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Un Orizzonte nero, di violenza
Dal Nord al Sud, dalla neve del Montana al
Wyoming in eterna primavera, alla polvere dell’Arizona, la grande ondata, la
Grande Migrazione verso il West, negli stessi anni in cui la guerra civile
divideva l’America ex coloniale, è un susseguirsi di violenze. Per tre ore, non
una sola scena che ne rifugga. Contro gli Apache traditi, e contro gli Apache traditori,
dei colonnelli sui tenenti, dell’amante, o moglie, contro il marito o amante –
che le lancerò alle calcagna una posse di figli.
Tre ore non faticose, ma stranianti. I
canyon e le chiese abbandonate del Sud, come le ginestre e le mimose che infiorettano
il Wyoming, o i primi abbozzi di società, nel nuovo tentativo in Arizona,
organizzato, anche se già con i cinesi immigrati non graditi, tutto è suggestivo.
Ma l’innesco non parte. Come se Costner non avesse voluto rinunziare a niente,
al montaggio del girato. Che è apprezzabile in sé, scena per scena, ma inconcludente.
A meno che Costner in questa saga (questa è
solo la prima parte, una seconda, di altre tre ore, seguirà) non volesse dire
quello che si vede: che la corsa all’Est fu una guerra, sanguinosa, di tutti contro
tutti, indiani e contadini, mercanti di pelle e cercatori d’oro, come in tutte
le colonizzazioni. Con gli avventurieri pistoleri come nei western. Che potrebbe
essere: tutte le posse e la carovane, dal Sud al Nord, si muovono all’insegna
di un progetto “Horizon”, orizzonte. di un signor Pickering vincente sebbene di
nessuna qualità – se così fosse, sarebbe un film premonitore…
“Balla coi lupi” 35 anni fa, sette o otto
Oscar, tra guerra civile e postazioni di frontiera, in guerra e in pace con gli Apaches,
deve essere nostalgia invincibile. Non si spiega altrimenti tanta rilassatezza.
Fallimentare anche commercialmente: il produttore Kostner ci avrebbe investito
100 milioni, per ricavarne 40 o 30 – e solo in America, anche questo significa.
Kevin Costner, Horizon: An American Saga,
Sky Cinema
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