zeulig
Anima
– Non c’è, non può essere
trovata-provata. Ma ognuno senza eccezioni si comporta (pensa, agisce) come se
ci fosse, per avventure, anche solo della mente, fantasie, desideri, renitenze,
resistenze.
Destino – È una cosa
a Roma e un’altra in Grecia. Qui era “moira”, come a dire una parte, una porzione.
Di un insieme più vasto - il mondo, l’umanità? Una quota societaria - familiare,
di stirpe, di comunità, di varia umanità?. A Roma è fato: “fatum”, detto. Come
una sentenza già pronunciata. Ma in sintonia con la Bibbia – “in principio era
il Verbo”.
Eugenetica – Ritorna con la “buona morte”(ora in
Veneto) – ma non era mai scomparsa. Praticata alla nascita con le compatibilità
preliminari di coppia più o meno diffusamente in Scandinavia. E alla morte
indirettamente, p. es., in Olanda e Germania, dove non si praticano cure
impegnative, soprattutto non chirurgiche, su malati gravi dopo i 75 anni. In
Germania da almeno tre decenni non si operano di tumore gli
ultrassettantacinquenni, per economizzare. Sulla traccia aperta ormai un secolo
fa da due personalità molto liberali – oggi si direbbero di sinistra: Alfred
Hoche e Karl Binding, un medico e un giurista, pubblicavano nel 1920 un “Via
libera all’annientamento della vita priva di valore vitale”. Un volumetto che è
quasi una guida, spirituale e materiale alla “buona morte”.
Il nome è benevolo, la disciplina di
filantropi, Charles Davenport, e poi Margaret Sanger, quasi una santa della
sessualità senza conseguenze. Davenport spiegava: “Il programma generale
dell’eugenetica è chiaro: serve per migliorare la razza inducendo i giovani a
compiere una più responsabile selezione nelle scelte matrimoniali; innamorarsi
intelligentemente. Include anche il controllo dello Stato sulla propagazione di
persone mentalmente incapaci”. Nonché sul fine vita, che non sia dispendioso. Se
la bontà è la morte.
Morte
– Acquieta i vivi. Nel
compianto e nel rifiuto, anche aspro – per elaborazione del lutto ardua o
polemica. Un altro soggetto si erge, come i viventi lo vogliono, o lo vivono.
Natura naturata – Mossa
(generata) da un principio estetico più che economico è la conclusione di E.
Jünger nel suo felice soggiorno in Sardegna nel 1954 (“Presso la torre
saracena”): “Che dietro la natura naturata si celi un principio artistico
piuttosto che un principio meccanico-economico, questo sfuggirà sempre a chi a
chi sa concepire la Creazione non nella simultaneità del grande progetto e del
reale che lo incarna ma soltanto nella successione dei fenomeni, nella loro
dissezione. Ma già lo sperpero lo attesta, lo splendore principesco. La
Bellezza la vince, e di gran lunga, sulla funzionalità”. O il rapporto non è di
casualità? Il brutto, l’avido, il distruttore costeggia il creativo, magnanimo,
il costruttivo - il caso la finalità.
Potere – Quello della rete sembra quello
di Hobbes, là dove lo magnifica come il mastice della socialità (senza un
potere che incuta soggezione l’uomo non trova piacere – voluptas - nella compagnia, anzi ne ha dispiacere – molestia). Potere hobbesiano come alterità,
il diverso, il fuori di noi. Mentre il pieno della vita, si direbbe, ognuno
dovrebbe dire, è dove non c’è un potere, anche se solo regolatore.
Storia “Dovremmo
domandarci talvolta come la successione si metamorfizza in simultaneità. La
storia diventa stratificazioni, di strati sovrapposti (storia di storie), la
successione temporale si muta in immagine nello spazio. I piani di città e di
comunità rurali addizionano epoche che, ora, si rivelano istantanee, sotto le
specie di costellazioni, di disegni nella tappezzeria”.
Come la storia si fa immutabile, un già
detto, un già fatto. Mutando.
L’evoluzione - la storia - è lenta. Con
accelerazioni – catastrofali.
È piena di oggi. E di scarti, che se non si vedono
però zavorrano.
Tempo – “L’affermazione secondo cui il nostro tempo”,
ancora E. Jünger in
viaggio in Sardegna nel 1954, “non è in grado di generare artisti è oggi un luogo
comune. Ciò significa capovolgere le gerarchie. L’artista non aspetta il tempo.
È questo, al contrario, che attende con ansia il cenno dell’artista: nel
momento in cui l’opera gli riesce, ha liberato il tempo”.
Utopia – Più che per il senso comune è dignificante
etimologicamente: senza posto, più che luogo che non esiste della definizione
del vocabolario. Nessun posto. Non di
interesse, se non nel nulla, nel vuoto e/o nell’inutilità. Essere senza un
“posto” non è non essere. È non significare, non dialogare, essere ma non
esistere. interferire, influire.
Vita – Sarà la vita un sogno, ma un
sogno ben reale: sono le sue banalità – occorrenze, intuizioni – la vita ne è
sempre piena, di sensi e di significati.
La vita è un miracolo, inspiegabile. Non come si produce,
è un processo chimico-fisiologico (così anche la morte), ma così e perché.
zeulig@antiit.eu
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