Giuseppe Leuzzi
Buio in sala, pagato dal Sud
“U.S.Palmese”,
l’ultimo film dei Manetti Bros, ha tutto per essere recepito come un film di culto. Il calcio di oggi, tutto
social e influencer, contro la passione antica, il club del cuore
(l’identificazione), la partita come sfida e come sogno, i derby o le
passioni paesane, di quartiere, di ceto, politiche, contradaiole. E la raccolta
dei fondi, poveri e ricchi uniti nella lotta. Se non fosse ambientato in Calabria.
Ma, per dire, a Cervignano del Friuli. O a San Miniato (ex) al Tedesco.
La nomea della Calabria è di ostacolo anche alle piccole
cose - in questo caso al successo commerciale del film. Oltre che
all’autostima.
La Calabria Film Commission, che ha finanziato questo (interamente girato a Palmi, con qualche posa a Milano) come tutti i film che mostrano un qualche riferimento alla Calabria, è un caso macroscopico di autolesionismo, trattandosi di capitali, per quanto irrisori, investiti nelle ‘ndranghete. Altrove c’è più cautela. Soprattutto
in Puglia, che è riuscita a ribaltare in pochi anni la sua immagine, ora prospera
e grassa, e sorridente. Ma anche in Sicilia, e naturalmente a Napoli.
Il Gattopardo della
Grande Madre Mediterranea
Giuseppe Tomasi di Lampedusa,
poi autore del “Gattopardo”, Caterina Cardona, che ne editava a mezzo secolo fa
la corrispondenza con la moglie (“Un matrimonio epistolare”), vuole a metà trattazione
(p.95), dovendo incidentalmente menzionare la madre, figlio della della Grande
Madre, “colei che comprende tutto, perdona tutto, sopporta tutto”. Ma di fatto fagocitando
i figli, una Medea, seppure figurativa.
Figlio della “Grande Madre
Mediterranea” in senso proprio, precisa la stessa Cardona subito dopo, la
figura creata da Ernst Bernhard, il non dimenticato analista junghiano. “Riconoscibile
nei miti di Demetra e Persefone, primitiva e inconscia, che quanto più vizia i
suoi figli «tanto più li rende dipendenti da sé»”. Li rende dipendenti da sé
viziandoli.
Tomasi di Lampedusa, il futuro
autore del “Gattopardo”, giovane trentaseienne, scrive da Palermo alla sua
amata futura moglie a Stomersee in Lettonia che si alza “alle nove e dieci”. Fa
la colazione che il servo gli porta. E non fa più nulla tutto il giorno. Per
tre volte al circolo, mattina, pomeriggio, dopocena, qui con i cugini, “e
all’una rientro”, all’una di notte. Completa la routine quotidiana la
passeggiata con la madre: “Alle sei esco con mia Madre, a piedi. Percorriamo
via Ingham, il Politeama, via Libertà e andiamo a prendere un cremolato di
fragole e crema (molto buono). Dopo di che alle sette e un quarto deposito mia
Madre da sua sorella, cioè proprio di fronte alala gelateria, e vado al Circolo
dove mi applico a scandalizzare le anime timorate…”.
Anche in guerra, “tra il ’40 e
il ‘43”, spiega Cardona, “Giuseppe scrive a sua moglie quasi tutti i giorni. Non ha niente da dire”, non potendo più parlare della madre, in rotta con la
moglie, “di altro non si cura, la guerra, i bombardamenti, l’invasione, e
denuncia la fatica del cercare qualcosa da raccontarle”. Prima del “Gattopardo”,
un Buonannulla.
L’inerzia personale poi diventerà
capo d’accusa nel romanzo. Quando don Fabrizio dice: “Il peccato che non
perdoniamo è quello di fare”. Ma lo dice della Sicilia.
La liberazione
della Sicilia
Raleigh Trevelyan, “Principi
sotto il vulcano”, il “romanzo” delle famiglie inglesi di Sicilia, Ingham e
Whitaker, ha una pagina, 383, sulla liberazione della Sicilia nel 1943:
“L’11 giugno 1943, Pantelleria
fu occupata dagli alleati, la cui unica perdita consistette in «un soldato
morsicato da un mulo». Subito dopo, ci fu la conquista di un’altra isola,
Lampedusa. Arresasi a un aviatore britannico atterratovi per errore, essendo
rimasto senza benzina. L’inizio dell’invasione della Sicilia, la cosiddetta
‘Operazione Husky’, ebbe luogo il 19 luglio, e fu preceduta da violenti bombardamenti
su tutte le maggiori città dell’isola. Gli sbarchi avvennero a Licata e a Gela.
Quattro dei cinque traghetti usati dai tedeschi nello stretto di Messina furono
affondati, e della cattedrale di quella città rimasero soltanto le mura
esterne. Gravemente danneggiata fu anche la biblioteca universitaria, ma per
fortuna la preziosa collezione di manoscritti greci era stata trasferita a
Bronte. Anche Catania venne duramente colpita. Il museo di Marsala, che
ospitava molti dei reperti di Mozia, e il baglio Woodhouse furono completamente
distrutti, e andarono perduti tutti gli archivi dei Woodhouse, degli Ingham,
dei Whitaker e dei Florio. Il Ginnasio Romano di Siracusa fu anch’esso gravemente
danneggiato sia dalle bombe che dai vandali, ma la sorte peggiore toccò a
Palermo: vaste zone della città furono rase al suolo, e oltre sessanta chiese,
in gran parte barocche, furono distrutte o gravemente danneggiate.
“Come ebbe a dire lo stesso
generale Patton, per una profondità di due isolati a partire dal fronte del porto,
praticamente ogni casa fu ridotta a un mucchio di macerie”.
Le due Sicilie
sono tre
C’è fra le “due scritture” siciliane
della Sicilia - di cui alla precedente rubrica - una terza posizione, di amore e
ammirazione incondizionati, per la natura. Esemplificata da Tomasi di Lampedusa, nel “Gattopardo”
e poi ancora ne “I luoghi della mia prima infanzia”. In Tomasi la sicilitudine
è “l’amore abbagliato, commosso per il paesaggio ed il clima siciliano” che il
suo allievo Francesco Orlando molti anni dopo (“Ricordo di Lampedusa”) scopre
con stupore nel suo sempre pudico, diminutivo, maestro.
Nei “Luoghi”, oltre che nella
corrispondenza con la moglie sempre lontana, questa speciale sicilitudine
emerge costante. Rivendicata subito, fin dall’infanzia, in antitesi con Stendhal
che la sua infanzia ricordava come tempo di tirannie e prepotenze: “Per me
l’infanzia è un paradiso perduto. Tutti erano buoni con me, ero il re della
casa. Anche personaggi che poi mi furono ostili” - al lettore
promettendo-minacciando “un Paradiso Terrestre e perduto”.
Nel febbraio del 1943, scrivendo
alla moglie “Licy” della loro futura casa a Palermo ha occhio solo per la natura:
“La campagna è incantevole, tutta in toni di grigio molto delicati; il grigio argenteo
degli ulivi si fonde con il grigio perla del cielo, e i mandorli già fioriti
gettano lievi sul paesaggio ombre di luce bianca rosata e rosa biancastra…. Il
mare sembra di latte e le isole vi sono poggiate sopra come dei grossi fiocchi
di fumo…. Intorno alla nostra futura casa i limoni sono carichi di frutti. C’è
un albero stranissimo carico nello stesso tempo di grossi limoni e di grosse
arance…”.
Qualche giorno prima, dello stesso
mese di febbraio, ha scritto, benché non
immemore della guerra: “La campagna è piena di rose rosse, di mandorli fioriti,
di narcisi selvatici, e con gli alberi carichi di limoni è veramente una bellezza.
Ma proprio a un passo quante atroci cose accadono….”..
Cronache della differenza:
Napoli
È il centro e il cervello del raggiro
anziani. In forme sofisticate, con eccesso di capacità organizzative (i riferimenti per i controlli,
assicurativi, di polizia, di sanità, etc., anche bancari) e di introspezioni
psicologiche. A danno di persone forse deboli, ma senza violenza e con abilità
- tatto, ragionevolezza, generazione di ansie, di colpevolezza, etc.. Il vecchio
furto con destrezza aggiornato alla terza età e alle vite in solitudine. Con le usate capacità mimetiche,
attoriali, registiche. Però, quanta energia e managerialità, applicata al
delitto.
Si segnala perfino per la
“gestione” del reddito di cittadinanza. Con la vecchia regolamentazione, lassista,
di Conte e con quella, restrittiva, di Meloni. Molti percettori lo hanno percepito
senza aver fatto domanda e senza nemmeno sapere a opera di chi - cioè sapendo
di avere mille euro da “qualcuno”. Il delitto perfetto?
Del resto a Napoli e dintorni non
esiste nemmeno un elenco delle case popolari su cui basare la graduatoria degli
aventi diritto - si sa che ce ne sono e che sono abitate. Lo dice Meloni, ma
nessuno obietta.
“Conobbi Raffaele (La Capria)
solo negli anni Ottanta, a una cena da Giosetta Fioroni. Capii subito che anche
lui, come me”, chi parla è Elisabetta Rasy, “era fuggito da Napoli”. Una città
da cui “si fugge” – si fuggiva perlomeno, fino a non molti anni fa. Senza rimedio?
Salvo la nostalgia: “La nostra amicizia”,
continua Rasy parlando sempre di La Capria, “crebbe sul sentimento della perdita. Su qualcosa
che la città, nonostante tutto, ci aveva donato e che si era smarrita!”. Negli
stessi anni anche scrittori che per Roma avevano abbandonato Milano. Ma senza acrimonia
– giusto quel pizzico per insaporirne il racconto. Si può emigrare senza
risentimento, ma con Napoli non avviene?
Non si ricordano regine sabaude
o italiane – giusto Maria José, per un mese o due. Se ne ricordano invece di
napoletane. Spose, e quindi straniere, ma a Napoli attive e onorate. Anche la
sabauda Maria Cristina, ora beata, madre dell’ultimo re, cacciato dai Savoia. Maria Sofia,
sorella di “Sissi” e sposa di Francesco II, che regnò meno di due anni, è ancora onorata per la tenacia, e la capacità politica. Dopo l’invasione francese del
1799 fu la teutonica Maria Carolina a dare battaglia nella penisola, dal
rifugio di Palermo, in collegamento con metà delle cancellerie europee.
Un’altra Absburgo, Maria
Teresa, sposa di Ferdinando II, il penultimo re, provò a salvare il regno col suo
proprio figlio Luigi invece del figliastro “Franceschiello” - ma era del partito
reazionario.
Molte storie se ne fanno, ma
come di esseri avulsi da Napoli, mentre erano ben “napoletane”.
“Qui manca un centro sportivo.
Non c’è un settore giovanile”, lamenta Conte, l’allenatore del Napoli, che
potrebbe (ri)vincere lo scudetto. Manca sempre qualcosa per il “decollo”
economico. L’ingegnosità supplisce all’accumulazione – la struttura, l’organizzazione,
la tenuta o durata - essenziale alla crescita stabile, allo “sviluppo”.
Finalmente a Napoli, dopo il lungo
“esilio” a Palermo, Ippolito Nievo ne scrive il 2 febbraio 1861 alla cugina
Bice un po’ estasiato: “Quella bella Svizzera Meridionale che circonda Napoli”
detto delle ville vesuviane. Ma poi le dice: “Ti accorgi che vo diventando tronfio
come un Napoletano?”
Precedentemente, ottobre 1860, uno dei fratelli minori di Ippolito Nievo, Carlo, mentre era accampato a Sessa
Aurunca, in attesa dell’assalto alla fortezza di Gaeta, gli scriveva: “Fin ora
sul Napoletano non vedi che paesi da far vomito al solo entrarvi, altro che
annessione e voti popolari! dal Tronto a qui dove sono, io farei abbruciare
vivi tutti gli abitanti, che razza di briganti! passando i nostri generali ed
anche il Re ne fecero fucilare qualcheduno; ma ci vuole ben altro!”
Virgilio, mantovano di nascita, fu napoletano di
adozione. Il personaggio più dimenticato a Napoli, fra tante celebrazioni cittadine,
patrie, storiche, sentimentali.
Tutto sa di detto, a Napoli e dintorni, esibito, gridato, piazzaiolo, poi viene fuori una superatleta del volley, Monica De Gennaro, che ha 38 anni, dice il giornale, e da dieci è il libero più forte del mondo, di cui nessuno sa nulla tanto è riservata - mentre la campionessa da cui ha preso il testimone, Francesca Piccinini, bergamasca, faceva e fa di tutto, copertine, gossip, calendario Playboy, e tutte le trasmissioni tv.
La metropolitana che si ferma, per molte ore, “per le troppe assenze dei
guidatori”, in effetti è proprio teatro.
leuzzi@antiit.eu
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