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venerdì 17 gennaio 2025

Un calcio al calcio

Manchester City, il club inglese di calcio più ricco probabilmente d’Europa, offre 70 milioni per un terzino del club torinese Juventus, Cambiaso. Per il quale lo stesso club è stato indagato tre anni fa in pompa da un giudice di Torino, con la solita berlina che armano i giudici Procuratori, e condannato dall’avvocato Chiné, che gestisce la giustizia sportiva, per plusvalenze fittizie o falso in bilancio. Per averne fissato la valutazione nei libri a 30 milioni (col Cambiaso Chiné condannava anche la valutazione di un altro calciatore, Ragusin, iscritto in bilancio per 4 milioni e poi ceduto per 30…).
Era lo “scandalo plusvalenze”. Che però il giudice sportivo non ha applicato ad altri club colpevoli dello stesso reato. Mentre l’inchiesta penale col botto (radiazione? fallimento? carcere?) a carico del club torinese, il giudice inquirente essendo risultato un tifoso interista da curva, veniva dirottata a Roma. Dove la locale Procura non ha trovato nulla da fare in tre anni.
Il caso sarebbe da giustizia ordinaria, anche se la giustizia sportiva ha una sua specificità: lo “scandalo plusvalenze” s’impianta su una pratica comune a tutti i club di calcio, e dunque l’omessa  azione della giustizia sportiva non è un atto sportivo ma configura un reato penale – di interessi, di soldi, di influenze. Un reato non sportivo, ma da codice penale.
Se non che la storia non finisce: il club offeso, Juventus, tace - da quando gli avvocati sono sportivi? Una storia non sportiva, di legalità. Ma il club offeso, Juventus, tace. E c’è un perché: è di proprietà privata, benché in Borsa, della famiglia Agnelli-Elkann, e lo scandalo è servito a Elkann per far fuori il cugino Agnelli, che gestiva il club.
Un bell’ambientino. Non tanto della giustizia penale, cui non c’è più delitto che si possa imputare, il decalogo è esaurito, ma di quella sportiva. Per quanto, anche questa: così assurda, ma nessuno che la sfidi. Il calcio non è uno sport, non in Italia.

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