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venerdì 31 gennaio 2025

La scoperta di Craxi

Un’agiografia. Da miscredente – antipatizzante: “Sono uno dei tanti italiani a cui Craxi, quando era Craxi, non piaceva” è l’attacco. Ma subito poi, con Cazzullo giovane cronista alla “Stampa”, con i giornalisti in genere, Craxi si ricorda “molto gentile” - il gerarca in stivaloni di Forattini, il “cinghialone” di Feltri (Vittorio).
Un volume grande, di grafica curata, lussuosa, cartonato bianco immacolato, ripieno di foto di Craxi, anche magro e con i capelli, sorridente e attento per lo più e non spavaldo, già dalla copertina, e una bio-carrellata da cronista, di semplice dati ed eventi. Ma curiosamente attendibile, a ogni riscontro. E problematica, articolata com’è sulla conclusione che poi confluisce nel titolo, polemica benché piana: di questi uomini non ce n’è più, l’Italia non li nutre e non se li merita – o non sarà l’Italia che scrive?
Un monumento editoriale - un tributo, affettuoso, generoso. Apprezzabile anche perché è il solo in circolazione. Il libraio, che attorno al “Cazzullo che riempie le librerie” apre uno scaffale Craxi, non riesce a mettere assieme più di quattro titoli oltre questo - di cui solo due di qualche consistenza, Massimo Franco e Fabio Martini (“Controvento. La vera storia di Bettino Craxi”), di cui il primo, “Il fantasma di Hammamet”, di trent’anni fa, è l’ennesima damnatio memoriae appena camuffata, il settarismo non è morto. Ma il richiamo maggiore è probabilmente che la ricostruzione di Cazzullo su cui il volume si regge è piena di verità. Una rarità in Italia, dove la storia politica, non solo della Repubblica ma anche del fascismo, e anzi del Risorgimento, è impossibile – politica è sinonimo di faziosità.
“I racconti e le immagini” è il sottotitolo. Il libro si avvale di una ricchissima documentazione fotografica, di Craxi giovane agitprop socialista scaricato nelle periferie, del dignitosissimo padre, una sorta di nobiluomo siculo in missione a Milano, di cui è stato vice-prefetto alla Liberazione, dei familiari, e non sfigura nemmeno di fronte al santino Berlinguer. Poco è preso da Craxi al governo, la parte comunque che la damnatio non è riuscita a elidere: l’inflazione ridotta dal 25 al 3 per cento, il referendum contro la scala mobile, l’Italia quinta economia mondiale, prima della Gran Bretagna, una politica atlantica ma anche socialista, contro gli avventurismi americani - in piazza contro la guerra in Vietnam, in piazza e con Nenni contro i colonnelli in Grecia, a Santiago del Cile all'abbattimento di Allende, e poi a Sigonella, e contro l
’assassinio di Gheddafi.  

Un racconto lusinghiero, per un approccio non più settario. Partendo dalla fine, ingloriosa, in Tunisia – non gli fu consentito di farsi operare in Italia. L’inizio della fine Cazzullo pone nel passo falso di Craxi al referendum del 9 giugno 1991 sulla preferenza unica. Lui invita a non votare, Dc e Pci invece mobilitano gli elettori, e quasi il 100 per cento, fra astenuti e favorevoli, gli vota contro.  Cazzullo lo rimprovera: “Alla fine di giugno, Craxi celebra il congresso a Bari. Fa molto caldo, la camicia madida di sudore lascia intravedere la canotta, e non è un bell’intravedere”.
Anche il giudizio politico comincia a prendere forma, dal vero invece che dalla narrazione tuttora granitica, post-comunista. Cazzullo non prende posizione, malgrado il titolo. Il suo punto di vista argomenta con quelli degli altri, di chi ha preso parte ai vari eventi, per come li ricorda o ricostruisce, o preferisce presentarli. Ma con evidente giudizio critico, nel taglio e nel montaggio degli stessi ricordi. Per una volta, merito non minore e forse anticipatore, ridimensionando il ruolo e il potere del Pci - e giustamente, da troppo tempo ruota di scorta della Dc, e non della migliore (uno guarda all’eredità romana, al Pd della capitale, e trasecola, tale è l’ammasso, non sbrogliabile, di arraffoni).
Il resto, evidentemente, si ridimensiona. Non solo il non nominato Francesco Saverio Borrelli, andreottiano terribilista a Milano. Ma anche un Michele Serra, che si acquisì l’agognata ascesa da moralista triste a “la Repubblica” con la prima pagina del suo “Cuore”, “un gigantesco fotomontaggio di Craxi dietro le sbarre con il titolo Pensiero stupendo, e un fotomontaggio più piccolo del figlio, sempre in carcere, con il titolo Pensierino stupendino”.

A conclusione Cazzullo si concede una considerazione: lItalia è perduta, si è perduta. Non vota, non fa figli, e lavora anche poco. Il che è vero ma non è la fine: lItalia purtroppo non è stata e non sa essere altro. Con un dubbio, però, riguardante i Cazzullo, i suoi  giornalisti (che sgomentano i corrispondenti esteri), anche quelli colti e bene intenzionati: lItalia è peggio o meglio della sua stampa, della sua immagine?

Craxi l’antipatizzante, per essere socialista soprattutto, quindi inviso a nove italiani su dieci - e soprattutto ai direttori e padroni di giornali, a cui il buongoverno è inviso, “se non c’è crisi non si vende” - sapeva di politica, sapeva di libertà e buongoverno. Un solo errore fece, Cazzullo ci rimediti, e fu di attenersi all’ordine delle cose, ad Arnaldo Forlani segretario della Dc invece che ad Andreotti, nella fatale elezione presidenziale del 1992, e l’ha pagata caro, carissimo. L’inizio del suo racconto, del resto, è sintomatico: il 23 ottobre 1999 “la quinta sezione penale del tribunale di Palermo, dopo una camera di consiglio durata undici giorni, assolse Andreotti Giulio dall’accusa infamante di aver favorito la mafia”, e come no, quando mai, il 24 Craxi fu ricoverato all’ospedale di Tunisi per morirvi. L’ultima beffa del sardonico Giulio – con gargantuesca camera di consiglio a Roma, e a Milano un Pulcinella tenuto fermo sul no.  

Con una “cronologia essenziale”, ma ragionata. E con un ricordo di Gianni Pennacchi.
Aldo Cazzullo, Craxi, l’ultimo vero politico, Rizzoli, pp. 279, ril., €25

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