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Carter, che "liberò" il terrorismo islamico
Si apre l’anno
con l’ennesimo eccidio jihadista, ancora in America. A poche ore dalla morte
dell’ex presidente Carter. Di cui non si ricorda, ma fu il presidente che “liberò”
il jihadismo. Insediando Khomeiny in Iran.
Il nome di
Carter non viene associato al khomenismo, ma fu lui a crearlo. A “liberare” il
fondamentalismo islamico. Cioè il terrorismo indiscriminato - anche kamikaze,
con bombe a tempo, con eccidi nei luoghi affollati, scuole, mercati - fatto
legge divina. Che dall’Iran ha travalicato nel mondo arabo, in varie sette, sciite
e salafite-sunnite. In quarant’anni ormai di stragi, nel mondo islamico, specie
in Algeria (con mezzo milione di morti, almeno), in Africa (Nigeria, Somalia e
altrove), in Europa (Gran Bretagna, Spagna, Francia, Germania, Belgio) e negli Stati
Uniti – qui con numerosissimi attentati sanguinari, anche se si ricorda solo
quello incredibile dell’11 settembre 2001.
Sono stati
i servizi segreti francesi a destabilizzare l’Iran. Recuperando in Iraq uno dei
tanti ayatollah nemici della modernizzazione impressa all’Ira dallo scià, Ruhollah
Khomeiny, e facendone in poche settimane, da una base in Francia vicino Parigi,
con un sistema di videocassette giornalmente moltiplicate in milioni di esemplari
e contrabbandate in Iran, e giornalieri discorsi diffusi accuratamente nei media,
un capo rivoluzionario. Di una rivoluzione, secondo il Deuxième Bureau, “dei fiori”.
Ma fu Carter a dare il via alla rivoluzione “dei fiori”, al vertice a quattro
della Guadalupa a Capodanno del 1979, convocato da Giscard d’Estaing – un presidente
francese che finirà ingloriosamente per traffici di diamanti con dittatori sanguinari
africani – con Usa, Gran Bretagna e Germania Occidentale.
Gli Stati
Uniti avevano con l’Iran un patto di mutua difesa, anticomunista-antisovietico
(l’Iran, non si ricorda, ma è dai tempi del Grande Gioco di “Kim”, di Kipling,
nella sfera d’interesse russa). M Carter, apostolo dei diritti umani (sarà per
questo premio Nobel per la Pace nel 2002), decise che Khomeiny avrebbe assicurato
i diritti politici e civili ai persiani, e mandò il suo capo di stato maggiore
a comunicare allo scià che le manifestazioni di piazza organizzata dai neofiti
khomeinisti (Khomeiny fu a lungo inviso alla maggior parte degli ayatollah, dei
più colti e autorevoli :a Qom, una sorta di città santa dello sciismo, non poteva
mettere piede) non andavano confrontate, e che anzi doveva abbandonare il
paese.
Il resto
è noto. Il primo gesto di Khomeiny al potere fu un atto di terrorismo con gli
Stati Uniti: l’occupazione dell’ambasciata americana, e la detenzione in ostaggio,
per quindici mesi, dei 52 dipendenti che vi si trovavano. Seguirono lunghi mesi
di trattative a nessun fine – solo a esporre la debolezza americana. Carter, l’uomo
di pace, spinse Saddam Hussein alla guerra contro l’Iran, ma a nessun esito.
Tentò allora un attacco da giallo d’azione, con un commando di liberatori che dovevano
atterrare al centro di Teheran in elicottero, prendere d’assalto la prigione (sconosciuta)
degli ostaggi, e liberarli. Gli elicotteri si insabbiarono, Carter perse le elezioni a vantaggio di un attore di poco
conto, Ronald Reagan, e Khomeiny fece festeggiare a Teheran la sua sconfitta
cone una sua, ennesima, vittoria.
La liberazione
degli ostaggi comporterà per Reagan un tortuoso giro di forniture di armi, al nemico
(ormai) Iran. In due mandate. Di cui la seconda divenne uno scandalo, all’epoca
molto famoso (ci pensava Mosca, all’epoca ancora in controllo del “comunismo”
nel mondo), denominato “Irangate” o “Iran contra”: Khomeiny aveva rilanciato
nel 1984 la presa di ostaggi americani, sette persone di varia statura
politica, questa volta in Libano, tramite le sue milizie Hezbollah, per la liberazione
dei quali pretese una fornitura militare, che pagò (Reagan si servì del
ricavato per comprare segretamente armi ai Contras, la guerriglia di opposizione
al governo sandinista-marxista in Nicaragua”).
Ps. Nel
1982-1983 furono i bersaglieri (truppe corazzate), mandati da Spadolini, a
salvare la faccia a Reagan e ai Marines. Allo schieramento occidentale a
protezione del Libano dall’Olp. Il 18 aprile 1983 un
attentato suicida Hezbollah a Beirut, all’ambasciata americana, aveva fatto 63
morti: alcuni passanti e una cinqnuantina
di addetti all’ambasciata, compresi agenti della Cia e Marines di guardia.
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