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lunedì 3 febbraio 2025

Eurexit

Perché l’Italia è diventata poco competitiva? “Per il costo dell’energia. L’energia elettrica costa l’82 per cento in più rispetto alla Francia, il 78 per cento in più rispetto alla Spagna, il 38 per cento in più rispetto alla Germania. Per quanto riguarda il gas: 7,4 euro al mwh negli Usa, 34,4 in Europa e oltre 36,3 in Italia”. Per la transione verde. Mentre altrove il nucleare di prima generazione è ancora  prospero, e anche il carbone - la Spagna è un caso a parte: lontana dalla Russia, si è sintonizzata da tempo sul  gas liquido Usa, e non ha risentito della guerra, delle sanzioni.
Il costo dell’energia pesa ma è solo uno dei tanti fattori di dipendenza e di minorazione dell’Italia nell’Unione Europea così come è stata organizzata. Dopo il primo momento di europeismo entusiasta egualitario, alla Spinelli, con l’iniziativa decisiva dell’Italia, a fronte della Germania divisa e quindi incerta, e della Franca gollista, cioè scettica, negli anni negli anni 1950.
A fronte del costo dell’energia lamentato dal presidente di Confindustria Lombardia, sullo stesso giornale Dario Di Vico riafferma il solito “Tutti a Bruxelles”, o “l’illusione perduta di poter fare da soli”.  Il che è vero, ma solo per la fine: in economia è come in politica, non si può fare da soli. Resta però il problema: con chi e come accompagnarsi? Mentre “l’illusione perduta” è con ogni evidenza l’Europa, l’Unione.
È facile dire che l’Italia “non può” fare a meno della Ue. Nessun può fare a meno di nessuno. Ma quanto è conveniente? E forse – forse – quanto non è più conveniente non farne parte?
La domanda è un’eresia. Sembra un’eresia prima ancora che un’impossibilità, una stupidaggine, ma l’esperienza va tutta in quel senso dopo i primi vagiti dell’Unione. Dopo i primissimi, già la politica agricola dissipava decenni di fantasie e ideali. L’Unione è soltanto di Francia e Germania, i due  paesi la cui storia e la cui economia sono le meno europeiste e le più nazionaliste, e tali hanno continuato a essere. Ne è esempio perfino incredibile il mercantilismo del lungo cancellierato Merkel, l’unica bussola di una che emergeva adulta dal niente e quindi non era cresciuta con la paura come la Germania di Bonn con i russi a Berlino, che per questo si attaccava all’Italia (alla Nato e al Pci….) e al cosiddetto “Occidente” – altro fantasma. Anche oggi, la crisi Ue è la crisi politica di Francia e Germania, aggravata in Germania da quella economica.
È per questo che i Conservatori britannici, che avevano portoiato la Gran Bretagna nell’Unione nel 1973, contro la volontà della Francia, l’hanno portata fuori cinque ani fa: perché la Gran Bretagna non contava nulla. Il “Financial Times”, che aveva aperto un’edizione tedesca sulle ali dell’entusiasmo europeista, presto ha dovuto chiuderla, dopo il ritorno della Germania a Berlino. Anche l’Italia, paese “fondatore”, non ha mai contato nulla, neanche quando aveva a Bruxelles persone di spessore, Mario Monti, Romano Prodi. Ma l’Italia, si sa, è conservatrice, e preferisce tenersi il poco – tutti europeisti, gli italiani, perfino l’anarchica Salis siede a Bruxelles beata.   
L’esperienza aziendale dice che è possibile fare tutto con la finanza e l’industria americane, su piede di parità, niente con gli analoghi francesi o tedeschi, se non per compiacerli. È come per la difesa, che l’Europa non sa darsi da cinquanta anni ormai, o sessanta. Le forze armate italiane hanno collaborato e collaborano attivamente, anche troppo, con gli americani, in Libano come in Somalia cinquant’anni fa, e ovunque in Medio Oriente nel Millennio. Ma non potrebbero mai fare niente accanto ai francesi, neanche un pattugliamento – per esempio, non molto tempo fa, nel Sahel, il primo frangiflutti contro l’immigrazione di massa. Non si possono nemmeno fare investimenti in Francia e in Germania, se non a piacimento dei governi nazionali, mentre l’inverso deve essere possibile e fattibile. L’Italia non si oppone, e se volesse non lo potrebbe, all’acquisto di banche da parte di banche francesi, mentre l’inverso non è stato possibile (Société Générale e altre minori). Nessuna acquisizione italiana è stata possibile ni Germania, Continental, Opel, ora Commerzbank. Si cita sempre in contrario la HypoVereinsbank di Monaco vent’anni fa, ma Unicredit operava allora il salvataggio di una banca tecnicamente fallita, nel quadro di un accordo fra potentati “popolari”, la Csu bavarese e Berlusconi, in una Germania in crisi da quasi un quinquennio, con cinque milioni di disoccupati - veri. E del resto la Germania si occupa poco dell’Italia: qualche decennio fa, prima della riunificazione, ancora con la Repubblica Federale di Bonn aggrappata politicamente al Bel Paese, a un’indagine sugli investimenti stranieri la piccola Svezia sopravanzava largamente la Germania.
Per quanto riguarda la politica è presto detto: non c’è mai stata sintonia francese con i governi italiani, basti ricordare la sufficienza del socialista Mitterrand nei riguardi del socialista Craxi, e il parallelo, patrocinante ma beffardo, apprezzamento del celebrato “eurocomunismo” berlingueriano. O del cancelliere socialista Schmidt. Craxi, di cui ora si rivaluta la politica estera, non andava mai a Bruxelles e parlava di più, molto di più, con Reagan e gli altri americani con i quali era quasi venuto alle mani. I presidenti tedeschi vengono spesso a Roma ma perché non hanno nulla da fare. I cancellieri ci vengono ogni tanto, per l’aria, Adenauer a Cadenabbia, Schröder al Conero, o per le acque, Merkel a Ischia, ma niente di più - Merkel che è stata la governante più “mercantilista” che si ricodi dell’Unione, cioè nazionalista, per gli interessi economici nazionali, nella crisi del debito, nei rapporti con la Russia, in quelli con la Cina. Kohl ha avuto un po’ di patrocinante vicinanza “popolare” con la Dc in fase di disgregazione, e basta.  
Oggi che l’incontestato, anzi plaudito, Piano Draghi è lettera morta, l’autodissoluzione della Ue è evidente. Fa la guerra e non sa darsi una difesa – non se la darà mai, neanche quando Trump leverà l’ombrello americano. È attorniata da guerre nel Mediterraneo, Libia, Siria, Palestina, mar Rosso, ma non sa dove e cosa è il Mediterraneo, e nessuna intenzione d’imparar e. Dovrebbe diventare una grande piazza finanziaria, attirare col debito comune gli investimenti dei ricconi e riccastri del pianeta – mai ce ne n’è stati così tanti, fondi, fiduciarie, finanziarie, in ricerca avida di piazzamenti – e finanziare così il rinnovamento industriale, ma non ci vede e non ci sente. Parliamo sempre dell’Europa franco-tedesca, di due tombe politiche, senza mai una visione  di insieme, e da tempo senza forza politica (minacciano ora Trump e gli Usa, ma forse per ridere). L’inerzia è proprio migliore della dissoluzione?

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