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Morire di media
Un incidente stradale, non grave, sgretola
granitiche certezze. Basta poco: la malevolenza dei social, l’invidia
dei colleghi. O semplicemente il loro modo di essere e lavorare, la
superficialità, a fronte della benevolenza dell’incidentato, la cui madre, immigrata
e povera, si bea delle attenzioni della vedette. E il tranquillo modo di
essere e di vivere, il tran-tran quotidiano, si rivela inerte o inetto, o ingeneroso
– cambia l’occhio, la veduta, la ricezione del reale.
Una vedette del giornalismo televisivo,
molto capace, molto famosa, soprattutto per la sua rubrica di interviste, provoca
per l’eccesso di cose che deve fare a ogni istante un incidente con un motociclo.
Niente di grave. Ma l’incidente diventa materia di scandalismo, tra social
per natura pettegoli e stampa di genere. La giornalista, per quanto famosa e
straoccupata, si prende cura dell’incidentato, e della famiglia dell’incidentato,
e tutto il suo modo di essere e di vivere, compreso il suo status di vedette
tv, compresa la famiglia, amorevole e ordinata, le crolla addosso.
Un film classificato del genere romantico-sentimentale.
E presentato come la storia di una depressione, tra alti e bassi, bene e male. Ma
di fatto questa storia non è speciale - solo Léa Seydoux, sulla cui interpretazione
tutto il film è basato, dalla prima scena all’ultima, riesce a mantenerle
questo spessore. È piuttosto un caso di cronaca. Il film è un pamphlet, duro
benché sottile, contro la superficialità dei media, emittenti, rete, e
giornalisti messi assieme.
Bruno Dumont, France, Rai 3
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