skip to main |
skip to sidebar
Quando l’America segregava la lirica
Marian Anderson fu un contralto americano, celebre
negli anni 1930-1940, detta da Toscanini “un talento che sboccia una volta in
un secolo”. Ma era nera, e fu soggetta negli Stati Uniti a restrizioni umilianti.
Specializzata in recital, di arie di opere e di Lieder, più che
in opere compete, anche se ne fece esperienza, perchè non si riteneva brava o capace
nei recitativi – “non so recitare”. Ma ciò malgrado di grande successo, per il timbro
e l’estensione della voce, e le qualità interpretative delle sue emissioni. In
Europa. Negli Stati Uniti anche il riconoscimento fu tardivo, e solo in seguito
alle acclamazioni raccolte in Europa. In Germania soprattutto, trattata con rispetto
anche negli anni di Hitler, a Salisburgo con Toscanini nel 1935, e in Finlandia,
dove approdò col pianista suo concertatore, finlandese, e divenne subito pupilla
di Sibelius.
Il settimanale riprende un vecchio articolo
del suo critico musicale, del 2009, per il settantacinquesimo di un concerto famoso
a Washington della cantante, un concerto pubblico, all’aperto, sotto il Lincoln
Memorial. Disposto dal presidente F.D.Roosevelt come risarcimento, ebbe invece un
successo tale che aprì la strada risolutiva al movimento americano per i diritti
civili. Al concerto assistette Martin Luther King, jr., che cinque anni dopo lo
celebrerà a un concorso scolastico di oratoria, sul tema “The Negro and the
Constitution”: “Cantò come mai prima, con lacrime agli occhi. Quando la parole
di ‘America’ e di ‘Nobody Knows de Trouble I seen’ risuonarono su quella grande
folla, l’immobiltià s’impose sul mare di visi rivolti in alto, neri e bianchi, in
un nuovo battesimo di libertà, eguaglianza, e fraternità”.
Negli Stati Uniti Marian Anderson, pure
sospetta di troppa condiscendenza, si rifiutava di cantare nelle sale che applicavano
la “segregazione orizzontale”, con i bianchi cioè in platea e i neri in
galleria, ma accettava la “segregazione verticale”, con i bianchi da un lato e i
neri dall’altro. Nelle tournées prendeva i pasti in camera, per evitare
complicazioni nei ristoranti. A Princeton, dove le fu egata una camera in albergo,
passò la notte in casa di Einstein. Ancora durante la guerra, malgrado il celebre
concerto di Pasqua del 1939, dovette aspettare fuori della stazione ferroviaria,
a Birmingham, in Alabama, che il suo accompagnatore al piano, il tedesco Franz
Rupp, entrasse a comparle un panino - mentre nella sala d’attesa comodi stavano
un gruppo di tedeschi prigionieri di guerra, naturalmente bianchi.
Da ragazza aveva trovato facile lo studio
della musica. Nel 1892, cinque anni prima della sua nascita, Antonìn Dvorák, il
compositore ceco diventato direttore del National Conservatory a New York, aveva
proclamato che le basi della musica americana erano e dovevano essere gli spiritual
e i temi amerindi, aprendo nel
contempo il conservatorio afro-americani, esentasse. In molte famiglie
afroamericane sì idirizzarono allora i figli allo studio della musica. E così
la mader di Marian Anderson - il padre era morto quando lei era piccola. Anche
per le evidenti doti canore della figlia. Ma ancora nel 1914, quando aveva 17
anni, e provò a fare domanda a Filadelfia a una scuola di musica, ricorda nelle
memorie, “My Lord, What a Morning”, la ragazza all’accettazione la fece
aspettare mentre prestava attenzione a tutti gli altri in fila, e alla fine le
disse: “Non prendiamo gente di colore”.
Nel 1939, malgrado l’aureola dei successi
in Europa, e anche in America nel mondo della lirica (la sua più famosa
incisione, residua, è del 1939, della “Rapsdia per contralto” di Brahms, con la
Philadelphia Orchestra, maestro Eugene Ormandy), la fondazione The Daughters of
the American Revoution, le figlie della rivoluzione, le rifiutò la Constitution
Hall, la più grande sala per concerti di
Washington, per essere nera. La First Lady Eleanor Roosevelt indignata si
dimise dall’associazione, e fece organizzare dal presidente un concerto
pubblico nel Mall, l’ampio viale monumentale lungo tre chilometri dal monumento
a Lincoln, Lincoln Memorial, al Congresso. Era Pasqua, e due milioni di persone
si calcoal affollassero il Mall – oltre agli ascoltaori alle radio sincronzzate.
Anderson si limitò a cantare l’“Ave Maria” di Schubert, “O mio Fernando” da “La
Favorita” di Donizetti, e molti spiritual.
Alex Ross, Voice of the Century, “The
New Yorker”, free online
Nessun commento:
Posta un commento