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Un tributo all’arcilombardoveneto liberatore
“Rivoluzione in Sicilia non
ce n’era mai stata”, alla cugina Bice già il 24 giugno 1860. Alla “conquista”
di Palermo “i Picciotti fuggivano d’ogni banda”. In città vuoto e
silenzio: “Dentro pare una città di morti; non altra rivoluzione, che sul tardi
qualche scampanio”, sempre il 24 giugno. Le illusioni rivoluzionarie dei Mille
erano svanite presto. Anzi, già il 24 giugno c’era la fila, alla porta del
giovane Nievo, incaricato dell’Intendenza: “Tutti mi fanno la corte per suppliche
raccomandazioni ed impeighi – principi e principesse, Duchi e Duchesse a palate
agognano 20 ducati 12 al mese di salario”.
La disillusione è una
costante. Lieve, scherzosa, tra monache salottiere e burbe “napolitane” altezzose
in perpetua resa, e di un giovane rivoluzionario patriota che semrpe ci crede,
alla rivoluzione nazionale, ma allora tanto più imparziale. “I Siciliani sono
tutti femmine; hanno la passione del tumulto e della comparsa: e i disagi e i
peprcoli li trovano assai meno pronti delle parate e delle feste (alla madre,
già l’1luglio)….Tutta la rivoluzione era concentrata nelle bande campagnuole
chiamate qui squadre e composte per la maggior parte di briganti
emeriti che fanno la guerra al governo per poterla fare ai proprietari (ib.). “Qui
si vive in pieno Seicento, col barocchismo, le raffinatezze e l’ignoranza di allora.
– Tanto è vero che adesso noi dobbiamo farla da carabinieri contro i nostri
alleati di adesso (già il 24 giugno, alla cugina Bice). “Saprai novelle della
cosidetta rivoluzione di Sicilia e che fu tutto merito nostro che le
abbiamo creduto, e l’abbiamo suscitata o per meglio dire fatta da noi soli!
Figurati, con tali precedenze, se sul futuro si può ragionare! Chiudiamo gli
occhi, vogliamoci bene, e tanto basta per ora” (ib.). “In confidenza (alla
madre, il 15 luglio) che gente questi Siciliani! Venziani più flosci, più falsi
e senza una gran dose di coraggio!”.
Una sorpresa, un regalo, questo volume, messo assieme da Antonio Vaccaro,
lo studioso dei venosini, Orazio, Gesualdo, ma appassionato di Garibaldi. Una collazione
delle lettere che Ippolito Nievo, scrittore allora praticamente incognito,
inviò da Quaeto, dal 5 maggio 1860, alla vigilia dela morte per naufragio, a 29
anni, da Palermo il 23 febbraio 1861. Le più, e le più dettagliate, alla cugina
Bice Melzi Gobbio, e alla madre Adele Marin. Con molte foto che valgono un racconto,
di Nievo, di Bice, della madre, di dame varie e patrioti, navi a vapore e
documenti.
Un Nievo sempre equanime. Malgardo le delusioni e le fatiche. All’entrata
in Palermo “figurati che sorpresa per noi straccioni!”, sempre alla prima
lettera, alla cugina Bice il 24 giugno: “Io era vestito come quando partitti da
Milano; mostrava fuori dai calzoni quello che comunemente non si osa mostrar
mai al pubblico”. “Questo Walz saltato che si chiama la guerra della
Rivoluzione italiana”, scriverà verso la fine a Bice, il 19 novembre. E ha
giudizi premonitori su Crispi e altri siciliani, e piuttosto duri su Cavour e
la sua politica dei pesi e le misure. Senza perdere il buonumore. Possiede
infine a Palermo, Intendente, “una spada coll’impugnatura d’oro (in confidenza
è ottone dorato) che fa gola a tutti questi ladroncelli Siciliani, i Principi e
le Principesse” – alla prima lettera alla cugina. Ma non ci sta male: “Per un tarì
si sta in carrozza un’ora intiera; noi siamo sempre in carrozza: per un carlino si piglia una libbra di pezzo duro; noi
pigliamo pezzi duri tutto il giorno; con un paio di reverenze si entra nei
parlatori a chiacchierare con le monache, noi siamo tutti i dopo pranzi a far
visita alle monache”, dispensatrici di gelati e cassate – “ho conosciuto una
certa suor Agostina che è terribile per far la Crema al fico d’India. Ce
ne fa mangiare anche dopo pranzo tanto è buona”.
Questo Nievo è protagonista di uno dei primi racconti di Sciascia, “Il
quarantotto”, pubblicato recentemente, postumo.
Con una breve, sobria, presentazione di Matteo Palumbo, l’italianista della
Federico II. E una copiosa appendice: un “Giornale della spedizione di
Sicilia”, dal 5 al 28 maggio, un corredo di notte dettagliate alle lettere, un
indice dei destinatari, uno dei nomi e dei luoghi, e una dettagliata cronologia
nieviana. Senza leghismi di ritorno: un tribito “napoletano”, di un “vinto”,
all’arciveneto-lombardo “liberatore”,
Ippolito Nievo, Trecento giorni
con il Generale, Osanna, pp. 243, ill. € 20
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