sabato 25 gennaio 2025
Ritorno alle Partecipazioni Statali
Mps-Mediobanca-Generali non è tanto Roma vs.
Milano, è un ritorno della logica delle Partecipazioni Statali. Meglio, è un’operazione
“romana”. Non nel senso geografico, cioè, ma in quello semantico della parola,
per “Milano” intendendosi il mercato, per “Roma” il sottogoverno (che non sarà di
moda, ma si pratica, eccome).
Seicento tridimensionale
La mostra probabilmente più
ricca, se non esaustiva, che Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino
perché strabico, abbia mai avuto. Sui due anni abbondanti di straordinaria attività
a Roma, 1621-1623, patrocinato dai conterranei emiliani Ludovisi, i familiari
del papa Gregorio XV, committenti e mallevadori. Una stagione di ritratti “di
Stato”, e di soggetti sacri. Ma anche sul prima, gli anni del paesaggismo (dell’Arcadia),
e dopo, gli anni 1625-35, dei nudi. L’emersione a Roma, nelle collezioni
Ludovisi, di due “baccanali” di Tiziano avviò una stagione europea di domanda
del nudo, e anche Guercino vi si esercitò, con “Donne al bagno” – il catalogo riequilibra
l’ondata di nudi femminili dell’epoca con un “Pan e Dafni” lucidato, il marmo romano
degli Uffizi bandiera dell’omoerotismo, nella bandella di copertina.
In mostra moltissime
opere del pittore. Anche le più monumentali, riprodotte in facsimile. E di molti contemporanei.
Più che del pittore la mostra si può dire della collezione Ludovisi – e tale si
vuole nei propositi delle curatrici, “Guercino. L’era Ludovisi a Roma”. Attorno
a un papato che durò solo poco più di due anni, il periodo del Guercino a Roma.
Di una famiglia che presto dissolverà la collezione. Ma una collezione molto
influente sul mondo artistico dell’epoca, non soltanto romano.
Un pittore molto
secentesco, per soggetti e pittura, allievo dei Carracci, ispiratore del Reni e
altri. Ma con un deciso tratto di ricerca nel periodo romano. Non nei
ritratti, “seduti”. Nelle opere non legate come tema e soggetto. Come un tentativo
di tridimensionalità, di pitture che vogliono uscire dal quadro. Nel cielo dipinto
per San Crisogono a Trastevere in particolare. In un san Girolamo necessariamente
nudo che si contorce all’indietro per sigillare una lettera. Un’accentuazione
del gioco prospettico, una ripresa o sviluppo degli esiti quattrocenteschi.
Raffaella Morselli-Caterina Volpi (a cura di), Guercino, Roma, Scuderie
del Quirinale
venerdì 24 gennaio 2025
L’Opa di Roma su Milano
Il passaggio (non ci sono difese possibili di Mediobanca, e Generali, dalla
offerta di scambio) sotto Mps, cioè sotto i Del Vecchio e Caltagirone, e il governo Meloni, è molto
di più di un’acquisizione\fusione, è una novità storica: la periferia si impone
a Milano, pure indiscutibile capitale finanziaria e degli affari, fino ad ora
unica e decisiva.
L’offerta di acquisto di Unicredit su Bpm è un affare tra due soggetti milanesi
– e non è detto che si concluda (anzi, oggi diventa più probabile – più “premiante”
– uno scivolamento di Bpm verso Mps-Mediobanca). Mps è una realtà diversa, e
non solo per non avere domicilio a Milano: per la presenza dello Stato, o meglio del governo, e per i
due soci condizionanti, i Del Vecchio (Delfin) e Caltagirone, da sempre battitori
liberi, poco o nulla legati a Milano, e anzi spesso in polemica.
Generali sta a Trieste ma era da un cinquantennio sotto la guardia
(controllo\difesa) di Mediobanca. Di Cuccia e poi dei successori.
Ora la geografia cambia. Tanto più che la quota residua del Tesoro in
Mps è ancora elevata, l’11,7 per cento, e non è detto che vada sul mercato, Roma
può continuare a gestirla - il governo in carica ha già detto che così intende fare. Romano è anche Caltagirone. Parla comunque da sé il fatto che Mediobanca, che ha dominato la scena finanziaria per mezzo secolo, sia diventata una preda, facile. Anche se ha tuttora in pancia un gigante del risparmio come Generali.
Gli stessi Del Vecchio non si possono dire propriamente milanesi. Il padre Leonardo, il creatore delle fortune della famiglia, nato a Milano, non si sentiva milanese: di genitori pugliesi, ha inventato e realizzato tutto a Agordo, nel bellunese, con un sostegno milanese solo iniziale, del vecchio Credito Italiano di Rondelli, poi è cresciuto con i Benetton, e con le banche americane e francesi.
L’attacco ai Pigs nel 2011
“600 giorni di vertigine” è il sottotitolo. E il tema del libro, non
propriamente il solito libro di memorie del politico (Zapatero, professore di
diritto Costituzionale, è stato segretario del partito Socialista spagnolo dal
2000, e dal 2004 al 2011 presidente del governo a Madrid), ma un racconto
ancora terrorizzato, pure a distanza dai fatti, dei 18 mesi di pressioni straordinarie
della speculazione finanziaria, e di Angela Merkel e Sarkozy per dichiarare il default,
il fallimento della finanza pubblica. Esercitate su di lui e su Berlusconi e
gli altri capi di governo dei “pigs”, i porci Portogallo, Italia, Grecia e Spagna.
Sotto pressione, mandata la Grecia in amministrazione controllata, era
soprattutto l’Italia. Ma la Spagna pure era in pericolo: se l’Italia avesse ceduto,
la Spagna avrebbe dovuto seguire, questo l’assioma di Zapatero. Che quindi spende
molte pagine sulle pressioni esercitate contro l’Italia, da Merkel e Sarkozy,
dalla Bce del francese Trichet, e dal Fondo Monetario Internazionale. “Il dilemma era
scegliere tra tagliare o alimentare la spirale che avrebbe potuto portare al
default”. Lui non aveva le idee chiare, ammette – all’uscita del libro spiegherà:
“La crisi era inedita, i riferimenti pochi e indecifrabili, non c’erano ricette
precostituite”. Ma ce le aveva Tremonti, per il governo italiano, e questo gli
fu d’aiuto: “La mia ossessione era che la Spagna non cadesse, che non dovessimo
chiedere aiuti, che la nostra autonomia come Paese fosse preservata”.
Le pressioni
furono abnormi – e la ricostruzione, dettagliata, prende molta parte della
memoria – al vertice al vertice del G20 che si svolse nel novembre del 2011 a
Cannes. S i voleva che la Spagna riducesse il debito di 50 miliardi accendendo
un prestito “condizionale”, per lo stesso ammontare, col Fondo Monetario Internazionale,
e l’Italia per 85 miliardi euro. Le pressioni, insistenti, fallirono, per “la
resistenza del governo italiano ad accettare gli aiuti del Fondo monetario
internazionale. Fu sistematica, un'autentica chiusura a catenaccio. Le
pressioni furono enormi». Zapatero le espone in dettaglio. Con vari particolari:
“Mi è rimasta impressa una frase che il ministro dell' economia, Tremonti,
ripeteva nei corridoi: «Conosco migliori forme di suicidio che chiedere aiuti»”.
Il mese dopo Zapatero
perdere le elezioni. E Berlusconi di ritorno da Cannes veniva sostituito con
Monti.
Curiosamente si traduce
di tutto ma questo Zapatero che parla tanto dell’Italia non lo è stato. Così
come non è stato tradotto un altro libro che parla dell’Italia, “Stress Test” di
Timothy Geithner, sulla sua esperienza di ministro del Tesoro di Obama, nelle
stesse situazioni di cui tratta Zapatero.
José Luis Rodríguez Zapatero, El dilema, Planeta, pp. 421 ril. pp.vv.
giovedì 23 gennaio 2025
Ombre - 756
Santanché dopo il rinvio
a giudizio: “La premier vorrebbe che fosse la ministra a lasciare. Alla fine potrebbe
essere lei a costringerla”, cioè Meloni. Dimenticando che il presidente del consiglio
(non premier) italiano non ha questo potere – non ha nessun potere: può
solo dimettersi, facendo decadere tutto il governo.
Si parla tanto, da quarant’anni,
di riforma del governo, ma l’ignoranza resta totale.
“Nel sistema attuale il pubblico
ministero è già un superpoliziotto. Con l’aggravante che godendo delle stesse
garanzie del giudice egli esercita un potere immenso senza alcuna reale responsabilità”.
È Nordio, ma è semplice. Solo Schlein non capisce – finge di non capire,
difendere i giudici è meglio che occuparsi di Stellantis?
Centro-sinistra unito,
ben cinque partiti (senza 5 Stelle, quelle stanno nel “campo largo”) contro il
governo per il generale libico tifoso della Juventus, liberato e “rimpatriato”
dalla Corte d’Appello di Torino. Dimenticando che la giustizia è indipendente dal
governo.
Ma non è tutto: è sempre
di centro-sinistra il giudice italiano alla Corte Penale in Olanda che emette mandato
di cattura contro il generale libico quando si trova in Italia e non quando si
trova in Germania, e di questo rende edotta la questura di Torino, per l’opportuno
arresto all’uscita dallo stadio – con la favola, più stupida che incredibile,
del “normale controllo di routine”. Che il centro-sinistra, dall’estrema a Renzi,
sia unito da servizi segreti “deviati”, cioè di parte politica, e contro gli interessi
dell’Italia, solo per mettere in imbarazzo il governo, la dice lunga sul suo
stato. Non sono i cattolici a minare Schlein, ci pensa da sola.
Di Pietro che sul “Corriere
della sera” irride il sindacato dei giudici, la fabbrica delle “correnti”
pseudo-politiche, invitandolo alla serietà, alla Costituzione e a Giovanni Falcone,
dice tutta la miseria della categoria. La legge sulla divisione delle carriere non
si farà – nessuna riforma si può fare in Italia, paese inerte politicamente. Tanto
più per questo il cerimoniale organizzato per lo sciopero è ridicolo. Non avere
il senso del ridicolo è segno di un potere cavo, vuoto. Certo maligno.
Elon Musk agitatissimo,
al ricevimento post-inaugurazione di Trump, va avanti e indietro sulla pedana
agitando i pugni chiusi. Fino a che non li schiude, pone la mano sul petto e
poi la lancia in alto. Scandalo, è il saluto hitleriano. Era compagno prima e
subito poi nazista? Abbiamo pochi argomenti.
Il conto risale lontano. Parte
dal dopoguerra, ma 27,6 miliardi persi per il marchio Alitalia fanno senso, fra
contributi pubblici, cassa integrazione, e finanziamenti privati. Del resto
25,1 miliardi dei 27,6 sono stati sprecati dal 2000 in poi. Uno spreco così suddiviso:
16,3 miliardi a carico del Tesoro, del fisco, 11,3 miliardi a carico degli azionisti
e delle banche. Quella dei campioni nazionali può essere un’ideologia distruttiva
– di che era campione Alitalia?
Ventidue mesi consecutivi
di caduta della produzione industriale non fanno crisi, secondo gli economisti.
Ma su un punto sì – non detto: la produzione industriale cala perché è o era
troppo dipendente dall’automotive, e quindi va a picco con la ex Fiat.
Lette una per una le biografie
dei venti ministri di Trump sono ragionevoli. Contrariamente ai rumours e
alle presunte resistenze del Senato (molte nomine vanno avallate dal Senato). Poi
magari si scopre che questo orrido Trump non è un asteroide disperso.
Cecilia Sala liberata dagli
ayatollah riesce a parlare per venti minuti da Fazio senza mai menzionare
Meloni. Che pure si è fatte trentasei 36 ore di aereo, e tre di Trump, per
liberarla. Certo, saper tacere è pur sempre una prova di capacità.
Il presidente o primo ministro
lituano vuole la spesa militare in Europa al 6 per cento del pil, per fare la
guerra alla Russia. Non è il solo. Il presidente del consiglio polacco Donald
Tusk, già presidente del Consiglio europeo e ora alla presidenza di turno della
Ue, pure lui la vuole al 5-6 per cento, per lo stesso motivo - e del resto il
suo Paese, col precedente governo di destra, è già salito oltre il 4 per cento.
Come l’Estonia e la Lettonia. Da chi bisognerà guardarsi?
Singolare lezione del
“maestro” D’Avenia sul “Corriere della sera” contro la infausta riforma Berlinguer
della scuola, venticinque anni di disadattamento, senza mai nominarla, ma
durissima. Vuole indietro non solo il latino ma pure la calligrafia – e la
tabellina pitagorica? E spiega il perché.
https://www.corriere.it/alessandro-d-avenia-ultimo-banco/25_gennaio_20/umano-destra-o-sinistra-6d2d3576-896d-4061-9008-770b79bf2xlk.shtml#:~:text=Grazie%20a%20questa%20%C2%ABscuola%20di,%C3%88%20oltre%3A%20%C3%A8%20umano.
È un articolo di giornale,
ma si legge e tiene come un vangelo.
Si fa scandalo,
con risate, alla pretesa di Trump alla Groenlandia. Che però non è una pretesa, ma un salvagente
ai groenlandesi. Che sono pochi, ma l’Europa non sa che la Danimarca li considera
inferiori. Come si faceva con gli africani nell’Ottocento. Chi ha un figlio deve
sottoporsi a esami di intelligenza, e dimostrare alla Danimarca che saprà allevarlo.
Altrimenti se lo prendono in adozione.
I groenlandesi non
sono selvaggi, sono gli inuit, che altrove vengono coccolati – sempre specie
speciali, l’Europa conosce, e ama, le differenze.
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La forza del sesso, dell’Altro
“Il mio primo gesto
al risveglio era afferrare il suo membro eretto nel sonno”. Il racconto di una possessione,
dopo la separazione, quando l’amante giovane e virile comunica alla scrittrice
di avere un’altra
donna – anch’essa in età, altrettanto rispettabile. Di una gelosia indomabile.
Tanto più per essere di una sconosciuta inconoscibile, se non per l’età e la
professione, che ne fanno una sorta di alter ego. L’“altra” come invasione,
occupazione, di se stessa.
Con un paio di considerazioni
d’autore. “Per la prima volta percepivo con chiarezza la natura materiale dei
sentimenti e delle emozioni, di cui provavo fisicamente la consistenza, la
forma ma anche l’indipendenza, la perfetta libertà d’azione in rapporto alla
mia coscienza”. “La più grande sofferenza, come la più grande felicità, viene
dall’Altro”. E una scoperta, o conclusione, che è anche la chiave della sua
novità e capacità di scrittrice, di avere raccontato il sesso come avviene, brutto
e bello - messa tra parentesi alle ultime righe: “Mi sono aspettata tutto dal
piacere sessuale, in aggiunta al piacere stesso. L’amore, la fusione, l’infinito,
il piacere di scrivere. Ciò che mi sembra di avere ottenuto meglio, fino ad
ora, è la lucidità, una specie di visione subitamente semplice e disentimentalizzata
del mondo”.
Un racconto scritto
a maggio-giugno del 2001, dopo avere allontanato W., l’amante più giovane di
trent’anni, e concluso con mezza pagina a settembre a Venezia, nei luoghi di
vacanza felici con W., che ha ritrovato chiusi, o riadattati, inerti.
Un racconto-verità,
come è emerso recentemente, quando l’amante giovane di allora si è manifestato
polemicamente, con un memoriale politico. W. è Philippe Vilain: ha 55 anni, è
accademico francesista, a Napoli, e autore di molti romanzi “di costumi”, cioè leggeri.
Si manifesta ora polemicamente per avere sofferto, dice, la ripresa del loro rapporto
che Ernaux ha fatto nel 2022, alla vigilia del Nobel, in un altro racconto, “Il
ragazzo”. Ha quindi scritto un libello contro la Nobel, che ora si pubblica,
per approfittare dell’onda del mercato. S’intitola “Mauvais élève”, cattivo
alunno, e attacca Ernaux sulle abitudini da “vera borghese”, a tavola, nella gestione della casa, nei modi. Ne ha
fatto presentazioni ai giornali per ridicoleggiarla a radical chic.
Ernaux è invisa
alla destra in Francia, da “L’Express” e “Le Figaro” in là, per le sue prese di
posizione politiche di sinistra. Al punto da immiserirne il Nobel – non lo ha però fatto Houellebecq, l’autore che la destra privilegia: non ha mai commentato il Nobel
mancato, a favore della scrittrice. Decisamente, l’“occupazione” è tema francese,
anche se solo per questioni di letto.
Annie Ernaux, L’occupation, Folio, pp. 76 €
12
mercoledì 22 gennaio 2025
Sinistra Dc a confessione all’ambasciata Usa – assolta, senza penitenza
Velenosa lettera
al “Corriere della sera” lunedì di Paolo Crino Pomicino, contro i suoi (ex?)
“amici” a convegno da Delrio – che il direttore del quotidiano Fontana
imbarazzato confina alla rubrica “Interventi e repliche”. Di un Pomicino 85nne
e malandato ma lucido, e informato, andreottiano storico ma poi supporter
(2019) del partito Democratico: “Quegli amici convocati da Delrio sono
sostanzialmente gli stessi che nel 1993 andarono, guidati da Martinazzoli, Castagnetti
e da altri amici della cosiddetta sinistra cattolica, dall’ambasciatore
americano a Roma Bartolemy per comunicargli che la Dc non si sarebbe mai più ricomposta
avendo loro già scelto peraltro di andare all’appello degli ex comunisti diventati
«democratici di sinistra». Con quella visita, storicamente accertata, si chiuse
la prima Repubblica ed inizò la seconda”.
E non basta. Un
errore, si chiede Pomicino, “frutto velenoso di una visione politica
sbagliata”? No, si risponde: “Approfondendo la quesione mi sono accorto, al
contrario, che in realtà quella scelta fu dettata da un interesse più «terra
terra» e cioè quello di garantirsi dalle iniziative dei pbblici ministeri che
avevano stravolto l’intero sistema politico. Non a caso nessuno di quegli amici
ebbe un avviso di garanzia. Eppure io conosco chi dava loro le risorse per le camagne
elettorali”.
Il complotto,
certo, ha mille risorse, e tutte convincenti. Ma i fatti, anche se esposti dal sempre
colorito Pomicino, sono fatti.
Letture - 568
letterautore
Autogrill –“Non c’è
Autogrill che non sia il manifesto di un modo di essere italiani, un gioco di
architetture sospese”. Così “Il Sole 24 re Domenica” celebra le architetture
sospese come ponti tra i due sensi di marcia dell’Autostrada del Sole: “E sono
tutt’altro che strutture occasionali, perché portano la firma di Pier Luigi
Nervi, Angelo Bianchetti, Melchiorre Bega, Costantino Dardi, Gianluca Palesello”.
Ma non sono, da tempo, che ruderi, chiusi, semiabbandonati?
Incipit – A 17 anni
“lessi i ‘Racconti’ di Italo Calvino, tra cui ‘Luna e Gnac’: «La notte durava
venti secondi, e venti secondi il Gnac» è un incipit strepitoso” – Domenico
Starnone confessa a Candida Morvillo che gli chiede: “Deve a un libro particolare
la molla che l’ha spinta a scrivere?” “Non so, forse, tra l’altro, a un incipit
di Italo Calvino”, etc.etc., “che mi provocò un magnifico sbandamento”.
Italia – “In fondo è un
grande set senza un vero regista” - Luc Merenda, l’attore, francese di Roma, di
tanti film degli anni 1970-1980.
Maschile – “Il maschile è inteso come
potente, arrogante, violento, sopraffattore, egoista e famelico”, scrive Francesco
Piccolo su “”Robinson” presentando “Son qui: m’ammazzi” (col lei?), il suo
ultimo libro. E i maschi, aggiunge, “nei libri che ho scelto di raccontare,
tutti fanno la guerra, si incazzano, diventano furiosi, litigano, sono gelosi,
minacciosi, e usano al forza in modo esplicito, picchiando, violentando”. E
quelli della letteratura che non ha scelto di raccontare - Piccolo si è premunito,
del maschio parlando come “è inteso” (in effetti la sua indagine, da come la
presenta, è monca, manca alla sua dialettica
un termine: c’è la tesi e la sintesi ma
non c’è l’antitesi – fatta la sommatoria finirebbe per difenderlo?).
Rifiuti – “Un tempo la
«lordura» che il mare in tempesta sbatteva a riva era rappresentata dalle pallottole d’alga, dalle canne, dalle
piante spinose, dalle radici, dai rami,
dalle conchiglie, dalla frangia di bava
secca: da ciò che le onde strappavano alle spiagge risalendole fino alle prime
dune o da ciò che i fiumi e i torrenti convogliavano in mare o da ciò che
risaliva dallo stesso fondo del mare.
Era una «lordura» gradevole a vedersi appunto perché naturale. Ora
prevale l lordura artificiale: barattoli di latta, legni schiodati, pezzi di cartone,
pezzetti di catrame, e soprattutto sacchetti di nylon e bottiglie di plastica:
di queste ultime, ce n’è una ogni pochi passi. Sono bianche, verdi, celesti, di
tutti i colori. Qualcuna è un po’, acciaccata, ma in genere sono ben
conservate”. Carlo Cassola se ne lamentava sul “Corriere della sera”, nella sua
rubrica “Fogli di diario!”, 19 dicembre 1972. Guardava il mare in tempesta, e
si faceva compagnia con Montale: “O l’informe rottame\ che gittò fuor del corso
la fiumara\ del vivere in un fitto di ramure e di strame”. Ma subito aggiunge
prosaico: “Di simili rifiuti è piena la pineta in cui vivo”. La spiaggia e la
pineta erano quelle di Donoratico-Marina di Castagneto Carducci, tra le meglio
preservate della Toscana.
Riso – È tema ricorrente
di riflessione anche nella letteratura araba, spiega l’arabista Francesca Maria
Corraro a commento de “Le storie di Giufà”, p. 136. Nel “Corano” (53, : 43-44)
“si afferma che il riso è un evento strettamente connesso alla vita, in contrapposizione
al pianto e alla morte”. Altro riferimento: “Il celebre erudito al-Ğahiz (IX
secolo), introducendo una sua raccolta di aneddoti, ’Il Libro degli Avari’, osserva
che il riso è la prima espressione, forte e gioiosa, atta ad arricchire il
sangue di un bambino”.
Corrao cita infine “un altro rinomato compilatore di libri di aneddoti e
facezie, al-Ğawzî”, che al riso attribuisce una funzione liberatoria, “che
dissipa le tensioni provocate dall’incontro-scontro con il mondo esterno”.
Rumi
– È “romano” in arabo-farsì– “romeo”, come dire di
famiglia bizantina, cristiana. È Rumi uno dei maggiori poeti persiani, se non
il maggiore, mistico, teologo, Gialal al-Din Rumi, vissuto nel Duecento. Nato
in Afghanistan, a Balkh, sepolto a Konya, in Turchia, nel Mausoleo di Mevlana –
altro nome, farsì, di Gialal al-Din. Detto pure Gialal al-Din Balkhi, dal luogo
di nascita.
È “Rumi” anche il
Giufà anatolico (oggi si direbbe turco), Nasreddin: “Nel sedicesimo secolo il giurisperito
egiziano Gialal al-D in al Suyuti scriveva che non si doveva ridere di Ğuhâ (il
nostro Giufà, n.d.r), detto Nasreddin Rumi” – l’arabista Francesca Maria Corrao,
“Le storie di Giufà”, p.144.
Siena – “La mia, anima
per aver dovuto viver1e a Siena, sarà triste per sempre”, … Tozzi, “Bestie”.
Socialismo – Si celebra
Matteotti per il centenario della morte, ma sulla Rai di destra, degli ex
missini e dei leghisti. E si celebra Craxi per i venticinque anni della morte
ma ad opera di due antipatizzanti, Massimo Franco e Aldo Cazzullo, e del
presidente ex missino del Senato. La sinistra ha perduto la parola – anche per
criticare (solo Goffredo Bettini, vecchio Pci, ne propone la rivalutazione, ma “nei limiti di
un quotidiano”, “l’Unità”,
https://www.unita.it/2025/01/19/bettino-craxi-un-socialista-a-24-carati-le-emozioni-il-pensiero-gli-errori-del-leader-del-psi/#amp_tf=Da%20%251%24s&aoh=17375533970178&referrer=https%3A%2F%2Fwww.google.com)
Vecchiaia – “Ma è poi vero
che invecchiando si ha più bisogno di affetto? Io credo che ci si chiuda maggiormente
in noi stessi. Per fortuna” – Carlo Cassola a 54 anni, “Fogli di diario” 30
dicembre 1971,
Verità – “Di solito nel
mondo classico chi conosce la verità perde la vista: c’è bisogno di buio per
vedere, gli indovini sono ciechi”, Nadia Terranova.
letterautore@antiit.eu
Celebrazione e compianto dell’Alta Maremma
Racconti di cose viste e vissuta, minime per
lo più. Dell’infanzia, dei luoghi soprattutto, il quartiere Salario a Roma
riscoperto, Volterra e la Val di Cecina fino al mare, e delle abitudini nuove
che stravolgono quelle vecchie – del tempo che passa. Con qualche, rara, pointe
polemica. “Come disprezzo i sogni a occhi aperti, disprezzo i sogni a occhi chiusi”.
“Il ribelle è un infelice perché è uno sradicato”. Col compianto, già alora,
dell’Appennino abbandonato. E ripetute querimonie contro la trascuratezza e il degrado,
specie della campagna, l’Alta Maremma, Toscana.
L’aneddotica è debole, anzi trascurata, la
riflessione invece è forte. Sulla letteratura. Sulla narrativa a più riprese –
sulla forma romanzo. Perfino sull’esistenzialismo – la differenza tra “esistere”
e “vivere”. Ma spesso anche inconcludente. “In ogni tempo è stata spacciata per
letteratura «realistica» quella sboccata e scurrile”, di un lungo elenco, Petronio
e Apuleio, Boccaccio e Chaucer, Rabelais e Pietro Aretino, Céline e Miller: “Per
me sono tutti scrittori illeggibili, anzi, non sono nemmeno scrittori”. Su un
filo curiosamente solitario, e malinconico – curiosamente per l’età, attorno ai
50 anni, e la piena creatività del Cassola narratore.
Una scelta della rubrica che Cassola tenne
sul “Corriere della sera” per una decina d’anni, dal giugno 1968 al luglio 1978,
operata nel 1974 dallo stesso Cassola, e limitata a 24 rubriche, da fine
novembre 1969 a maggio 1973 – negli anni della direzione Spadolini, con il
quale si sentiva in sintonia.
La collaborazione di Cassola al quotidiano milanese copre un periodo molto
più lungo, dall’ottobre
del 1953 al marzo del 1984, inizialmente sporadica - la pubblicazione di tanto in
tanto di un racconto breve come allora usava, in apertura della cosiddetta “terza pagina”, quella della
cultura, di una colonna e mezza, due colonne, più come forma di sostegno agli
scrittori che per il pubblico. Tutti i testi di Cassola
pubblicati sul “Corriere della sera” sono ora ripresi in una pubblicazione in
commercio dalla Fondazione del quotidiano, a cura di Alba Andreini, “Carlo Cassola e il Corriere della
sera 1953-1984”.
Carlo Cassola, Fogli di diario,
Rizzoli, pp.152, ril., pp.vv.
martedì 21 gennaio 2025
Problemi di base di saggezza? - 835
spock
“Nulla ci appartiene,
solo il tempo è nostro”, Museo Diocesano Santa Severina?
“In ognuno la
traccia di ognuno”, Primo Levi?
“Il cielo e
l’uomo sono una cosa sola”, Ye Xiaogang?
“Nella
speranza c’è qualcosa di dubbioso”, B. Costant?
“Quando uno
vive, vive e non si vede. Conoscersi è morire”, Pirandello?
“Durch
Leiden, Freude”, la gioia attraverso la sofferenza, Beethoven?
spock@antiit.eu
Quando l’America segregava la lirica
Marian Anderson fu un contralto americano, celebre
negli anni 1930-1940, detta da Toscanini “un talento che sboccia una volta in
un secolo”. Ma era nera, e fu soggetta negli Stati Uniti a restrizioni umilianti.
Specializzata in recital, di arie di opere e di Lieder, più che
in opere compete, anche se ne fece esperienza, perchè non si riteneva brava o capace
nei recitativi – “non so recitare”. Ma ciò malgrado di grande successo, per il timbro
e l’estensione della voce, e le qualità interpretative delle sue emissioni. In
Europa. Negli Stati Uniti anche il riconoscimento fu tardivo, e solo in seguito
alle acclamazioni raccolte in Europa. In Germania soprattutto, trattata con rispetto
anche negli anni di Hitler, a Salisburgo con Toscanini nel 1935, e in Finlandia,
dove approdò col pianista suo concertatore, finlandese, e divenne subito pupilla
di Sibelius.
Il settimanale riprende un vecchio articolo
del suo critico musicale, del 2009, per il settantacinquesimo di un concerto famoso
a Washington della cantante, un concerto pubblico, all’aperto, sotto il Lincoln
Memorial. Disposto dal presidente F.D.Roosevelt come risarcimento, ebbe invece un
successo tale che aprì la strada risolutiva al movimento americano per i diritti
civili. Al concerto assistette Martin Luther King, jr., che cinque anni dopo lo
celebrerà a un concorso scolastico di oratoria, sul tema “The Negro and the
Constitution”: “Cantò come mai prima, con lacrime agli occhi. Quando la parole
di ‘America’ e di ‘Nobody Knows de Trouble I seen’ risuonarono su quella grande
folla, l’immobiltià s’impose sul mare di visi rivolti in alto, neri e bianchi, in
un nuovo battesimo di libertà, eguaglianza, e fraternità”.
Negli Stati Uniti Marian Anderson, pure
sospetta di troppa condiscendenza, si rifiutava di cantare nelle sale che applicavano
la “segregazione orizzontale”, con i bianchi cioè in platea e i neri in
galleria, ma accettava la “segregazione verticale”, con i bianchi da un lato e i
neri dall’altro. Nelle tournées prendeva i pasti in camera, per evitare
complicazioni nei ristoranti. A Princeton, dove le fu egata una camera in albergo,
passò la notte in casa di Einstein. Ancora durante la guerra, malgrado il celebre
concerto di Pasqua del 1939, dovette aspettare fuori della stazione ferroviaria,
a Birmingham, in Alabama, che il suo accompagnatore al piano, il tedesco Franz
Rupp, entrasse a comparle un panino - mentre nella sala d’attesa comodi stavano
un gruppo di tedeschi prigionieri di guerra, naturalmente bianchi.
Da ragazza aveva trovato facile lo studio
della musica. Nel 1892, cinque anni prima della sua nascita, Antonìn Dvorák, il
compositore ceco diventato direttore del National Conservatory a New York, aveva
proclamato che le basi della musica americana erano e dovevano essere gli spiritual
e i temi amerindi, aprendo nel
contempo il conservatorio afro-americani, esentasse. In molte famiglie
afroamericane sì idirizzarono allora i figli allo studio della musica. E così
la mader di Marian Anderson - il padre era morto quando lei era piccola. Anche
per le evidenti doti canore della figlia. Ma ancora nel 1914, quando aveva 17
anni, e provò a fare domanda a Filadelfia a una scuola di musica, ricorda nelle
memorie, “My Lord, What a Morning”, la ragazza all’accettazione la fece
aspettare mentre prestava attenzione a tutti gli altri in fila, e alla fine le
disse: “Non prendiamo gente di colore”.
Nel 1939, malgrado l’aureola dei successi
in Europa, e anche in America nel mondo della lirica (la sua più famosa
incisione, residua, è del 1939, della “Rapsdia per contralto” di Brahms, con la
Philadelphia Orchestra, maestro Eugene Ormandy), la fondazione The Daughters of
the American Revoution, le figlie della rivoluzione, le rifiutò la Constitution
Hall, la più grande sala per concerti di
Washington, per essere nera. La First Lady Eleanor Roosevelt indignata si
dimise dall’associazione, e fece organizzare dal presidente un concerto
pubblico nel Mall, l’ampio viale monumentale lungo tre chilometri dal monumento
a Lincoln, Lincoln Memorial, al Congresso. Era Pasqua, e due milioni di persone
si calcoal affollassero il Mall – oltre agli ascoltaori alle radio sincronzzate.
Anderson si limitò a cantare l’“Ave Maria” di Schubert, “O mio Fernando” da “La
Favorita” di Donizetti, e molti spiritual.
Alex Ross, Voice of the Century, “The
New Yorker”, free online
lunedì 20 gennaio 2025
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (582)
Giuseppe Leuzzi
Ricercato turista e scrittore
Messina
Denaro che s’intrattiene con la figlia, oltre che intrattenere molteplici
amanti, l’una dopo l’altra certo, da galantuomo, e andava in vacanza in giro per
l’Italia, mentre era il ricercato numero uno, è “un cinema”, direbbe il siculo-camilleriano.
Una commedia, una farsa. Tanto più che le donne prese e lasciate erano a
rischio vendetta, facile facile se la polizia era alle calcagna del seduttore malfattore. Camilleri, in proprio, ne aveva fatto “il latinista della mafia”, in
qualità di corrispondente, via “pizzini”, del capomafia Provenzano – piuttosto prolisso, però. Ma soprattutto
si rivaluta come opera storica l’intrigo che nel 2008 venne pubblicato da Stampa Alternativa
come un libro del capomafia, “Lettere a Svetonio”. Qui variamente commentato, sempre come
uno scherzo. Mentre era edito seriosamente, come uno scambio epistolare, negli anni dal 2003
al 2007, tra Messina Denaro (“Svetonio”) e un ex sindaco del suo paese, Castelvetrano, rimosso
per mafia, a cui il boss si indirizzava coma a spia dell’Aisi – l’ex Sisde, i servizi
segreti.
Sudismi\sadismi – il voto è infetto
Il
riconteggio dei voti nella Giunta per le elezioni ha portato alla Camera il giovane
Andrea Gentile, Forza Italia, invece della giovane Elisa Scutellà, 5 Stelle. Giovani
quarantenni, ma non è questo il punto. Due anni e mezzo di riconteggi, ma
questo non interessa. Il punto è che il giovane Gentile ha già fatto in tempo a subentrare, già nella
legislatura passata, al posto del collega di partito Occhiuto che si candidava
alla Regione Calabria. Ed è già nome noto: “Avvocato penalista”, scrive Giuseppe
Alberto Falci sul “Corriere della sera”, “classe 1980, figlio di Tonino e
nipote di Pino, due ras delle preferenze”. Con “un pacchetto di voti che, secondo
fonti qualificate, in Calabria oscilla tra le 20 e le 50 mila preferenze”, infierisce
l’articolista – e chissà quante fuori della Calabria? E con un padre, Tonino, che
“è un po’ il «Verdini di Calabria»: elegatissimo, in gessato, capello nero sempre
pettinato”.
L’astio
è sicuramente molto, tanto da far zoppicare l’italiano, ma poi Falci è uno di
Caltanissetta. Tra Sicilia e Calabria non corre buon sangue, e tutt’e due fanno
un pessimo Sud. Che ci si può aspettare da un onorevole di Cosenza, figlio di
onorevole? Gatta ci cova – checché voglia dire.
La restanza futurista
Alla grande
mostra romana sul Futurismo sono esposte due tele di Boccioni, “Quelli che
vanno” e “Quelli che restano” – in prestito dal MoMa di New York, il Museum of
Modern Art. I due dipinti fanno parte di
un trittico, “Stati d’animo”, con una prima tela denominata “Gli Addii”,
l’agitazione all’interno di una stazione. Ma si leggono indipendentemente.
“Quelli che restano” sono semi-automi, imbrigliati in un bosco come di canne di
bambù – un fondotinta verde ma non di speranza, smorto. “Quelli che vanno” sono
imbrigliati sopra onde scure, in una massa di oggetti e utensili – su fondo blu
ma non di cielo, un blu cupo, chiuso. Come se l’emigrazione dimezzasse:
agitasse chi parte e intrappolasse chi resta. Un’impressione cui il visitatore
odierno è più sensibile, per la tendenza che si va imponedo al ritorno, o alla
“restanza”, cioè alla resistenza.
Un trittico
di Boccioni, che bene o male è nato a Reggio Calabria, e vi ha fatto fino alle
elementari – anche se di lui Reggio sa niente o quasi, ma questo è un altro discorso.
In un mondo cioè di emigrazione, anche mentale, tra gli stessi rimasti – i reggini
non si amano. “Non si è vissuti impunemente in un luogo”, avrebbe argomentato
sessanta o settant’anni dopo Cassola.
Il vecchio e il nuovo – o la scomparsa di Verga in Sicilia
“Il
vecchio e il nuovo” è il titolo di un romanzo di Pirandello? No, quello è “I
vecchi e i giovani”. Il vecchio e il nuovo è il tema di un romanzo di Verga, “I
malavoglia”, spiega Carlo Cassola in uno dei suoi “Fogli di diario”, 8 ottobre
1972, sul “Corriere della sera”: “Il contrasto fra la tradizionale «way of
life» e la ricerca di una maniera personale di vivere; vale a dire il contrasto
tra il vecchio e il nuovo: è un vecchio tema letterario. È per esempio il tema
di un capolavoro come ‘I Malavoglia’: che nelle intenzioni dell’autore voleva
essere «lo studio sincero e appassioanto del come probabilmente devono nascere
e svilupparsi nelle più umili condizioni le prime irrequitudini pel benessere”.
Nel
1972 su “l’Espresso” Enzo Siciliano si domandava perché a mezzo secolo dalla
morte Verga fosse ancora impopolare. Cinquant’anni dopo Siciliano Verga è semplicemente
cancellato, senza più. Un tempo Verga si leggeva al liceo. Poi è scomparso. Specie in Sicilia,
dove il racconto è ambientato, di un autore del tutto siciliano: zero totale. Non c’è
Verga in Sciascia. Nemmeno nel prolifico Camilleri - anche se proprio “I malavoglia” è il primo
romanzo dialettale. Era estraneo già a Pirandello, e qui un po’ si capisce, Verga ha la macchia del verismo.
Dopo Siciliano se ne ricorda dunque solo Cassola. Cinquant’anni fa. Sul
“Corriere della sera”. Su un giornale milanese uno scrittore toscano. È vero che i “Malavoglia”
di soprannome all’anagrafe facevano Toscano - “veramente nel libro della parrocchia si chiamavano
Toscano”, è detto nella prima pagina del romanzo.
Sardegna biblica
In “Terra
Sarda. Un itinerario attraverso il museo di Cagliari”, 1965, una delle tante
riflessioni che l’isola indusse nello scrittore dopo che ne fece la scoperta da
turista nella primavera del 1954, Ernst Jünger tratteggia una Sardegna biblica.
Sul presupposto che le età, storiche (pietra, bronzo, ferro), letterarie
(fiaba, mito, storia), e anagrafiche (infanzia, giovinezza, maturità) sono “propriamente
una sequenza fatale” e non un processo calcolabile “con il calendario o con l’orologio”
(nella traduzione di Quirino Principe, edizione Il Maestrale). Le “tappe”
storiche si realizzano variamente, nei luoghi e anche nella durata. È così che “la
Sardegna è una terra giovane”. Specie all’interno, luogo di immagini al
viaggiatore “familiari, egli le ha già vedute o nell’infanzia o nei sogni” – “qui
il tempo è fluito via impercettiilmente e ha salvaguardato ciò che in altri luoghi
è ormai passato remoto”.
Molte
le suggestioni che l’isola stimolava. “Sono le immagini della Bibbia, della
Terrasanta, che ritornano come reminiscenza. Come il campo viene coltivato e
mietuto con la falce, come il grano viene trebbiato dai buoi, e i chicchi di
frumento sono ventilati e separati dalla pula, e l’uva schiacciata sotto i piedi,
così queste visioni si sono impresse nella nostra memoria infantile tramite il
libro di Ruth e altri scritti biblici. Ancora i mattoni vengono plasmati con l’argilla,
rinforzati con al stoppa, e messi a seccare al sole come avveniva nell’antico
Egito secondo al descrzione di Mosé Ancora le mogli e le figlie dei pastori
vengono, con Rachele, alla fontana, e reggono le anfore sul capo o sull’anca. Al
lavoro sui campi torridi e petrosi con i tori aggiogati, o con la zappa nelle
ummide valli dei fiumi, al seguito delle mandrie e dei greggi che s’indovinano
da lontano per le alte nuvole di polvere che sollevano, poco è mutato nei
millenni”.
Antimafia a pagamento
Su
“Report”, Rai 3, si ascolta Massimo Giletti che spiega a Giovanni Minoli come
Baiardo, il gelataio che promette(va) la foto di Berlusconi con uno dei
Graviano, pesi massimi mafiosi (e con il generale dei Carabineri Delfino) alla
viglia degli atennati del 1993, e si è candidato allegro qualche mese a sindaco
di Bagheria, nientedimeno, era pagato per dire e non dire. “Report” fa ascoltare
alcune intercettazioni telefoniche tra i due: “Il signor Baiardo è stato
pagato…”, “Sì, sì, due fatture da quindicimila euro, due volte”. Dopo che Giletti
si lamenta della censura che avrebbe subito e poi portato alla chiusura del suo
programma, benché di successo. Così “Report” ricostruisce la vicenda: “Paolo
Berlusconi chiama l’editore di La7 Urbano Cairo per protestare contro le
rivelazioni di Baiardo. Cairo chiede a Giletti di incontrare Berlusconi ma
Giletti rifiuta… E Gianmarco Mazzi, procuratore di Giletti e oggi
sottosegretario alla Cultura (deputato di Frateli d’Italia, n.d.r.),
interrogato a Firenze racconta che Cairo voleva rinnovare il contratto al
conduttore. Invece l’11 aprile chiude la trasmissione e scoppia il putiferio”.
Baiardo, “il gelataio amico dei mafiosi” (“la Repubblica”) ha per primo vaticinato
l’arresto imminente di Matteo Messina Denaro. Già in carcere nel 1997, per
avere favorito la latitanza dei boss di mafia Filippo e Giuseppe Graviano, ora
è di nuovo in carcere, da metà dicembre, su disposizione della Procura di Firenze,
per “calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra”. La Procura di Firenze,
quella della deposizione dell’onorevole Mazzi, indaga da trent’anni per provare
che le stragi del 1993 furono disposte da Berlusconi e Dell’Utri – e ora, morto
Berlusconi, anche dal generale dei Carabinieri Mario Mori. Baiardo si era accreditato
come testimone contro Berlusconi – un po’ come poi con Giletti, con la foto
promessa. Successivamente invece aveva calunniato, dice Firenze, altri due pentiti
di mafia su cui la Procura fa molto affidamento, Spatuzza e Tranchina. Da qui l’arresto.
Un
bell’ambientino.
E
la mafia?
P.S.
Baiardo è anche famoso per avere vaticinato l’arresto e la morte di Messina
Denaro. Così questa vicenda è raccontata da “L’indipendente” online:
“L’ingombrante
figura di Baiardo si staglia anche sullo sfondo dell’arresto di Matteo Messina
Denaro, avvenuto il 16 gennaio 2023. A tal proposito, infatti, sono risultate
incredibilmente profetiche le dichiarazioni rese dall’ex favoreggiatore dei
fratelli Graviano – legati a doppio filo con Messina Denaro, che nella fase
post-Tangentopoli e pre-elezioni del 1994 fu una delle più sofisticate menti
“politiche” di Cosa Nostra – alla trasmissione di Giletti “Fantasmi di mafia”,
andata in onda su La7 il 5 novembre 2022: «Chi lo sa che
magari non arriva un regalino? Che magari presumiamo che Matteo Messina
Denaro sia molto malato e che faccia una trattativa lui stesso per consegnarsi
e fare un arresto clamoroso? E che così, arrestando lui, possa uscire qualcuno
che magari è all’ergastolo ostativo senza che ci sia clamore»? Baiardo,
insomma, a novembre dimostrava di essere già al corrente del precario stato di
salute del latitante (poi effettivamente morto di tumore nel settembre 2023),
sostenendo che il suo imminente arresto potesse costituire l’oggetto
dell’ennesimo do ut des sul binario di una trattativa ancora
in essere tra la mafia e apparati istituzionali. Alla domanda di Giletti su
quando sarebbe andata in scena la cattura di Matteo Messina Denaro,
Baiardo rispose facendo un chiaro riferimento all’arresto di Totò
Riina, avvenuto il 15 gennaio 1993: «Ci sono delle date che parlano». Messina
Denaro sarebbe stato arrestato poco più di due mesi dopo la “profezia” di
Baiardo, esattamente a 30 anni e un giorno di distanza dalla cattura di Riina”.
Le “menti
raffinate” della “trattativa tra mafia e apparati istituzionali” che si affaticano
per dare ragione a Salvatore Baiardo? Che apparati cretini che abbiamo!
Che la mafia, accolta di trucidi
assassini (lo Spatuzza pupillo di Firenze, ora teologo, ne ha operato di sua
mano più di un centinaio, quelli accertati), sia diventata in questi trent’anni
tema narrativo privilegiato dice l’imbarbarimento della politica in Italia – una
politica “giudiziaria”, sotto la ferula di Procure e Tribunali.
leuzzi@antiit.eu
Trump, un bravo ragazzo
Rivedendo il film doppiato, si ha più netta
l’impressione di un Trump giovane di belle speranze. Non urla e non ingombra.
Non beve, solo acqua. Vittima come il fratello maggiore dell’autoritario padre,
vero “tedesco”, che lo manda in giro a riscuotere affetti da anziani soli,
poveri, emarginati, ma non lo sfida - il fratello fa per questo il pilota d’aereo,
per farlo arrabbiare. Cioè sì, sfida il padre come tutti i giovani, ma senza
ripudiarlo, sul suo stesso terreno: farà l’immobiliarista in grande. Ma si porterà dietro, si indovina dalle sue incertezze, la nomea del parvenu, disprezzato dal grande capitale (ancora dopo la sua prima vittoria ale presidenziali, nel 2016, con Elon Musk in testa agli spregiatori). E si capisce, si giustifica, la sua speciale bipolarità, fra il linguaggio irruento, spicciativo, e la realpolitik - gli accordi di Abramo, un capolavoro, il dialogo col presidente Xi e con la Corea del Nord (il primo disgelo fra le due Coree, poi abbandonato), la stessa retorica dei controlli alle frontiere (negli ani di Obama le occupazioni meniali non davano da vivere, bisognava fare due e tre lavori ogni giorno).
Si rafforza anche il sottinteso antisemita:
l’avvocato che lo condurrà a mali passi, suo legale per dodici anni, dal 1973
al 1985, è ebreo e “pervertito”. Sarà radiato dall’ordine professionale pochi
mesi dopo la fine del rapporto con Trump, e subito dopo morirà di aids. Nel
film si dice famoso per aver “fatto condannare i Rosenberg” – collaboratore del
senatore McCarthy nei primi anni 1950, della “caccia ai comunisti”. Come dire
un opportunista, ebreo-mangia-ebrei. Il giovane Trump lo ricerca, perché il
governo federale minaccia di far fallire il padre, per irregolarità varie. Ingenuo
e innocente.
Ali Abbasi, The Apprentice, Sky
Cinema, Now
domenica 19 gennaio 2025
Cronache dell’altro mondo – economico-presidenziali (322)
Exit Biden senza
lustro – e senza onore (Afghanistan, perdono al figlio). Ma è il presidente che
più ha fatto per l’economia americana dopo Roosevelt: più spesa pubblica vi ha destinato,
più licenze di produzioni inquinanti ha concesso, e di più protezioni l’ha circondata,
contro la Cina e anche contro la Ue. Più del cattivissimo Trump – più di Trump
avendo forse anche bloccato o respinto immigrati alla frontiera con il Messico.
Ha dato all’economia
un impulso fortisssimo, e quattro anni di crescita sostenuta. Facendo aumentare
da solo, in quattro anni, di un terzo il debito pubblico.
Biden esce di
scena per l’età. Ma il suo partito, la candidata del suo partito, la sua
vice-presidente, ha perso al voto presidenziale sull’economia. E la disoccupazione è - era - al 4 per cento. Biden si è dimenticato di dare sostanza al reddito, cioè capacità di acquisto - farlo durare almeno a fine mese, mutui compresi. Ha arricchito i ricchi, il sistema produttivo certo, col debito, pagato da tutti, e più dai poveri.
Ombre - 755
Nella débâcle Stellantis
2024, crollo delle vendite del 10,8 per cento, solo il marchio Peugeot le ha incrementate.
Del 17 per cento, un record. Ci vuole poco per capire che la Fiat è stata venduta
a Peugeot. Crolla per converso la Fiat, uno stratosferico meno 40,2 per cento -
e Lancia, meno 77,7.
Dice: il mercato è
difficile. Ma tutti gli altri gruppi hanno incrementato, di poco e anche di molto,
vendite e profitti, Toyota, Renault, Volskwagen.
Contestando al ministro dell’Istruzione
il nuovo corso di studio alle medie, Gramellini fa di Marco Aurelio un autore
latino, mentre scriveva in greco. “Chiudersi peggiora le cose”, ammonisce il columnist,
“è aprirsi che le migliora”. Bisognerà aprirsi, nuovamente, al greco?
Sagra DC a tutto campo
attorno a Mario Maffucci, ex dirigente Rai: Pippo Baudo, Emmanuele Milano,
Biagio Agnes, Celentano, De Mita sempre divertito, Andreotti pure - col supporto
di Angelo Guglielmi “militante comunista”, e di Grillo, antisocialista. Sul
“Corriere della sera”. Cioè: la Repubblica sarà la Terza o la Quarta, ma è sempre
quella, indelebile.
Stefania Craxi che perde
mezza giornata ai Parioli, con vetrinette quotidiane sul “Corriere della sera-Roma”,
a promuover e il libro di Massimo Franco che insulta suo padre, “Il fantasma di
Hammamet. Perché l’ombra d Bettino Craxi incombe ancora sull’Italia”, risponderà
certo a un invito pressante dell’editore del libro, Urbano Cairo. Ma fa un
certo effetto - è più l’indigenza della politica, qui addirittura degli affetti
familiari, o il potere dei media? Nell’un caso e nell’altro Craxi è sepolto e
dimenticato – Borrelli e Di Pietro lo hanno proprio fatto fuori (“la politica? fidatevi”).
“Pensa che i centri per
migranti non funzioneranno mai?”. Risposta di Edi Rama: “Io penso che
funzioneranno, vediamo… Hanno già avuto un ruolo di deterrenza”. Lezione di
politica del presidente dell’Albania, “un ex giocatore di basket”, al
giornalismo italiano. Che però non ha capito. Non ha nemmeno cercato di farlo –
deterrenza, che dice?
L’Argentina paga il
debito in scadenza, non succedeva da quindici anni, cresce del 4 per cento, ha
ridotto l’inflazione dal 211 per cento annuo al 12, azzera il disavanzo di bilancio,
e taglia un migliaio di norme inutili. A opera di un presidente, Milei, anarco-capitalista,
di fatto di destra – in Europa ha solo interlocutori d destra. Anche in Argentina
è come in Europa e in America: sono le destre a occuparsi delle condizioni di
vita, di lavoro, di reddito, le sinistre si occupano di proteggere il “mercato”, con un contorno-bouquet di
“diritti”.
Le manifestazioni organizzate
a Bologna e Roma, con la scusa di Ramy, il ragazzo morto a Milano inseguito dalla
Polizia, ma di fatto contro Israele, contro le banche e contro il governo (“si cerca
l’incidente”, come dice il ministro dell’Interno), ripudiate dal Pd, ne
esprimono invece l’irresolutezza – l’“ambiguità”. La piazza va “governata” – no dal governo,
contro cui è naturale che si esprima, ma dalle opposizioni, sindacali e
politiche.
L’Afd a congresso per le
elezioni tra un mese, Alternative für Deutschland, mette in programma la
“remigrazione” (deportazione, di stranieri e di tedeschi non graditi), e
schiera 8 bandiere a destra e 8 a sinistra – “88” è il numero proibito, sta per
Heil Hitler, ottava lettera dell’alfabeto – con l’acclamazione “Alice für Deutschland”,
che si pronuncia come “alles für Deutschland”, la parola d’ordine delle SA, la
milizia armata che portò Hitler al potere (e poi ne fu decimata). C’è tutto, ma
non si vuole, assolutamente no, dire che il nazismo è vivo e vegeto in Germania
– e in Austria. A nostro modo, ma è sempre Deutschland über alles.
“Non sono i «nuovi mostri».
L’Afd non è più un partito di estremisti ai margini della società. È il partito
della borghesia radicalizzata. È la vicina di casa, è il medico di fiducia, è
l’insegnante di tuo figlio che in mezzo a ragionamenti di buon senso ti infila
una teoria complottista sull’America o ti spiega perché Putin ha le sue ragioni
e la Germania è sull’orlo del baratro e solo l’Afd la può salvare” (Tonia
Mastrobuoni, “la Repubblica”)
4 kWh in bolletta costano
61 euro. Sic. La metà va a trasporto e contatore (“lettura del contatore”, che
fatica), e agli “oneri di sistema”. Ma una buona metà, comprensiva di varie tasse,
va ai 4 kWh. Inutile protestare, è tutto regolare. L’Italia dei bassi redditi-salari
se la cavava con i bassi costi della vita. Ora il governo mette tasse ovunque e
lascia campo libero al mercato, anzi lo finanzia (“oneri di sistema”). Quale
mercato?
“Space X ha
effettuato oltre 130 lanci orbitali nel 2024 e punta a crescere a 180 nel 2025.
La Cina nel 2024 ha lanciato 68 volte, mentre l’Europa si è fermata a 3”,
Michele Arnese, “Start Magazine”. Space X cioè Elon Musk. Destra? Sinistra?
“Dagli striptease ai porno”, commovente ritratto
del “Corriere della sera” domenica scorsa della sexworker americana che
ha ricattato Trump: “345 film girati come protagonista, ne vanta anche 96 come
regista”. Infaticabile certo, commovente. Senza mai dire del ricatto. Anzi,
Trump è stato condannato da un giudice imparziale, “il vero giudice è il popolo”,
benché in carriera col partito Democratico, anti-Trump, e dalla “giuria popolare
all’unanimità”. Perbacco! Da leggere
https://www.corriere.it/esteri/25_gennaio_12/stormy-daniels-trump-chi-e-ca272b1d-ee29-486b-b9ba-8ccb1b0b1xlk.shtml
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Primo Levi e l’Europa che non può essere
Nello speciale del settimanale, venti pagine,
per la Giornata della Memoria, spicca una lettera che Primo Levi, liberato da Auschwitz,
indirizzava a Bianca Guidetti Serra a Torino da Katowice il 27 aprile 1945: in
poche righe il futuro scrittore ricostruisce un mondo, passato, presente e futuro.
Con la nozione dei “sopravvissuti”, di cui fa la lista completa: 5 su un convoglio
dei deportati da Fossoli di 600 persone. E con la “generosità senza pari di
Lorenzo Perrone, un muratore di Fossano che oltre a permettermi di comunicare con
i miei, mi ha portato quasi quotidianamente, per 6 mesi, il cibo che detraeva
dalla sua misera razione” – a sprezzo dela vita: “comunicare con Perrore era,
per me e per lui, un grave rischio”. E con i “sotterfugi per sopravvivere”.
Con la stranezza di un pacco viveri spedito
dall’amica torinese che era in qualche modo arrivato ed era stato consegnato ad
Auschwitz – nella meticolosità dello sterminio si poteva: Guidetti Serra, coetanea
e compagna di escursioni in montagna di Primo Levi e della sorella Anna Maria,
non era ebrea.
Di questo dà conto e spiegazione Domenico Scarpa
nella estesa presentazione della lettera. Nel quadro della mostra “Giro di
posta. Primo Levi, le Germanie, l’Europa” che si apre giovedì a Torino. Un’Europa
che Primo Levi (alla voce “Potassio”, in “Il sistema periodico”) si disegnava
con i coetanei ebrei quando la guerra era perduta: “Nel gennaio del 1941 le
sorti dell’Europa e del mondo sembravano segnate. Solo qualche illuso poteva
pensare che la Germania non avrebbe vinto”. Ma per ciò stesso nasceva l’idea
della Resistenza, che bisognava opporsi - reagire al governo, a Mussolini, al
fascismo. Per “restituire l’Italia all’Europa”. E questa fu la preoccupazione
costante di Primo Levi llibero, mentre girogavava nel tortuoso percorso del rientro.
Un’Europa che si è ridotta ora, imbelle, alla lacerazione e all’eclisse. “Primo
Levi”, può scrivere Scarpa, “sarà tra i pochi la cui idea di Europa comprende
anche i paesi dell’Est, a cominciare dalla Russia”. Comprendeva nella “guerra fredda”,
con tutta la “cortina di ferro”. Che si pensava il massimo dell’antagonismo, ma
l’“Occidente” aveva in serbo altre sorprese per l’Europa – compresi molti willing
executioner europei.
Domenico Scarpa (a cura di), Primo Levi,
un’altra Europa, “La Lettura” € 1
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