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Secondi pensieri - 559
zeulig
Fede – È come la verità, inafferrabile. Ma c’è.
Individualità – È dell’artista – il creatore , l’ispirato - come
dell’uomo commune.
Individuale è anche, fatte tutte le somme,
e con tutte le zavorre, il pensiero, anche con la maiuscola.
Intelligenza artificiale – È una tecnologia – uno strumento, dalla
meccanica all’informatica e alla medicina. Un’intelligenza per applicazioni
pratiche. Non per l’arte evidentemente, o per la letteratura. Né per la filosofia,
o la semplice decisione politica. È artificiale, per tutto quanto è
cultura: formazione, apprendimento, educazione - e, a ritroso, anche l’innatismo,
per quanto possa avere di primitivo, di calco, di macina anche, apprendimento,
formazione.
A meno di non distinguere l’intelligenza in
senso proprio, come qualità, prima e a prescindere dalla formazione. Tutto ciò
che si chiama pensiero - analisi, sintesi,
immaginazione, temporalità (saper distinguere tra presente, passato, futuro,
avere conoscenza del prima e del dopo, la prefigurazione del domani). O coscienza,
quindi con una distinzione tra bene e male. O anche sentiment. Tutte “cose” di
cui non si trova la traccia fisica, corporale.
L’intelligenza artificiale propriamente
detta rende evidente la distinzione: essa è tutta intelligenza-cultura. Le
manca tutto il resto. Il dilemma si pone ora perché appunto c’è la nuova frontiera
dell’Ict, che si vuole “intelligenza”, ma non è nuovo. Kubrik lo trattò
famosamente nel film “2001: Odissea nello spazio”, ma già il Settecento se ne
interessava, con gli automi. E tutta la narrativa, ebraica e non, dei golem.
Pensiero – Sarà pure “unico”, ma è individuale – l’unicità
starà nel consenso, che è sempre, per quanto minimamente, individuale.
Il pensiero “universale” sarà un sistema filosofico. Anche non sistematico,
come quello di Heidegger, occasionale e per pochi, negli Holzwege, i “sentieri
erranti per la selva”.
Suicidio – L’evento che si vuole “normalizzare”, per legge, è probabilmente
quello che più ha avuto applicazini
diversificate nella storia umana, e più ha suscitato commenti e pareri anch’essi
diversificati, e per lo più contrastanti. Il repertorio, già lungamente e abbondantemente
esplorato sul sito, ne è all’apparenza inesauribile, già da prima della voga
corrente della buona morte.
Il suicidio come immolazione - testimonianza,
martirio. Il kamikaze islamico che si fa terrorista, il kamikaze nipponico che
invece non si fa arma. E tutti i suicidi per testimonianza, protesta, per motivi
politici oppure religiosi, a Saigon, a Praga, in India, e a Pechino, in piazza
Tien An Men, schiacciati da carri armati ciechi. Si muore anche per l’ennui,
fino alla depressione, o per l’incapacità, reale o supposta, di realizzarsi
(innamorarsi, creare affetti, in Pavese).
A lungo oggetto di condanna, a una
morte successiva, esibita, per il pubblico: impiccagione, decapitazione, mutilazione,,
con esposizione - contro il principio universale, seppure del diritto romano, “crimen
exstinguitur mortalitate”.
A
Roma era invece contemplato – ammesso: per malattia, morte di un congiunto, furor,
insania, sconfitta militare. E per solo stoicismo, filosofico – praticato
in questo caso cerimoniosamente.
Fra gli stoici suicidi merita speciale menzione Seneca, che
filosofo dell’etica austera, ma accumulò ricchezze in Britannia col prestito a
usura, a tassi che spinsero i Britanni della regina Boadicea, secondo Dione
Cassio, a ribellarsi. Baudelaire dirà lo stoicismo una religione con un solo
sacramento, il suicidio.
Sempre
a Roma, dopo la “donazione di Costantino”, 312-313, i donatisti sostennero il
suicidio, individuale e collettivo, nel nome della purificazione attraverso
il martirio. E un secolo dopo, arrivando
i visigoti, molte donne si uccisero per la vergogna delle violenze subite. Ma ricorrendo
gli uni e le le altre, nella riprovazione di sant’Agostino, “De patientia”.
Bisogna portare pazienza.
Dan
Brown ha l’agathusia, il “sacrificio
altruistico”, sacrificarsi per il bene altrui. Il suicida per l’assicurazione alla
famiglia, e perfino il caso dell’assassino seriale che si toglie la vita per
non compiere altri delitti, o meglio ancora quelli de “La fuga di Logan”, dove
tutti si suicidano per non aggravare il
mondo della sovrappopolazione, all’entrata nel ventunesimo anno – ma una giovinezza
spensierata col senso della fine imminente (nel film l’“Età dell’eliminazione”
era innalzata a trent’anni, per attrarre al cinema i giovani, che allora ci
andavano)?
Velocità – “La rapidità sciupa il desiderio e lascia
l’impazienza”, Louis Veuillot.
zeulig@antiit.eu
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