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martedì 4 febbraio 2025

Parla forte, ma senza bastone – e punta al Nobel

Puntare grosso per ottenere un minimo viene giudicata alla Farnesina la divisa del Trump II – come lo è stata nel Trump I. Di Trump si dice e si scrive il contrario, ma anche questo avvio di presidenza è tonitruante e mite, a parere di chi ha confidenza con gli affari diplomatici.
“Parla piano ma con un grosso bastone, andrai lontano”, il presunto proverbio africano di Theodor Roosevelt, il presidente di inizio Novecento evocato a proposito di Trump, funziona con Trump in realtà al contrario: Trump è un dealer, un negoziatore, e non un imperialista come Th. Roosevelt,  che la massima “africana” prospettò al Congresso per farsi autorizzare una grande flotta. Per fare cioè degli Stati Uniti una potenza imperialista come le altre, Inghilterra, Francia, Germania, Italia (avendo già aggredito con profitto la potenza più debole, la Spagna). Trump invece non ha fatto, e non progetta, guerre. E punta grosso per ottenere un minimo, negoziabile.
Un tratto però – si può aggiungere - accomuna Trump a Th. Roosevelt: l’ambizione a fare del deal, della mediazione, un’arte. L’aggressivo Th. Roosevelt si fece dare nel 1906 il Nobel per la pace, per avere mediato l’anno prima la fine del conflitto nel Pacifico fra la Russia e il Giappone. Trump ci è andato vicino con gli “accordi di Abramo”, stabilizzando definitivamente Israele, ma Stoccolma ha esitato.
P.S. - Russia e Giappone si fecero guerra soprattutto per Port Arthur, un porto nel Pacifico (oggi Lüshunkou- Dalian, in Cina) che dava alla Russia libertà di navigazione nel Pacifico – Vladivostok essendo impraticabile nel lungo inverno. La liberazione dai ghiacci oggi la Russia si prospetta sull’Atlantico, in capo a Groenlandia e Canada.

Famiglia in un interno, borghese, solido

Rebecca, la figlia tanto attesa che nasce con una voglia vistosa sulla guancia, porta la madre già scossa all’isolamento e alla depressione, per lunghi anni. Tensioni anche drammatiche si succedono. Entro una cornice di “normalità”, ora spregiata ma imprescindibile, in famiglia, a scuola, in città, al lavoro, seppure in professioni di eccellenza, medica e musicale.
Un dramma – uno dei tanti – familiare. Nella storia principale, della bambina con la voglia, e in quella della sua compagna di banco a scuola, dove il padre è un violento. Ma un racconto efettivamente borghese, senza l’ansia cioè dell’anti-borghesismo o dell’anti-familismo ora d’obbligo: Giordana è un grande narratore. Anche nella sagomatura dell’ambiente esterno, la provincia veneta, anzi specificamente Vicenza – che curiosamente è sempre ancora quella di Parise.
Una regia dietro le quinte, con recitazioni tutte in carattere: Valentina Bellé la madre, Paolo Pierobon il padre, Sonia Bergamasco la pianista, sorella del padre e vice-mamma, sulle cui tracce si indirizzerà la bambina “talento naturale” (premiata a Valencia, al festival che a fine novembre si è comunque tenuto dopo l’eccidio dell’alluvione), e sopattutto le tre Rebbecca, a sei, dieci e diciott’anni, Viola Basso, Sara Ciocca e Beatrice Barison.
Marco Tullio Giordana, La vita accanto, Sky Cinema, Now

lunedì 3 febbraio 2025

Eurexit

Perché l’Italia è diventata poco competitiva? “Per il costo dell’energia. L’energia elettrica costa l’82 per cento in più rispetto alla Francia, il 78 per cento in più rispetto alla Spagna, il 38 per cento in più rispetto alla Germania. Per quanto riguarda il gas: 7,4 euro al mwh negli Usa, 34,4 in Europa e oltre 36,3 in Italia”. Per la transione verde. Mentre altrove il nucleare di prima generazione è ancora  prospero, e anche il carbone - la Spagna è un caso a parte: lontana dalla Russia, si è sintonizzata da tempo sul  gas liquido Usa, e non ha risentito della guerra, delle sanzioni.
Il costo dell’energia pesa ma è solo uno dei tanti fattori di dipendenza e di minorazione dell’Italia nell’Unione Europea così come è stata organizzata. Dopo il primo momento di europeismo entusiasta egualitario, alla Spinelli, con l’iniziativa decisiva dell’Italia, a fronte della Germania divisa e quindi incerta, e della Franca gollista, cioè scettica, negli anni negli anni 1950.
A fronte del costo dell’energia lamentato dal presidente di Confindustria Lombardia, sullo stesso giornale Dario Di Vico riafferma il solito “Tutti a Bruxelles”, o “l’illusione perduta di poter fare da soli”.  Il che è vero, ma solo per la fine: in economia è come in politica, non si può fare da soli. Resta però il problema: con chi e come accompagnarsi? Mentre “l’illusione perduta” è con ogni evidenza l’Europa, l’Unione.
È facile dire che l’Italia “non può” fare a meno della Ue. Nessun può fare a meno di nessuno. Ma quanto è conveniente? E forse – forse – quanto non è più conveniente non farne parte?
La domanda è un’eresia. Sembra un’eresia prima ancora che un’impossibilità, una stupidaggine, ma l’esperienza va tutta in quel senso dopo i primi vagiti dell’Unione. Dopo i primissimi, già la politica agricola dissipava decenni di fantasie e ideali. L’Unione è soltanto di Francia e Germania, i due  paesi la cui storia e la cui economia sono le meno europeiste e le più nazionaliste, e tali hanno continuato a essere. Ne è esempio perfino incredibile il mercantilismo del lungo cancellierato Merkel, l’unica bussola di una che emergeva adulta dal niente e quindi non era cresciuta con la paura come la Germania di Bonn con i russi a Berlino, che per questo si attaccava all’Italia (alla Nato e al Pci….) e al cosiddetto “Occidente” – altro fantasma. Anche oggi, la crisi Ue è la crisi politica di Francia e Germania, aggravata in Germania da quella economica.
È per questo che i Conservatori britannici, che avevano portoiato la Gran Bretagna nell’Unione nel 1973, contro la volontà della Francia, l’hanno portata fuori cinque ani fa: perché la Gran Bretagna non contava nulla. Il “Financial Times”, che aveva aperto un’edizione tedesca sulle ali dell’entusiasmo europeista, presto ha dovuto chiuderla, dopo il ritorno della Germania a Berlino. Anche l’Italia, paese “fondatore”, non ha mai contato nulla, neanche quando aveva a Bruxelles persone di spessore, Mario Monti, Romano Prodi. Ma l’Italia, si sa, è conservatrice, e preferisce tenersi il poco – tutti europeisti, gli italiani, perfino l’anarchica Salis siede a Bruxelles beata.   
L’esperienza aziendale dice che è possibile fare tutto con la finanza e l’industria americane, su piede di parità, niente con gli analoghi francesi o tedeschi, se non per compiacerli. È come per la difesa, che l’Europa non sa darsi da cinquanta anni ormai, o sessanta. Le forze armate italiane hanno collaborato e collaborano attivamente, anche troppo, con gli americani, in Libano come in Somalia cinquant’anni fa, e ovunque in Medio Oriente nel Millennio. Ma non potrebbero mai fare niente accanto ai francesi, neanche un pattugliamento – per esempio, non molto tempo fa, nel Sahel, il primo frangiflutti contro l’immigrazione di massa. Non si possono nemmeno fare investimenti in Francia e in Germania, se non a piacimento dei governi nazionali, mentre l’inverso deve essere possibile e fattibile. L’Italia non si oppone, e se volesse non lo potrebbe, all’acquisto di banche da parte di banche francesi, mentre l’inverso non è stato possibile (Société Générale e altre minori). Nessuna acquisizione italiana è stata possibile ni Germania, Continental, Opel, ora Commerzbank. Si cita sempre in contrario la HypoVereinsbank di Monaco vent’anni fa, ma Unicredit operava allora il salvataggio di una banca tecnicamente fallita, nel quadro di un accordo fra potentati “popolari”, la Csu bavarese e Berlusconi, in una Germania in crisi da quasi un quinquennio, con cinque milioni di disoccupati - veri. E del resto la Germania si occupa poco dell’Italia: qualche decennio fa, prima della riunificazione, ancora con la Repubblica Federale di Bonn aggrappata politicamente al Bel Paese, a un’indagine sugli investimenti stranieri la piccola Svezia sopravanzava largamente la Germania.
Per quanto riguarda la politica è presto detto: non c’è mai stata sintonia francese con i governi italiani, basti ricordare la sufficienza del socialista Mitterrand nei riguardi del socialista Craxi, e il parallelo, patrocinante ma beffardo, apprezzamento del celebrato “eurocomunismo” berlingueriano. O del cancelliere socialista Schmidt. Craxi, di cui ora si rivaluta la politica estera, non andava mai a Bruxelles e parlava di più, molto di più, con Reagan e gli altri americani con i quali era quasi venuto alle mani. I presidenti tedeschi vengono spesso a Roma ma perché non hanno nulla da fare. I cancellieri ci vengono ogni tanto, per l’aria, Adenauer a Cadenabbia, Schröder al Conero, o per le acque, Merkel a Ischia, ma niente di più - Merkel che è stata la governante più “mercantilista” che si ricodi dell’Unione, cioè nazionalista, per gli interessi economici nazionali, nella crisi del debito, nei rapporti con la Russia, in quelli con la Cina. Kohl ha avuto un po’ di patrocinante vicinanza “popolare” con la Dc in fase di disgregazione, e basta.  
Oggi che l’incontestato, anzi plaudito, Piano Draghi è lettera morta, l’autodissoluzione della Ue è evidente. Fa la guerra e non sa darsi una difesa – non se la darà mai, neanche quando Trump leverà l’ombrello americano. È attorniata da guerre nel Mediterraneo, Libia, Siria, Palestina, mar Rosso, ma non sa dove e cosa è il Mediterraneo, e nessuna intenzione d’imparar e. Dovrebbe diventare una grande piazza finanziaria, attirare col debito comune gli investimenti dei ricconi e riccastri del pianeta – mai ce ne n’è stati così tanti, fondi, fiduciarie, finanziarie, in ricerca avida di piazzamenti – e finanziare così il rinnovamento industriale, ma non ci vede e non ci sente. Parliamo sempre dell’Europa franco-tedesca, di due tombe politiche, senza mai una visione  di insieme, e da tempo senza forza politica (minacciano ora Trump e gli Usa, ma forse per ridere). L’inerzia è proprio migliore della dissoluzione?

Cronache dell’altro mondo – educative (324)

“Le scuole private sono diventate proprio oscene. Le scuole di élite alimentano le pretese, consolidano le ineguaglianze, e pretendono di essere motori di mutamento sociale”.
“Come l’Ivy League ha distrutto l’America. La meritocrazia non funziona” – Ivy League è terminologia sportiva che identifica otto università del Nord-Est di antica tradizione: Brown, Columbia, Cornell, Dartmouth, Harvard, Princeton, Pennsylvania, Yale, n.d.r.).
“Gli studenti delle università ’élite che non possono leggere libri – per leggere un libro all’università bisogna aver letto un libro al liceo”.
“Come la vita è diventata un’interminabile, terribile competizione. La meritocrazia privilegia il risultato su ogni altra cosa, rendendo tutti - perfino i ricchi – insoddisfatti e infelici!”.
“Perché bisogna preoccuparsi di queste dodici università: cambia queste e cambi l’America” (l’Ivy League propriamente detta, più quattro aggiuntive: Stanford, le due di Chicago - Northwestern e Chicago - e l’Mit, n.d.r.).   
(The Atlantic”).

Ritorno a “Grand Hotel”, il fotoromanzo

Curiosa evoluzione della serie, pure tratta dai racconti “veloci”, sapidi, di De Giovanni, verso “Grand Hotel”. Che non si ricorda, ma era il genere fotoromanzo.  Nei temi (amori contrastati per lo più, o indecisi, problemi madre-figlia, i belli-brutti e i brutti-belli, e qualche maternità, impossibile o non voluta). Ma più ancora nel linguaggio – dialoghi come didascalie. E nelle stesse immagini: tagli, colori, inquadrature.  
Ma non solo di “Mina Settembre”, a ripensarci. Altre serie Rai 1 rasentano qesto richiamo. “Un passo dal cielo” è solo un po’ più complicato come trame (e comunque è favorito dagli scenari), ma il fondo è sempre quello. O le prime serie di “Lolita Lobosco”.
È una questione di domanda o di offerta (pubblicità) - un passo indietro del pubblico, oppure della Rai?
Tiziana Aristarco, Mina Settembre, Rai 1

domenica 2 febbraio 2025

Almasri, tre gialli in uno – anzi quattro

C’è in questa vicenda Almasri un fatto eccezionale, da film d’azione, che stranamente si trascura. Che la Questura di Torino, di notte, all’uscita dallo stadio di Juventus-Milan, ferma per caso, per un controllo di routine, tra le migliaia di macchine che defluiscono, una di libici. E al controllo dei documenti risulta che uno di loro è ricercato.
In alternativa un’altra narrazione, altrettanto fantastica. La Questura di Torino a tarda notte fa irruzione nell’albergo dove Almasri alloggia, con un passaporto caraibico, e lo arresta. Per virtù dello Spirito Santo? Ma sceneggiare l’albergo circondato, l’irruzione, gli altri ospiti al piano, non è fantastico?
E poi c’è la Cote dell’Aja, quella che vuole Putin e Netanyahu all’ergastolo, che lascia Almasri a passeggiare per mezza Europa, Inghilterra, Francia, Belgio, Germania, e appena varca le Alpi zàcchete, con gli esecutori volenterosi di Torino, cioè con i servizi italiani, lo afferra.
Magari con lo zampino della Francia – un pizzo di spy story non guasta. La quale già rumoreggiava contro il riavvicinamento della Libia all’Italia – troppo pochi sbarchi. E Macron con l’Italia è piuttosto sbrigativo, come già Sarkozy nel 2011 – con grande successo allora, il disastro per l’Italia. E con un pizzico di storia, in chiave naturalmente di antifascismo: Mussolini pagato dalla Francia per far entrare l’Italia in guerra nel 1914-1915. Qui però si porrebbe un problema: Mussolini si faceva pagare, Li Gotti, Lo Voi e la sinistra marciano gratis?
Questa si potrebbe dribblare: sono i servizi italiani a essere venduti alla Francia, cioè a farsi pagare, come Mussolini. Oppure sono semplicemente inutili – non è già successo nel 2011?

Ombre - 758

Unicredit è dunque anche in Generali. Che può essere un mero investimento, Generali è sicura e generosa con gli azionisti. Ma, bizzarria del caso?, il gruppo triestino è stato, nella vicenda a lungo travagliata di Commerzbank, uno dei possibili salvatori, se non il solo, una ventina di anni fa.


Governo di destra anche in Belgio. Ci sono voluti sei mesi per formarlo dopo il voto di giugno, ma solo per tenerne fuori l’estrema destra, per di più separatista fiamminga, secondo partito al voto. Si completa lo scivolamento a destra del cuore dell’Europa, Italia, Olanda, Austria, Francia, Svezia, Finlandia. con la Germania che tutto dice seguirà il 23 p.v. Per disposizione personale, senza regimi al comando.
 
”Piazza Affari, utili giù di 14,6 miliardi. Solo da Stellantis 12 miliardi in meno” – “Il Sole 24 Ore”. E la produzione industriale in costante calo da quasi due anni? Stellantis costa caro all’Italia. Carissimo.
 
Ineffabile il ministro del Tesoro Giorgetti, vecchia volpe Dc in petto, solo “rovesciato”, come il vecchio montone, “qui lo nego e qui lo dico”: “Mps-Mediobanca non è una guerra Roma-Milano . La dimensione di quelle banche è internazionale”. Come no, Mps è ovunque – soprattutto tra  i risparmiatori, giorno e notte.
 
Ma Mps è solo un’occasione: il ministro vuole mettere in guardia Unicredit, l’ad Orcel che continua a snobbarlo. Inopinato dà infatti ragione al vicecancelliere tedesco che chiede un intervento del Tesoro italiano contro Unicredit. A un vicecancelliere talmente competente che rischia di affondare il suo partito al voto domenica 23 – dal quasi il 15 per cento a meno del 5. Chi si somiglia si piglia? Ma, certo Giorgetti va sul sicuro, in Italia non c’è lo sbarramento elettorale.
 
Giorgetti rivendica il successo politico del governo di dui è parte: “Il governo Meloni sarà ricordato per avere ridato fiducia e speranza aa un paese abituato a essere considerato la pecora nera. Invece questo è un grande paese, con grandi potenzialità”. Lo stesso si disse di Craxi, e si sa come è andata a finire, nella morsa giornali-giudici. Che non è una cosa ovvia o naturale.
 
Sgambetto di Merkel al suo successore alla Cdu\Cdu, o il solito gioco delle parti fra correnti democristiani (popolari)? Il successore Merz ha fatto passare la mozione restringi-immigrazione coi voti della destra, Alternative fùr Deutschland, Merkel non ha consentito che la mozione diventasse legge. Merz ha mostrato agli elettori che farà il duro con gli immigrati illegali, ma senza impegnare il suo partito a un’alleanza con la destra – deve rubare voti a Afd e sperare che Liberali e Verdi superino il 5 per cento.
 
In Italia il giochetto “democristiano” è presentato come uno sgambetto di Merkel a Merz. Solo in Italia. Con ammirazione per Merkel. La quale ha sgambettato il suo predecessore e padre politico Kohl, e ora sgambetterebbe il successore. Molta ammirazione, solo in Italia, soprattutto a sinistra, per questo tipo di politica, “machiavellica”.o
 
Il governo decide che sulla sicurezza dei paesi d’origine degli immigrati (ai fini del riconoscimento del diritto d’asilo) è competente la Corte d’Appello. E allora il presidente della Corte d’Appello Meliadò chiama alla speciale sezione le quattro giudici che già si erano pronunciate contro il governo – tutti paesi insicuri, loro ne sanno di più. La questione immigrati è seria, ma ci sarebbe tutto da ridere – le giudici si divertono moltissimo, nelle foto che postano.
 
Marina Terragni, proto e toto femminista, che sa anche di che parla quando parla di diritti,  sull’utero in affitto, la prostituzione, la “transizione” indotta, è il bersaglio non solo del Mit, Movimento identità trans, ma anche della “sua” Libreria delle donne. È sempre Milano, città sempre ultrà – ma, poi, Marina è ben milanese. Ma più che altro è fanatismo – a essere sempre più all’estrema non si sbaglia mai.
 
Singolare retroscena di “la  Repubblica” sul caso Lo Voi-Meloni, affidato a due cronisti principe del giornale, Ciriaco e Foschini,
https://www.repubblica.it/politica/2025/01/31/news/governo_contro_lo_voi_macchina_fango_almasri-423971995/
che per dare ragione a Lo Voi spiega finalmente come e perché potrebbe essere lui l’incriminato – al Csm naturalmente, e cioè al peggio diventare Procuratore Generale: i voli di Stato per il week-end, con un primo tentativo di ritorsione spiando Caputi, il capo di gabinetto a palazzo Chigi di Meloni, il secondo attraverso la vecchia conoscenza Li Gotti.
 
È impressionante la difesa che la i giornali per bene fano del Procuratore Lo Voi, che con l’amico Li Gotti denunciano Meloni per essersi liberata di Almasri, persona non grata. Usava l’aereo di Stato per i fine settimana, ma per ragioni di sicurezza. Candidato alla Corte dell’Aja, ma in quanto giurista eminente. Persona mite, e di destra, portato a Roma dalla sinistra ma per caso.
Si capisce la proprietà dei giornali, si capiscono i direttori, funzionari della proprietà, ma i giornalisti che firmano? Chi è Lo Voi?
 
A Roma gli ultrà delle squadre di calcio si dividono per colore politico: quelli della Roma si vogliono “rossi”, quelli della Lazio “neri”. Ma quando vengono in città gli ultrà delle squadre olandesi, che si prestano al gioco degli scontri, tutti inalberano il “Sieg, Heil”, Tutti hitleriani. Non è solo ignoranza.
 
Non c’è modo per Lo Voi e Li Gotti di far decadere Meloni. Quale che sia l’orientamento politico (il giudizi è politico) delle tre donne del Tribunale dei ministri non ci sarà mai un’autorizzazione  della Camera (Meloni e Nordio) e del Senato (Piantedosi). Ma la questione galvanizza i media. Poterà voti, e copie\ascolti? A Meloni?
 
DeepSeek dopo TikTok: è durato un week-end il turbamento americano per l’irruzione dell’IA cinese – il tempo di due miliardarie (in 40 ore) manovre di Borsa, al ribasso e al rialzo. “Pechino ci spia, ruba i nostri dati” ed è fatta: fuori DeepSeek, oppure si americanizzi. Non una sorpresa, è successo cinquant’anni fa col Giappone, succede ora con la Cina. La sola novità è che gli onorati corrispondenti ci credono – sembrano perfino convinti.
 
Si tengono a Roma due mostre in contemporanea sul primo Novecento, una sul Futurismo e una detta dell’Espressionismo, cioè dei (tantissimi) artisti non futuristi per programma – e non “Novecento”, Futurismo e Novecento essendo assimilati nelle didascalie dell’“Espressionismo”, al fascismo. Ma con una strana differenza: il Futurismo è una mostra benissimo organizzata (centinaia i prestiti importanti) e molto bene esposta, l’“Espressionismo” rinchiuso nelle stanze anguste e poco praticabili dell’Arte Moderna comunale, e senza catalogo – benché sia la prima grande mostra di pittura a Torino e Milano tra le due guerre. La Cultura è di destra, la sinistra nelle cantine?
 
Non si conclude l’analisi del comitato speciale per l’esercizio del “golden power” su Unicredit-Bpm, sull’offerta di acquisto. Anche se, pare, attende ancora le carte richieste a Unicredit. È che dovrebbe provare l’equazione, a suol tempo anticipata ai media, che Unicredit è straniera, “proprietà” dei fondi che ci hanno investito perché rende, mentre Bpm è italiana. E non sanno che fare con Crédit Agricole, che non è un fondo, che fa piazzamenti finanziari, ma la seconda grande banca francese, ed è l’azionista di maggioranza di Bpm.

Curie radioattiva, in laboratorio e fuori

Un ritratto a tutto tondo della scienziata, nelle sue varie componenti, caratteriali (volitiva), sociali (“la polacca” in Francia), affettivi (altalenanti, col marito, tra la riconoscenza e il rimprovero, e con le figlie, tra cura e disattenzione), sempre corretti solo con la sorella, ma per l’equilibrio della sorella (la stabilità della comune origine, polacca). Con l’adescamento, da vedova, del ricercatore in laboratorio sposato, a un’attrice di teatro molto combattiva, che ne fa il ludibrio nazionale. E con la prima, ssatta, valutazione dei rischi delle proprie scoperte, delle radiazioni – di cui forse finisce vittima, come forse lo è già stato il marito Curie.
Una rivalutazione del genere bio dilagante. Il più “veritiero”, cioè convincente oltre che appassionante, dei tanti film su Marie Curie. “Basato sul fumetto di Lauren Redniss” forse per solidarietà tra fumettisti, ma capolavoro della romanziera grafica di “Persepolis”, iraniana di nascita, francese di adozione. Coadiuvata da una Rosamund Pike che sembra la perfezione in tutti i registri.
Satrapi stranamene, dopo il successo dell’autobiografica graphic novel “Persepolis”, in quattro volumi, portata anche al cinema, ha soltanto tre film all’attivo come regista, “Pollo alle prugne”, “The Voices” e questo “Radiactive”, vecchio ormai di cinque-sei anni - non distribuito in Italia per via del covid, pare (si presenta datato 2023).
Marjane Satrapi, Radioactive, Sky Cinema, Now