persistenza, in qualche
forma, della famiglia.
Non
tutto è da buttare del Sud. Non la “dieta mediterranea” evidentemente – che al Sud
è di fatto un po’ “pesante”. Un modo di vita diffuso persiste, anche a costo di stremanti pendolarismi. La famosa “restanza” teorizzata dall’antropologo Vito
Teti, che può aiutare. Può costituire un modo di essere e di vivere fertile,
ora possibile anche nella contemporaneità, col lavoro a distanza.
Cronache della
differenza: Napoli
Quattro film che la celebrano,
in vario modo, tra 2024 e 2025: due italiani, “Parthenope” e “Napoli-New York”,
uno francese, “Criature”, e uno italiano ma di soggetto inglese, “Hey Joe” –
tratto da “Napoli 1944”, l’epopea dello sbarco, di Norman Lewis. Napoli era tuta un teatro, ora è tutta un
cinema – tutta un palcoscenico, tutta un set (comprese le stazioni della
metro). Mentre è – era, è stata – un’arena del canto, ritmico, melodico, poetico,
melodrammatico.
“Circa il 40 per cento dei contenuti
prodotti in Italia su Tik Tok”, il set virtuale dove ognuno può farsi personaggio,
“riguarda Napoli e il. suo Hinterland”, Marcello Ravveduto, professore di Digital
Public History a Salerno e Modena-Reggio Emilia, al modo delle “grandi metropoli
che hanno vita autonoma rispetto alle
proprie nazioni”, New York, Buenos Aires, Rio de Janeiro(“Napoli ha la capacità
di costruire un immaginario che invade il panorama mediatico mondiale”).
“Che bella Napoli! Ma che sporcizia.
Ma che luridume!”, scrive Antonia Pozzi, milanese, quindicenne alla nonna,
dalla Pasqua che passa col padre a Napoli – siamo quindi nel 1927: “La stanno
facendo diventare la più pulita, la più elegante, la più ricca città d’Italia!”
La più ricca addirittura – è anche vero che Milano, specie in quegli anni lì, tra
le guerre, era grigia e deserta. La “stanno facendo” sottintende un fatto di
governo. Di volontà politica, di applicazione. Che, si vede, poi è mancata.
“Un’esecuzione a Napoli vale
più di duecento in Germania”, Mozart al padre Leopoldo, nel 1770. Un’esecuzione
capitale, coi rulli di tamburi, con le fanfare? No, un’esecuzione musicale. Con
un: “Ps: anche se pagano poco”.
Le rabbiose sparatorie dei
ragazzi alla “Gomorra” che ora imperversano, anche se in città, o in paese, in
piazza, e contro altri ragazzi, e non su una spiaggia livida all’alba, deserta,
erano di prima o sono venute dopo il film di Garrone?
È impressionante come un ragazzo può comprarsi una
pistola, che costano caro, specie di sottomano. Non c’è più la famiglia a
Napoli, dove era tutto – “un figlio è parte di te stesso” se lo diceva un personaggio
di Eduardo, ma di una commedia antica.
leuzzi@antiit.eu
La Sicilia liberata, che sbaglio
Le ultime parole sono: “Povera Italia! Che abbaglio!”. Dette già nel
1886. Dall’eroico protagonista, Vincenzo Giordano Orsini, palermitano di
Napoli, doppio nome per non averlo di cognome, incanutito ma sempre eroico
maggiore di Garibaldi nell’impresa dei Mille. In una bisca. Annessa segretamente
a un bordello. Dove si entra con la parola d’ordine “Va’ pensiero”.
Finisce malinconico, era partito come commedia. Due balordi siciliani, un
baro di professione e un emigrato fallito, Picone e Ficarra, entrambi in cerca di un viaggio per l’isola
a sbafo, si arruolano a Quarto. L’integerrimo Orsini li smaschera ma li
arruola. Li proteggerà anche quando, sbarcati, diserteranno. La commedia
s’irrobustisce con i due disertori rifugiati in convento, di suore: letto e
tavola, tressette e piedini. Fino all’evento decisivo dei Mille: una manovra
diversiva verso l’interno dell’isola, per indurre i Borboni a inseguirli lasciando
sgombra Palermo, che Garibaldi può occupare, “liberare”, a porte spalancate,
pacificamente. Un diversivo che funzionerà grazie ai due manigoldi, a rischio
della loro vita.
Una tipica commedia all’italiana. Ma presto sui toni della requisitoria, l’ennesima,
sulla mancata rivoluzione risorgimentale. Ennesima condanna anche dell’isola.
In chiave, entrambi i fallimenti, gattopardesca: tutto cambia perché nulla cambi.
L’ennesimo caso, anche, di autofustigazione sicula: in Sicilia nulla è
possibile, nulla di buono, etc. - non manca nemmeno la mafia. Su una linea
certo onorevole, Sciascia, Camilleri, le serie tv, ormai innumerevoli. Un
filone, si vede, che non stanca - “L’abbaglio” conduce gli incassi (e il
pubblico in sala ha aria di casa). Ma un po’ faticoso.
Andò sembra all’inizio avere preso spunto da Ippolito Nievo, il giovane scrittore
che fu Intendente (amministratore) dei garibaldini nella Palermo occupata. Dalle
lettere che scriveva ai familiari - “Rivoluzione in Sicilia non ce n’era mai
stata” (alla cugina Bice già il 24 giugno 1860). E altre annotazioni, di
passata ma significanti. Si trovano in Nievo anche le suore, e i loro dolcetti.
Sembra che segua Nievo anche fisicamente: a Orsini (Servillo) affianca un
alfiere con la faccia e l’età di Nievo (Leonardo Maltese), e la sua parlata veneta.
Ma non ne mantiene la levità – Nievo è deluso ma non prevenuto. Del resto, l’alfiere
fa chiamare Ragusìn, il ragusano (della Ragusa dalmata oggi Dubrovnik), che è uno
dei Mille, uno vero, un quarantenne, figura nell’elenco ufficiale dei Mille – compilato
dallo stesso Orsini della storia, dove il suo nome figura com mezza riga, “maggiore”.
Roberto Andò, L’abbaglio
domenica 26 gennaio 2025
Secondi pensieri - 553
zeulig
Amore – L’amore moderno è amore dell’amore, perfino
in assenza dell’essere amato. E si torna alla pesatura dei sentimenti: io ho
detto, ho fatto, tu hai fatto, o non hai fatto. Sarà l’amore controversistico.
È un artificio diabolico questa parità dei sentimenti, la pesa, lo scambio. Il
sentimento è personale, si può amare una persona senza ottenere che lei ci ami,
non nella stessa intensità e maniera, non negli stessi momenti. È l’effetto
della verità, del progresso, della rivoluzione-rivelazione. La democrazia dello
scambio dei sentimenti è un artificio doppio, anzi triplo: lo scambio è il
mercanteggiamento che si vorrebbe abolito dal mondo.
Complotto – La logica del complotto è imbattibile,
poiché incita alla difesa, che sempre è nobile. E poi la leggenda non mente.
Emozione – È casual? Fortuita, involontaria? “L’emozione ce la dà solo il riconoscimento
esistenziale”, annota il romanziere Carlo Cassola nel suo “Fogli di diario” sul
“Corriere della sera (alla data 24 ottobre 1971), “e il riconoscimento
esistenziale, come spiega Proust, è frutto della memoria involontaria, deve
venire all’insaputa, direi quasi a dispetto dell’io cosciente. Si arriva così
al paradosso che ciò di cui avevamo custodito gelosamente il ricordo non ha più
nessuna importanza per noi; mentre si rivela importante quello di cui non
avevamo fatto tesoro”.
Esistenzialismo – “L’esistenzialismo
è la concezione propria a chi manca d’immaginazione”, lo scrittore Carlo
Cassola, “Fogli di diario”, 15 marzo 1972: “La realtà non può non apparire amorfa
a chi manca d’immaginazione”. Il paesaggio (la natura) come l’uomo e le sue
azioni. “Realtà e immaginazione non sono agli antipodi”, argomenta il
romanziere: “Questo divorzio tra fantasia e realtà, tra sogno e realtà, fu
l’aberrazione propria ai romantici come ai classicisti”. E “l’equivoco si è
perpetuato. Si crede ancora che chi è provvisto di una ricca fantasia sia un «sognatore»,
che manchi quindi di «realismo»”. Per realtà intendendosi il “senso pratico”.
Nell’opinione comune. Nella cultura le “cose materiali” – il sesso, il denaro,
il potere.
Ancora Cassola,
“Fogli di diario”, 10 marzo 1973: “L’esistenza e la vita non possono coincidere.
L’esistenza è indeterminata, la vita è determinata. L’esistenza è senza carattere,
la vita ne ha sempre uno. L’esistenza è immobilità e immutabilità, la vita è
movimento e mutamento”.
Heidegger - Anche in Dante la vita è “un correre alla morte”.
Innatismo – Prima che in Chomsky si trova argomentato da E. Jünger nel
preambolo a “Linguaggio e anatomia”, un saggio del 1949, una galoppata da Vico
ai Padri della Chiesa: “In quanto il linguaggio non è soltanto rivelazione e
dono, ma anche opera e espressione, dei tratti dell’essere umano vi si
disegnano, come le lettere in un libro. Si può risalire da essi alla sua
evoluzione e alla sua vita, come dalle impronte nello scisto alle forme di
animali del tutto scomparsi.
“È in modo simile che il corpo
dell’uomo ha lasciato nel linguaggio trace che convergono alla riflessione,
all’interpretazione. Seguendo questo abbrivio, forse otterremo, con più
scoperte nel campo del linguaggio, acquisizioni più nobili”.
Pentimento – È operazione reazionaria, su cui si
misurano l’Occidente, il papa, Freud, l’imperialismo, e i delinquenti in genere?
Per i benefici di legge, quindi per le leggi. Mentre “non pentirsi di
nulla è la saggezza suprema”, Kierkegaard dopo Spinoza sostiene con più verità.
Pentirsi per deprecare, denunciare, cioè giudicare, la colpa degli altri, di
fatto è non pentirsi, pentimento è cancellarsi, giusto la metafora della
prigione.
Storia – È soggettiva. È
d’autore, e circostanziale. “La presunzione dello storico non l’ho mai
compresa”, può argomentare il giudice e giurisperito tedesco Fritz Bauer nel
1966, a proposito di una causa celebra, il diritto oppure no alla pubblicazione
di un romanzo a chiave di Klaus Mann, “Mephisto”, su personaggi e vicende reali
degli anni del nazismo: “Ogni interpretazione, che si tratti di Wallenstein o
di Johann Wolfgang von Goethe (di un personaggio e del suo autore, n.d.r.) è
sempre un fatto soggettivo, la verità pura non può essere stabilita, la verità
scaturisce solo da una discussione”. La verità evidentemente processuale -ma
anche in assoluto? Da un confronto, dalle pezze d’appoggio. Ma in un puzzle
polimorfo.
Non
si può rinunciare alla storia: la storia divenuta reale non ha più fine, l’ha
capita pure Debord. Si va per accumulo, soverchiando i segni meno.
È la fine di Dio, o a lui rinvia? Simone Weil è
radicale, nel III volume dei “Quaderni”: “Il
primo cristianesimo ha fabbricato il veleno della nozione di progresso con
l’idea della pedagogia divina che forma gli uomini per renderli capaci di
ricevere il messaggio del Cristo... Il cristianesimo ha voluto cercare
un’armonia nel-la storia. È il germe di Hegel e Marx. Mi sembra che poche idee
siano più completamente false: cercare l’armonia nel divenire, in ciò che è il
contrario dell’eternità”. E ancora: “L’idea di progresso è l’idea atea per
eccellenza, e la negazione della prova ontologica sperimentale, giacché implica
che il mediocre può di per sé produrre il meglio. Tutta la scienza moderna
concorre alla distruzione dell’idea del progresso”. Dunque Dio è la scienza
moderna – è ancora la verità e la vita. E la fine della storia è al di là. “Il
progresso è un sintomo”, dice Turgenev. Della fine della storia?
Verità – Il mito, tema obbligato della poesia e la
tragedia, limita la fantasia. Euripide lo buttò in melodramma, ma ebbe paura di
essere esplicito. E subito Socrate, o Platone, diedero l’illusione della
verità. Viviamo tra il mito convenzionale e i concetti aristotelici di telos,
il fine, e entelechia, la completa
realizzazione delle potenzialità. – Non gli si può dare torto, da tempo la
filosofia è senza corpo, e quindi senza amore. Aristotele faceva della ricerca
della verità impegno di vita. Platone dimostrò che non c’è nesso tra la vita e
la verità se non amore. Rapimento, sospensione, una forma di rapporto costante
con l’altro e di ascesi. Ora la filosofia, senza rapporto con la vita,
s’ingegna di revisionare la verità, o riformarla.
C’è
una potenza nel linguaggio, che non è la verità: il sicomoro, per esempio, non
è altro che un falso platano.
Mitra,
dio di Verità e Lealtà, aveva mille orecchi e diecimila occhi. Non gli bastava nulla.
C’è verità nel linguaggio, ma suo malgrado.
La verità del linguaggio può essere bugiarda. La rosa più delicata in colore e
profumo è detta canina nei vocabolari, o rugosa, selvaggia, di macchia, e
grattaculo. L’occhio di giaietto non è la stessa cosa che l’occhio di gavazzo,
anche se ha lo stesso lampo. Venere, Lucifero e Vespero sono la stessa stella,
ma non la stessa cosa. Ci sono verità che sovrastano la capacità del singolo,
sia esso scienziato o scrittore, e linguaggi traditori. E coscienze confuse, come
a Mosca nelle purghe, che vittime e testimoni credono ciò che dicono, non ciò
che hanno visto o sentito o fatto. La cornice ordina la visione, deve
aver detto Leonardo. E non la altera? Alma Tadema le cornici fa parte del quadro, il bello della merce è
anche l’esposizione.
zeulig@antiit.eu
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