Giuseppe Leuzzi
Due persone su cinque in Calabria,
Sicilia e Campania sono a rischio povertà. La più alta percentuale di tutta l’Unione
Europea – se si esclude la Gyuiana francese in Sud America (ma è il posto della
Cayenna). C’è qualcosa che non funziona nelle statistiche.
La
regione in tutta Europa a rischio povertà più basso? In Romania…..
La rivoluzione che non ci fu all’unità
“Ti ricordi quand’io ti diceva - In Sicilia non c’è mai stato granché
ed ora non c’è più nulla. I nostri si fanno illusione, come è il solito, sarà
la seconda edizione aumentata e ingrandita di Pisacane e di Sapri?! Or bene
– nulla di più vero dei miei presentimenti. Rivoluzione in Sicilia non ce n’era
mai stata”. Ippolito Nievo, 29 anni, da Palermo dov’è arrivato con i Mille, Intendente
(addetto all’amministrazione) di Garibaldi, scrive alla cugina Bice già il 24
giugno 1860. Alla conquista di Palermo “i Picciotti fuggivano d’ogni
banda”, e dentro la città vuoto e silenzio: “Dentro pare una città di morti;
non altra rivoluzione, che sul tardi qualche scampanio …. Tutti mi fanno la
corte per suppliche raccomandazioni ed impieghi – principi e principesse,
Duchi e Duchesse a palate agognano 20
ducati 12 al mese di salario”. E alla madre, l’1 luglio: “I Siciliani sono
tutti femmine; hanno la passione del tumulto e della comparsa: e i disagi e i
pericoli li trovano assai meno pronti delle parate e delle feste... Tutta la
rivoluzione era concentrata nelle bande campagnuole chiamate qui squadre
e composte per la maggior parte di briganti emeriti che fanno la guerra al
governo per poterla fare ai proprietari”.
Una lettera sbadata, quella a Bice, una prima o seconda lettera, il tentativo
di riallacciare un rapporto, tanta era la solitudine a Palermo, dopo la superattività
dei due mesi precedenti, tra l’arruolamento a Quarto, in tutta segretezza, il viaggio,
lo sbarco, le scaramucce, Calatafimi – e la fatica, la sporcizia. L’entrata a
Palermo descrive come di “straccioni. Io era vestito come quando partii da
Milano; mostrava fuori dei calzoni quello che comunemente non si osa mostrare mai
al pubblico, e portava addosso uno schioppettone che consumava quattro capsule per
sparare un colpo – per compenso aveva un pane infilato nella baionetta, un bel
fiore di aloè sul cappello, e una magnifica coperta da letto sulle spalle alla
Pollione”.
La prima lettera, il 28 maggio, era stata entussiasta, sullo sbarco e la
campagna militare, fino alla conquista di Palermo. Un mese dopo, il giovane
scrittore fa con leggerezza, come di cosa vista, un saggio, e un testamento, politico
(il giovane scrittore morirà otto mesi dopo, per il naufragio del vapore nell’agognato
per mesi viaggio di ritorno). Un trattato in poche righe di sociologia politica
e di politica: “Qui si vive in pieno Seicento, col barocchismo, le raffinatezze
e l’ignoranza di allora. – Tanto è vero che ad esso noi dobbiamo farla da
carabinieri contro i nostri alleati di ieri!… Saprai novelle della cosiddetta rivoluzione
di Sicilia e che fu tutto merito nostro che le abbiamo creduto, e l’abbiamo
suscitata o per meglio dire fatta da noi soli! Figurati, con tali precedenze, se
sul futuro si può ragionare! Chiudiamo gli occhi, vogliamoci bene, e tanto
basta per ora”.
Un Paese residuale
“Soffermati sull’arida sponda,
Volti i guardi al varcato Ticino,
Tutti assorti nel novo destino,
Certi in cor dell’antica virtù,
Han giurato: Non fia che quest’onda5
Scorra più tra due rive straniere:
Non fia loco ove sorgan barriere
Tra l’Italia e l’Italia, mai più!...”
Non
si parla molto ultimamente di Manzoni. Nemmeno per le celebrazioni: non per i
150 anni del teatro che porta il suo nome nel 2022, né per i 150 anni della
morte nel 2023 – a parte la moneta da 2 euro (roba romana, da Zecca). Ne hanno parlato
ultimamente i siciliani: Sciascia, devotissimo, Camilleri. I milanesi sono fermi
a Gadda, un secolo fa – e solo al romanzo: tragedie, inni, storie, pure
pregevoli, kaputt. Nel mezzo Natalia Ginzburg, senza misericordia.
Non
se ne è parlato neppure prima, nel 2021, due secoli dall’ode “Marzo 1821” che
si vuole Manzoni abbia scritto di getto, tra il 17 e il 21 marzo dello stesso
anno, e che pubblicherà dopo - e in omaggio a - le Cinque Giornate di Milano contro
il dominio austriaco nel 1848. Un inno, che pure è bellissimo. Sonante, tuonante,
battagliero. “Giovanile” (per dire non “manzoniano” - senile, saputo, saggio).
Ode
intelligente anche, politicamente, storicamente, e generosa. “In onore delle
cinque giornate di Milano, Manzoni pubblica l’ode “Marzo 1821”, dedicata «alla
illustre memoria di Teodoro Koerner - poeta e soldato – della indipendenza
germanica – morto sul campo di Lipsia il giorno 18 ottobre 1813 – Nome caro a
tutti i popoli – che combattono per difendere – o per riconquistare una patria»”,
ricorda il sito Ministero della Difesa, e commenta: “Come era stata giusta e
santa la guerra dei tedeschi contro l’impero napoleonico, altrettanto giusta e
santa era la guerra degli italiani contro l’invasore austriaco”.
Ma
senza più eco, in effetti è un’altra Italia, questa. Si sta insieme giusto per guadagnare
di più - un po’ di turismo delle rovine, e un po’ di made in Italy, pizze, abiti. Con un piede volentieri mezzo fuori, e senza lamenti o rimpianti, Tanto,
per la vacanze, o a Ferragosto, anche a Natale, per la mama o per la nonna si
può sempre tornare.
Terra di centenari
Dallo
straordinario studio Istat “Centenari: in 10 anni oltre il 30% in più” emerge
un Sud tenace, coriaceo. I numeri in assoluto, di centenari e di supercentenari
(“individui di 110 anni e più”) non sono molti al Sud – la Lombardia vene fuori
in assoluto la prima col più gran numero. Ma in termini relativi, cioè in
rapporto alla popolazione, sì. Specie per i semi-supercentanari (105 anni e
più): tra le prime cinque regioni figurano Molise, Basilicata e Abruzzo, nell’ordine,
con la Liguria al secondo posto e l’Emilia-Romagna al quinto. Sesta viene la Sardegna,
nona la Calabria.
Un dato
che contrasta con le condizioni socio-sanitarie delle regioni del Sud. Forse
mitigate dalla persistenza della figura del medico di base come vecchio medico
condotto, quello che conosce i pazienti. E in ragione della demografia sparsa, in
ambiente poco urbanizzato. Dell’alimentazione forse, come usa dire - del cibo
cucinato, meno artefatto. Ma soprattutto, viene da pensare, di figli e nipoti
accudenti: di molto pazienza, e dedizione - in ragione della persistenza, in qualche
forma, della famiglia.
Non
tutto è da buttare del Sud. Non la “dieta mediterranea” evidentemente – che al Sud
è di fatto un po’ “pesante”. Un modo di vita diffuso persiste, anche a costo di stremanti pendolarismi. La famosa “restanza” teorizzata dall’antropologo Vito
Teti, che può aiutare. Può costituire un modo di essere e di vivere fertile,
ora possibile anche nella contemporaneità, col lavoro a distanza.
Cronache della
differenza: Napoli
Quattro film che la celebrano,
in vario modo, tra 2024 e 2025: due italiani, “Parthenope” e “Napoli-New York”,
uno francese, “Criature”, e uno italiano ma di soggetto inglese, “Hey Joe” –
tratto da “Napoli 1944”, l’epopea dello sbarco, di Norman Lewis. Napoli era tuta un teatro, ora è tutta un
cinema – tutta un palcoscenico, tutta un set (comprese le stazioni della
metro). Mentre è – era, è stata – un’arena del canto, ritmico, melodico, poetico,
melodrammatico.
“Circa il 40 per cento dei contenuti
prodotti in Italia su Tik Tok”, il set virtuale dove ognuno può farsi personaggio,
“riguarda Napoli e il. suo Hinterland”, Marcello Ravveduto, professore di Digital
Public History a Salerno e Modena-Reggio Emilia, al modo delle “grandi metropoli
che hanno vita autonoma rispetto alle
proprie nazioni”, New York, Buenos Aires, Rio de Janeiro(“Napoli ha la capacità
di costruire un immaginario che invade il panorama mediatico mondiale”).
“Che bella Napoli! Ma che sporcizia.
Ma che luridume!”, scrive Antonia Pozzi, milanese, quindicenne alla nonna,
dalla Pasqua che passa col padre a Napoli – siamo quindi nel 1927: “La stanno
facendo diventare la più pulita, la più elegante, la più ricca città d’Italia!”
La più ricca addirittura – è anche vero che Milano, specie in quegli anni lì, tra
le guerre, era grigia e deserta. La “stanno facendo” sottintende un fatto di
governo. Di volontà politica, di applicazione. Che, si vede, poi è mancata.
“Un’esecuzione a Napoli vale
più di duecento in Germania”, Mozart al padre Leopoldo, nel 1770. Un’esecuzione
capitale, coi rulli di tamburi, con le fanfare? No, un’esecuzione musicale. Con
un: “Ps: anche se pagano poco”.
Le rabbiose sparatorie dei
ragazzi alla “Gomorra” che ora imperversano, anche se in città, o in paese, in
piazza, e contro altri ragazzi, e non su una spiaggia livida all’alba, deserta,
erano di prima o sono venute dopo il film di Garrone?
È impressionante come un ragazzo può comprarsi una
pistola, che costano caro, specie di sottomano. Non c’è più la famiglia a
Napoli, dove era tutto – “un figlio è parte di te stesso” se lo diceva un personaggio
di Eduardo, ma di una commedia antica.
leuzzi@antiit.eu
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