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Maschio cattivo – oppure no
Una rilettura di testi canonici, da
Boccaccio all’Ariosto, Manzoni naturalmente (il titolo è detto da Lucia all’Innominato),
le “Confessioni di un ottuagenario”, “La coscienza di Zeno”, “Il gattopardo”, “Il
bell’Antonio”, Fenoglio (“Una qestione privata”), Buzzati (“Un amore) e
Starnone (“Via Gemito”), tutti romanzi di maschi, scritti da autori maschi. Da
un punto di vista particolare: enucleare il “modello maschile” storico nella
letteratura. La premessa sottintesa essendo: un maschio credibile non può
essere creato che da un romanziere maschio.
La conclusione è premessa: “Nei libri che ho scelto di raccontare”, Piccolo
anticipa, “tutti fanno la guerra, si incazzano, diventano furiosi, litigano,
sono gelosi, minacciosi, e usano al forza in modo esplicito, picchiando,
violentando”. E quelli della letteratura che non ha scelto di raccontare? Un
contributo al filone: la violenza è maschile.
Piccolo parte da
un’idea estrema, un’illuminazione – cui è indotto da Simone Weil quando
analizza l’ “Iliade” come poema della forza: “La letteratura è fondativa del mito
del maschio”. È la letteratura che ha reso forte – violento – il maschio. Un’idea,
da saggio breve. Condivisibile: certo che c’è una letteratura del maschio
violento. Ma non può non esserci. E senza pregiudicare il resto: la violenza prima,
e quindi fuori, della letteratura - e la violenza senza sesso, comunque non maschile.
Allargando l’obiettivo la cosa si complica.
Piccolo si premunisce,
del maschio parlando come “è inteso”. Il ragionamento però resta monco: c’è la
tesi, c’è la sintesi, non c’è l’antitesi – maschio in confronto a che, a chi? E,
paradossalmente, ottiene l’effetto di difenderlo: il lettore è portato a difendersi,
la lettrice a difenderlo.
Francesco Piccolo, Son
qui. m’ammazzi, Einaudi, pp. X -148 € 15
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