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La Sicilia liberata, che sbaglio
Le ultime parole sono: “Povera Italia! Che abbaglio!”. Dette già nel
1886. Dall’eroico protagonista, Vincenzo Giordano Orsini, palermitano di
Napoli, doppio nome per non averlo di cognome, incanutito ma sempre eroico
maggiore di Garibaldi nell’impresa dei Mille. In una bisca. Annessa segretamente
a un bordello. Dove si entra con la parola d’ordine “Va’ pensiero”.
Finisce malinconico, era partito come commedia. Due balordi siciliani, un
baro di professione e un emigrato fallito, Picone e Ficarra, entrambi in cerca di un viaggio per l’isola
a sbafo, si arruolano a Quarto. L’integerrimo Orsini li smaschera ma li
arruola. Li proteggerà anche quando, sbarcati, diserteranno. La commedia
s’irrobustisce con i due disertori rifugiati in convento, di suore: letto e
tavola, tressette e piedini. Fino all’evento decisivo dei Mille: una manovra
diversiva verso l’interno dell’isola, per indurre i Borboni a inseguirli lasciando
sgombra Palermo, che Garibaldi può occupare, “liberare”, a porte spalancate,
pacificamente. Un diversivo che funzionerà grazie ai due manigoldi, a rischio
della loro vita.
Una tipica commedia all’italiana. Ma presto sui toni della requisitoria, l’ennesima,
sulla mancata rivoluzione risorgimentale. Ennesima condanna anche dell’isola.
In chiave, entrambi i fallimenti, gattopardesca: tutto cambia perché nulla cambi.
L’ennesimo caso, anche, di autofustigazione sicula: in Sicilia nulla è
possibile, nulla di buono, etc. - non manca nemmeno la mafia. Su una linea
certo onorevole, Sciascia, Camilleri, le serie tv, ormai innumerevoli. Un
filone, si vede, che non stanca - “L’abbaglio” conduce gli incassi (e il
pubblico in sala ha aria di casa). Ma un po’ faticoso.
Andò sembra all’inizio avere preso spunto da Ippolito Nievo, il giovane scrittore
che fu Intendente (amministratore) dei garibaldini nella Palermo occupata. Dalle
lettere che scriveva ai familiari - “Rivoluzione in Sicilia non ce n’era mai
stata” (alla cugina Bice già il 24 giugno 1860). E altre annotazioni, di
passata ma significanti. Si trovano in Nievo anche le suore, e i loro dolcetti.
Sembra che segua Nievo anche fisicamente: a Orsini (Servillo) affianca un
alfiere con la faccia e l’età di Nievo (Leonardo Maltese), e la sua parlata veneta.
Ma non ne mantiene la levità – Nievo è deluso ma non prevenuto. Del resto, l’alfiere
fa chiamare Ragusìn, il ragusano (della Ragusa dalmata oggi Dubrovnik), che è uno
dei Mille, uno vero, un quarantenne, figura nell’elenco ufficiale dei Mille – compilato
dallo stesso Orsini della storia, dove il suo nome figura com mezza riga, “maggiore”.
Roberto Andò, L’abbaglio
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