La guerra-macello e la critica-netflix
Il racconto di tre amici e sodali, di buona
borghesia, che nella sanità, dietro le trincee affollate di morti, nella Grande
Guerra, si confrontano autodistruggendosi col problema del rifiuto della guerra.
Le trincee sono ammassi di cadaveri. Gli ospedali da campo, dove i tre operano,
due capitani medici e la comune amica crocerossina, peraltro lindi e asettici
come non il migliore ospedale romano di oggi, rigurgitano di coscritti delle
aree più diverse d’Italia che, magari amputati, magari mezzo ciechi, sognano la
smobilitazione. Bisogna aiutarli, o non invece mandarli in trineca, disfattisti
– sono, o possono essere stati, autolesionisti?
Un film duro. All men, se non per
due sole figure femminili, deboli - si direbbe sceme, da poche scene. Una requisitoria
contro la guerra, in ogni sua forma. Senza assolvere la simulazione, l’autolesionismo
– il simulatore più abile si rivelerà il trafficante più spregiudicato. Ma tutto
succede – ammassi di morti, mutilazioni, fucilazioni di renitenti, denunce, tradimenti,
di ogni sentimento - nell’“anno della Vittoria”. Dietro un prologo, o scena di
apertura, che è lo lo scandaglio di ammassi di morti o moribondi alla ricerca
di qualcosa da trafugare, un accendino, una medagliett, un portafogli da poche
lire.
Un fim non truce, malgrado grondi sangue e
sofferenza. Molto ben argomentato nella dialettica tra i due medici, il riflessivo
e il fanatico. Borghi e Montesi – specialmente il primo, irriconoscibile, tanto
è compenetrato nel ruolo.
Una mega-produzione, per una volta, del
cinema made in Italy, costata dodici milioni, che non ha raccolto in
sala più di un decimo. Sono possibili ormai filmetti svelti, tipo serial?
Non è un fim “facile”, da passaparola, ma anche la critica ormai ha perso
ogni sensibilità – e ruolo, da portavoce netflix?
Gianni Amelio, Campo di battaglia,
Sky Cinema
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