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Cuba – Nei primi anni
1950, prima di Castro, gli anni di Hemingway, L’Avana era per Graham Greene, nei
tanti soggiorni che vi fece, “il ristorante Floridita (famoso per daiquiri
e Morro crabs), la vita nei bordelli, al roulette in ogni albergo,
le macchinette mangiasoldi che sputano jackpot di dollari d’argento, il
teatro Shangai dove per un dollaro e venticinque centesimi si poteva vedere un
cabaret di nudi di oscenità estrema, col più porno dei film porno negli
intervalli (c’era nel foyer una libreria porno per i giovani annoiati dal
cabaret)…. Una città straordinaria dove ogni vizio era permesso e ogni commercio
possibile”. G.Greene non “fumava” e non si bucava - si dilettava di oppio negli
inverni che invece passava a Saigon.
Dio – “Bisogna
certamente che vi sia un Dio. Primo perché tutti lo hanno detto, e il gridar
più di molti è un grand’impegno. Secondo per parecchie altre ragioni”, il “Signor
Incognito” Ippolito Nievo, “Antiafrodisiaco per l’amor platonico”, [II].
Flaubert – Fu a Genova
per un paio di settimane nel maggio 1849. Aveva 28 anni, ed era già scrittore
noto. Accompagnava, col padre Cléophas e la madre Anne Justine Caroline
Fleuriot, la sorella Caroline fresca sposa in viaggio di nozze.
Hitchcock - G. Greene, per
un periodo prima della guerra critico cinematografico, non stimava Greta Garbo,
“una bella giumenta araba”, e Hitchcock. Ricordando quell’esperienza in “Vie di
scampo”, si dice ancora “irritato” dall’“inadeguato senso della realtà” del connazionale
regista: “Credo sempre che avevo ragione (checché Truffaut possa dire) quando scrivevo:
«I suoi film consistono di una serie di piccole ‘divertenti’ situazioni melodrammatiche:
il bottone dell’assassino caduto sul tavolo del baccarat, le mani dell’organista
strangolato che prolungano le note nella chiesa vuota…molto frettolosamente monta
su queste situazioni ingegnose (trascurando per strada inconsistenze, questioni
in sospeso, assurdità psicologiche) e poi le molla: non significano nulla; non
portano a nulla”.
Kenya – Un Paese tra
le nuvole appare a Gram Greene quando nella primavera del 1953 vi sbarca come giornalista
per documentare la rivolta anticolonialista dei Mau Mau – della popolazione Kikuyu
che abita l’altopiano, dopo la carcerazione del suo leader Jomo Kenyatta: “Scrivevo
la mia corrispondenza sulla rivolta Mau Mau”, scrive nel libro di memorie “Vie
di fuga”, “conscio dell’enorme distesa di cielo, e di terrazzati di nuvole. Mai
è stata una terra così avviluppata nell’aria, perché nella Kikuyuland si vive sulla
cima di una montagna, con Nairobi a oltre cinquemila piedi (circa 2.700 m.,
n.d.r.), e questa missione nella Riserva Kikuyu dove risiedo duemila piedi
ancora più in alto”.
Poesia – “La poesia
rimarrà sempre uguale a se stessa, più alta di ogni Alpe. Essa giace nell’erba,
sotto i nostri piedi, e bisogna soltanto chinarsi per scorgerla e raccoglierla
da terra”, Boris Pasternak, intervento al Congresso per la difesa della
cultura, Parigi, 25 giugno 1935, (“Quintessenza”, p.89). Alta e bassa?
Popolo – È ignorante,
ma “dispone di una salda provvista di forza mitopoietica”: Ernst Jünger ci
riflette in Sardegna il 31 maggio 1954 (in “Terra Sarda”, p. 142) vagando per i
dintorni di “Illador”-Villasimius. A proposito dell’asinello locale, che ha un
sul dorso due strisce nere che s’incrociano a formare una croce di Malta, e per
questo “la sua genealogia viene ricondotta a quell’antenato di cui si servì la
Sacra Famiglia per la sua Fuga in Egitto.
O a proposito di “un enorme anello di ferro incastrato nella roccia” in
montagna; un probabile snodo servito “nel secolo scorso a taglialegna forestieri
per fare scendere in pianura carici pesanti con una specie di funivia”, di cui
si dice che è un “ricordo di Noè, il quale approdò in quel punto con la sua
arca”. Una “lussureggiante immaginazione”, conclude Jünger, che “prospera
vigorosa accanto a una stupefacente mancanza di conoscenze storiche”. E a una
mancanza di curiosità: “Anche i notabili ignorano le date di nascita e di morte
del nonno”.
Roma – Non ha avuto
ammiratore più convinto del pur raffinato e riservato Henry James, che vi
ambientò anche il suo primo romanzo, “Roderick Hudson”. “Finalmente – per la prima
volta - mi sento vivo” scrive a casa alla sua prima visita nel 1869. Poi non lesinerà
gli elogi: “Nessuno che abbia amato Roma come Roma può essere amata in gioventù
vorrà finire di amarla”. Tra le tante annotazioni, nel 1879, passeggiando per
il Corso sgombro di turisti: “L'indole romana è sana e felice”, scrive, “il
sorriso di Roma, come io chiamo questa atmosfera, avvolge chi passeggia senza
pensieri e si abbandona a prendere le cose come vengono”.
Il rapporto sarà ancora più stretto negli ultimi anni - fino alla morte,
nel 1916 - dopo l’amicizia stretta a Roma nel 1899, a 56 anni, col ventiseienne
scultore norvegese di Roma Hendrik Christian Andersen.
Schubart – Del poeta
dello Sturm und Drang e pubblicista antigesuita e antiassolutista – per questo censurato
da Federico il Grande di Prussia – Herman Hesse
fa scherzosamente (nel racconto “Nel padiglione del giardino”, ora in “L’uomo
con molti libri”) il megadirettore del “museo di Samarcanda”, in viaggio in Europa
per conto dell’ “emiro del Belucistan”, a caccia di rarità, “se il poeta viveva
ancora – intendeva dire quell’infelice che era stato venduto agli Ottentotti da
Federico il Buono, e che là aveva composto l’inno nazionale africano”.
Vacanze – Un “gran senso
di ristoro” avverte Ernst Jünger a Cagliari, aggirandosi per il mercato in
attesa del treno per Olbia, “quello che sanno trasmettere le vacanze trascorse
senza libri, senza giornali e senza compagnia intellettuale” (“Terra Sarda”,
p.149).
Yvetot – Il paese in
Normandia dove Annie Ernaux è cresciuta, fino agli anni di università, e che condiziona
(spiega lei stessa ne “La vergona”) il suo modo di pensarsi e di scrivere,
ricorre spesso nella corrispondenza di Flaubert, come sinonimo di bruttezza: “la
città più brutta del mondo”, aggiunge qualche volta, “dopo Costantinopoli”. Nel
“Dizionario dei luoghi comuni” la fa una Napoli all’inverso: “Vedere Yvetot è
morire”. Ma per un disincanto generale, scriveva all’amante Louise Colet: “Non
ci sono in letteratura bei soggetti d’arte, e Yvetot vale Costantinopoli”.
letterautore@antiit.eu
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