Cerca nel blog

mercoledì 19 marzo 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (587)

Giuseppe Leuzzi


“Gli italiani con origini nel Sud venuti qui ai primi del Novecento”, spiega a New York Gay Talese a Viviana Mazza (“La Lettura”), “o negli anni Quaranta dopo la guerra, vedono più lati della stessa questione. È questa una parte della nostra natura, che a volte ci porta al successo, a volte al fallimento”. È la disposizione – “comprensiva” - del “sia….sia”, invece che dell’“o….o”.
 
Bendicò, l’alano di casa Salina nel “Gattopardo”, “è un cane meridionale”, spiega Caterina Cardona analizzando la corrispondenza di Tomasi di Lampedusa con la moglie Alessandra, nella quale molto posto il principe fa al cane che gli tiene compagnia: “Appartiene, anche lui (anche lui come il suo padrone, n.d.r.), ad una civiltà «materna», non «paterna», come quella, tedesca, di Bauschan (il cane di Thomas Mann nella “Montagna incantata!”, n.d.r.)".
Che fa giustizia anche della “donna del Sud” e del “patriarcato”.
 
Scettico sulla Magna Grecia, “invenzione” recenziore del tardo Settecento illuminista, il grecista Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, 170, dice “il pianto greco unica vera eredità che ci è giunta dalla cultura greco-arcaica, notoriamente e immotivatamente lamentosa”.
 
È “notevole”, nota ancora Nisticò, p. 90, "che Napoleone, buon conoscitore della storia e della natura delle cose, non pensasse di annettere il Meridione alla Francia, come aveva fatto o farà di Torino, Firenze e persino di Roma; ma ne riconoscesse in qualche modo la millenaria identità e autonomia”.
 
Le due Sicilie
Acculata ora anch’essa nel mercato librario, se non letterario, ai “gialli”, al malaffare e alla mafia, la Sicilia delle lettere ha avuto tra fine Ottocento e fine Novecento due vite distinte. Una fortemente realistica  (storica, sociale, satirica): Capuana, Verga, De Roberto, Brancati, Sapienza, e in buona misura Bonaviri e Bufalino. E una pirandelliana: Pirandello naturalmente, e Sciascia, Camilleri, Consolo, lo stesso Tomasi di Lampedusa, attorcigliata anch’essa sui tempi e sulla politica ma medusacea, di convulsioni e contorsioni, distruttiva. Tra due poli geografici: Catania (borghese, fattiva, la – ex? – “Milano del Sud”) e Agrigento (elucubrativa, sul niente di fatto).
Anche la Sicilia orientale ha avuto la sua borghesia, sebbene di immigrazione, i Whitaker, Ingham, Woodhouse, Florio. Ma l’isola li ha vissuti e li rivive da “Leoni di  Sicilia” – decadenti: una tessitura di nostalgie, che sono di fatto (in un modo riccamente letterario, certo) creazioni di una mancanza, elucubrazioni, escogitazioni. Proiezioni di un desiderio, i sogni a occhi aperti. Che quando si avvicinano alla realtà se ne fanno vittime – da mezzo secolo della mafia, delle mafie, criminali, politiche, storiche, eccetera.
Proiezioni anche di un compiacimento decadente, di un modo di essere moribondo, nella parte occidentale. Accentuato in Tomasi. Che nel principe di Salina fa un autoritratto, rovesciando le colpe, sull’isola, sulla storia, sulla stirpe. Incapacitato per cinquant’anni, vittima volente della madre anche nei confronti della pur amata Alessandra “Licy” Wolff von Stomersee, nullafacente a suo stesso dire. che invecchia solitario in una grama routine quotidiana, di chiacchiere al circolo, che all’improvviso, per tenere testa ai cugini Piccolo che a sessanta e più anni si sono improvvisati artisti di successo “scrive un romanzo”, in forma di autoritratto, di come è e di come avrebbe immaginato di essere ma non era, in nessuna misura. Del suo essere e dei suoi mondi – e di quelli del suo circolo – accasciando l’isola (per grandi generi “Il Gattopardo” va ascritto al filone “verista”, catanese e non palermitano – Proust non c’entra, che c’entra Proust?).
 
La luna di Napoli
“La luna di Napoli è più grande di quella di qua”, andava sostenendo qualche generazione fa il coscritto in licenza o in congedo, tornato in paese nella Calabria ultra per vie traverse (itinerari sbagliati, treni accelerati, treni perduti), e questa sicurezza gli aveva valso il soprannome Luna ‘e Napoli.
“Per via di Foggia” è – era - invece modo di dire, ma legato anch’esso a qualche coscritto. Rientrato da Napoli dopo alcuni giorni “per via di Foggia”, avendo sbagliato treno. È una storia postunitaria, dato che la coscrizione fu il primo provvedimento sociale dell’unità.
Si va da Napoli a Reggio Calabria direttamente solo da fine Ottocento. Prima bisognava passare però non per “via di Foggia” ma di Metaponto. Si raddoppiava comunque il percorso. Su treni locali, quindi cambiando spesso. Era facile perdersi. Tanto più per gli analfabeti. Molti, con la “bassa” di passaggio in mano, che non sapevano leggere o non si orientavano sugli itinerari, prendevano i treni più diversi. Dopodiché i capotreni dovevano farli avanzare e mai tornare indietro.
Lo stesso “errore” fa Lampedusa nel “Gattopardo”, p. 237 della riedizione di Lanza Tomasi: nel 1883 il principe Salina decide di tornare a Palermo da Napoli, dove è andato con la nave a farsi visitare da un illustre clinico, via terra. E ha una brutta sorpresa: “La linea ferroviaria non era ancora compiuta: nel suo ultimo tratto vicino a Reggio faceva una larga svolta per Metaponto attraverso paesaggi lunari che per scherzo portavano i nomi atletici e voluttuosi di Crotone e di Sibari”.
Nel 1883 la linea ferroviaria Napoli-Reggio non era effettivamente compiuta, ne mancavano lunghi tratti. Anche la “larga svolta” teoricamente c’era, poiché triplica il percorso. Ma Metaponto non sta “vicino a Reggio”, dista da Reggio come Napoli. Anche l’itinerario è sbagliato, Sibari è tra Metaponto e Crotone, non dopo.
 
Calabria-Sicilia
Non c’è confronto possibile tra le due regioni limitrofe, e in qualche modo sorelle, linguisticamente e per vari accidenti storici, terremoti compresi. L’isola teatro sempre di grande storia, dai fenici ai greci, alla stessa Roma e poi agli arabi, ai normanni, agli angioini, aragonesi, castigliani, napoletani, e talvolta in proprio, reami (emirati) e vicereami. L’altra sempre una provincia trascurata di poteri remoti, Roma, Bisanzio, Napoli nelle sue varie forme, e poi dell’Italia unita. Ma parlano allo stesso modo, e si ritengono uguali e concorrenti, i siciliani per generosità, i calabresi per testardaggine. Ancora negli anni 1950 i calabresi, che non avevano una università e dovevano andare a Messina e a Palermo, si ritenevano superiori perchè i loro treni erano elettrificati mentre in Sicilia erano ancora ciuff-ciuff, andavano a carbone. Poi per l’autostrada, che la Calabria ebbe negli anni 1960 – la Messina-Palermo è stata completata da Berlusconi, nel 2004.
Non c’è paragone possibile neppure per il diverso peso economico fra le due regioni: agricoltura, agroindustria, industria (farmaceutica, chimica, meccanica), oltre che per il peso demografico, cuturale, storico. Ma è calabrese, di origine, la famiglia siciliana più illustre della storia unitaria, i  Florio. Senza dimenticare, dei Florio, il possibile Shakespeare “alternativo” Giovanni “John” Florio, “il più importante umanista del Rinascimento inglese”, figlio di Michelangelo, un altro che da Bagnara era emigrato qualche secolo prima, invece che in Sicilia (dove i Florio commercianti cresceranno insieme con gli inglesi locali, Whitaker, Ingham, Woodhouse), direttamente a Londra, per salvarsi dal rogo, essendo un calvinista. Più la più grande collezione d’arte del Seicento, in Italia e probabilmente in Europa, creata a Messina da un Ruffo della Scaletta, Antonio, figlio di Carlo Ruffo, duca di Bagnara, che nella città dello Stretto aveva sposato una ricca borghese locale, Antonia Spatafora.
 
Cronache della differenza: Calabria
Ha vissuto una sola stagione, nell’antichità, tra Locri, Sibari, Crotone, Medma, Tauriana, Reggio e altri toponimi della cosiddetta Magna Grecia. Poi più nulla – non ci ha nemmeno provato: sempre subordnata.
 
Non ne aveva buona immagine Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo”. Dove sovraccarica don Fabrizio Salina nell’ultimo viaggio da Napoli nel 1883 di vedute micidiali: “Si attraversano paesaggi malefici, giogaie maledette, pianure malariche e torpide; quei panorami calabresi e basilischi che a lui sembravano barbarici”.
 
Reggio vara la costruzione del Museo del Mare, un’opera commissionata a Zaha Hadid e poi accantonata, perché intanto un nuovo sindaco, Pd, era succeduto al vecchio Fdi, quindici anni fa. Politica, affari, futuro, sono solo beghe, di paese, di famiglie – la vecchia faida senza più i morti.


Il sindaco Pd di Reggio riprende il Museo del Mare perché inserito nei “progetti bandiera voluti dal ministro Franceschini”. Che è stato ministro dal 2014 al 2022. Un’opera che chissà se verrà completata, ma la bandiera è piantata, e tanto basta.

 
Clarissa Burt è stata modella e attrice, in voga negli anni a cavaliere del 1990, per qualche tempo fidanzata con Francesco Nuti. Che ora così ricoda, con Giovanna Cavalli, sul “Corriere della sera”: “Ogni due settimane mi portava a Prato da sua madre, che stava sempere in cucina e parlava calabrese stretto, non capivo una parola”. Non è vero (Nuti aveva 32 anni nel 1987, il fidanzamento durò un anno e mezzo, tra 1987 e 1988, e non viveva a Prato da una decina d’anni), ma rende l’idea, di un rapporto madre-figlio che esclude.
 
“Il Sole 24 Ore” rimedia alla classifica della vivibilità con cui ha condannato Reggio Calabria all’ultimo posto e pubblica una corrispdnenza in cui tutto funziona. Perfino l’aeroporto, da sempre disastrato. A chi credere – terra incognita?
 
Però, non passa giorno che non si celebri un nuovo record dei tre aeroporti calabresi. Da quando sono passati, praticamente, a Ryanair (la Regione finanzia molte tratte). Con Ryanair naturalmente è cambiata la qualità del messaggio pubblicitario (Ryanair sa vendere) e così pure l’immagine.
Poi magari a terra la ricezione (alberghi, ristoranti, trasporti) è quela che era, ma la pubbicità non è l’anima del commercio?
 
Cordoglio enorme per Giovanni Scambia, il ginecologo di Catanzaro a Roma che ne ha formati millecinque. Sui Tg, e sui giornali nazionali. Poche righe sui giornali calabresi. Del prof si avverte l’importanza il giorno dopo, avendo letto i giornali nazionali.
L’appartenenza è dei fatti – Scambia a Catanzaro non c’era, né in Calabria?
 
Può capitare di leggere, lo stesso giorno, in due pagine di seguito del “Quotidiano Reggio Calabria”, una commemorazione di Walter Pedullà, di Siderno, decano degli studi di letteratura contemporanea alla Sapienza, morto due mesi prima, un’intervista al professor Pierpaolo D’Urso, di Trebisacce, che celebra i 100 anni di Scienze Politiche alla Sapienza, di cui è preside. Alla presenza della rettrice della Sapienza, Antonella Polimeni, di Reggio Calabria. E l’elezione al Bundestag, il Parlamento tedesco, dell’architetto Luigi Pantisano, di Cariati, professore di Urbanistica all’università di Stoccarda. Mentre Pietro Gaeta, di Reggio, diventa Procuratore generale della Cassazione. Fuori è meglio – è possibile?
 
Gioia Tauro, nelle cronache solo per mafia, col record forse mondiale delle consiliature sciolte per mafia, esibisce più o meno, a naso, la ricchezza media di Milano, e ora vince con la scuola di ballo Armada Nueva il campionato mondiale categoria Adult 1 Latin Show. Procure e Carabinieri dovrebbero aggiornare le informative.
 
Singolare la noncuranza per la “Chanson d’Aspremont”, XII secolo, e  per la volgarizzazione “Aspramonte” due secoli dopo, benché celebrino la Montagna, ne inventino il nome, e anticipino Boiardo e Ariosto di due secoli, che hanno certo capacità narrative e di versificazione più attraenti, ma sono pur semrpe epigoni. Di un genere che, seppure in adattamento dai cicli carolingi francesi, era una novità in Italia. Con Ruggero a Reggio, etc..
 
“Alla Calabria non manca proprio nulla”, risponde il mangiaterroni Vittorio Feltri a un lettore nella rubrica “la Stanza”, che fu di Montanelli, sul “Giornale”: “È terra ricca di risorse, forse la più ricca che abbiamo in Italia, tuttavia la meno valorizzata e sfruttata. La ricchezza viene sprecata. La bellezza mortificata. La natura maltrattata. Spiagge e monti trascurati”. Obiezioni?
 
“Quando, negli anni ’90, vennero inventati i telefoni cellulari a uso privato, e costavano moltissimo per acquistarli e ancora più per usarli, la Calabria vantò il primato europeo di possesso di questi aggeggi…. Quei cellulari costosissimi altro uso non avevano che far vedere agli amici di esserne dotati” – Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, p. 198.
 
“Nato nelle Serre calabresi”, può notare Nisticò, p. 200, il nome di Italia finì a Milano, per poi tornare anche da noi, ma ufficialmente solo dopo il 1860”. Era successo che “nel Medioevo e fino a Napoleone il Regno d’Italia”, benché “sempre nominale, ebbe per confini le Marche….Confini verso sud”.

Della grecità di recente riscoperta fanno parte un numero esorbitante di personaggi del mito passati in Calabria a combattere o morire (Edipo, per esempio, Oreste, etc.), e di sbarchi di Ulisse nella sua odissea – sia nello Jonio che nel Tirreno, e anche sui monti fra i due mari – a Tiriolo per esempio. A  Catanzaro Lido Ulisse si imbarcò, attestava fino a qualche anno fa un cartellone del Comune – due cartelloni, uno sul lato nord del Lido e uno su quello Sud.


leuzzi@antiit.eu

Nessun commento: