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A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (587)
Giuseppe Leuzzi
“Gli italiani con origini nel Sud venuti qui ai primi
del Novecento”, spiega a New York Gay Talese a Viviana Mazza (“La Lettura”), “o
negli anni Quaranta dopo la guerra, vedono più lati della stessa questione. È
questa una parte della nostra natura, che a volte ci porta al successo, a volte
al fallimento”. È la disposizione – “comprensiva” - del “sia….sia”, invece che
dell’“o….o”.
Bendicò, l’alano di casa Salina
nel “Gattopardo”, “è un cane meridionale”, spiega Caterina Cardona analizzando la
corrispondenza di Tomasi di Lampedusa con la moglie Alessandra, nella quale
molto posto il principe fa al cane che gli tiene compagnia: “Appartiene, anche
lui (anche lui come il suo padrone, n.d.r.), ad una civiltà «materna», non «paterna»,
come quella, tedesca, di Bauschan (il cane di Thomas Mann nella “Montagna
incantata!”, n.d.r.)".
Che fa giustizia anche della
“donna del Sud” e del “patriarcato”.
Scettico sulla Magna Grecia,
“invenzione” recenziore del tardo Settecento illuminista, il grecista Ulderico
Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, 170, dice “il pianto greco unica vera eredità
che ci è giunta dalla cultura greco-arcaica, notoriamente e immotivatamente
lamentosa”.
È “notevole”, nota ancora
Nisticò, p. 90, "che Napoleone, buon conoscitore della storia e della natura delle
cose, non pensasse di annettere il Meridione alla Francia, come aveva fatto o
farà di Torino, Firenze e persino di Roma; ma ne riconoscesse in qualche modo
la millenaria identità e autonomia”.
Le due Sicilie
Acculata ora anch’essa nel mercato librario, se non letterario, ai “gialli”, al malaffare e alla mafia, la Sicilia delle lettere ha avuto
tra fine Ottocento e fine Novecento due vite distinte. Una fortemente
realistica (storica, sociale, satirica):
Capuana, Verga, De Roberto, Brancati, Sapienza, e in buona misura Bonaviri e Bufalino.
E una pirandelliana: Pirandello naturalmente, e Sciascia, Camilleri, Consolo, lo
stesso Tomasi di Lampedusa, attorcigliata anch’essa sui tempi e sulla politica
ma medusacea, di convulsioni e contorsioni, distruttiva. Tra due poli geografici:
Catania (borghese, fattiva, la – ex? – “Milano del Sud”) e Agrigento (elucubrativa,
sul niente di fatto).
Anche la Sicilia orientale ha
avuto la sua borghesia, sebbene di immigrazione, i Whitaker, Ingham, Woodhouse,
Florio. Ma l’isola li ha vissuti e li rivive da “Leoni di Sicilia” – decadenti: una tessitura di nostalgie,
che sono di fatto (in un modo riccamente letterario, certo) creazioni di una
mancanza, elucubrazioni, escogitazioni. Proiezioni di un desiderio, i sogni a
occhi aperti. Che quando si avvicinano alla realtà se ne fanno vittime – da mezzo
secolo della mafia, delle mafie, criminali, politiche, storiche, eccetera.
Proiezioni anche di un
compiacimento decadente, di un modo di essere moribondo, nella parte occidentale.
Accentuato in Tomasi. Che nel principe di Salina fa un autoritratto,
rovesciando le colpe, sull’isola, sulla storia, sulla stirpe. Incapacitato per
cinquant’anni, vittima volente della madre anche nei confronti della pur amata
Alessandra “Licy” Wolff von Stomersee, nullafacente a suo stesso dire. che invecchia solitario in una grama routine quotidiana, di chiacchiere al circolo, che
all’improvviso, per tenere testa ai cugini Piccolo che a sessanta e più anni si
sono improvvisati artisti di successo “scrive un romanzo”, in forma di
autoritratto, di come è e di come avrebbe immaginato di essere ma non era, in
nessuna misura. Del suo essere e dei suoi mondi – e di quelli del suo circolo –
accasciando l’isola (per grandi generi “Il Gattopardo” va ascritto al filone “verista”,
catanese e non palermitano – Proust non c’entra, che c’entra Proust?).
La luna di Napoli
“La luna di
Napoli è più grande di quella di qua”, andava sostenendo qualche generazione fa
il coscritto in licenza o in congedo, tornato in paese nella Calabria ultra per vie traverse
(itinerari sbagliati, treni accelerati, treni perduti), e questa sicurezza gli aveva
valso il soprannome Luna ‘e Napoli.
“Per via di
Foggia” è – era - invece modo di dire, ma legato anch’esso a qualche coscritto.
Rientrato da Napoli dopo alcuni giorni “per via di Foggia”, avendo sbagliato
treno. È una storia postunitaria, dato che la coscrizione fu il primo
provvedimento sociale dell’unità.
Si va da Napoli a
Reggio Calabria direttamente solo da fine Ottocento. Prima bisognava passare
però non per “via di Foggia” ma di Metaponto. Si raddoppiava comunque il
percorso. Su treni locali, quindi cambiando spesso. Era facile perdersi. Tanto
più per gli analfabeti. Molti, con la “bassa” di passaggio in mano, che non
sapevano leggere o non si orientavano sugli itinerari, prendevano i treni più
diversi. Dopodiché i capotreni dovevano farli avanzare e mai tornare indietro.
Lo stesso
“errore” fa Lampedusa nel “Gattopardo”, p. 237 della riedizione di Lanza
Tomasi: nel 1883 il principe Salina decide di tornare a Palermo da Napoli, dove
è andato con la nave a farsi visitare da un illustre clinico, via terra. E ha
una brutta sorpresa: “La linea ferroviaria non era ancora compiuta: nel suo
ultimo tratto vicino a Reggio faceva una larga svolta per Metaponto attraverso
paesaggi lunari che per scherzo portavano i nomi atletici e voluttuosi di
Crotone e di Sibari”.
Nel 1883 la linea
ferroviaria Napoli-Reggio non era effettivamente compiuta, ne mancavano lunghi
tratti. Anche la “larga svolta” teoricamente c’era, poiché triplica il
percorso. Ma Metaponto non sta “vicino a Reggio”, dista da Reggio come Napoli.
Anche l’itinerario è sbagliato, Sibari è tra Metaponto e Crotone, non dopo.
Calabria-Sicilia
Non c’è confronto possibile tra
le due regioni limitrofe, e in qualche modo sorelle, linguisticamente e per
vari accidenti storici, terremoti compresi. L’isola teatro sempre di grande
storia, dai fenici ai greci, alla stessa Roma e poi agli arabi, ai normanni,
agli angioini, aragonesi, castigliani, napoletani, e talvolta in proprio, reami
(emirati) e vicereami. L’altra sempre una provincia trascurata di poteri
remoti, Roma, Bisanzio, Napoli nelle sue varie forme, e poi dell’Italia unita.
Ma parlano allo stesso modo, e si ritengono uguali e concorrenti, i siciliani per
generosità, i calabresi per testardaggine. Ancora negli anni 1950 i calabresi,
che non avevano una università e dovevano andare a Messina e a Palermo, si
ritenevano superiori perchè i loro treni erano elettrificati mentre in Sicilia
erano ancora ciuff-ciuff, andavano a carbone. Poi per l’autostrada, che la
Calabria ebbe negli anni 1960 – la Messina-Palermo è stata completata da Berlusconi,
nel 2004.
Non c’è paragone possibile neppure
per il diverso peso economico fra le due regioni: agricoltura, agroindustria,
industria (farmaceutica, chimica, meccanica), oltre che per il peso demografico,
cuturale, storico. Ma è calabrese, di origine, la famiglia siciliana più illustre
della storia unitaria, i Florio. Senza
dimenticare, dei Florio, il possibile Shakespeare “alternativo” Giovanni “John”
Florio, “il più importante umanista del Rinascimento inglese”, figlio di
Michelangelo, un altro che da Bagnara era emigrato qualche secolo prima, invece
che in Sicilia (dove i Florio commercianti cresceranno insieme con gli inglesi locali,
Whitaker, Ingham, Woodhouse), direttamente a Londra, per salvarsi dal rogo,
essendo un calvinista. Più la più grande collezione d’arte del Seicento, in Italia
e probabilmente in Europa, creata a Messina da un Ruffo della Scaletta, Antonio,
figlio di Carlo Ruffo, duca di Bagnara, che nella città dello Stretto aveva
sposato una ricca borghese locale, Antonia Spatafora.
Cronache della
differenza: Calabria
Ha vissuto una sola stagione,
nell’antichità, tra Locri, Sibari, Crotone, Medma, Tauriana, Reggio e altri toponimi
della cosiddetta Magna Grecia. Poi più nulla – non ci ha nemmeno provato: sempre
subordnata.
Non
ne aveva buona immagine Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo”. Dove sovraccarica
don Fabrizio Salina nell’ultimo viaggio da Napoli nel 1883 di vedute micidiali: “Si
attraversano paesaggi malefici, giogaie maledette, pianure malariche e torpide;
quei panorami calabresi e basilischi che a lui sembravano barbarici”.
Reggio
vara la costruzione del Museo del Mare, un’opera commissionata a Zaha Hadid e
poi accantonata, perché intanto un nuovo sindaco, Pd, era succeduto al vecchio
Fdi, quindici anni fa. Politica, affari, futuro, sono solo beghe, di paese, di
famiglie – la vecchia faida senza più i morti.
Il
sindaco Pd di Reggio riprende il Museo del Mare perché inserito nei “progetti bandiera
voluti dal ministro Franceschini”. Che è stato ministro dal 2014 al 2022. Un’opera
che chissà se verrà completata, ma la bandiera è piantata, e tanto basta.
Clarissa Burt è stata modella
e attrice, in voga negli anni a cavaliere del 1990, per qualche tempo fidanzata
con Francesco Nuti. Che ora così ricoda, con Giovanna Cavalli, sul “Corriere della
sera”: “Ogni due settimane mi portava a Prato da sua madre, che stava sempere
in cucina e parlava calabrese stretto, non capivo una parola”. Non è vero (Nuti
aveva 32 anni nel 1987, il fidanzamento durò un anno e mezzo, tra 1987 e 1988,
e non viveva a Prato da una decina d’anni), ma rende l’idea, di un rapporto
madre-figlio che esclude.
“Il Sole 24 Ore” rimedia
alla classifica della vivibilità con cui ha condannato Reggio Calabria
all’ultimo posto e pubblica una corrispdnenza in cui tutto funziona. Perfino
l’aeroporto, da sempre disastrato. A chi credere – terra incognita?
Però, non passa giorno che non
si celebri un nuovo record dei tre aeroporti calabresi. Da quando sono passati,
praticamente, a Ryanair (la Regione finanzia molte tratte). Con Ryanair naturalmente
è cambiata la qualità del messaggio pubblicitario (Ryanair sa vendere) e così
pure l’immagine.
Poi magari a terra la
ricezione (alberghi, ristoranti, trasporti) è quela che era, ma la pubbicità
non è l’anima del commercio?
Cordoglio enorme per Giovanni Scambia,
il ginecologo di Catanzaro a Roma che ne ha formati millecinque. Sui Tg, e sui
giornali nazionali. Poche righe sui giornali calabresi. Del prof si avverte l’importanza
il giorno dopo, avendo letto i giornali nazionali.
L’appartenenza è dei fatti – Scambia
a Catanzaro non c’era, né in Calabria?
Può capitare di leggere, lo
stesso giorno, in due pagine di seguito del “Quotidiano Reggio Calabria”, una
commemorazione di Walter Pedullà, di Siderno, decano degli studi di letteratura
contemporanea alla Sapienza, morto due mesi prima, un’intervista al professor
Pierpaolo D’Urso, di Trebisacce, che celebra i 100 anni di Scienze Politiche alla
Sapienza, di cui è preside. Alla presenza della rettrice della Sapienza, Antonella
Polimeni, di Reggio Calabria. E l’elezione al Bundestag, il Parlamento tedesco,
dell’architetto Luigi Pantisano, di Cariati, professore di Urbanistica
all’università di Stoccarda. Mentre Pietro Gaeta, di Reggio, diventa Procuratore
generale della Cassazione. Fuori è meglio – è possibile?
Gioia Tauro, nelle cronache
solo per mafia, col record forse mondiale delle consiliature sciolte per mafia, esibisce
più o meno, a naso, la ricchezza media di Milano, e ora vince con la scuola di
ballo Armada Nueva il campionato mondiale categoria Adult 1 Latin Show. Procure
e Carabinieri dovrebbero aggiornare le informative.
Singolare la noncuranza per la
“Chanson d’Aspremont”, XII secolo, e per
la volgarizzazione “Aspramonte” due secoli dopo, benché celebrino la Montagna,
ne inventino il nome, e anticipino Boiardo e Ariosto di due secoli, che hanno
certo capacità narrative e di versificazione più attraenti, ma sono pur semrpe
epigoni. Di un genere che, seppure in adattamento dai cicli carolingi francesi,
era una novità in Italia. Con Ruggero a Reggio, etc..
“Alla Calabria non manca
proprio nulla”, risponde il mangiaterroni Vittorio Feltri a un lettore nella
rubrica “la Stanza”, che fu di Montanelli, sul “Giornale”: “È terra ricca di risorse,
forse la più ricca che abbiamo in Italia, tuttavia la meno valorizzata e sfruttata.
La ricchezza viene sprecata. La bellezza mortificata. La natura maltrattata. Spiagge
e monti trascurati”. Obiezioni?
“Quando, negli anni ’90,
vennero inventati i telefoni cellulari a uso privato, e costavano moltissimo per
acquistarli e ancora più per usarli, la Calabria vantò il primato europeo di possesso
di questi aggeggi…. Quei cellulari costosissimi altro uso non avevano che far
vedere agli amici di esserne dotati” – Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, p.
198.
“Nato nelle Serre calabresi”, può notare Nisticò, p. 200,
il nome di Italia finì a Milano, per poi tornare anche da noi, ma ufficialmente
solo dopo il 1860”. Era successo che “nel Medioevo e fino a Napoleone il Regno
d’Italia”, benché “sempre nominale, ebbe per confini le Marche….Confini verso
sud”.
Della grecità di recente riscoperta fanno parte un numero esorbitante di personaggi del mito passati in Calabria a combattere o morire (Edipo, per esempio, Oreste, etc.), e di sbarchi di Ulisse nella sua odissea – sia nello Jonio che nel Tirreno, e anche sui monti fra i due mari – a Tiriolo per esempio. A Catanzaro Lido Ulisse si imbarcò, attestava fino a qualche anno fa un cartellone del Comune – due cartelloni, uno sul lato nord del Lido e uno su quello Sud.
leuzzi@antiit.eu
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