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Viricidi a Roma, nel Seicento
“Mogli avvelenatrici e mariti violenti nella
Roma del Seicento” è il sottotitolo. Come dire una storia di “viricidi”. In
esergo un “Le Donne sono state sempre un veleno della Natura!”, citazione dalla “Faustina”,
il romanzo della figlia dell’imperatore Antonino Pio, del semi-dimenticato Antonio Lupis da Molfetta,
attivo a Venezia nel Seicento. E subito dopo il bando pubblico: “Sabbato saranno
impiccate in Campo di Fiore cinque donne artefici di veleno che uccideva senza
darne verun segno”. Come nei casi di Poirot quattro secoli dopo. Il veleno era
liquido, l’“acquetta”, una pozione non immediatamente letale, da somministrarsi
a piccole dosi per più giorni.
Non un’epidemia. Un caso su cui la
storica si è imbattuta in ricerche d’archivio, documentato dalle carte del
processo, segreto. Di cui però dà il contesto. Con qualche precedente, che però
non documenta un eccesso di avvelenamenti, né di venefici a opera di donne. Nella
Francia medievale sono vittime degli avvelenamenti quasi sempre uomini, l’89
per cento. Ma tra gli autori dei venefici solo una su quattro è donna. “Nell’Inghilterra
della prima età moderna”, Cinque-Seicento, “solo56 degli oltre 3.600 casi di
omicidio presi a campione sono di avvelenamento”, e solo 34 ascritti a mano
femminile. A Roma tra 1535 e 1630 il tribunale criminale esamina solo 29 casi di
veneficio, su circa 3.500 procedimenti, di cui solo 11 vedono imputate donne, e
per lo più in concorso con uomini.
Il caso qui documentato e raccontato
si direbbe quindi unico. Ma poi un lungo capitolo intrattiene su “memoria e
fortuna dell’acquetta!”. In tutta Europa, nell’immaginario e nella realtà.
Benché il processo romano fosse stato segreto. Il “dopo” si direbbe, al
contrario del “prima”, un’epidemia. Mentale e pratica. Una “Memoria” che è già
un libro a parte, sulla formazione dell’opinione pubblica. E probabilmente sui
tanti processi e le stragi di stregoneria, che imperverseranno oltralpe.
La ricostruzione del processo e
della condanna è anche uno spaccato di Roma a metà Seicento. Della conformazione
e la vita nella città. Specie nei ceti e gli ambienti popolari.
Una corposissima ricerca, con molti materiali
d’archivio. Assortita da una bibliografia di 40 pagine.
Feci, specialista di storia delle donne in
età modenra, Cinque-Seicento, specie a Roma, su “diritti e patrimoni”, su “linguaggi
e politiche del diritto”, sulle strategie e pratiche di autodifesa, tratta la vicenda
come una forma di autodifesa. Da mariti o avventurosi compagni violenti, e\o
nullafacenti, e\o ubriaconi. Ma, poi, le donne sono state implicate, giudicate
cioè colpevoli. La stessa storica dice l’acquetta “uno dei complotti
tutti al femminile della storia”, anche se aggiunge “pochissimi”. Ma non era il secolo
anche, come lei stessa ricorda, di Artemisia Gentileschi, di Cristina di
Svezia, della Monaca di Monza? Cioè di una condizione femminile certamente svantaggiata
ma non repressa - non una situazione da donne velate.
Simona Feci, L’acquetta di Giulia, Viella, p, 366 € 28
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