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La Cina non vuole litigare
La risposta è fredda da Pechino ai dazi di Trump. Che viene percepito
oggi come nella sua prima presidenza: come una manifestazione del declino
americano, scomposto nel suo tentativo di reazione. Segno di una rivalità
destinata a protrarsi. Ma con gli Stati Uniti disancorati dalla gestione multilaterale
degli affari internazionali che aveva assicurato la loro lunga egemonia – e il “decollo”,
economico e politico, della Cina.
Una valutazione, nel linguaggio cinese, “benevola”. Di Trump (e Biden) e
degli Stati Uniti negli ultimi dieci anni come dei “vecchi”. Nel senso comune del
linguaggio cinese, come di qualcuno anziano, da trattare con sufficienza benché
autoritario o scontroso – “vecchia America” come di qualcuno che, per quanto
benvoluto, può non essere ragionevole, e anzi irritabile.
La risposta ai dazi è avvenuta senza polemiche, e modulata in vista di una
trattativa. Con la quale rabbonire il gigante – ché tale è sempre percepito –
americano. Inoltre, l’America è pur sempre in Cina il gestore e garante di
quarant’anni di benessere, quelli delle “riforme e apertura” avviate da Deng.
La direzione è chiara: “rispettare e negoziare” con la “vecchia America”.
Ma ora, rispetto al 2016, con un deterrente in più: una domanda interna
(mercato nazionale) inattaccabile dai dazi. Considerate anche l’autosufficienza
tecnologica, oggi rispetto agli anni pre-covid, e l’ampia disponibilità di
risorse, sia fisiche che finanziarie.
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