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Eurexit
Perché l’Italia è
diventata poco competitiva? “Per il costo dell’energia. L’energia elettrica costa
l’82 per cento in più rispetto alla Francia, il 78 per cento in più rispetto
alla Spagna, il 38 per cento in più rispetto alla Germania. Per quanto riguarda
il gas: 7,4 euro al mwh negli Usa, 34,4 in Europa e oltre 36,3 in Italia”. Per
la transione verde. Mentre altrove il nucleare di prima generazione è ancora prospero, e anche il carbone - la Spagna è un caso
a parte: lontana dalla Russia, si è sintonizzata da tempo sul gas liquido Usa, e non ha risentito della
guerra, delle sanzioni.
Il costo dell’energia
pesa ma è solo uno dei tanti fattori di dipendenza e di minorazione dell’Italia
nell’Unione Europea così come è stata organizzata. Dopo il primo momento di europeismo
entusiasta egualitario, alla Spinelli, con l’iniziativa decisiva dell’Italia, a
fronte della Germania divisa e quindi incerta, e della Franca gollista, cioè
scettica, negli anni negli anni 1950.
A fronte del costo
dell’energia lamentato dal presidente di Confindustria Lombardia, sullo stesso
giornale Dario Di Vico riafferma il solito “Tutti a Bruxelles”, o “l’illusione
perduta di poter fare da soli”. Il che è
vero, ma solo per la fine: in economia è come in politica, non si può fare da soli.
Resta però il problema: con chi e come accompagnarsi? Mentre “l’illusione perduta”
è con ogni evidenza l’Europa, l’Unione.
È facile dire che
l’Italia “non può” fare a meno della Ue. Nessun può fare a meno di nessuno. Ma
quanto è conveniente? E forse – forse – quanto non è più conveniente non farne
parte?
La domanda è un’eresia.
Sembra un’eresia prima ancora che un’impossibilità, una stupidaggine, ma l’esperienza
va tutta in quel senso dopo i primi vagiti dell’Unione. Dopo i primissimi, già
la politica agricola dissipava decenni di fantasie e ideali. L’Unione è
soltanto di Francia e Germania, i due
paesi la cui storia e la cui economia sono le meno europeiste e le più nazionaliste,
e tali hanno continuato a essere. Ne è esempio perfino incredibile il mercantilismo
del lungo cancellierato Merkel, l’unica bussola di una che emergeva adulta dal
niente e quindi non era cresciuta con la paura come la Germania di Bonn con i russi
a Berlino, che per questo si attaccava all’Italia (alla Nato e al Pci….) e al
cosiddetto “Occidente” – altro fantasma. Anche oggi, la crisi Ue è la crisi politica
di Francia e Germania, aggravata in Germania da quella economica.
È per questo che i
Conservatori britannici, che avevano portoiato la Gran Bretagna nell’Unione nel
1973, contro la volontà della Francia, l’hanno portata fuori cinque ani fa:
perché la Gran Bretagna non contava nulla. Il “Financial Times”, che aveva
aperto un’edizione tedesca sulle ali dell’entusiasmo europeista, presto ha dovuto
chiuderla, dopo il ritorno della Germania a Berlino. Anche l’Italia, paese “fondatore”,
non ha mai contato nulla, neanche quando aveva a Bruxelles persone di spessore,
Mario Monti, Romano Prodi. Ma l’Italia, si sa, è conservatrice, e preferisce tenersi
il poco – tutti europeisti, gli italiani, perfino l’anarchica Salis siede a
Bruxelles beata.
L’esperienza aziendale
dice che è possibile fare tutto con la finanza e l’industria americane, su piede
di parità, niente con gli analoghi francesi o tedeschi, se non per compiacerli.
È come per la difesa, che l’Europa non sa darsi da cinquanta anni ormai, o sessanta.
Le forze armate italiane hanno collaborato e collaborano attivamente, anche
troppo, con gli americani, in Libano come in Somalia cinquant’anni fa, e ovunque
in Medio Oriente nel Millennio. Ma non potrebbero mai fare niente accanto ai
francesi, neanche un pattugliamento – per esempio, non molto tempo fa, nel
Sahel, il primo frangiflutti contro l’immigrazione di massa. Non si possono nemmeno
fare investimenti in Francia e in Germania, se non a piacimento dei governi nazionali,
mentre l’inverso deve essere possibile e fattibile. L’Italia non si
oppone, e se volesse non lo potrebbe, all’acquisto di banche da parte di banche
francesi, mentre l’inverso non è stato possibile (Société Générale e altre
minori). Nessuna acquisizione italiana è stata possibile ni Germania, Continental,
Opel, ora Commerzbank. Si cita sempre in contrario la HypoVereinsbank di Monaco
vent’anni fa, ma Unicredit operava allora il salvataggio di una banca
tecnicamente fallita, nel quadro di un accordo fra potentati “popolari”, la Csu
bavarese e Berlusconi, in una Germania in crisi da quasi un quinquennio, con
cinque milioni di disoccupati - veri. E del resto la Germania si occupa poco dell’Italia:
qualche decennio fa, prima della riunificazione, ancora con la Repubblica
Federale di Bonn aggrappata politicamente al Bel Paese, a un’indagine sugli
investimenti stranieri la piccola Svezia sopravanzava largamente la Germania.
Per quanto
riguarda la politica è presto detto: non c’è mai stata sintonia francese con i
governi italiani, basti ricordare la sufficienza del socialista Mitterrand nei
riguardi del socialista Craxi, e il parallelo, patrocinante ma beffardo,
apprezzamento del celebrato “eurocomunismo” berlingueriano. O del cancelliere
socialista Schmidt. Craxi, di cui ora si rivaluta la politica estera, non
andava mai a Bruxelles e parlava di più, molto di più, con Reagan e gli altri
americani con i quali era quasi venuto alle mani. I presidenti tedeschi vengono
spesso a Roma ma perché non hanno nulla da fare. I cancellieri ci vengono ogni
tanto, per l’aria, Adenauer a Cadenabbia, Schröder al Conero, o per le acque, Merkel
a Ischia, ma niente di più - Merkel che è stata la governante più “mercantilista”
che si ricodi dell’Unione, cioè nazionalista, per gli interessi economici
nazionali, nella crisi del debito, nei rapporti con la Russia, in quelli con la
Cina. Kohl ha avuto un po’ di patrocinante vicinanza “popolare” con la Dc in fase
di disgregazione, e basta.
Oggi che l’incontestato,
anzi plaudito, Piano Draghi è lettera morta, l’autodissoluzione della Ue è
evidente. Fa la guerra e non sa darsi una difesa – non se la darà mai, neanche
quando Trump leverà l’ombrello americano. È attorniata da guerre nel Mediterraneo,
Libia, Siria, Palestina, mar Rosso, ma non sa dove e cosa è il Mediterraneo, e
nessuna intenzione d’imparar e. Dovrebbe diventare una grande piazza finanziaria,
attirare col debito comune gli investimenti dei ricconi e riccastri del pianeta –
mai ce ne n’è stati così tanti, fondi, fiduciarie, finanziarie, in ricerca avida di piazzamenti – e finanziare
così il rinnovamento industriale, ma non ci vede e non ci sente. Parliamo
sempre dell’Europa franco-tedesca, di due tombe politiche, senza mai una visione di insieme, e da tempo senza forza politica (minacciano ora Trump e gli Usa, ma forse per ridere). L’inerzia è proprio migliore
della dissoluzione?
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