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“A Washington, a Washington”, a trattare
Che va a fare Giorgia Meloni a Washington da Trump dopo i dazi? Niente,
perché niente può fare - in materia
commerciale si decide tutto a Bruxelles. Ma può favorire un chiarimento, non
marginale, anzi decisivo su quello che è in realtà il piano americano.
Il piano di Trump è diventato materia di gladiatori al Colosseo. Una
lettura favorita dalla gigantesca speculazione ribassista che vi è stata innestata.
Ma è articolato, specie nelle premesse: è un invito alla revisione dei rapporti
reciproci con la “maggiore economia” del mondo. Il ministro del Tesoro che dai
manovratori di Borsa veniva dato per dimissionario di fronte alla “follia Trump”,
Scott Bessent, è invece bene in carica, e ripete il consiglio che il piano, a
leggerlo, premette: trattare - “Non fate ritorsioni, sedetevi, discutete.
Perché se reagite sarà una escalation”. Una precisazione che trova
riscontro nell’ “ordine esecutivo” di Trump sui dazi, a volerlo leggere.
Il piano tariffario di Trump è sicuramente aggressivo, rispetto all’ordinamento
attuale dei mercati, ma “gentile”, come lui dice, nella forma e anche nei contenuti.
Intanto, Canada, Messico e America Latina ne vengono esentati, perché hanno
risposto rapidamente alla minaccia, hanno trattato. I nuovi dazi prendono la
forma di “dazio reciproco scontato”, e cioè paese per paese la metà dei dazi che
quel paese impone sulle merci americane.
La Gran Bretagna mantiene i dazi Usa al 10 per cento perché impone il 20
per cento sulle importazioni. Con l’Europa si arriva al 20 per cento calcolando
la media europea dei dazi sui prodotti Usa al 39 per cento.
Più spinoso è il capitolo, in aggiunta ai dazi commerciali, delle “barriere
non tariffarie” su cui Trump si propone di vedere chiaro: burocrazia, sussidi,
barriere agli investimenti esteri, anche sotto forma fiscale, barriere commerciali.
Per l’Europa sono citati espressamente il Digital Services Act e il Carbon
Border Adjustmenet Mechanism – i dazi sulle emissioni di CO2 importate. Ma
molte se non tutte queste barriere sono contestate dall’interno della stessa
Europa, con più veemenza – da tutti i settori industriali, e anche da governi
non “populisti” (da ultimo, ora che ha dovuto abbandonare il “tutto green”
del mercantilismo di Angela Merkel, dalla Germania).
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