Giuseppe Leuzzi
Ricercato turista e scrittore
Messina
Denaro che s’intrattiene con la figlia, oltre che intrattenere molteplici
amanti, l’una dopo l’altra certo, da galantuomo, e andava in vacanza in giro per
l’Italia, mentre era il ricercato numero uno, è “un cinema”, direbbe il siculo-camilleriano.
Una commedia, una farsa. Tanto più che le donne prese e lasciate erano a
rischio vendetta, facile facile se la polizia era alle calcagna del seduttore malfattore. Camilleri, in proprio, ne aveva fatto “il latinista della mafia”, in
qualità di corrispondente, via “pizzini”, del capomafia Provenzano – piuttosto prolisso, però. Ma soprattutto
si rivaluta come opera storica l’intrigo che nel 2008 venne pubblicato da Stampa Alternativa
come un libro del capomafia, “Lettere a Svetonio”. Qui variamente commentato, sempre come
uno scherzo. Mentre era edito seriosamente, come uno scambio epistolare, negli anni dal 2003
al 2007, tra Messina Denaro (“Svetonio”) e un ex sindaco del suo paese, Castelvetrano, rimosso
per mafia, a cui il boss si indirizzava coma a spia dell’Aisi – l’ex Sisde, i servizi
segreti.
Sudismi\sadismi – il voto è infetto
Il
riconteggio dei voti nella Giunta per le elezioni ha portato alla Camera il giovane
Andrea Gentile, Forza Italia, invece della giovane Elisa Scutellà, 5 Stelle. Giovani
quarantenni, ma non è questo il punto. Due anni e mezzo di riconteggi, ma
questo non interessa. Il punto è che il giovane Gentile ha già fatto in tempo a subentrare, già nella
legislatura passata, al posto del collega di partito Occhiuto che si candidava
alla Regione Calabria. Ed è già nome noto: “Avvocato penalista”, scrive Giuseppe
Alberto Falci sul “Corriere della sera”, “classe 1980, figlio di Tonino e
nipote di Pino, due ras delle preferenze”. Con “un pacchetto di voti che, secondo
fonti qualificate, in Calabria oscilla tra le 20 e le 50 mila preferenze”, infierisce
l’articolista – e chissà quante fuori della Calabria? E con un padre, Tonino, che
“è un po’ il «Verdini di Calabria»: elegatissimo, in gessato, capello nero sempre
pettinato”.
L’astio
è sicuramente molto, tanto da far zoppicare l’italiano, ma poi Falci è uno di
Caltanissetta. Tra Sicilia e Calabria non corre buon sangue, e tutt’e due fanno
un pessimo Sud. Che ci si può aspettare da un onorevole di Cosenza, figlio di
onorevole? Gatta ci cova – checché voglia dire.
La restanza futurista
Alla grande
mostra romana sul Futurismo sono esposte due tele di Boccioni, “Quelli che
vanno” e “Quelli che restano” – in prestito dal MoMa di New York, il Museum of
Modern Art. I due dipinti fanno parte di
un trittico, “Stati d’animo”, con una prima tela denominata “Gli Addii”,
l’agitazione all’interno di una stazione. Ma si leggono indipendentemente.
“Quelli che restano” sono semi-automi, imbrigliati in un bosco come di canne di
bambù – un fondotinta verde ma non di speranza, smorto. “Quelli che vanno” sono
imbrigliati sopra onde scure, in una massa di oggetti e utensili – su fondo blu
ma non di cielo, un blu cupo, chiuso. Come se l’emigrazione dimezzasse:
agitasse chi parte e intrappolasse chi resta. Un’impressione cui il visitatore
odierno è più sensibile, per la tendenza che si va imponedo al ritorno, o alla
“restanza”, cioè alla resistenza.
Un trittico
di Boccioni, che bene o male è nato a Reggio Calabria, e vi ha fatto fino alle
elementari – anche se di lui Reggio sa niente o quasi, ma questo è un altro discorso.
In un mondo cioè di emigrazione, anche mentale, tra gli stessi rimasti – i reggini
non si amano. “Non si è vissuti impunemente in un luogo”, avrebbe argomentato
sessanta o settant’anni dopo Cassola.
Il vecchio e il nuovo – o la scomparsa di Verga in Sicilia
“Il
vecchio e il nuovo” è il titolo di un romanzo di Pirandello? No, quello è “I
vecchi e i giovani”. Il vecchio e il nuovo è il tema di un romanzo di Verga, “I
malavoglia”, spiega Carlo Cassola in uno dei suoi “Fogli di diario”, 8 ottobre
1972, sul “Corriere della sera”: “Il contrasto fra la tradizionale «way of
life» e la ricerca di una maniera personale di vivere; vale a dire il contrasto
tra il vecchio e il nuovo: è un vecchio tema letterario. È per esempio il tema
di un capolavoro come ‘I Malavoglia’: che nelle intenzioni dell’autore voleva
essere «lo studio sincero e appassioanto del come probabilmente devono nascere
e svilupparsi nelle più umili condizioni le prime irrequitudini pel benessere”.
Nel
1972 su “l’Espresso” Enzo Siciliano si domandava perché a mezzo secolo dalla
morte Verga fosse ancora impopolare. Cinquant’anni dopo Siciliano Verga è semplicemente
cancellato, senza più. Un tempo Verga si leggeva al liceo. Poi è scomparso. Specie in Sicilia,
dove il racconto è ambientato, di un autore del tutto siciliano: zero totale. Non c’è
Verga in Sciascia. Nemmeno nel prolifico Camilleri - anche se proprio “I malavoglia” è il primo
romanzo dialettale. Era estraneo già a Pirandello, e qui un po’ si capisce, Verga ha la macchia del verismo.
Dopo Siciliano se ne ricorda dunque solo Cassola. Cinquant’anni fa. Sul
“Corriere della sera”. Su un giornale milanese uno scrittore toscano. È vero che i “Malavoglia”
di soprannome all’anagrafe facevano Toscano - “veramente nel libro della parrocchia si chiamavano
Toscano”, è detto nella prima pagina del romanzo.
Sardegna biblica
In “Terra
Sarda. Un itinerario attraverso il museo di Cagliari”, 1965, una delle tante
riflessioni che l’isola indusse nello scrittore dopo che ne fece la scoperta da
turista nella primavera del 1954, Ernst Jünger tratteggia una Sardegna biblica.
Sul presupposto che le età, storiche (pietra, bronzo, ferro), letterarie
(fiaba, mito, storia), e anagrafiche (infanzia, giovinezza, maturità) sono “propriamente
una sequenza fatale” e non un processo calcolabile “con il calendario o con l’orologio”
(nella traduzione di Quirino Principe, edizione Il Maestrale). Le “tappe”
storiche si realizzano variamente, nei luoghi e anche nella durata. È così che “la
Sardegna è una terra giovane”. Specie all’interno, luogo di immagini al
viaggiatore “familiari, egli le ha già vedute o nell’infanzia o nei sogni” – “qui
il tempo è fluito via impercettiilmente e ha salvaguardato ciò che in altri luoghi
è ormai passato remoto”.
Molte
le suggestioni che l’isola stimolava. “Sono le immagini della Bibbia, della
Terrasanta, che ritornano come reminiscenza. Come il campo viene coltivato e
mietuto con la falce, come il grano viene trebbiato dai buoi, e i chicchi di
frumento sono ventilati e separati dalla pula, e l’uva schiacciata sotto i piedi,
così queste visioni si sono impresse nella nostra memoria infantile tramite il
libro di Ruth e altri scritti biblici. Ancora i mattoni vengono plasmati con l’argilla,
rinforzati con al stoppa, e messi a seccare al sole come avveniva nell’antico
Egito secondo al descrzione di Mosé Ancora le mogli e le figlie dei pastori
vengono, con Rachele, alla fontana, e reggono le anfore sul capo o sull’anca. Al
lavoro sui campi torridi e petrosi con i tori aggiogati, o con la zappa nelle
ummide valli dei fiumi, al seguito delle mandrie e dei greggi che s’indovinano
da lontano per le alte nuvole di polvere che sollevano, poco è mutato nei
millenni”.
Antimafia a pagamento
Su
“Report”, Rai 3, si ascolta Massimo Giletti che spiega a Giovanni Minoli come
Baiardo, il gelataio che promette(va) la foto di Berlusconi con uno dei
Graviano, pesi massimi mafiosi (e con il generale dei Carabineri Delfino) alla
viglia degli atennati del 1993, e si è candidato allegro qualche mese a sindaco
di Bagheria, nientedimeno, era pagato per dire e non dire. “Report” fa ascoltare
alcune intercettazioni telefoniche tra i due: “Il signor Baiardo è stato
pagato…”, “Sì, sì, due fatture da quindicimila euro, due volte”. Dopo che Giletti
si lamenta della censura che avrebbe subito e poi portato alla chiusura del suo
programma, benché di successo. Così “Report” ricostruisce la vicenda: “Paolo
Berlusconi chiama l’editore di La7 Urbano Cairo per protestare contro le
rivelazioni di Baiardo. Cairo chiede a Giletti di incontrare Berlusconi ma
Giletti rifiuta… E Gianmarco Mazzi, procuratore di Giletti e oggi
sottosegretario alla Cultura (deputato di Frateli d’Italia, n.d.r.),
interrogato a Firenze racconta che Cairo voleva rinnovare il contratto al
conduttore. Invece l’11 aprile chiude la trasmissione e scoppia il putiferio”.
Baiardo, “il gelataio amico dei mafiosi” (“la Repubblica”) ha per primo vaticinato
l’arresto imminente di Matteo Messina Denaro. Già in carcere nel 1997, per
avere favorito la latitanza dei boss di mafia Filippo e Giuseppe Graviano, ora
è di nuovo in carcere, da metà dicembre, su disposizione della Procura di Firenze,
per “calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra”. La Procura di Firenze,
quella della deposizione dell’onorevole Mazzi, indaga da trent’anni per provare
che le stragi del 1993 furono disposte da Berlusconi e Dell’Utri – e ora, morto
Berlusconi, anche dal generale dei Carabinieri Mario Mori. Baiardo si era accreditato
come testimone contro Berlusconi – un po’ come poi con Giletti, con la foto
promessa. Successivamente invece aveva calunniato, dice Firenze, altri due pentiti
di mafia su cui la Procura fa molto affidamento, Spatuzza e Tranchina. Da qui l’arresto.
Un
bell’ambientino.
E
la mafia?
P.S.
Baiardo è anche famoso per avere vaticinato l’arresto e la morte di Messina
Denaro. Così questa vicenda è raccontata da “L’indipendente” online:
“L’ingombrante
figura di Baiardo si staglia anche sullo sfondo dell’arresto di Matteo Messina
Denaro, avvenuto il 16 gennaio 2023. A tal proposito, infatti, sono risultate
incredibilmente profetiche le dichiarazioni rese dall’ex favoreggiatore dei
fratelli Graviano – legati a doppio filo con Messina Denaro, che nella fase
post-Tangentopoli e pre-elezioni del 1994 fu una delle più sofisticate menti
“politiche” di Cosa Nostra – alla trasmissione di Giletti “Fantasmi di mafia”,
andata in onda su La7 il 5 novembre 2022: «Chi lo sa che
magari non arriva un regalino? Che magari presumiamo che Matteo Messina
Denaro sia molto malato e che faccia una trattativa lui stesso per consegnarsi
e fare un arresto clamoroso? E che così, arrestando lui, possa uscire qualcuno
che magari è all’ergastolo ostativo senza che ci sia clamore»? Baiardo,
insomma, a novembre dimostrava di essere già al corrente del precario stato di
salute del latitante (poi effettivamente morto di tumore nel settembre 2023),
sostenendo che il suo imminente arresto potesse costituire l’oggetto
dell’ennesimo do ut des sul binario di una trattativa ancora
in essere tra la mafia e apparati istituzionali. Alla domanda di Giletti su
quando sarebbe andata in scena la cattura di Matteo Messina Denaro,
Baiardo rispose facendo un chiaro riferimento all’arresto di Totò
Riina, avvenuto il 15 gennaio 1993: «Ci sono delle date che parlano». Messina
Denaro sarebbe stato arrestato poco più di due mesi dopo la “profezia” di
Baiardo, esattamente a 30 anni e un giorno di distanza dalla cattura di Riina”.
Le “menti
raffinate” della “trattativa tra mafia e apparati istituzionali” che si affaticano
per dare ragione a Salvatore Baiardo? Che apparati cretini che abbiamo!
Che la mafia, accolta di trucidi
assassini (lo Spatuzza pupillo di Firenze, ora teologo, ne ha operato di sua
mano più di un centinaio, quelli accertati), sia diventata in questi trent’anni
tema narrativo privilegiato dice l’imbarbarimento della politica in Italia – una
politica “giudiziaria”, sotto la ferula di Procure e Tribunali.
leuzzi@antiit.eu
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