Fa infine
capolino, dopo settimane di paginate sul nulla, la verità dei dazi di Trump:
“Le guerre commerciali”. Su un giornale letterario, “La Lettura”…(finora se ne
era detto solo su questo sito…). C’è molta “ammuìna”, per svalutare
comparativamente il dollaro. E per fronteggiare l’aggressione commerciale della
Cina, con sussidi statali enormi, varie patiche di dumping, e la pratica
costante di sottovalutazione del yuan-renminbi.
Trump
prova con la Cina il braccio di ferro di Reagan col Giappone, che allora
“invadeva” gli Stati Uniti. Con gli stessi strumenti ora della Cina. Trump
vuole con Xi un analogo dell’“accordo del Plaza”, che Reagan impose a Tokyo nel
1985 – lo stesso Reagan che “aprì” alla Cina, e avviava la “globalizzazione”.
Si dice
Trump ma è l’America. Ci sono costanti nella politica Usa a prescindere dal presidente
– se c’è un deep State è questo. Già Obama contestava l’aggressività
commerciale di Xi. Trump pensava di averla ridotta. Biden ha allora spostato lo
scontro sul militare. Trump riapre il fronte commerciale e monetario.
Il
dollaro è – era fino all’altroieri – troppo forte, costringendo gli Usa a
stamparne di più, col rischio inflazione, e a indebitarsi in continuo, nel
commercio e nei pagamenti. Era a 1,4 sull’euro pre-covid, è arrivato alla
parità, dal 2022 all’altro ieri, prima di “Trump” – lo yuan-renminbi si
nasconde, come un (finto) bambino gracile.
Sembra
niente (ma non per gli addetti ai lavori), ma dopo l’accordo del Plaza
l’economia nipponica subì lo scoppio di una bolla speculativa. Cui seguì un
“ventennio perduto”, una stagflazione lunga dal 1991 al 2012 – con riduzione
dei redditi e dei consumi (perdita costante di valore dei salari reali e di
potere d’acquisto). In grande quello che sta succedendo alla Germania da tre
anni.
Un’economia
“organizzata” per l’esportazione, a costi artificiosamente ridotti (energia
russa e sussidi pubblici, con la scusante del green deal¸ nel caso
tedesco), è semplice, perché non si dice? Delle economie “organizzate” per
l’esportazione, p.es. la Cina?
“Unicredit,
gli ostacoli di Orcel nella scalata a Bpm”, titola “la Repubblica”. Senza una
novità, un aggancio, preciso: “Il governo con il golden power, il prezzo sempre
più alto e il 30 per cento a Crédit Agricole e casse di previdenza che non
arriveranno (aderiranno? N.d.r.) all’Ops rendono l’operazione difficile”. Facile
certo no, ma a argomentazioni singolarmente rovesciate: il golden power non c’entra,
il prezzo di Unicredit è, relativamente, più alto, Crédit Agricole e casse
andranno sul titolo a maggior valore. Il risiko bancario è come il campionato,
coi tifosi, o si punta a rendere più conveniente l’Ops?
Sessione
di emergenza del Parlamento di Westminster per salvare l’acciaieria di
Scuntrope, il residuo impianto britannico in grado di produrre acciaio puro.
Salvare cioè rinazionalizzare. L’impianto era stato rilevato da un gruppo
cinese cinque anni fa per appena 70 milioni di sterline, ma con la promessa
d’investimenti per 1,2 miliardi. Mai fatti, serviva a trasbordare semilavorati
cinesi. Ora non conveniva più, i costi di semplice esercizio di apertura
essendo lievitati ad oltre mezzo milione di sterline al giono.
“«Stasera
tutto è possibile» è un programma orribile, una ciofeca”, Aldo Grasso,
“Corriere della sera” 5 marzo: “I comici raschiano il fondo del barile. Mi
chiedo come si possa ridere delle loro battute”. Critico inconsolabile di
fronte al successo di pubblico. Un mese dopo è un inno alla gioia di De
Martino, il conduttore, dei suoi comici, e del suo pubblico, sempre largo:
“Soprattutto giovane”, gioisce lo stesso Grasso, sempre sul “Corriere della
sera”. Non proprio un mese dopo,
quaranta giorni dopo, per le Palme. È il clima pasquale? C’è stato un miracolo?
Si fanno
ogni mattina, a ogni tg, lo stesso i
giornali, i “pastoni” politici, di quello che ha detto e fatto Meloni, e poi
invariabilmente: “Opposizioni all’attacco”. Non questa o quella critica,
“opposizioni all’attacco”. E l’immagine corre a Conte, sempre vestito di
grigio, e Schlein, sempre invariabilmente disarmocronica, due facce che non “dicono”
nulla, giusto l’intelligenza artificiale dei social, sul tema “opposizioni all’attacco”
– dei sosia.
Si scrive
di scambi di “prigionieri” Usa-Russia, e si finisce (Lorenzo Cremonesi,
“Corriere della sera”) per dire per inciso, due righe, verso la fine del lungo
articolo, che l’Ucraina assolda molti mercenari. Parlando d’altro, dei “volontari”
cinesi che Zelensky ha fatto prigionieri, rendendone responsabile il governo:
“Pechino replica che si tratta di parole «irresponsabili» e lascia capire che
possano essere invece mercenari” – “proprio come migliaia di occidentali”, l’inciso,
“oggi combattono nei ranghi ucraini”.
Resta da
dire l’essenziale: assoldati da chi?
Mbappé da
solo ha fatto perdere un paio di coppe al club che lo ha lanciato, il Paris
Saint-Germain, alla Francia, e ora al Real Madrid di Ancelotti, sconquassando, in
campo e nello spogliatoio. È come fu Cristiano Ronaldo alla Juventus, anche se
in questo caso senza presunzione del calciatore: gli eroi solitari, presuntuosi,
arroganti, litigiosi, fanno male al calcio. Ma sono i beniamini dei tifosi – oggi
si direbbe eroi: gli basta una piroetta in campo.
“Quasi
600 speaker al Festiva del Giornalismo a Perugia, 9-13 aprile”. Quasi? Cioè,
sono pochi – più si parla di giornalismo, invece di praticarlo, se in quasi 600
lo spiegano, e meglio stiamo?
Nella generale avversione dei media contro
Trump, si accredita una sua vicinanza a Putin – sottinteso: tra dittatori –
nella guerra. Mentre fu Trump ad armare Zelensky nel 2019-2020, dopo avere
osteggiato con rudezza il Nord Stream 2, la supercondotta del gas russo-tedesca. Voleva Trump amico di Putin già il Russiagate,
l’inchiesta pluriennale dell’Fbi e dei media americani, innescata da un spia
inglese in pensione, per conto della campagna elettorale di Hillary Clinton La stampa ha le pulci anche quando è libera.
La Russia è certo indispensabile agli Stati
Uniti per isolare la Cina. Sul piano strategico-militare, e i in quella specie
di mercato alternativo che Pechino minaccia con i Brics. Non sarebbe un “colpo
di teatro” come si ama dire di Trump, se la “guerra dei dazi” si risolvesse alla
fine, tra rinvii, esclusioni e abbuoni, in una guerra mascherata alla Cia – alle
pratiche commerciali scorrette di Pechino.
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