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sabato 1 febbraio 2025

Letture - 569

letterautore

A memoria
– “Della ‘Divina Commedia’ conosco gran parte dei canti a memoria”, dice lo scultore Di Stefano, infanzia contadina in Abruzzo, a San Giovanni di Cagnano Amiterno,”a una quindicina di chilometri dal Gran Sasso”. E nota: “Sarà un retaggio contadino”.
La poesia è orale.
 
Convergenze parallele
- Così fu detto il primo centro-sinistra “organico”, 1963, fra la Democrazia Cristiana e il partito Socialista, con i socialisti cioè al governo, non più soltanto sostenitori in Parlamento La locuzione ironica è di Eugenio Scalfari, e non di Aldo Moro come comunemente si crede – per un centro-sinistra cioè che Moro aveva preteso di presiedere in qualità di “garante per la destra” del suo partito, che non ne voleva sapere - Aldo Cazzullo, “Craxi, l’ultimo vero politico”, p. 98.
 
Europa – “L’Europa è in uno stato deplorevole. L’insaziabile desiderio di infinito, che è anche il cuore della poesia, è stato sostituito da un volgare tentativo di battere l’altro per ottenere un piccolo beneficio”, Michae1 Krüger, il poeta tedesco, nella prolusione in qualità di vincitore del premio Nonino. L’infinito o immensità, di Ungaretti che lo stregò ragazzo, e il mercantilismo di cui l’Europa s’infarina – ma è l’Europa franco-tedesca, più tedesca che francese.
 
Foscolo – Dimenticato “figlio della rivoluzione”, quale si voleva, della rivoluzione italiana. Carlo Emilio Gadda non ne aveva buona opinione, del “basetta Foscolo”, di cui fa ripetutamente oggetto di vituperio, e specie in “ Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo”. Foscolo gli è antipatico, dice in una finta intervista con il “Radiocorriere Tv”, perché è “un campione del distillato spirito” dell’autore, di se stesso, “delle sue ragioni e dei suoi umori”. Gadda si voleva indisposto dalla “lindura faraonizzata” del poeta dei “Sepolcri”, come in genere dalla “poesia dei Vati”, 
 
Frammento – Depreca Aldo Gasso, a proposito del racconto sportivo per highlight, che ne sia rimasto vittima il “riassunto” dei cronisti. Con una falsa narrazione: “È un montaggio di frammenti, secondo una logica di scrittura che ha fatto del frammento la sua unità di significato”. Con un esito falsato: “Attraverso gli highlight ogni partita sembra spumeggiane, anche se è stata noiosa”. Non solo: “Attraverso gli highlight non si capisce come gioca una squadra”.
Ma è un frammento d’immagine, è qui l’inganno. È come con la Var, che s’impunta su falli, eventi, inciampi che non ci sono, un rimbalzo, un urto, l’ombra di un dito fuorigioco. Il frammento in sé ha un potere evocativo, narrativo: teorizzato da Philippe Sollers negli anni 1970-1980 con la sua rivista “Tel Quel”, titolo alla Valéry, praticato in italiano da scrittori sensibili, Alberto Santacroce, Jacqueline Risset, “la ragazza ‘Tel Quel’ che sapeva Dante”, Antonella Santacroce in francese su “Chimères”, la rivista di Deleuze e Guattari, et al.  
 
Erminia Fuà – Rodigina, è la promotrice delle fortune letterarie di Ippolito Nievo: è lei che si è presa cura delle “Confessioni di un Italiano”, impegnandosi a lungo per la pubblicazione e la valorizzazione del romanzo. Non visse molto, poco più di quarant’anni, 1834-1876, ma fu patriota, attiva e nota, poetessa, e riformatrice dell’istruzione femminile, al ministero e al Magistero, oltre che “creatrice” di Nievo scrittore. Sposa a 22 anni di Arnaldo Fusinato, poeta affermato, vedovo, ma di 17 anni più vecchio, contro la volontà della famiglia. Del padre, contrario per la differenza d’età, e di religione – in realtà di etnia: ebrea lei, benché di famiglia non religiosa, cattolico Fusinato. Gli zii paterni però la sostennero, e presso uno di essi, a Venezia, si rifugiò per celebrare il matrimonio in chiesa. Con “viaggio di nozze” nella tenuta friulana di Nievo, amico del marito.
Dieci anni dopo il matrimonio si trasferì col marito a Firenze, la nuova capitale, dove tenne salotto frequentato, di patrioti e scrittori, Carducci, Tommaseo, Capponi, Mamiani. Fu ispettrice delle scuole femminili, e dal 1872 professore di Morale a Magistero a Roma. Alla morte di Nievo, nel 1861, si era assunta l’impegno di pubblicare le “Confessioni di un Italiano”. Ci riuscì nel 1867, dopo sei tentativi inutili. Il romanzo fu pubblicato da Le Monnier – che cambiò il titolo in “Confessioni d’un ottuagenario”, perché il pubblico non sospettasse una “pappolata politica” (già allora il patriottismo era indigesto?). In due volumi, curati dalla stessa Fuà. Il titolo originario sarà restaurato solo nel 1931, in un’edizione filologica, più o meno, curata dal linguista Ferdinando Palazzi.  
 
Linguaggio - “Il linguaggio è, di tutti gli edifici, il più solido e il più antico castello fiabesco, con i suoi labirinti e le sue oubliettes, i suoi osservatori e i suoi saloni, le cui alte finestre danno su vasti paesaggi di storia e di preistoria” - Ernst Jünger, preambolo a “Linguaggio e anatomia”, 1949 (ora in “Il contemplatore solitario”).
 
Risorgimento – “Il viaggio intorno al Risorgimento parte da lontano e da un romanzo che racconta una rivoluzione mancata o, piuttosto, una rivoluzione tradita. Questo romanzo è ‘Le ultime lettere di Jacopo Ortis’, scritto da un autore che poteva definire se stesso «figlio della rivoluzione»” - Matteo Palumbo, intr. a I.Nievo, “Trecento giorni con il Generale”.
 
Scrittura – “La scrittura come una gelosia del reale”, adombra Annie Ernaux gelosa, in “L’occupation”.
 
O anche: “Scrivere è anzitutto non essere visti” – in deshabillé, con i brufoli, nell’incertezza.
 
Torino – È l’“unica città dell’adolescenza” per Carlo Levi, “L’orologio”, ricordando Pavese.
 
“Città della fantasticheria, per la sua aristocratica compiutezza composta di elementi nuovi e antichi; città della regola, per l’assenza assoluta di stonature nel materiale e nello spirituale; città della passione, per la sua benevola propizietà agli ozi; città dell’ironia, per il suo buon gusto nella vita; città esemplare, per la sua pacatezza ricca di tumulto. Città vergine in arte, come quella che ha già visto altri fare l’amore e, di suo, non ha tollerato sinora che carezze, ma è pronta ormai se trova l’uomo, a fare il passo. Città infine, dove sono nato spiritualmente, arrivando di fuori: mia amante e non madre né sorella. E molti altri sono con lei in questo rapporto. Non le può mancare una civiltà, ed io faccio parte di una schiera. Le condizioni ci sono tutte.” Cesare Pavese, una delle prime annotazioni del diario, “Il mestiere di vivere”, 17 gennaio 1935.
 
Wagenbach – Il poeta Michael Krüger, premio Nonino, celebra nella prolusione Ungaretti, che diciottenne lo introdusse alla poesia, col celebre distico “M’illumino\ d’immenso”, e Klaus Wagenbach, “a quel tempo un editore molto di sinistra”, che lo introdusse all’editoria. Insieme cofondarono e diressero la rivista “Tintenfisch”, calamaro, “per proteggere l’idea di letteratura dalla supremazia politica e ideologica che a quei tempi era dominante”, anzi 1970-1980.  Wagenbach, gande editore tedesco molto italianista, di doleva, alla Fiera del Libro a Torino nel 1992, che non ci fosse più “letteratura italiana”: “Si pubblicano solo giornalisti”. Il che non è più vero: si pubblicano anche le scuole di scrittura - dipende dall’impegno, da quanto si investe nei professori-agenti.

letterautore@antit.eu

Germania record, per assenze malattia

È tedesco il record dei lavoratori in malattia, certificano “Handelsblatt”, il “Sole 24 Ore” tedesco e l’“Economist”, fra tutte le economie europee. In media per 15 giorni l’anno – contro una media europea di 8 giorni (in Italia di 10).
Il calcolo è stato fatto dal ceo di Allianz, la maggiore assicurazione privata, Oliver Bäte, che ha proposto come rimedio l’introduzione del “giorno di attesa”, un primo giorno non pagato di assenza per malattia – “consentirebbe di risparmiare 40 miliardi”. Ma il “giorno di attesa”, adottato variamente in Scandinavia e poi dismesso, è a rischio incostituzionalità (è ora in uso in Gran Bretagna, dove i “giorni di attesa” sono addirittura tre, che però il governo laburista ha promesso di abolire).
È vero, spiega l’“Economist”, che la Germania è stata “campione mondiale dei diritti dei lavoratori alla salute, a opera del cancelliere Bismarck, già dal 1883 - in realtà in forza della crescente diffusione del “socialismo della cattedra” tedesco. Ma ora si pone il quesito: la protezione legale induce la malattia al lavoro? L’IW di Colonia, Institut der deutschen Wirtschaft, un organismo di ricerca privato, calcola che il costo per i datori di lavoro delle assenze per malattia è aumentato da 36,9 a 76,7 miliardi tra il 2010 e il 2023.
In Germania i lavoratori in malattia ricevono il 100 per cento della paga dal primo giorno per sei settimane.

A nozze con Goldoni e Haydn, sulla luna

A un Buonafede che ha in casa due figlie da marito e una serva padrona piacente si fa credere che possa trovarsi telescopicamente sulla luna, grazie a un elisir speciale – che lo addormenta. Al risveglio la scena è cambiata, e un Imperatore della Luna lo porta a consentire ai matrimoni delle figlie, e della serva piacente, senza pretese e senza riserve. Una commediola semplice e riuscita di Goldoni, 1750 – lo stesso anno della “Bottega del  caffè”. Piena di scherzi, e di arie cantabili. 
Un caso di “opera buffa” – “opera giocosa” è la denominazione ufficiale – prodroma di Rossini, dei tanti maneggi che animano le sue opere. Eccezionale anche perché un caso eccezionalmente riuscito per la musica germanica – prima di Mozart. E di repertorio in Austria e Germania. Mentre in Italia, malgrado il successo della commedia a Venezia (fu musicata, prima e dopo Haydn, 1777, da una pletora di musicisti, Galuppi, Paisiello e il portoghese Avondano, e poi di nuovo Paisiello, Gennaro Astarita, Michele Neri Bondì, e l’altro portoghese Marcos Antonio Portugal), rimane ignota – anche in clima di “made in Italy”, strombazzato per ogni pomodoro o fazzolettino venduto. È stata esumata da Giulini nel 1950, ma per l’Holland Festival, con ripresa qualche mese dopo, stagione estiva, a Aix-en-Provence – con  un cast di tutto rispetto: Luigi Alva, Michel Hamel e Mariella Adani. Ripresa in questa edizione nel 1980, a Benevento, a un Festival Fantascientifico che si teneva nella “città delle streghe”. Di cui la Rai ha il merito di tenere ora viva la memoria.
Con una messinscena tanto ridotta, da teatro da camera, e semplice quanto riuscita, di Ugo Gregoretti. E con un cast di qualità: la mezzosoprano Benedetta Pecchioli nel ruolo di Lisetta, la serva padrona, il tenore Ugo Benelli nel ruolo principale, l’astronomo per beffa Eclìttico, e la soprano Carmen Lavani in quello di Clarice, la figlia intraprendente del beffato Buonafede – nomen omen.
Joseph Haydn, Il mondo della luna, Rai 5, Raiplay

venerdì 31 gennaio 2025

La disfida dei giudici - cicli storici

“Craxi coltiva rapporti difficili con i magistrati di Milano. Sul caso Tobagi (l’assassinio di Walter Tobagi, giornalista del “Corriere della sera”, a opera di giovani dabbene della borghesia milanese in veste di brigatisti, presto mandati liberi, n.d.r.) attacca duramente la procura, tanto che nel dicembre 1985 il presidente della Repubblica Cossiga vieterà al Csm di discutere la mozione di censura contro Craxi, allora primo ministro (in realtà presidente del consiglio, n.d.r.). Non è ancora il Cossiga picconatore, anzi, si muove con stile e linguaggi prudenti. Eppure minaccia di presentarsi personalmente alla riunione e fa schierare un battaglione di carabinieri in assetto antisommossa nei pressi di Palazzo dei Marescialli, sede del Csm, pronti a intervenire – almeno secondo Cossiga - nel caso in cui la mozione sia discussa. Nessuno osa correre il rischio” (Aldo Cazzullo, “Craxi, l’ultimo vero politico”, p. 159).
Non sembra oggi, Lo Voi vs. Meloni? Per i week-end negati al giudice in aereo di Stato o per altri reconditi motivi?
Ora la mozione viene presentata contro Lo Voi. Manderà Mattarella i carabinieri antisommossa? Fose non è una cosa seria, neanche il Csm.
La cosa che indignava Craxi era che quelli della XXVIII Marzo, così i terroristi si facevano chiamare, Paolo Morandini, Mario Marano, Francesco Giordano, Daniele Laus, Manfredi Di Stefano, furono liberati presto, e il capo e ideatore Marco Barbone anzi subito perché si “pentì” - con il plauso del procuratore e pubblico ministero Armando Spataro.

Cronache dell’altro mondo – sburocratiche (323)

Gli americani passano due miliardi di ore l’anno (83 milioni 333 mila 333 giorni) in pratiche burocratiche federali, cioè del governo degli Stati Uniti – in aggiunta alle pratiche statali. Trump promette di tagliare queste pratiche, e potrebbe avere ragione.
Ma non è solo Trump: in tutto il mondo, India, Argentina, perfino in Cina, “una rivoluzione anti-burocratica sta prendendo piede”.
Se ben fatta la deregulation potrebbe avviare un nuovo ciclo di rilancio delle economie mondiali.  Dopo la crescita abnorme, ora in sofferenza, dovuta alla globalizzazione.
(“The Economist”, “The revolt against regulations”)

La scoperta di Craxi

Un’agiografia. Da miscredente – antipatizzante: “Sono uno dei tanti italiani a cui Craxi, quando era Craxi, non piaceva” è l’attacco. Ma subito poi, con Cazzullo giovane cronista alla “Stampa”, con i giornalisti in genere, Craxi si ricorda “molto gentile” - il gerarca in stivaloni di Forattini, il “cinghialone” di Feltri (Vittorio).
Un volume grande, di grafica curata, lussuosa, cartonato bianco immacolato, ripieno di foto di Craxi, anche magro e con i capelli, sorridente e attento per lo più e non spavaldo, già dalla copertina, e una bio-carrellata da cronista, di semplice dati ed eventi. Ma curiosamente attendibile, a ogni riscontro. E problematica, articolata com’è sulla conclusione che poi confluisce nel titolo, polemica benché piana: di questi uomini non ce n’è più, l’Italia non li nutre e non se li merita – o non sarà l’Italia che scrive?
Un monumento editoriale - un tributo, affettuoso, generoso. Apprezzabile anche perché è il solo in circolazione. Il libraio, che attorno al “Cazzullo che riempie le librerie” apre uno scaffale Craxi, non riesce a mettere assieme più di quattro titoli oltre questo - di cui solo due di qualche consistenza, Massimo Franco e Fabio Martini (“Controvento. La vera storia di Bettino Craxi”), di cui il primo, “Il fantasma di Hammamet”, di trent’anni fa, è l’ennesima damnatio memoriae appena camuffata, il settarismo non è morto. Ma il richiamo maggiore è probabilmente che la ricostruzione di Cazzullo su cui il volume si regge è piena di verità. Una rarità in Italia, dove la storia politica, non solo della Repubblica ma anche del fascismo, e anzi del Risorgimento, è impossibile – politica è sinonimo di faziosità.
“I racconti e le immagini” è il sottotitolo. Il libro si avvale di una ricchissima documentazione fotografica, di Craxi giovane agitprop socialista scaricato nelle periferie, del dignitosissimo padre, una sorta di nobiluomo siculo in missione a Milano, di cui è stato vice-prefetto alla Liberazione, dei familiari, e non sfigura nemmeno di fronte al santino Berlinguer. Poco è preso da Craxi al governo, la parte comunque che la damnatio non è riuscita a elidere: l’inflazione ridotta dal 25 al 3 per cento, il referendum contro la scala mobile, l’Italia quinta economia mondiale, prima della Gran Bretagna, una politica atlantica ma anche socialista, contro gli avventurismi americani - in piazza contro la guerra in Vietnam, in piazza e con Nenni contro i colonnelli in Grecia, a Santiago del Cile all'abbattimento di Allende, e poi a Sigonella, e contro l
’assassinio di Gheddafi.  

Un racconto lusinghiero, per un approccio non più settario. Partendo dalla fine, ingloriosa, in Tunisia – non gli fu consentito di farsi operare in Italia. L’inizio della fine Cazzullo pone nel passo falso di Craxi al referendum del 9 giugno 1991 sulla preferenza unica. Lui invita a non votare, Dc e Pci invece mobilitano gli elettori, e quasi il 100 per cento, fra astenuti e favorevoli, gli vota contro.  Cazzullo lo rimprovera: “Alla fine di giugno, Craxi celebra il congresso a Bari. Fa molto caldo, la camicia madida di sudore lascia intravedere la canotta, e non è un bell’intravedere”.
Anche il giudizio politico comincia a prendere forma, dal vero invece che dalla narrazione tuttora granitica, post-comunista. Cazzullo non prende posizione, malgrado il titolo. Il suo punto di vista argomenta con quelli degli altri, di chi ha preso parte ai vari eventi, per come li ricorda o ricostruisce, o preferisce presentarli. Ma con evidente giudizio critico, nel taglio e nel montaggio degli stessi ricordi. Per una volta, merito non minore e forse anticipatore, ridimensionando il ruolo e il potere del Pci - e giustamente, da troppo tempo ruota di scorta della Dc, e non della migliore (uno guarda all’eredità romana, al Pd della capitale, e trasecola, tale è l’ammasso, non sbrogliabile, di arraffoni).
Il resto, evidentemente, si ridimensiona. Non solo il non nominato Francesco Saverio Borrelli, andreottiano terribilista a Milano. Ma anche un Michele Serra, che si acquisì l’agognata ascesa da moralista triste a “la Repubblica” con la prima pagina del suo “Cuore”, “un gigantesco fotomontaggio di Craxi dietro le sbarre con il titolo Pensiero stupendo, e un fotomontaggio più piccolo del figlio, sempre in carcere, con il titolo Pensierino stupendino”.

A conclusione Cazzullo si concede una considerazione: lItalia è perduta, si è perduta. Non vota, non fa figli, e lavora anche poco. Il che è vero ma non è la fine: lItalia purtroppo non è stata e non sa essere altro. Con un dubbio, però, riguardante i Cazzullo, i suoi  giornalisti (che sgomentano i corrispondenti esteri), anche quelli colti e bene intenzionati: lItalia è peggio o meglio della sua stampa, della sua immagine?

Craxi l’antipatizzante, per essere socialista soprattutto, quindi inviso a nove italiani su dieci - e soprattutto ai direttori e padroni di giornali, a cui il buongoverno è inviso, “se non c’è crisi non si vende” - sapeva di politica, sapeva di libertà e buongoverno. Un solo errore fece, Cazzullo ci rimediti, e fu di attenersi all’ordine delle cose, ad Arnaldo Forlani segretario della Dc invece che ad Andreotti, nella fatale elezione presidenziale del 1992, e l’ha pagata caro, carissimo. L’inizio del suo racconto, del resto, è sintomatico: il 23 ottobre 1999 “la quinta sezione penale del tribunale di Palermo, dopo una camera di consiglio durata undici giorni, assolse Andreotti Giulio dall’accusa infamante di aver favorito la mafia”, e come no, quando mai, il 24 Craxi fu ricoverato all’ospedale di Tunisi per morirvi. L’ultima beffa del sardonico Giulio – con gargantuesca camera di consiglio a Roma, e a Milano un Pulcinella tenuto fermo sul no.  

Con una “cronologia essenziale”, ma ragionata. E con un ricordo di Gianni Pennacchi.
Aldo Cazzullo, Craxi, l’ultimo vero politico, Rizzoli, pp. 279, ril., €25

giovedì 30 gennaio 2025

Se la Germania va a destra

A Berlino la Cdu\Csu ha voluto la legge restrittiva dell’immigrazione subito, in campagna elettorale – una legge che avrebbe dovuto - e potuto, senza danno emergente - essere votata dal Bundestag che sarà eletto fra quattro settimane. È la conferma che lo sposatmento a destra è nei sondaggi una frana. E questo è il timore maggiore da sempre dei Popolari (Democristiani): recuperare l’opinione moderata e reazionaria, tenerla sotto controllo.
Ma non c’è solo l’immigrazione. Se la guerra continuerà, la Germania che uscirà dal voto difficilmente continuerà a sostenere l’Ucraina. Buona parte della Germania non sente ostile la Russia, e non apprezza l’Ucraina – il sostegno all’Ucraina si estingue con i Verdi, condizionanti nel govern dimissionario ma ora a rischio 5 per cento, soglia di accesso al Bundestag - e non potrà contare sui socialdemocratici, col cancelliere uscente Scholz o con altro leader.
La transizione green, infine, subirà un arresto. La Germania sperimenta per la prima volta il caro energia, e questo è forse il fattore che più sposta l’opinione a destra: non più contro la Russia, se non a favore della Russia (che forniva il gas a buon mercato, in sostituzione del carbone e del nucleare), e ritorno al carbone e al nucleare. L’elevato costo dell’energia è anche ritenuto il fattore maggiore della crisi industriale – di vendite interne (a causa del minore potere d’acquisto per effetto dell’inflazione implicita) e di esportazioni (per la diminuita competitività).
Su questi presupposti, il voto in Germania fra tre settimane sancirà lo spostamento a destra dell’elettorato del Centro Europa, dopo l’Italia, l’Olanda, la Francia, l’Austria.

Se l’Europa va a destra a causa degli immigrati

Il maggior fattore di crescita delle destre in Europa, in tutti i sondaggi, è l’immigrazione illegale. Ma non per razzismo, ovunque più o meno screditato, ma perché questa immigrazione impatta sul sociale – sull’economia dei meno abbienti. Nella parte tedescofona, estesa alla Scandinavia, Finlandia compresa. Per prevenire questa deriva l’Austria aveva adottato nel dopoguerra, fino agli anni 1970, benché necessitasse si braccia, la crescita zero.  
In Italia l’immigrazione è un problema limitato: all’accoglienza, e all’esercizio del primo controllo di validità dei diritti dell’immigrato, come frontiera Schengen, avamposto di tutta l’Europa. Nei paesi “tedescofoni”, in Germania e Austria, e anche in Olanda, Belgio, Danimarca, Svezia, le leggi privilegiano l’immigrato. Che ha diritto, oltre che alle cure sanitarie e all’istruzione, anche all’abitazione e ai sussidi sociali (che per molti immigrati sono più che un salario). Specie se immigrati con diritto d’asilo, in teoria accertato dalla burocrazia dell’Italia, il paese di primo accesso - cioè, si ritiene, con superficialità.
Questi i fondamentali della spinta anti-immigrazione. Con l’aggravante della piccola malvivenza, prostituzione e spaccio. E dell’islamismo militante, in Germania e in Francia – episodi da qualche tempo, cioè atti isolati, ma maturati, si ritiene, in ambienti di immigrati, senza “controllo sociale”, senza cioè che nessuno si premuri di mettere in guardia.

E adesso povero Elkann 4– bastonato ma esentasse

Non esiste nel calcio una squadra che prende gol su rilancio del portiere avversario. Nella Juventus di John Elkann sì. Dopo aver silurato il manager Marotta, che vinceva tutto – e fa ora lo stesso all’Inter. Dopo aver silurato il cugino Agnelli. Dopo aver silurato l’allenatore che gli salvava la faccia. Ora, questo non è un problema – di calcio non muore nessuno. Ma con la Fiat sì – e prossimamente con la Ferrari? La produzione industriale è in crisi da due anni a causa sua.
Si potrebbe anche pensare che Elkann porti scalogna, per primo a se stesso. Ma è anche un Grande Editore, e quindi non si dice. A “Sky Sport Calcio”, per esempio ieri, dopo il ridicolo del match col Benfica, i giornalisti non ridono, sono anzi rispettosi, come avessero assistito a un vero match (solo il pensionato Capello si arrischia a dire quello che si era visto: una squadra balorda, di sei-sette calciatori - su dieci, il portiere era un portiere - in ruoli non loro, l’attaccante che fa il terzino, e viceversa, il mancino a destra, il mediano all’attacco, e tutti li a passarsi il pallone rimuginando  “adesso che facci
o? che ha detto il mister di fare? che è tanto vendicativo e se sbaglio non mi fa più giocare).

P. S. - È strano questo fatto, che i Grandi Editori di sinistra, del partito Democratico, siano evasori fiscali. Non propriamente, sono residenti estero, Elkann in Olanda e Debenedetti in Svizzera. Ma sempre e solo – tutt’e due sono sempre in Italia - a fini fiscali, per non pagare le tasse in Italia. Si potrebbe pensare che lo abbiano fatto per dispetto contro Meloni, la nazionalista – un atto di “disobbedienza civile “ (H. Arendt). Ma loro si sono fatti esentasse da tempo.
P.S. bis - Il terzo Grande Editore sponsor Pd, Urbano Cairo, invece risulta ancora italiano, ma siamo sicuri? La concorrenza è falsata.

Un tributo all’arcilombardoveneto liberatore

“Rivoluzione in Sicilia non ce n’era mai stata”, alla cugina Bice già il 24 giugno 1860. Alla “conquista” di Palermo “i Picciotti fuggivano d’ogni banda”. In città vuoto e silenzio: “Dentro pare una città di morti; non altra rivoluzione, che sul tardi qualche scampanio”, sempre il 24 giugno. Le illusioni rivoluzionarie dei Mille erano svanite presto. Anzi, già il 24 giugno c’era la fila, alla porta del giovane Nievo, incaricato dell’Intendenza: “Tutti mi fanno la corte per suppliche raccomandazioni ed impeighi – principi e principesse, Duchi e Duchesse a palate agognano 20 ducati 12 al mese di salario”.
La disillusione è una costante. Lieve, scherzosa, tra monache salottiere e burbe “napolitane” altezzose in perpetua resa, e di un giovane rivoluzionario patriota che semrpe ci crede, alla rivoluzione nazionale, ma allora tanto più imparziale. “I Siciliani sono tutti femmine; hanno la passione del tumulto e della comparsa: e i disagi e i peprcoli li trovano assai meno pronti delle parate e delle feste (alla madre, già l’1luglio)….Tutta la rivoluzione era concentrata nelle bande campagnuole chiamate qui squadre e composte per la maggior parte di briganti emeriti che fanno la guerra al governo per poterla fare ai proprietari (ib.). “Qui si vive in pieno Seicento, col barocchismo, le raffinatezze e l’ignoranza di allora. – Tanto è vero che adesso noi dobbiamo farla da carabinieri contro i nostri alleati di adesso (già il 24 giugno, alla cugina Bice). “Saprai novelle della cosidetta rivoluzione di Sicilia e che fu tutto merito nostro che le abbiamo creduto, e l’abbiamo suscitata o per meglio dire fatta da noi soli! Figurati, con tali precedenze, se sul futuro si può ragionare! Chiudiamo gli occhi, vogliamoci bene, e tanto basta per ora” (ib.). “In confidenza (alla madre, il 15 luglio) che gente questi Siciliani! Venziani più flosci, più falsi e senza una gran dose di coraggio!”.
Una sorpresa, un regalo, questo volume, messo assieme da Antonio Vaccaro, lo studioso dei venosini, Orazio, Gesualdo, ma appassionato di Garibaldi. Una collazione delle lettere che Ippolito Nievo, scrittore allora praticamente incognito, inviò da Quaeto, dal 5 maggio 1860, alla vigilia dela morte per naufragio, a 29 anni, da Palermo il 23 febbraio 1861. Le più, e le più dettagliate, alla cugina Bice Melzi Gobbio, e alla madre Adele Marin. Con molte foto che valgono un racconto, di Nievo, di Bice, della madre, di dame varie e patrioti, navi a vapore e documenti.

Un Nievo sempre equanime. Malgardo le delusioni e le fatiche. All’entrata in Palermo “figurati che sorpresa per noi straccioni!”, sempre alla prima lettera, alla cugina Bice il 24 giugno: “Io era vestito come quando partitti da Milano; mostrava fuori dai calzoni quello che comunemente non si osa mostrar mai al pubblico”. “Questo Walz saltato che si chiama la guerra della Rivoluzione italiana”, scriverà verso la fine a Bice, il 19 novembre. E ha giudizi premonitori su Crispi e altri siciliani, e piuttosto duri su Cavour e la sua politica dei pesi e le misure. Senza perdere il buonumore. Possiede infine a Palermo, Intendente, “una spada coll’impugnatura d’oro (in confidenza è ottone dorato) che fa gola a tutti questi ladroncelli Siciliani, i Principi e le Principesse” – alla prima lettera alla cugina. Ma non ci sta male: “Per un tarì si sta in carrozza un’ora intiera; noi siamo sempre in carrozza: per un carlino si piglia una libbra di pezzo duro; noi pigliamo pezzi duri tutto il giorno; con un paio di reverenze si entra nei parlatori a chiacchierare con le monache, noi siamo tutti i dopo pranzi a far visita alle monache”, dispensatrici di gelati e cassate – “ho conosciuto una certa suor Agostina che è terribile per far la Crema al fico d’India. Ce ne fa mangiare anche dopo pranzo tanto è buona”.
Questo Nievo è protagonista di uno dei primi racconti di Sciascia, “Il quarantotto”, pubblicato recentemente, postumo.
Con una breve, sobria, presentazione di Matteo Palumbo, l’italianista della Federico II. E una copiosa appendice: un “Giornale della spedizione di Sicilia”, dal 5 al 28 maggio, un corredo di notte dettagliate alle lettere, un indice dei destinatari, uno dei nomi e dei luoghi, e una dettagliata cronologia nieviana. Senza leghismi di ritorno: un tribito “napoletano”, di un “vinto”, all’arciveneto-lombardo “liberatore”,
Ippolito Nievo, Trecento giorni con il Generale
, Osanna, pp. 243, ill. € 20

mercoledì 29 gennaio 2025

Ombre - 757

Trump insiste: i Palestinesi in qualche deserto, c’è tanto spazio. Lui non è razzista, è solo amico di Netanyahu: gli voleva dare Gerusalemme, e insiste, ora anche la Cisgiordania e Gaza. E nemmeno per cattiveria, ha un sogno: fare di Gaza un grande resort, con palme, e campi da golf vista mare. Non si può dire che non sia geniale. Ed è anche il presidente dell’America. E poi ha sempre ragione: ci sono altre idee?
 
Meloni e “i suoi cari”, ben scelti: Nordio, Piantedosi e Mantovano - Lo Voi conosce i polli. Su denuncia di Li Gotti. Niente processo, per carità, q.b. per alimentare i media. Lo Voi è un Dc ma non è stupido: un po’ di destra un po’ di sinistra, un po’ Berlusconi un po’ Prodi (per avere Roma Prodi) - come Li Gotti, il denunciante. Sovversivi? Chi lo dice? Giustamente il gatto e la volpe si difendono.
 
Il Procuratore Lo Voi non rischia nulla – al più una chiamata del papa a dirigere il Vaticano, dovesse il suo predecessore Pignatone, ora indagato, finire male. E aggiunge beffardo a penna alla lettera-formulario a Meloni: “Porgo distinti ossequi”. Appena aperta la lettera, poche ore 
prima che i ministri Piantedosi e Nordio riferissero in Parlamento: il tempo di protocollarla e via - il Procuatore sembra placido ma va veloce. Capo a Roma da tre anni, andava a casa a Palermo per il week-end con l’aereo di Stato, “motivi di sicurezza”. Ogni futuro teorico del potere, dopo Machiavelli, Hobbes, Spinoza, Max Weber, Passerin d’Entrèves, Simmel, Bertrand Russell, e ora Marramao, ne terrà conto.

 
Tremonti, a proposito del suo nuovo libro, “Guerra o pace”, spiega: “Nel 1992 si scrisse il Trattato di Maastricht: 1,2 milioni di pagine della Gazzetta Ufficiale”. Allora si capisce, l’Europa accasciata.
 
Uno guarda Conte blaterare in tv e riflette: ma questo è stato capo del governo, di ben due governi, per tre anni. Che raccontava a Mattarella, che sembra persona sobria, quando doveva formare i governi? È pure professore di Diritto.
 
L’America si prende (“nazionalizza”) la ricchissima TikTok con la scusa che è cinese, e quindi all’orecchio del Pcc, il partito Comunista cinese. Mentre è controllata dai fondi americani. Che evidentemente vogliono vendere a premio, quindi non obiettano.
Si nazionalizza per modo di dire, a vantaggio di un privatissimo riccastro americano. E niente: non solo non si obietta, nemmeno si dice. Come se fosse normale per un governo prendersi un’azienda solo perché florida, con la scusa della sicurezza nazionale, e darla ai propri sostenitori. Questo è il “mercato”, e l’“Occidente”: le mani in pasta.
 
Folle di giovani giudici, per lo più donne, sventolano costituzioni appositamente stampate per lo sventolio in formato A 4, ma tristemente. Poi sono andati a votare per il sindacato, e hanno votato destra: 599 nuovi votanti, 765 voti in più per la destra, con due di destra i più votati.
Voto che i media dicono un successo delle sinistre.
 
Sinner “travolto dallo scandalo”, in finale con Zverev “all’ombra del doping”. Vittoria di Sinner il giorno dopo al “retrogusto di doping”. Sono i titoli della “Bild Zeitung”, cinque milioni di copie. Si sottovaluta la Germania, come se fosse sempre quella di Bonn, coi russi in casa. Sono ormai trent’anni che è la Germania di sempre.
Forse si capisce anche perché la Wada abbia deferito Sinner - certo, è meno grave che la crisi del debito 2011, ma l’animus è lo stesso.
 
E Zverev è tedesco per modo di dire, è nato ad Amburgo da tennisti russi, immigrati recenti, dopo la caduta dell’Urss. Suo padre, di cui porta il nome per immortalare la dinastia, era nazionale russo, ancorché mediocre, in coppa Davis nel 1979 e alle Universiadi nel 1983.
Resta da rivendicare Sinner, che è pur sempre tirolese, seppure del Sud.
 
È cauta la Prima Presidente della Cassazione Cassano alla cerimonia per l’anno giudiziario. C’era Mattarella, e Autorità non morde Autorità. Ma nel momento in cui ha detto quello che detto - il richiamo al rispetto reciproco fra le istituzioni – è ai suoi che si è diretta.
Chi ha fatto il giudice non sopporta i procuratori, nella migliore delle ipotesi carrieristi – ma la categoria naviga fra gli incapaci, sbirri formalisti, e sbirri veri, altro che garanti dei diritti del cittadino. 
 
Trump minaccia Canada e Messico. Che sono quelli che più accrescono i loro acquisti di bot americani: da 321 a 374 miliardi nel 2024 il Canada, da 75 a 100 il Messico. E al secondo posto minaccia l’Europa, che è il primo detentore di titoli del Tesoro Usa.
Curiosa anche la minaccia – le minacce – alla Cina, che è il secondo investitore mondiale nel debito Usa, con 770 miliardi – seconda solo al Giappone, 1.100.
 
Lovaglio (Mps) è specialista di acquisizioni – il suo settore nei molti anni a Unicredit. Ma non attacca Mediobanca-Generali come semplice acquisizione. Per le dimensioni, la pulce e l’elefante. Per lo stato di salute, Mps è convalescente dopo lunga malattia. Per cosa Mediobanca-Generali rappresenta ed è in Italia. Lo fa per i suoi soci privati, Caltagirone e i Del Vecchio, che sono anche in Mediobanca e Generali? È possibile. Ma Caltagirone e i Del Vecchio stanno lì per guadagnare, e non sembra il caso. Lui stesso peraltro dice che ha azionato la cosa con l’azionista pubblico, il ministro del Tesoro Giorgetti. Che è per il mercato, come tutti, ci mancherebbe.  

La guerra a novant’anni, senza senso

Un novantenne inglese reduce dello sbarco in Normandia lascia la casa di riposo dove vive, a ridosso di Dover, con la quasi coetanea amata di sempre, per partecipare alla cerimonia per il 70mo dello sbarco, con Obama e la regina. Una celebrazione che per lui è un obbligo. E ci riesce, contro ogni aspettativa, e senza nemmeno colpi di scena: una fuga-presenza all’insegna della camerateria – tedeschi compresi, anche loro vogliono essere presenti, in ricordo della passata gioventù, e piangono. Con una motivazione non detta: dare un saluto nel cimitero militare inglese a Bayeux al commilitone carrista, che ha aiutato a sopravvivere l’allora ventenne marinaio, terrorizzato dalla guerra, per poi, quando il mezzo da sbarco gli consente l’ammarraggio, venire centrato da un obice nemico.
Una storia semplice, contro tutte le guerre. Raccontata con misura – la nota capacità narrativa inglese. Che la magia dei due interpreti principali, l’ottantottenne Glenda Jackson – che dopo il film morirà - e il novantenne Michael Caine, erige a culto. Senza effetti speciali né colpi di scena, una storia di guerra contro ogni guerra che non si dimentica.
Oliver Parker, Fuga in Normandia
, Sky Cinema

martedì 28 gennaio 2025

Problemi di base democratici - 837

spock


Ha senso annullare un voto perché influenzato da un social (Romania)?
 
Come funziona il social, come lo Spirito Santo?
 
C‘è un giudice che decide se un voto è buono oppure no?
 
E il social: è buono se americano e cattivo se cinese?
 
La democrazia è dei ricchi e monopolisti, purché simpatici?
 
C’è un albo d’oro, quanti quarti di ricchezza e di potenza deve avere la democrazia?
 
spock@antiit.eu

La Memoria, mesta

Malinconica scena della liberazione di Auschwitz: un’arena di capi di Stato vecchi, muti, amorfi – non propriamente vecchi, ce ne sono di giovani, ma come se. Senza il russo, che Auschwitz liberò fattualmente, perché è loro nemico.
La scena di un’Europa vecchia, muta, amorfa. Che non parla e non si parla. E forse non si odia, ma non sa che dire.
Lo stesso giorno che folle interminabili di profughi a Gaza tentano a piedi di raggiungere i resti delle loro case – il giorno prima non essendo stato possibile perché l’esercito israeliano, sparando in aria “a fini dissuasivi”, “per scoraggiare i terroristi che si camuffavano da profughi”, aveva fatto alcune decine di morti.
L’ipocrisia contribuisce – non aggressiva: debole, rassegnata. Ma sotto il ghigno di Trump che di quelle macerie vuole fare colline artificiali, campi da golf vista mare.

Maschio cattivo – oppure no

Una rilettura di testi canonici, da Boccaccio all’Ariosto, Manzoni naturalmente (il titolo è detto da Lucia all’Innominato), le “Confessioni di un ottuagenario”, “La coscienza di Zeno”, “Il gattopardo”, “Il bell’Antonio”, Fenoglio (“Una qestione privata”), Buzzati (“Un amore) e Starnone (“Via Gemito”), tutti romanzi di maschi, scritti da autori maschi. Da un punto di vista particolare: enucleare il “modello maschile” storico nella letteratura. La premessa sottintesa essendo: un maschio credibile non può essere creato che da un romanziere maschio.
La conclusione è premessa: “Nei libri che ho scelto di raccontare”, Piccolo anticipa, “tutti fanno la guerra, si incazzano, diventano furiosi, litigano, sono gelosi, minacciosi, e usano al forza in modo esplicito, picchiando, violentando”. E quelli della letteratura che non ha scelto di raccontare? Un contributo al filone: la violenza è maschile.
Piccolo parte da un’idea estrema, un’illuminazione – cui è indotto da Simone Weil quando analizza l’ “Iliade” come poema della forza: “La letteratura è fondativa del mito del maschio”. È la letteratura che ha reso forte – violento – il maschio. Un’idea, da saggio breve. Condivisibile: certo che c’è una letteratura del maschio violento. Ma non può non esserci. E senza pregiudicare il resto: la violenza prima, e quindi fuori, della letteratura - e la violenza senza sesso, comunque non maschile. Allargando l’obiettivo la cosa si complica.
Piccolo si premunisce, del maschio parlando come “è inteso”. Il ragionamento però resta monco: c’è la tesi, c’è la sintesi, non c’è l’antitesi – maschio in confronto a che, a chi? E, paradossalmente, ottiene l’effetto di difenderlo: il lettore è portato a difendersi, la lettrice a difenderlo.
Francesco Piccolo, Son qui. m’ammazzi, Einaudi, pp. X -148 € 15

lunedì 27 gennaio 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (583)

Giuseppe Leuzzi


Due persone su cinque in Calabria, Sicilia e Campania sono a rischio povertà. La più alta percentuale di tutta l’Unione Europea – se si esclude la Gyuiana francese in Sud America (ma è il posto della Cayenna). C’è qualcosa che non funziona nelle statistiche.
La regione in tutta Europa a rischio povertà più basso? In Romania…..
 
La rivoluzione che non ci fu all’unità
“Ti ricordi quand’io ti diceva - In Sicilia non c’è mai stato granché ed ora non c’è più nulla. I nostri si fanno illusione, come è il solito, sarà la seconda edizione aumentata e ingrandita di Pisacane e di Sapri?! Or bene – nulla di più vero dei miei presentimenti. Rivoluzione in Sicilia non ce n’era mai stata”. Ippolito Nievo, 29 anni, da Palermo dov’è arrivato con i Mille, Intendente (addetto all’amministrazione) di Garibaldi, scrive alla cugina Bice già il 24 giugno 1860. Alla conquista di Palermo “i Picciotti fuggivano d’ogni banda”, e dentro la città vuoto e silenzio: “Dentro pare una città di morti; non altra rivoluzione, che sul tardi qualche scampanio …. Tutti mi fanno la corte per suppliche raccomandazioni ed impieghi – principi e principesse, Duchi  e Duchesse a palate agognano 20 ducati 12 al mese di salario”. E alla madre, l’1 luglio: “I Siciliani sono tutti femmine; hanno la passione del tumulto e della comparsa: e i disagi e i pericoli li trovano assai meno pronti delle parate e delle feste... Tutta la rivoluzione era concentrata nelle bande campagnuole chiamate qui squadre e composte per la maggior parte di briganti emeriti che fanno la guerra al governo per poterla fare ai proprietari”.
Una lettera sbadata, quella a Bice, una prima o seconda lettera, il tentativo di riallacciare un rapporto, tanta era la solitudine a Palermo, dopo la superattività dei due mesi precedenti, tra l’arruolamento a Quarto, in tutta segretezza, il viaggio, lo sbarco, le scaramucce, Calatafimi – e la fatica, la sporcizia. L’entrata a Palermo descrive come di “straccioni. Io era vestito come quando partii da Milano; mostrava fuori dei calzoni quello che comunemente non si osa mostrare mai al pubblico, e portava addosso uno schioppettone che consumava quattro capsule per sparare un colpo – per compenso aveva un pane infilato nella baionetta, un bel fiore di aloè sul cappello, e una magnifica coperta da letto sulle spalle alla Pollione”.
La prima lettera, il 28 maggio, era stata entussiasta, sullo sbarco e la campagna militare, fino alla conquista di Palermo. Un mese dopo, il giovane scrittore fa con leggerezza, come di cosa vista, un saggio, e un testamento, politico (il giovane scrittore morirà otto mesi dopo, per il naufragio del vapore nell’agognato per mesi viaggio di ritorno). Un trattato in poche righe di sociologia politica e di politica: “Qui si vive in pieno Seicento, col barocchismo, le raffinatezze e l’ignoranza di allora. – Tanto è vero che ad esso noi dobbiamo farla da carabinieri contro i nostri alleati di ieri!… Saprai novelle della cosiddetta rivoluzione di Sicilia e che fu tutto merito nostro che le abbiamo creduto, e l’abbiamo suscitata o per meglio dire fatta da noi soli! Figurati, con tali precedenze, se sul futuro si può ragionare! Chiudiamo gli occhi, vogliamoci bene, e tanto basta per ora”.
 
Un Paese residuale
“Soffermati sull’arida sponda,
Volti i guardi al varcato Ticino,
Tutti assorti nel novo destino,
Certi in cor dell’antica virtù,
Han giurato: Non fia che quest’onda5
Scorra più tra due rive straniere:
Non fia loco ove sorgan barriere
Tra l’Italia e l’Italia, mai più!...”
Non si parla molto ultimamente di Manzoni. Nemmeno per le celebrazioni: non per i 150 anni del teatro che porta il suo nome nel 2022, né per i 150 anni della morte nel 2023 – a parte la moneta da 2 euro (roba romana, da Zecca). Ne hanno parlato ultimamente i siciliani: Sciascia, devotissimo, Camilleri. I milanesi sono fermi a Gadda, un secolo fa – e solo al romanzo: tragedie, inni, storie, pure pregevoli, kaputt. Nel mezzo Natalia Ginzburg, senza misericordia.
Non se ne è parlato neppure prima, nel 2021, due secoli dall’ode “Marzo 1821” che si vuole Manzoni abbia scritto di getto, tra il 17 e il 21 marzo dello stesso anno, e che pubblicherà dopo - e in omaggio a - le Cinque Giornate di Milano contro il dominio austriaco nel 1848. Un inno, che pure è bellissimo. Sonante, tuonante, battagliero. “Giovanile” (per dire non “manzoniano” - senile, saputo, saggio).
Ode intelligente anche, politicamente, storicamente, e generosa. “In onore delle cinque giornate di Milano, Manzoni pubblica l’ode “Marzo 1821”, dedicata «alla illustre memoria di Teodoro Koerner - poeta e soldato – della indipendenza germanica – morto sul campo di Lipsia il giorno 18 ottobre 1813 – Nome caro a tutti i popoli – che combattono per difendere – o per riconquistare una patria»”, ricorda il sito Ministero della Difesa, e commenta: “Come era stata giusta e santa la guerra dei tedeschi contro l’impero napoleonico, altrettanto giusta e santa era la guerra degli italiani contro l’invasore austriaco”.
Ma senza più eco, in effetti è un’altra Italia, questa. Si sta insieme giusto per guadagnare di più - un po’ di turismo delle rovine, e un po’ di made in Italy, pizze, abiti. Con un piede volentieri mezzo fuori, e senza lamenti o rimpianti, Tanto, per la vacanze, o a Ferragosto, anche a Natale, per la mama o per la nonna si può sempre tornare.
 
Terra di centenari
Dallo straordinario studio Istat “Centenari: in 10 anni oltre il 30% in più” emerge un Sud tenace, coriaceo. I numeri in assoluto, di centenari e di supercentenari (“individui di 110 anni e più”) non sono molti al Sud – la Lombardia vene fuori in assoluto la prima col più gran numero. Ma in termini relativi, cioè in rapporto alla popolazione, sì. Specie per i semi-supercentanari (105 anni e più): tra le prime cinque regioni figurano Molise, Basilicata e Abruzzo, nell’ordine, con la Liguria al secondo posto e l’Emilia-Romagna al quinto. Sesta viene la Sardegna, nona la Calabria.
Un dato che contrasta con le condizioni socio-sanitarie delle regioni del Sud. Forse mitigate dalla persistenza della figura del medico di base come vecchio medico condotto, quello che conosce i pazienti. E in ragione della demografia sparsa, in ambiente poco urbanizzato. Dell’alimentazione forse, come usa dire - del cibo cucinato, meno artefatto. Ma soprattutto, viene da pensare, di figli e nipoti accudenti: di molto pazienza, e dedizione - in ragione della persistenza, in qualche forma, della famiglia. 
Non tutto è da buttare del Sud. Non la “dieta mediterranea” evidentemente – che al Sud è di fatto un po’ “pesante”. Un modo di vita diffuso persiste, anche a costo di stremanti pendolarismi. La famosa “restanza” teorizzata dall’antropologo Vito Teti, che può aiutare. Può costituire un modo di essere e di vivere fertile, ora possibile anche nella contemporaneità, col lavoro a distanza.
 
Cronache della differenza: Napoli
Quattro film che la celebrano, in vario modo, tra 2024 e 2025: due italiani, “Parthenope” e “Napoli-New York”, uno francese, “Criature”, e uno italiano ma di soggetto inglese, “Hey Joe” – tratto da “Napoli 1944”, l’epopea dello sbarco, di Norman Lewis.  Napoli era tuta un teatro, ora è tutta un cinema – tutta un palcoscenico, tutta un set (comprese le stazioni della metro). Mentre è – era, è stata – un’arena del canto, ritmico, melodico, poetico, melodrammatico.
 
“Circa il 40 per cento dei contenuti prodotti in Italia su Tik Tok”, il set virtuale dove ognuno può farsi personaggio, “riguarda Napoli e il. suo Hinterland”, Marcello Ravveduto, professore di Digital Public History a Salerno e Modena-Reggio Emilia, al modo delle “grandi metropoli che hanno vita  autonoma rispetto alle proprie nazioni”, New York, Buenos Aires, Rio de Janeiro(“Napoli ha la capacità di costruire un immaginario che invade il panorama mediatico mondiale”).
 
“Che bella Napoli! Ma che sporcizia. Ma che luridume!”, scrive Antonia Pozzi, milanese, quindicenne alla nonna, dalla Pasqua che passa col padre a Napoli – siamo quindi nel 1927: “La stanno facendo diventare la più pulita, la più elegante, la più ricca città d’Italia!” La più ricca addirittura – è anche vero che Milano, specie in quegli anni lì, tra le guerre, era grigia e deserta. La “stanno facendo” sottintende un fatto di governo. Di volontà politica, di applicazione. Che, si vede, poi è mancata.
 
“Un’esecuzione a Napoli vale più di duecento in Germania”, Mozart al padre Leopoldo, nel 1770. Un’esecuzione capitale, coi rulli di tamburi, con le fanfare? No, un’esecuzione musicale. Con un: “Ps: anche se pagano poco”.
 
Le rabbiose sparatorie dei ragazzi alla “Gomorra” che ora imperversano, anche se in città, o in paese, in piazza, e contro altri ragazzi, e non su una spiaggia livida all’alba, deserta, erano di prima o sono venute dopo il film di Garrone?
 
È impressionante come un ragazzo può comprarsi una pistola, che costano caro, specie di sottomano. Non c’è più la famiglia a Napoli, dove era tutto – “un figlio è parte di te stesso” se lo diceva un personaggio di Eduardo, ma di una commedia antica.


leuzzi@antiit.eu


La Sicilia liberata, che sbaglio

Le ultime parole sono: “Povera Italia! Che abbaglio!”. Dette già nel 1886. Dall’eroico protagonista, Vincenzo Giordano Orsini, palermitano di Napoli, doppio nome per non averlo di cognome, incanutito ma sempre eroico maggiore di Garibaldi nell’impresa dei Mille. In una bisca. Annessa segretamente a un bordello. Dove si entra con la parola d’ordine “Va’ pensiero”.
Finisce malinconico, era partito come commedia. Due balordi siciliani, un baro di professione e un emigrato fallito, Picone e Ficarra, entrambi in cerca di un viaggio per l’isola a sbafo, si arruolano a Quarto. L’integerrimo Orsini li smaschera ma li arruola. Li proteggerà anche quando, sbarcati, diserteranno. La commedia s’irrobustisce con i due disertori rifugiati in convento, di suore: letto e tavola, tressette e piedini. Fino all’evento decisivo dei Mille: una manovra diversiva verso l’interno dell’isola, per indurre i Borboni a inseguirli lasciando sgombra Palermo, che Garibaldi può occupare, “liberare”, a porte spalancate, pacificamente. Un diversivo che funzionerà grazie ai due manigoldi, a rischio della loro vita.
Una tipica commedia all’italiana. Ma presto sui toni della requisitoria, l’ennesima, sulla mancata rivoluzione risorgimentale. Ennesima condanna anche dell’isola. In chiave, entrambi i fallimenti, gattopardesca: tutto cambia perché nulla cambi.
L’ennesimo caso, anche, di autofustigazione sicula: in Sicilia nulla è possibile, nulla di buono, etc. - non manca nemmeno la mafia. Su una linea certo onorevole, Sciascia, Camilleri, le serie tv, ormai innumerevoli. Un filone, si vede, che non stanca - “L’abbaglio” conduce gli incassi (e il pubblico in sala ha aria di casa). Ma un po’ faticoso.
Andò sembra all’inizio avere preso spunto da Ippolito Nievo, il giovane scrittore che fu Intendente (amministratore) dei garibaldini nella Palermo occupata. Dalle lettere che scriveva ai familiari - “Rivoluzione in Sicilia non ce n’era mai stata” (alla cugina Bice già il 24 giugno 1860). E altre annotazioni, di passata ma significanti. Si trovano in Nievo anche le suore, e i loro dolcetti. Sembra che segua Nievo anche fisicamente: a Orsini (Servillo) affianca un alfiere con la faccia e l’età di Nievo (Leonardo Maltese), e la sua parlata veneta. Ma non ne mantiene la levità – Nievo è deluso ma non prevenuto. Del resto, l’alfiere fa chiamare Ragusìn, il ragusano (della Ragusa dalmata oggi Dubrovnik), che è uno dei Mille, uno vero, un quarantenne, figura nell’elenco ufficiale dei Mille – compilato dallo stesso Orsini della storia, dove il suo nome figura com mezza riga, “maggiore”.
Roberto Andò,
L’abbaglio

domenica 26 gennaio 2025

Secondi pensieri - 553

zeulig


Amore L’amore moderno è amore dell’amore, perfino in assenza dell’essere amato. E si torna alla pesatura dei sentimenti: io ho detto, ho fatto, tu hai fatto, o non hai fatto. Sarà l’amore controversistico. È un artificio diabolico questa parità dei sentimenti, la pesa, lo scambio. Il sentimento è personale, si può amare una persona senza ottenere che lei ci ami, non nella stessa intensità e maniera, non negli stessi momenti. È l’effetto della verità, del progresso, della rivoluzione-rivelazione. La democrazia dello scambio dei sentimenti è un artificio doppio, anzi triplo: lo scambio è il mercanteggiamento che si vorrebbe abolito dal mondo.
 
Complotto – La logica del complotto è imbattibile, poiché incita alla difesa, che sempre è nobile. E poi la leggenda non mente.
 
EmozioneÈ casual? Fortuita, involontaria? “L’emozione ce la dà solo il riconoscimento esistenziale”, annota il romanziere Carlo Cassola nel suo “Fogli di diario” sul “Corriere della sera (alla data 24 ottobre 1971), “e il riconoscimento esistenziale, come spiega Proust, è frutto della memoria involontaria, deve venire all’insaputa, direi quasi a dispetto dell’io cosciente. Si arriva così al paradosso che ciò di cui avevamo custodito gelosamente il ricordo non ha più nessuna importanza per noi; mentre si rivela importante quello di cui non avevamo fatto tesoro”.
 
Esistenzialismo – “L’esistenzialismo è la concezione propria a chi manca d’immaginazione”, lo scrittore Carlo Cassola, “Fogli di diario”, 15 marzo 1972: “La realtà non può non apparire amorfa a chi manca d’immaginazione”. Il paesaggio (la natura) come l’uomo e le sue azioni. “Realtà e immaginazione non sono agli antipodi”, argomenta il romanziere: “Questo divorzio tra fantasia e realtà, tra sogno e realtà, fu l’aberrazione propria ai romantici come ai classicisti”. E “l’equivoco si è perpetuato. Si crede ancora che chi è provvisto di una ricca fantasia sia un «sognatore», che manchi quindi di «realismo»”. Per realtà intendendosi il “senso pratico”. Nell’opinione comune. Nella cultura le “cose materiali” – il sesso, il denaro, il potere.
Ancora Cassola, “Fogli di diario”, 10 marzo 1973: “L’esistenza e la vita non possono coincidere. L’esistenza è indeterminata, la vita è determinata. L’esistenza è senza carattere, la vita ne ha sempre uno. L’esistenza è immobilità e immutabilità, la vita è movimento e mutamento”.
 
Heidegger - Anche in Dante la vita è “un correre alla morte”.
 
Innatismo – Prima che in Chomsky si trova argomentato da E. Jünger nel preambolo a “Linguaggio e anatomia”, un saggio del 1949, una galoppata da Vico ai Padri della Chiesa: “In quanto il linguaggio non è soltanto rivelazione e dono, ma anche opera e espressione, dei tratti dell’essere umano vi si disegnano, come le lettere in un libro. Si può risalire da essi alla sua evoluzione e alla sua vita, come dalle impronte nello scisto alle forme di animali del tutto scomparsi.
“È in modo simile che il corpo dell’uomo ha lasciato nel linguaggio trace che convergono alla riflessione, all’interpretazione. Seguendo questo abbrivio, forse otterremo, con più scoperte nel campo del linguaggio, acquisizioni più nobili”.
 
Pentimento – È operazione reazionaria, su cui si misurano l’Occidente, il papa, Freud, l’imperialismo, e i delinquenti in genere? Per i benefici di legge, quindi per le leggi. Mentre “non pentirsi di nulla è la saggezza suprema”, Kierkegaard dopo Spinoza sostiene con più verità. Pentirsi per deprecare, denunciare, cioè giudicare, la colpa degli altri, di fatto è non pentirsi, pentimento è cancellarsi, giusto la metafora della prigione.

Storia – È soggettiva. È d’autore, e circostanziale. “La presunzione dello storico non l’ho mai compresa”, può argomentare il giudice e giurisperito tedesco Fritz Bauer nel 1966, a proposito di una causa celebra, il diritto oppure no alla pubblicazione di un romanzo a chiave di Klaus Mann, “Mephisto”, su personaggi e vicende reali degli anni del nazismo: “Ogni interpretazione, che si tratti di Wallenstein o di Johann Wolfgang von Goethe (di un personaggio e del suo autore, n.d.r.) è sempre un fatto soggettivo, la verità pura non può essere stabilita, la verità scaturisce solo da una discussione”. La verità evidentemente processuale -ma anche in assoluto? Da un confronto, dalle pezze d’appoggio. Ma in un puzzle polimorfo.
 
Non si può rinunciare alla storia: la storia divenuta reale non ha più fine, l’ha capita pure Debord. Si va per accumulo, soverchiando i segni meno.
 
È la fine di Dio, o a lui rinvia? Simone Weil è radicale, nel III volume dei “Quaderni”: “Il primo cristianesimo ha fabbricato il veleno della nozione di progresso con l’idea della pedagogia divina che forma gli uomini per renderli capaci di ricevere il messaggio del Cristo... Il cristianesimo ha voluto cercare un’armonia nel-la storia. È il germe di Hegel e Marx. Mi sembra che poche idee siano più completamente false: cercare l’armonia nel divenire, in ciò che è il contrario dell’eternità”. E ancora: “L’idea di progresso è l’idea atea per eccellenza, e la negazione della prova ontologica sperimentale, giacché implica che il mediocre può di per sé produrre il meglio. Tutta la scienza moderna concorre alla distruzione dell’idea del progresso”. Dunque Dio è la scienza moderna – è ancora la verità e la vita. E la fine della storia è al di là. “Il progresso è un sintomo”, dice Turgenev. Della fine della storia?
 
VeritàIl mito, tema obbligato della poesia e la tragedia, limita la fantasia. Euripide lo buttò in melodramma, ma ebbe paura di essere esplicito. E subito Socrate, o Platone, diedero l’illusione della verità. Viviamo tra il mito convenzionale e i concetti aristotelici di telos, il fine, e entelechia, la completa realizzazione delle potenzialità. – Non gli si può dare torto, da tempo la filosofia è senza corpo, e quindi senza amore. Aristotele faceva della ricerca della verità impegno di vita. Platone dimostrò che non c’è nesso tra la vita e la verità se non amore. Rapimento, sospensione, una forma di rapporto costante con l’altro e di ascesi. Ora la filosofia, senza rapporto con la vita, s’ingegna di revisionare la verità, o riformarla.
 
C’è una potenza nel linguaggio, che non è la verità: il sicomoro, per esempio, non è altro che un falso platano.
 
Mitra, dio di Verità e Lealtà, aveva mille orecchi e diecimila occhi. Non gli bastava nulla.
 
C’è verità nel linguaggio, ma suo malgrado. La verità del linguaggio può essere bugiarda. La rosa più delicata in colore e profumo è detta canina nei vocabolari, o rugosa, selvaggia, di macchia, e grattaculo. L’occhio di giaietto non è la stessa cosa che l’occhio di gavazzo, anche se ha lo stesso lampo. Venere, Lucifero e Vespero sono la stessa stella, ma non la stessa cosa. Ci sono verità che sovrastano la capacità del singolo, sia esso scienziato o scrittore, e linguaggi traditori. E coscienze confuse, come a Mosca nelle purghe, che vittime e testimoni credono ciò che dicono, non ciò che hanno visto o sentito o fatto. La cornice ordina la visione, deve aver detto Leonardo. E non la altera? Alma Tadema le cornici fa parte del quadro, il bello della merce è anche l’esposizione.

zeulig@antiit.eu

Il numero che mette d'accordo

Curiosa serie del Mulino ideata da Bottazzini, sui numeri, “alfabeto di ogni civiltà”. Che fa sceneggiare da matematici e affini. Malvaldi, chimico di fromazione, matematico per passione, scrittore serio (“Caos”, “Il secondo principio”) e faceto (i veterodetective del “Barlume”) si applica al 12. Le ore sul’orologio, i mesi dell’anno, gli apostoli, eccetera. E il portiere del calcio, il vecchio portiere del vecchio calcio, prima del calcio-per-la-televisione (della demolizione della “squadra”, dello spirito di squadra).
La questione dei numeri sulle maglie merita una digressione. Non c’erano. Poi, nel 1928, l’Arsenal decise di numerare i calciatori che scendevano in campo, compresa la riserva, allora il solo portiere (per farli distinguere dai tifosi, non più a bordo campo, essendosi imposte tribune sempre più alte, per il numero sempre crescente degli spettatori, e quindi più lontane, n.d.r.), e così li numerò, dall’1 al 12. E la squadra ospite ebbe gli altri dodici numeri, dal 13 al 24.
IL 12 molto deve ai Babilonesi, ai commercianti babilonesi, quando scoprirono che potevano tenere con una mano una gallina, mettiamo, e col pollice dell’altra mano, usando le dodici falangi delle altre dita poteva fare il peso e il prezzo, e calcolare anche il resto, del formaggio o delle uova. Uno sviluppo enorme, l’uso delle falangi, rispetto a quando si contava per cinque, le dita della mano. Si commercia ancora per dozzine. Uno sviluppo anche concettuale: si passa dal “contare” al “raggruppare”.
Si parte male, di malavoglia: “12 è un numero pari, un numero naturale, un numero rettangolare”, e si potrebbe continuare, “dato che dodici è sia un numero malvagio – che contiene un numero pari di 1 nella propria espansione binaria – che un numero sublime - la definizione sarebbe più lunga del capitolo…”. Ma subentra presto la storia, con l’aneddotica. E anche le cose serie. Come passare dal “contare” al “raggruppare” – ma matematica degli insiemi. E come passare dal “sistema di accordatura pitagorico a quello mesotonico”. E ci mette pure una nota bibliografica, “una mezza dozzina di titoli”. All’insegna di Forrest Gump - o dell’indimenticato Boskov: “Il dodici è cosa il dodici fa”. Non molto per la verità, più che altro è un numero indolente – “un numero che mette d’accordo”.
Marco Malvaldi, Dodici
, Il Mulino, pp. 183 € 14