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lunedì 27 gennaio 2025

La Sicilia liberata, che sbaglio

Le ultime parole sono: “Povera Italia! Che abbaglio!”. Dette già nel 1886. Dall’eroico protagonista, Vincenzo Giordano Orsini, palermitano di Napoli, doppio nome per non averlo di cognome, incanutito ma sempre eroico maggiore di Garibaldi nell’impresa dei Mille. In una bisca. Annessa segretamente a un bordello. Dove si entra con la parola d’ordine “Va’ pensiero”.
Finisce malinconico, era partito come commedia. Due balordi siciliani, un baro di professione e un emigrato fallito, Picone e Ficarra, entrambi in cerca di un viaggio per l’isola a sbafo, si arruolano a Quarto. L’integerrimo Orsini li smaschera ma li arruola. Li proteggerà anche quando, sbarcati, diserteranno. La commedia s’irrobustisce con i due disertori rifugiati in convento, di suore: letto e tavola, tressette e piedini. Fino all’evento decisivo dei Mille: una manovra diversiva verso l’interno dell’isola, per indurre i Borboni a inseguirli lasciando sgombra Palermo, che Garibaldi può occupare, “liberare”, a porte spalancate, pacificamente. Un diversivo che funzionerà grazie ai due manigoldi, a rischio della loro vita.
Una tipica commedia all’italiana. Ma presto sui toni della requisitoria, l’ennesima, sulla mancata rivoluzione risorgimentale. Ennesima condanna anche dell’isola. In chiave, entrambi i fallimenti, gattopardesca: tutto cambia perché nulla cambi.
L’ennesimo caso, anche, di autofustigazione sicula: in Sicilia nulla è possibile, nulla di buono, etc. - non manca nemmeno la mafia. Su una linea certo onorevole, Sciascia, Camilleri, le serie tv, ormai innumerevoli. Un filone, si vede, che non stanca - “L’abbaglio” conduce gli incassi (e il pubblico in sala ha aria di casa). Ma un po’ faticoso.
Andò sembra all’inizio avere preso spunto da Ippolito Nievo, il giovane scrittore che fu Intendente (amministratore) dei garibaldini nella Palermo occupata. Dalle lettere che scriveva ai familiari - “Rivoluzione in Sicilia non ce n’era mai stata” (alla cugina Bice già il 24 giugno 1860). E altre annotazioni, di passata ma significanti. Si trovano in Nievo anche le suore, e i loro dolcetti. Sembra che segua Nievo anche fisicamente: a Orsini (Servillo) affianca un alfiere con la faccia e l’età di Nievo (Leonardo Maltese), e la sua parlata veneta. Ma non ne mantiene la levità – Nievo è deluso ma non prevenuto. Del resto, l’alfiere fa chiamare Ragusìn, il ragusano (della Ragusa dalmata oggi Dubrovnik), che è uno dei Mille, uno vero, un quarantenne, figura nell’elenco ufficiale dei Mille – compilato dallo stesso Orsini della storia, dove il suo nome figura com mezza riga, “maggiore”.
Roberto Andò,
L’abbaglio

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