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martedì 21 gennaio 2025

Quando l’America segregava la lirica

Marian Anderson fu un contralto americano, celebre negli anni 1930-1940, detta da Toscanini “un talento che sboccia una volta in un secolo”. Ma era nera, e fu soggetta negli Stati Uniti a restrizioni umilianti. Specializzata in recital, di arie di opere e di Lieder, più che in opere compete, anche se ne fece esperienza, perchè non si riteneva brava o capace nei recitativi – “non so recitare”. Ma ciò malgrado di grande successo, per il timbro e l’estensione della voce, e le qualità interpretative delle sue emissioni. In Europa. Negli Stati Uniti anche il riconoscimento fu tardivo, e solo in seguito alle acclamazioni raccolte in Europa. In Germania soprattutto, trattata con rispetto anche negli anni di Hitler, a Salisburgo con Toscanini nel 1935, e in Finlandia, dove approdò col pianista suo concertatore, finlandese, e divenne subito pupilla di Sibelius.
Il settimanale riprende un vecchio articolo del suo critico musicale, del 2009, per il settantacinquesimo di un concerto famoso a Washington della cantante, un concerto pubblico, all’aperto, sotto il Lincoln Memorial. Disposto dal presidente F.D.Roosevelt come risarcimento, ebbe invece un successo tale che aprì la strada risolutiva al movimento americano per i diritti civili. Al concerto assistette Martin Luther King, jr., che cinque anni dopo lo celebrerà a un concorso scolastico di oratoria, sul tema “The Negro and the Constitution”: “Cantò come mai prima, con lacrime agli occhi. Quando la parole di ‘America’ e di ‘Nobody Knows de Trouble I seen’ risuonarono su quella grande folla, l’immobiltià s’impose sul mare di visi rivolti in alto, neri e bianchi, in un nuovo battesimo di libertà, eguaglianza, e fraternità”.
Negli Stati Uniti Marian Anderson, pure sospetta di troppa condiscendenza, si rifiutava di cantare nelle sale che applicavano la “segregazione orizzontale”, con i bianchi cioè in platea e i neri in galleria, ma accettava la “segregazione verticale”, con i bianchi da un lato e i neri dall’altro. Nelle tournées prendeva i pasti in camera, per evitare complicazioni nei ristoranti. A Princeton, dove le fu egata una camera in albergo, passò la notte in casa di Einstein. Ancora durante la guerra, malgrado il celebre concerto di Pasqua del 1939, dovette aspettare fuori della stazione ferroviaria, a Birmingham, in Alabama, che il suo accompagnatore al piano, il tedesco Franz Rupp, entrasse a comparle un panino - mentre nella sala d’attesa comodi stavano un gruppo di tedeschi prigionieri di guerra, naturalmente bianchi.
Da ragazza aveva trovato facile lo studio della musica. Nel 1892, cinque anni prima della sua nascita, Antonìn Dvorák, il compositore ceco diventato direttore del National Conservatory a New York, aveva proclamato che le basi della musica americana erano e dovevano essere gli spiritual  e i temi amerindi, aprendo nel contempo il conservatorio afro-americani, esentasse. In molte famiglie afroamericane sì idirizzarono allora i figli allo studio della musica. E così la mader di Marian Anderson - il padre era morto quando lei era piccola. Anche per le evidenti doti canore della figlia. Ma ancora nel 1914, quando aveva 17 anni, e provò a fare domanda a Filadelfia a una scuola di musica, ricorda nelle memorie, “My Lord, What a Morning”, la ragazza all’accettazione la fece aspettare mentre prestava attenzione a tutti gli altri in fila, e alla fine le disse: “Non prendiamo gente di colore”.
Nel 1939, malgrado l’aureola dei successi in Europa, e anche in America nel mondo della lirica (la sua più famosa incisione, residua, è del 1939, della “Rapsdia per contralto” di Brahms, con la Philadelphia Orchestra, maestro Eugene Ormandy), la fondazione The Daughters of the American Revoution, le figlie della rivoluzione, le rifiutò la Constitution Hall, la più grande sala per concerti  di Washington, per essere nera. La First Lady Eleanor Roosevelt indignata si dimise dall’associazione, e fece organizzare dal presidente un concerto pubblico nel Mall, l’ampio viale monumentale lungo tre chilometri dal monumento a Lincoln, Lincoln Memorial, al Congresso. Era Pasqua, e due milioni di persone si calcoal affollassero il Mall – oltre agli ascoltaori alle radio sincronzzate. Anderson si limitò a cantare l’“Ave Maria” di Schubert, “O mio Fernando” da “La Favorita” di Donizetti, e molti spiritual.
Alex Ross, Voice of the Century, “The New Yorker”, free online

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