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Quante brecce aperte da Francesco nella chiesa
Veritiero – involontariamente? – il titolo del “Manifesto”: “Addio a
Francesco, il papa che ha smosso le mura della Chiesa”. Altrove molto cordoglio,
con dozzine di articolesse, si cavalca l’emozione per la morte del papa. “Il
Manifesto” invece coglie, se non un lascito di rovine, un terremoto nella chiesa
di Roma.
Il papa “venuto dalla fine del mondo” è stato molto presente, si può
dire quotidianamente, su tutti i canali di comunicazione, su tutti gli argomenti.
Ma senza autorevolezza, a parte la simpatia – per scelta forse, forse per temperamento.
Molto distruggendo, poco o niente costruendo in sostituzione. In particolare
per il suo stesso ruolo, di pontefice massimo.
Voleva forse confondersi col gregge, sul principio dell’uno vale uno. Ma
ha svuotato, involgarito, con ciò stesso, seppure non formalmente, l’Autorità
papale. Il processo decisionale che fa l’Auctoritas del papa, e la
specificità della Chiesa - come riconosciuto e illustrato da Alessandro Passerin
d’Entrèves, e con lui da Hannah Arendt.
Si sa – non si dice ma si dovrebbe sapere – che la democrazia moderna è
quella della chiesa di Roma. Della monarchia costituzionale, elettiva. La chiesa
ha perpetuato le procedure del diritto romano, ma ha dato loro sostanza
democratica, con la cooptazione dal basso (oggi: mobilità sociale). E autorevolezza
sulla base della decisione collegiale. Con delega all’Unus, l’imperatore, il capo,
il papa – il governante. Che se ne avvale non per spregiare – distruggere – l’Auctoritas:
il papa è un ispiratore e un condottiero, non un sfasciachiese. Piazza San Pietro
fremente in attesa di un segno del papa, una parola, una benedizione, un “bagno
di folla”, non è un colosseo: le persone, fedeli e non, hanno bisogno di ispirazione,
di fede.
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