sabato 22 febbraio 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto

Giuseppe Leuzzi
Postpartita funereo alla Domenica Sportiva, dopo Juventus-Inter. I commentatori Adani e Rimedio s’ingolfano in astruserie che nessuno capisce, ma con aria cupa. La conduttrice tace, benché a rischio audience – telecomando. Tacciono perfino Panatta e Pecci, solitamente pronti di spirito, specie sui gerghi “tecnici”. Sono tenuti all’incomprensibile epicedio? Ma né il presidente dell’Inter, Marotta, né il tecnico Inzaghi sono di quelli intromettenti, non nelle cose dei giornalisti, non se n’è mai letto. Sarà l’aria di Milano - la Domenica Sportiva si fa a Milano – che non può perdere.


“il Venerdì di Repubblica” celebra  la maeustra Marianna Leonetti che a Carfizzi (Crotone) insegna ai bambini a scrivere l’arbëreshë che parlano quotidianamente. Senza mai ricordare che Carfizzi è il paese di uno scrittore, Carmine Abate, forse il più quotato dei  narratori di realtà locali. Il più illustre comunque dei “figli di carfizzoti tornati dalla Germania”, come dice il reportage.
L’odio-di-sé forse è solo trascuratezza.

 
“I bergamaschi, cui mi onoro di appartenere, erano 161 su circa mille. Sarebbero stati molti di più se i parroci di paese non li avessero minacciati a fucilate per non farli partire”, Donato Losa di Milano scrive alla posta del “Corriere della sera”. Spiegando: “Nessuno dei mille era di dubbia moralità, nessun bergamasco era un ex carcerato. Erano persone con un sogno da realizzare e in cui credere”. Ottima trama (un po’ vieta, ma nella trascuratezza di oggi di grande impatto) per l’ennesimo filone garibaldino – meglio dei lazzaroni eroi per caso. In chiave bergamasca poi – ma con o senza il contrappunto di Feltri-Crozza?
 
L’unificazione che non fu di Cavour
Vale più di molte analisi storiche il documento che “Zenone di Elea” ha recuperato negli archivi e messo in rete qualche anno fa, il “Sunto dell’amministrazione delle Province Napolitane” di Costantino Nigra (di cui questo sito ha dato dettagliata lettura), plenipotenziario di Cavour a Napoli tra gennaio e maggio del 1861, dopo i primi disastrosi quattro mesi di luogotenenza affidata a Luigi Carlo Farini. Una disamina dei problemi: l’ostilità del clero e dell’aristocrazia, i troppi licenziamenti, di impiegati e di operai, il malcontento dell’esercito meridionale (cioè garibaldino), “i capitoli di Gaeta che permisero a Francesco Secondo il soggiorno a Roma” (lo voleva in carcere?), i briganti sobillati naturalmente da Francesco II comodo a Roma (non si dice ma si fa capire). Senza un perché del malcontento del clero, private repentinamente della manomorta – con l’esito di lasciare i poveri e molti malati senza accudimento, che era l’opera dei preti. O dei briganti. Una sola notazione di rilievo, seppure escusatoria: “L’antica abitudine di considerare il Governo come naturale nemico della società”.
Quattro mesi di gestione cavouriana del Regno del Sud, nemmeno il tempo di farsene un’idea. E poi Cavour moriva. Sarebbe stata un’altra storia? Da questa premessa è da dubitare: le prime trenta righe levano il fiato, sono trenta, o più, manchevolezze, dei regnanti, ex, e dei sudditi. Dappertutto camorra, brigantaggio e latrocinio. Ignoranza, miseria e fame. E “una schiera immensa d’impiegati, d’amministratori, d'ingegneri, d’avvocati… La polizia trista, arrogante, malvagia … I lavori pubblici pagati e non fatti……Clero immenso, ignorante…. La mendicità esercitata, sotto forme diverse, da tutte le classi dei cittadini, non escluse le più elevate”. E “non giornali, non libri” – a Napoli?
Nigra farà poi carriera brillante nella Parigi di Napoleone III. Dell’esperienza napoletana non avrà nessuna memoria, nemmeno negativa. Il sito che ne cura l’immagine non menziona la gita a Napoli. La Treccani lo dice inadatto all’incarico, e fallimentare: “Il 1861 non fu per lui un anno fortunato”, segretario generale della “seconda luogotenenza napoletana…. allo scopo di guidare più in fretta possibile l’unificazione amministrativa del Mezzogiorno, delle Marche e dell’Umbria”. Ma non nasconde la verità: “Si rivelò inadatto e fu il primo fallimento nella sua brillante carriera pubblica, perché privo di esperienza di governo e portato più a mediare con cautela che a decidere con decisione”. O a decidere di non decidere, che il Sud non meritava, era incurabile, etc..   
 
Il radicamento aiuta, ma è un atto volontario
“Il paese ci vuole, non fosse per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli” , è Cesare Pavese (“La luna e falò”), tipico “uomo di città” ma mai stanco di narrare il paese. Qualche anno dopo, 1954, Ernst Jünger, in autobus da Villasimius a Cagliari, viene continuamente rimandato alla vista di una torre dei saraceni, tanto che finisce per vederla con gioia ad ogni curva serpentina: “La rivedevo con gioia ad ognoi curva, guardiana di un cantone del Mezzogiorno divenuto per me un pezzo di patria spirituale: è la vera presa di possesso”.
In realtà, la presa di possesso di Jünger non è della torre, come per un qualsiasi turista stagionale, ma la vita che sotto quella torre ha trascorso per alcune settimane – di un’intensità tale, nella sua semplicità, nel suo “nulla”, che ha dovuto scriverla, raccontar(se)la, elaborarla. È però vero che la “presa di possesso” non è legata al luogo di nascita. La scrittrice americana Lucia Berlin, emigrata in Cile con la famiglia quando aveva pochi anni,  spiega in un delicato racconto, “Andado” (ora nella raccolta “Sera in paradiso”) che si è scoperta avere  “la qualità di adattamento comune ai mocciosi  di militari e ai figli di diplomatici”, ragazzi che “imparano rapidamente, non solo la lingua o il gergo ma cosa fare, cosa dover sapere. Il problema per questi ragazzi non è di essere isolati o estranei, ma che si adattano così rapidamente e così bene”.
Il paese è l’infanzia. Anche il quartiere lo è, la strada, il palazzo, l’appartamento in città possono essere l’infanzia. E la memoria servire dettagliata. Mentre il radicamento è una infanzia di altro, di linguaggio e di sui, territoriale, sociale, anche socievole. E soprattutto dalla memoria lunga, a differenza della città, fatta per dimenticare. E plurale: una memoria in qualche modo condivisa, anche con estranei. È il paradosso di Ulisse, che scopre chi è dagli altri, dopo lunga peregrinazione – da chi l’ha sempre conosciuto, cioè dalla nascita, e ne conserva la memoria, per quanto estraneo (l’aedo cieco che a casa sua canta gli eroi della guerra di Troia).
 
Il cuore della Lega anti-Meridione è al Sud
“Lega a congresso con tanto Sud”, titolo. Testo: “Non si sa quando, non si sa come, ma si che la maggior parte dei delegati saranno meridionali”. Così il “Corriere della sera” tenta di spiegare  la cosa: “Partito non più nordista ma nazionale, anche nei delegati che saranno chiamati al voto pe  il nuovo mandato. Ai delegati del Sud è infatti affidato il compito non detto di mettere al sicuro il risultato del leader”. Di confermare cioè il contestato Salvini alla segreteria.
Il giornale di Milano lo registra con dispetto, perché non gli piace Salvini - la Lega sì, Salvini no. E subito dopo lo dice. Non per spiegare l’arcano del Sud a congresso dalla Lega, ma il perché di tanto Sud a Giussano, o dov’è che votano per il Congresso: “Nel partito si parla di tesseramenti avventurosi… In breve, dei circa sette o ottocento delegati, moltissimi saranno del meridione”. Cento? Settecento? Non si sa. Salvini si è comprato i delegati, il solito Sud corrotto? Non si dice: Però, l’articolista si fa spiegare da “un leghista pragmatico”: “Ci sono territori al Sud in cui la Lega prende più che al Nord”. E qui, bisogna riconoscere, non c’è perfidia, è un dato di fatto: la Lega senza il Sud forse non andrebbe in Parlamento.


leuzzi@antiit

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