Trump, un bravo ragazzo
Rivedendo il film doppiato, si ha più netta
l’impressione di un Trump giovane di belle speranze. Non urla e non ingombra.
Non beve, solo acqua. Vittima come il fratello maggiore dell’autoritario padre,
vero “tedesco”, che lo manda in giro a riscuotere affetti da anziani soli,
poveri, emarginati, ma non lo sfida - il fratello fa per questo il pilota d’aereo,
per farlo arrabbiare. Cioè sì, sfida il padre come tutti i giovani, ma senza
ripudiarlo, sul suo stesso terreno: farà l’immobiliarista in grande. Ma si porterà dietro, si indovina dalle sue incertezze, la nomea del parvenu, disprezzato dal grande capitale (ancora dopo la sua prima vittoria ale presidenziali, nel 2016, con Elon Musk in testa agli spregiatori). E si capisce, si giustifica, la sua speciale bipolarità, fra il linguaggio irruento, spicciativo, e la realpolitik - gli accordi di Abramo, un capolavoro, il dialogo col presidente Xi e con la Corea del Nord (il primo disgelo fra le due Coree, poi abbandonato), la stessa retorica dei controlli alle frontiere (negli ani di Obama le occupazioni meniali non davano da vivere, bisognava fare due e tre lavori ogni giorno).
Si rafforza anche il sottinteso antisemita:
l’avvocato che lo condurrà a mali passi, suo legale per dodici anni, dal 1973
al 1985, è ebreo e “pervertito”. Sarà radiato dall’ordine professionale pochi
mesi dopo la fine del rapporto con Trump, e subito dopo morirà di aids. Nel
film si dice famoso per aver “fatto condannare i Rosenberg” – collaboratore del
senatore McCarthy nei primi anni 1950, della “caccia ai comunisti”. Come dire
un opportunista, ebreo-mangia-ebrei. Il giovane Trump lo ricerca, perché il
governo federale minaccia di far fallire il padre, per irregolarità varie. Ingenuo
e innocente.
Ali Abbasi, The Apprentice, Sky
Cinema, Now
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