“Mi
sono presi tutti i piaceri”, Modesta lo dichiara prima di cominciare - o del piacere come potere. Piccola capraia
indocile violentata dal padre dà fuoco alla casa, e il maresciallo la confida,
povera orfanella, alle suore. Sarà la beniamina della bella e nobile badessa, e
sua erede in caso di morte. La badessa muore veramente, spinta da Modesta?, e
le porte della magione principesca le si aprono. Questo nei primi due episodi, tra
autoerotismi e toccamenti saffici. Molto di più si dovrebbe vedere nei prossimi
quattro della serie.
Una professione di femminismo,
una sorta di manifesto, come usava negli
anni in cui Sapienza concepì la storia – usavano “manifesti” di castrazione maschile,
etc. Golino segue il romanzo,
ma con una punta di perfidia, quasi sadica.
Una
storia difficile, scritta e riscritta da Goliarda Sapienza negli anni 1960-1970,
per una dozzina d’anni, pubblicata postuma, a metà degli anni 1990, in edizioni ridotte e praticamente alla macchia - da Stampa Alternativa, che non aveva distribuzione. Ritornata
in Italia una quindicina d’anni dopo, dopo la traduzione e il successo in
tedesco. Il femminismo sboccato della favola, in un convento di suore, e poi in una serie di inimmaginabili trasgressioni, ne ha a
lungo pregiudicato la diffusione – tra i rifiuti c’è pure quello Feltrinelli. Il volumone Einaudi con cui si propone la rivalutazione della scrittrice non comprende questo racconto.
Un compito impegnativo. Golino, alla sua prima (?) regia, rasenta il capolavoro: scene, luci, tagli, atmosfere, anche nelle molte scene di sesso morbose, e un casting da perfezione - o ben diretto e gestito.
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