venerdì 7 febbraio 2025

A Sud del Sud - il S ud visto da sotto (584)

Giuseppe Leuzzi


Si riparla di Mauro Rostagno, per il lancio della docuserie di Saviano su Sky, e si ricorda che per il suo assassinio fu ipotizzato dai giudici di Trapani: 1) un traffico d’armi: 2) il “caso Calabresi”; 3) una vendetta interna alla comunità Saman che aveva fondato per il recupero dei tossici; 4) un delitto di “corna”: per favoreggiamento dei colpevoli (non identificati) o di suoi possibili\probabili amanti fu arrestata la sua compagna devota Chicca Roveri. Nel 1988, non nella preistoria. Mentre a pochi passi, a Palermo, si combatteva la mafia con acume e impegno, dai giudici Chinnici e Falcone.
 
Nella graduatoria delle liste d’attesa per regioni nelle strutture sanitarie pubbliche di Federconsumatori il Sud figura poco – a parte la Sardegna, in ritardo in tutte le specialità. I ritardi maggiori sono in Friluli-Venezia Giulia, che svetta nella classifica al negativo in tutti i campi (due anni e più per tutto, anche la mammografia, anche la visita ginecologica), la Lombardia, la Liguria. Dove cioè la sanità è più privaizzata.
Si segnala l’assenza da questa graduatoria negativa della Calabria, dove la sanità pubblica è commissariata, da una quindicina d’anni. 
 
“Il Mondo” nasce a Sud
Carmine Chiodo, “Di alcuni articoli di Corrado Alvaro apparsi su “Il Mondo” di Giovanni Amendola”:
“Il salernitano Andrea Torre, affiancato dal conterraneo Giovanni Amendola e dal calabrese Giovanni Ciraolo, tutti e tre laureati in legge, giornalisti e uomini di tendenze politiche liberal-democratiche, idearono il quotidiano romano “Il Mondo”1. Il giornale si affermò «rapidamente grazie all’autorevolezza della parte politica ma non privo, per la pagina culturale, di apporti rilevanti come gli articoli di Adriano Tilgher e di Corrado Alvaro”.
Alvaro, chiamato al “Mondo” da Giovanni Amendola, fu prima corrispondente da Parigi, da dove inviò corrispondenze che tuttora si eggno con interesse – fu un dei pirmi, se non il prmo, a parlare del fenomeno Proust. “Lettere parigine e altri scritti 1922-1925” è unar accla, acurata da Anne-Christine Faitrop-Porta, che ne fa il primo scrittore-viaggiatore del Novecento (il secondo, Arbasino, ne ripercorre molte maniere, e perfino alcuni lessemi) - anche se sempre, anche qui, con un distinto senso delle radici, benché sofferto, della famiglia, del paese. Nelaraccolta di Faitrop-Porta c’è anche una prima prova di traduzione di Proust. E poi, oltre Prosust, Pirandello, Copeau, Crémieux – insieme con San Luca, il padre, i fratelli, la madre-donna.
Il volume contiene anche una bibliografia di tutti gli articoli di Alvaro per “Il Mondo”.


Unità, imposte e leva
Ippolito Nievo passò a Palermo otto mesi al seguito di Garibaldi tra alti e bassi. Un po’ la Sicilia e la città gli pacciono, un po’ no. Soprattutto per i troppi importuni che sollecitano pensioni e favori – lo scriittore era stato nominato Intendente della spedizione, quindi alla gestione della cassa.
Ne scrive ai familiari in toni contrastanti, ammirativi e critici. Ma verso la fine del soggiorno (e della vita: morirà nel viaggio di ritorno, per il naufragio del piroscafo su cui era imbarcato), il 5 dixcembre 1860, con l’amico Andrea Cassa, di Brescia (Castenedolo), letterato anche lui e patriota, ci andrà giù pesante: “Che gente, Andrea, che gente!.... Sarà forse colpa del Borbone o del diavolo, ma non si può campare un giorno in Sicilia senza mandar a quel paese la razza umana e chi le somiglia! Miracolo e fortuna che tanto senno rimase loro per grattarsi la rogna peggiore e aiutar noi che venivamo a guarirla!”
Per finire, benché giovane sensibile e rivoluzionario sincero, con la fine dell’Italia fin dal suo principio: “Imposte e leva, leva ed imposte: questo è il miglior mezzo d’educazione….”.

Il Piemontesismo è meglio
Un periodo dimenticato della brillante carriera di Costantino Nigra, letterato e diplomatico, all’opera soprattutto con Cavour, è stato il soggiorno a Napoli nel 1861, all’indomani dei plebisciti unitari, per quattro mesi tra gennaio e maggio, in qualità di segretario della seconda Luogotenenza del Regno, affidata il 3 gennaio 1861 al principe Eugenio di Savoia Carignano. Dopo il fallimento della prima Luogotenenza, affidata dopo Teano, il 6 novembre 1860, a Luigi Carlo Farini, subito incapace e impopolare, con Garibaldi e con la città.
Nigra era a Napoli come uomo di Cavour. Con un incarico delicato, deciso da Cavour per venire a capo delle resistenze a Napoli, e a Torino – a opera dello stesso re, Vittorio Emanuele II. Un periodo e un incarico di Nigra dimenticato sia dalle biografie sia dallo stesso sito documentario a lui intitolato. Ma testimoniato dalle lettere a Cavour – non molto valutate dagli storici dell’unificazione. E da un rapporto finale, di una decina di pagine, sempre a Cavour: “Un sunto dell’amministrazione delle Provincie Napolitane dal principio del corrente anno fino ad oggi”, 21 maggio 1861 – otto giorni prima del malore ferale che colpì il suo protettore.
Secondo la Treccani, che peraltro gli dedica una nota breve, a Napoli Nigra “non fu così felice amministratore come era stato abile diplomatico”, anzi “si rivelò inadatto e fu il primo fallimento nella sua brillante carriera pubblica, perché privo di esperienza di governo e portato più a mediare con cautela che a dirigere con decisione”.
In uno dei primi rapporti a Cavour, una messa dozzia di pagine, il 17 marzo, esordisce allarmato: “Trovammo il paese irritato e malconento. Farini e i suoi consiglieri impopolarissimi. Il nome di V.E impopolare anch’esso”. V.E., Vostra Eccellenza, è Cavour. “Di me si diffidava. Si temeva l’invasione del Piemontesismo”. Decide allora di affidare ilgoverno a Liborio Romano, l’ultimo ministro di Polizia borbonico, ma liberale e sicuro aptriorta. Per il motivo, però, che era – Nigra lo riteneva – un incapace, benché popolare: “Romano non ha capacità di nessuna specie: non è cattivo di proposito deliberato, ma è debole, senza carattere, con una certa furberia tra contadinesca e curale, di nessuna convinzione politica…. Fin dal primo giorno che lo vidi, fui certo che avrebbe male amministrato, ma fui egualmente cetto che avrebbe ben tosto perduto ogni prestigio, e sarebbe diventato di pericolosissimo che era, innocuo affatto. Quel che previdi, avvenne. Commise errori, su errori”, etc..
Gli “errori”, le “incapacità”, favoriscono l’unificazione, il “piemontesismo”? Sì: “Abbiam reso evidente che non si può camminare con uomini municipali, che bisogna procedere nella via dell’unificazione, che bisogna accettare gli uomini nostri e i Piemontesi … Si va dileguando l’impopolarità del Re, ed è già quasi dileguata quella di V.E.”.
Segue un elenco delle locali lamentele, poche righe. E subito poi: “Ecco in qual bolgia mi ha mandato. E per soprammercato pochi carabinieri e poca forza nelle province. E un’amministrazione corrottissima da capo a fondo. Pessima stampa. Popolo, docile sì, ma instabile, ozioso ed ignorante”. Quindi mezza pagina di raccomandazioni – di “raccompandati”.
 
Crtoache dela differenza: Sicilia
“Che bel paese verde”, sbotta a un certo punto, il 28 maggio 1860, pochi giorni dop lo sbarco, Ippolito Nievo scrivendo alla madre dell’avventura dei Mlile, “spopolato, sereno e miserabile! Ricorda un po’ il Friuli”.
Alla cugina Bice invece scriverà, con un po’ più di esperienza, il 20 novembre, nostalgico “di aria lombarda”: “La Sicilia è una specie di paradiso senza alberi, ove io mi trovo perfettamente fuori del mio centro terreno; non ho aria per i miei polmoni, non ho immagini pel mio spirito”.
 
Nievo appena entrato a Palermo, il 24 giugno, sempre alla madre: “Palermo, con un po’ più di caldo, è negli usi, nella società, nei pettegolezzi, una fotografia di Venezia. Ti ricordi delle commedie palermitane di Goldoni, di Donna Beatrice, del Marchese di Castel d’oro, ec.? Or bene: quella società è ancora viva, grazie ala preziosa facoltà conservatrice dei governanti Napolitani. Qui si vive in pieno Seicento, col Barocchismo, le raffinatezze e l’ignoranza di allora”. E tre settimane dopo, il 15 luglio, sempre im chiave Serenissima: “Che gente questi Siciliani! Veneziani più flosci, più falsi e senza una gran dote di coraggio!”
 
“Qui siamo in mezzo al gran frastuono dei ”, scriveva Nievo ancora a Bice, il 23 ottobre, dopo il plebiscito per l’annessione all’Italia: “L’Italia una e indivisibile ha travolto le teste di questi buoni Palermitani, i quali non fanno altro che correre gridando sì sì che paiono dannati. In 32.000 votanti non abbiamo che 20 no”.
 
E ancora, sempre a Bice, l’11 novembre: “I Siciliani sono gelosi come gli avari; non abbandonano mai le loro donne, per un’ottima ragione che non si può dire ma che ti assicuro è ottima”.
La famosa donna del Sud….
 
“A un certo nputo papà”, racconta Angelo Moratti di Gian Marco, “ha preso atto che per laurearsi doveva evitare le distrazioni, così insieme a Umberto Agnelli andarono a Catania”. Alla laurea facile. Come i laureati in legge per generazioni sono andati a Catanzaro per l’abilitazione ad avvocato.
 
“Siciliane a Parigi” sono di Dolce e Gabbana alle sfilate della haute couture: “Veli, pizzi. Ricami, corsetti, e un colore su tutti: il nero”. Sempre la famosa “donna del Sud”.
 
“Camilleri era di un’altra Sicilia. Parlava un altro dialetto. Conoscva uomini diversi, che non hanno ironia (pensi invece ai catanesi), immagimava donne brune dalla pelle diafana,… “, la poetesssa messinese-ragusana Letizia Dimartino scrive al “Corriere della sera”. Camilleri?
Per un non siciliano è l’affabulatore per eccellenza - e dunque siciliano per eccellenza. A partire dalle lettere di giovinetto fuorisede a Roma agli amati genitori. Dopo l’“incontro” fortuito con Robert Capa, e il “comunismo precoce”, col catechismo e l’arcivescovo.
 
“Papà era nato a Milano, parlava dialetto milanese, sapeva tutte le canzoni popolari, oltre a tutte le canzoni politiche, da quelle anarchiche a quelle fasciste; ma era un siciliano”, Stefania Craxi a Cazzulo (“Craxi, l’ultimo vero politico”). Con lei, con la figlia – il figlio era e fu festeggiato come  l’“atteso”, ma la figlia  era un bene geloso.
 
A proposito del figlio maschio – sempre Stefania Craxi: “Nella nostra famiglia siciliana c’era molta frenesia per il figlio maschio; e mio nonno materno, che si chiamava Vittorio come l’altro nonno ed era pure lui socialista, capì e mi portò a fare una passeggiata”.
 
“La principessa Carine Vanni Calvello Mantegna di Gangi, proprietaria col marito del bel palazzo scelto da Luchino Visconti per girare la celebre scena del valzer del ‘Gattopardo’, ha smesso di prestare i suoi saloni a matrimoni perché gli ospirti rubavano oggetti di arredo”, Mario Di Caro spiega sul “Venerdì di Repubblica”.
“Abbiamo restaurato 350 mobili”, spiega la principessa, “ci sono voluti più di quattro mesi per restaurare un divano a cui la gente aveva strappato trenta pezzi”. Vandalismo? Disprezzo? Disprezzo-di-sé?


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