Una “controstoria”
necessaria, perché la storia della Calabria è afflitta da preconcetti, essenzialmente
laico-unitari, e poi, per il breve-lungo dopoguerra, da quelli presunti marxisti
– la storia delle formule vuote. In parte umorale, per quanto documentata, come
è nel carattere dell’autore, sanguigno polemista di Soverato, classicista
(grecista) tourné filologo, anche se di grande capacità applicativa.
Un saggio di spunti, di umori,
per lo più controcorrente. Però, bisogna dire rivoltando il giudizio d’insieme,
con una documentazione nuova notevolissima. Bastino le nomenclature, topo e
onomastiche, greche, arabe, gli elenchi (i santi greci, i cenobi bizantini…),
le personalità
Tratteggiate, Cassiodoro,
qui per una volta in dettaglio, o i maestri di greco del Trecento, del papato e
di Petrarca e Boccaccio), il ruolo e i luoghi dei Longobardi, l’elenco delle “ville”
e dei presidi romani.
Singolare all’apparenza,
ma molto veritiero, l’assunto che che in Calabria non si fece cultura, popolare,
diffusa, perché non ci fu il feudalesimo – né poi la signoria: “Alcuni baroni furono
degni di nota per azioni di guerra o buona amministrazione; i più, non lasciarono
alcuna memoria”, e “tanto meno stimolarono o pagarono poeti e pittori” – al punto
che delle gesta della “Chanson d’Aspremont” e del romanzo “Aspramonte”, Due-Trecento,
“leggiamo sì, ma nei versi del Boiardo e dell’Ariosto di Ferrara”.
La Calabria è ed è stata
molte cose diverse, e senza continuità, nei quattro millenni della storia che
conosciamo. Anche perché “mole volte è successo che si interrompesse ogni continuità”.
E, si può aggiungere, non ha avuto e non ha un centro, una capitale, un
governo, un indirizzo, che dia un indirizzo e con cui confrontarsi. Nisticò,
vagando, ne riempie parecchi vuoti, con piglio sempre, di lettura.
Le controstorie,
si sa, non sono documentabili, o difficilmente e parzialmente. Questa non è diversa. Ma l’impressione è di
una scoperta corroborata da situazioni di fatto quando riscontrabili all’esperienza
personale o a conoscenze specifiche. Di una Calabria infine liberata dal “pittoresco”
dei viaggiatori, e dalla sociologia disperante del dopoguerra - specie
da quella inesauribile delle mafie.
Il modo di procedere
delle tante “controstorie”, o “controspigolature” – “controanagrafe”, “controantropologia,”,
“controaoristo”, ce ne sono una trentina - è questo: non è vero che “nell’Italia
settentrionale ci fu e c’è una tradizione comunale e da noi no…. c’era il feudalesimo”.
Per esempio Catanzaro, “città industriale e perciò a prevalenza popolare”, nel
1473 si è data e poi ha conservato degli statuti democratici di prim’ordine.
Documentati punto per punto, per una decina di pagine. Ma il resto delle
Calabrie? E così via.
Ulderico Nisticò, Controstoria delle Calabrie, Rubbettino, pp. 213 € 14
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