martedì 4 febbraio 2025
Parla forte, ma senza bastone – e punta al Nobel
Puntare grosso per ottenere un minimo viene giudicata alla Farnesina la divisa del Trump II – come lo è stata nel Trump I. Di Trump si dice e si scrive il contrario, ma anche questo avvio di presidenza è tonitruante e mite, a parere di chi ha confidenza con gli affari diplomatici.
Famiglia in un interno, borghese, solido
Rebecca, la figlia tanto attesa che nasce
con una voglia vistosa sulla guancia, porta la madre già scossa all’isolamento
e alla depressione, per lunghi anni. Tensioni anche drammatiche si succedono. Entro
una cornice di “normalità”, ora spregiata ma imprescindibile, in famiglia, a scuola,
in città, al lavoro, seppure in professioni di eccellenza, medica e musicale.
Un dramma – uno dei tanti – familiare.
Nella storia principale, della bambina con la voglia, e in quella della sua
compagna di banco a scuola, dove il padre è un violento. Ma un racconto
efettivamente borghese, senza l’ansia cioè dell’anti-borghesismo o dell’anti-familismo
ora d’obbligo: Giordana è un grande narratore. Anche nella sagomatura dell’ambiente
esterno, la provincia veneta, anzi specificamente Vicenza – che curiosamente è sempre
ancora quella di Parise.
Una regia dietro le quinte, con recitazioni
tutte in carattere: Valentina Bellé la madre, Paolo Pierobon il padre, Sonia
Bergamasco la pianista, sorella del padre e vice-mamma, sulle cui tracce si
indirizzerà la bambina “talento naturale” (premiata a Valencia, al festival che
a fine novembre si è comunque tenuto dopo l’eccidio dell’alluvione), e
sopattutto le tre Rebbecca, a sei, dieci e diciott’anni, Viola Basso, Sara Ciocca
e Beatrice Barison.
Marco Tullio Giordana, La vita accanto,
Sky Cinema, Now
lunedì 3 febbraio 2025
Eurexit
Perché l’Italia è
diventata poco competitiva? “Per il costo dell’energia. L’energia elettrica costa
l’82 per cento in più rispetto alla Francia, il 78 per cento in più rispetto
alla Spagna, il 38 per cento in più rispetto alla Germania. Per quanto riguarda
il gas: 7,4 euro al mwh negli Usa, 34,4 in Europa e oltre 36,3 in Italia”. Per
la transione verde. Mentre altrove il nucleare di prima generazione è ancora prospero, e anche il carbone - la Spagna è un caso
a parte: lontana dalla Russia, si è sintonizzata da tempo sul gas liquido Usa, e non ha risentito della
guerra, delle sanzioni.
Il costo dell’energia
pesa ma è solo uno dei tanti fattori di dipendenza e di minorazione dell’Italia
nell’Unione Europea così come è stata organizzata. Dopo il primo momento di europeismo
entusiasta egualitario, alla Spinelli, con l’iniziativa decisiva dell’Italia, a
fronte della Germania divisa e quindi incerta, e della Franca gollista, cioè
scettica, negli anni negli anni 1950.
A fronte del costo
dell’energia lamentato dal presidente di Confindustria Lombardia, sullo stesso
giornale Dario Di Vico riafferma il solito “Tutti a Bruxelles”, o “l’illusione
perduta di poter fare da soli”. Il che è
vero, ma solo per la fine: in economia è come in politica, non si può fare da soli.
Resta però il problema: con chi e come accompagnarsi? Mentre “l’illusione perduta”
è con ogni evidenza l’Europa, l’Unione.
È facile dire che
l’Italia “non può” fare a meno della Ue. Nessun può fare a meno di nessuno. Ma
quanto è conveniente? E forse – forse – quanto non è più conveniente non farne
parte?
La domanda è un’eresia.
Sembra un’eresia prima ancora che un’impossibilità, una stupidaggine, ma l’esperienza
va tutta in quel senso dopo i primi vagiti dell’Unione. Dopo i primissimi, già
la politica agricola dissipava decenni di fantasie e ideali. L’Unione è
soltanto di Francia e Germania, i due
paesi la cui storia e la cui economia sono le meno europeiste e le più nazionaliste,
e tali hanno continuato a essere. Ne è esempio perfino incredibile il mercantilismo
del lungo cancellierato Merkel, l’unica bussola di una che emergeva adulta dal
niente e quindi non era cresciuta con la paura come la Germania di Bonn con i russi
a Berlino, che per questo si attaccava all’Italia (alla Nato e al Pci….) e al
cosiddetto “Occidente” – altro fantasma. Anche oggi, la crisi Ue è la crisi politica
di Francia e Germania, aggravata in Germania da quella economica.
È per questo che i
Conservatori britannici, che avevano portoiato la Gran Bretagna nell’Unione nel
1973, contro la volontà della Francia, l’hanno portata fuori cinque ani fa:
perché la Gran Bretagna non contava nulla. Il “Financial Times”, che aveva
aperto un’edizione tedesca sulle ali dell’entusiasmo europeista, presto ha dovuto
chiuderla, dopo il ritorno della Germania a Berlino. Anche l’Italia, paese “fondatore”,
non ha mai contato nulla, neanche quando aveva a Bruxelles persone di spessore,
Mario Monti, Romano Prodi. Ma l’Italia, si sa, è conservatrice, e preferisce tenersi
il poco – tutti europeisti, gli italiani, perfino l’anarchica Salis siede a
Bruxelles beata.
L’esperienza aziendale
dice che è possibile fare tutto con la finanza e l’industria americane, su piede
di parità, niente con gli analoghi francesi o tedeschi, se non per compiacerli.
È come per la difesa, che l’Europa non sa darsi da cinquanta anni ormai, o sessanta.
Le forze armate italiane hanno collaborato e collaborano attivamente, anche
troppo, con gli americani, in Libano come in Somalia cinquant’anni fa, e ovunque
in Medio Oriente nel Millennio. Ma non potrebbero mai fare niente accanto ai
francesi, neanche un pattugliamento – per esempio, non molto tempo fa, nel
Sahel, il primo frangiflutti contro l’immigrazione di massa. Non si possono nemmeno
fare investimenti in Francia e in Germania, se non a piacimento dei governi nazionali,
mentre l’inverso deve essere possibile e fattibile. L’Italia non si
oppone, e se volesse non lo potrebbe, all’acquisto di banche da parte di banche
francesi, mentre l’inverso non è stato possibile (Société Générale e altre
minori). Nessuna acquisizione italiana è stata possibile ni Germania, Continental,
Opel, ora Commerzbank. Si cita sempre in contrario la HypoVereinsbank di Monaco
vent’anni fa, ma Unicredit operava allora il salvataggio di una banca
tecnicamente fallita, nel quadro di un accordo fra potentati “popolari”, la Csu
bavarese e Berlusconi, in una Germania in crisi da quasi un quinquennio, con
cinque milioni di disoccupati - veri. E del resto la Germania si occupa poco dell’Italia:
qualche decennio fa, prima della riunificazione, ancora con la Repubblica
Federale di Bonn aggrappata politicamente al Bel Paese, a un’indagine sugli
investimenti stranieri la piccola Svezia sopravanzava largamente la Germania.
Per quanto
riguarda la politica è presto detto: non c’è mai stata sintonia francese con i
governi italiani, basti ricordare la sufficienza del socialista Mitterrand nei
riguardi del socialista Craxi, e il parallelo, patrocinante ma beffardo,
apprezzamento del celebrato “eurocomunismo” berlingueriano. O del cancelliere
socialista Schmidt. Craxi, di cui ora si rivaluta la politica estera, non
andava mai a Bruxelles e parlava di più, molto di più, con Reagan e gli altri
americani con i quali era quasi venuto alle mani. I presidenti tedeschi vengono
spesso a Roma ma perché non hanno nulla da fare. I cancellieri ci vengono ogni
tanto, per l’aria, Adenauer a Cadenabbia, Schröder al Conero, o per le acque, Merkel
a Ischia, ma niente di più - Merkel che è stata la governante più “mercantilista”
che si ricodi dell’Unione, cioè nazionalista, per gli interessi economici
nazionali, nella crisi del debito, nei rapporti con la Russia, in quelli con la
Cina. Kohl ha avuto un po’ di patrocinante vicinanza “popolare” con la Dc in fase
di disgregazione, e basta.
Oggi che l’incontestato,
anzi plaudito, Piano Draghi è lettera morta, l’autodissoluzione della Ue è
evidente. Fa la guerra e non sa darsi una difesa – non se la darà mai, neanche
quando Trump leverà l’ombrello americano. È attorniata da guerre nel Mediterraneo,
Libia, Siria, Palestina, mar Rosso, ma non sa dove e cosa è il Mediterraneo, e
nessuna intenzione d’imparar e. Dovrebbe diventare una grande piazza finanziaria,
attirare col debito comune gli investimenti dei ricconi e riccastri del pianeta –
mai ce ne n’è stati così tanti, fondi, fiduciarie, finanziarie, in ricerca avida di piazzamenti – e finanziare
così il rinnovamento industriale, ma non ci vede e non ci sente. Parliamo
sempre dell’Europa franco-tedesca, di due tombe politiche, senza mai una visione di insieme, e da tempo senza forza politica (minacciano ora Trump e gli Usa, ma forse per ridere). L’inerzia è proprio migliore
della dissoluzione?
Cronache dell’altro mondo – educative (324)
“Le scuole private
sono diventate proprio oscene. Le scuole di élite alimentano le pretese, consolidano
le ineguaglianze, e pretendono di essere motori di mutamento sociale”.
“Come l’Ivy League
ha distrutto l’America. La meritocrazia non funziona” – Ivy League è
terminologia sportiva che identifica otto università del Nord-Est di antica
tradizione: Brown, Columbia, Cornell, Dartmouth, Harvard, Princeton,
Pennsylvania, Yale, n.d.r.).
“Gli studenti delle
università ’élite che non possono leggere libri – per leggere un libro all’università
bisogna aver letto un libro al liceo”.
“Come la vita è
diventata un’interminabile, terribile competizione. La meritocrazia privilegia il
risultato su ogni altra cosa, rendendo tutti - perfino i ricchi – insoddisfatti e
infelici!”.
“Perché bisogna
preoccuparsi di queste dodici università: cambia queste e cambi l’America” (l’Ivy
League propriamente detta, più quattro aggiuntive: Stanford, le due di Chicago
- Northwestern e Chicago - e l’Mit, n.d.r.).
(The Atlantic”).
Ritorno a “Grand Hotel”, il fotoromanzo
Curiosa evoluzione della serie,
pure tratta dai racconti “veloci”, sapidi, di De Giovanni, verso “Grand Hotel”.
Che non si ricorda, ma era il genere fotoromanzo. Nei temi (amori contrastati per lo più, o indecisi,
problemi madre-figlia, i belli-brutti e i brutti-belli, e qualche maternità,
impossibile o non voluta). Ma più ancora nel linguaggio – dialoghi come
didascalie. E nelle stesse immagini: tagli, colori, inquadrature.
Ma non solo di “Mina Settembre”,
a ripensarci. Altre serie Rai 1 rasentano qesto richiamo. “Un passo dal cielo”
è solo un po’ più complicato come trame (e comunque è favorito dagli scenari),
ma il fondo è sempre quello. O le prime serie di “Lolita Lobosco”.
È una questione di domanda o di offerta
(pubblicità) - un passo indietro del pubblico, oppure della Rai?
Tiziana Aristarco, Mina Settembre,
Rai 1
domenica 2 febbraio 2025
Almasri, tre gialli in uno – anzi quattro
C’è in questa vicenda Almasri
un fatto eccezionale, da film d’azione, che stranamente si trascura. Che la Questura
di Torino, di notte, all’uscita dallo stadio di Juventus-Milan, ferma per caso,
per un controllo di routine, tra le migliaia di macchine che defluiscono, una
di libici. E al controllo dei documenti risulta che uno di loro è ricercato.
In alternativa un’altra
narrazione, altrettanto fantastica. La Questura di Torino a tarda notte fa
irruzione nell’albergo dove Almasri alloggia, con un passaporto caraibico, e lo
arresta. Per virtù dello Spirito Santo? Ma sceneggiare l’albergo circondato, l’irruzione,
gli altri ospiti al piano, non è fantastico?
E poi c’è la Cote dell’Aja,
quella che vuole Putin e Netanyahu all’ergastolo, che lascia Almasri a
passeggiare per mezza Europa, Inghilterra, Francia, Belgio, Germania, e appena
varca le Alpi zàcchete, con gli esecutori volenterosi di Torino, cioè con i
servizi italiani, lo afferra.
Magari con lo zampino della
Francia – un pizzo di spy story non guasta. La quale già rumoreggiava
contro il riavvicinamento della Libia all’Italia – troppo pochi sbarchi. E
Macron con l’Italia è piuttosto sbrigativo, come già Sarkozy nel 2011 – con grande
successo allora, il disastro per l’Italia. E con un pizzico di storia, in chiave
naturalmente di antifascismo: Mussolini pagato dalla Francia per far entrare l’Italia
in guerra nel 1914-1915. Qui però si porrebbe un problema: Mussolini si faceva
pagare, Li Gotti, Lo Voi e la sinistra marciano gratis?
Questa si potrebbe dribblare:
sono i servizi italiani a essere venduti alla Francia, cioè a farsi pagare,
come Mussolini. Oppure sono semplicemente inutili – non è già successo nel 2011?
Ombre - 758
Unicredit è dunque anche in Generali. Che può essere un mero investimento, Generali è sicura e generosa con gli azionisti. Ma, bizzarria del caso?, il gruppo triestino è stato, nella vicenda a lungo travagliata di Commerzbank, uno dei possibili salvatori, se non il solo, una ventina di anni fa.
Governo di destra anche
in Belgio. Ci sono voluti sei mesi per formarlo dopo il voto di giugno, ma solo
per tenerne fuori l’estrema destra, per di più separatista fiamminga, secondo partito
al voto. Si completa lo scivolamento a destra del cuore dell’Europa, Italia,
Olanda, Austria, Francia, Svezia, Finlandia. con la Germania che tutto dice
seguirà il 23 p.v. Per disposizione personale, senza regimi al comando.
”Piazza Affari, utili giù
di 14,6 miliardi. Solo da Stellantis 12 miliardi in meno” – “Il Sole 24 Ore”. E
la produzione industriale in costante calo da quasi due anni? Stellantis costa caro
all’Italia. Carissimo.
Ineffabile il ministro
del Tesoro Giorgetti, vecchia volpe Dc in petto, solo “rovesciato”,
come il vecchio montone, “qui lo nego e qui lo dico”: “Mps-Mediobanca non è una
guerra Roma-Milano . La dimensione di quelle banche è internazionale”. Come no,
Mps è ovunque – soprattutto tra i risparmiatori,
giorno e notte.
Ma Mps è solo un’occasione:
il ministro vuole mettere in guardia Unicredit, l’ad Orcel che continua a snobbarlo.
Inopinato dà infatti ragione al vicecancelliere tedesco che chiede un intervento
del Tesoro italiano contro Unicredit. A un vicecancelliere talmente competente
che rischia di affondare il suo partito al voto domenica 23 – dal quasi il 15
per cento a meno del 5. Chi si somiglia si piglia? Ma, certo Giorgetti va sul
sicuro, in Italia non c’è lo sbarramento elettorale.
Giorgetti rivendica il
successo politico del governo di dui è parte: “Il governo Meloni sarà ricordato
per avere ridato fiducia e speranza aa un paese abituato a essere considerato la
pecora nera. Invece questo è un grande paese, con grandi potenzialità”. Lo
stesso si disse di Craxi, e si sa come è andata a finire, nella morsa giornali-giudici.
Che non è una cosa ovvia o naturale.
Sgambetto di Merkel al
suo successore alla Cdu\Cdu, o il solito gioco delle parti fra correnti
democristiani (popolari)? Il successore Merz ha fatto passare la mozione restringi-immigrazione
coi voti della destra, Alternative fùr Deutschland, Merkel non ha consentito
che la mozione diventasse legge. Merz ha mostrato agli elettori che farà il duro
con gli immigrati illegali, ma senza impegnare il suo partito a un’alleanza con
la destra – deve rubare voti a Afd e sperare che Liberali e Verdi superino il 5
per cento.
In Italia il giochetto
“democristiano” è presentato come uno sgambetto di Merkel a Merz. Solo in Italia.
Con ammirazione per Merkel. La quale ha sgambettato il suo predecessore e padre
politico Kohl, e ora sgambetterebbe il successore. Molta ammirazione, solo in Italia,
soprattutto a sinistra, per questo tipo di politica, “machiavellica”.o
Il governo decide che
sulla sicurezza dei paesi d’origine degli immigrati (ai fini del riconoscimento
del diritto d’asilo) è competente la Corte d’Appello. E allora il presidente della
Corte d’Appello Meliadò chiama alla speciale sezione le quattro giudici che già
si erano pronunciate contro il governo – tutti paesi insicuri, loro ne sanno di
più. La questione immigrati è seria, ma ci sarebbe tutto da ridere – le giudici
si divertono moltissimo, nelle foto che postano.
Marina Terragni, proto e toto
femminista, che sa anche di che parla quando parla di diritti, sull’utero in affitto, la prostituzione, la
“transizione” indotta, è il bersaglio non solo del Mit, Movimento identità
trans, ma anche della “sua” Libreria delle donne. È sempre Milano, città sempre
ultrà – ma, poi, Marina è ben milanese. Ma più che altro è fanatismo – a
essere sempre più all’estrema non si sbaglia mai.
Singolare retroscena di “la Repubblica” sul caso Lo Voi-Meloni, affidato
a due cronisti principe del giornale, Ciriaco e Foschini,
https://www.repubblica.it/politica/2025/01/31/news/governo_contro_lo_voi_macchina_fango_almasri-423971995/
che per dare ragione a Lo
Voi spiega finalmente come e perché potrebbe essere lui l’incriminato – al Csm
naturalmente, e cioè al peggio diventare Procuratore Generale: i voli di Stato
per il week-end, con un primo tentativo di ritorsione spiando Caputi, il capo di
gabinetto a palazzo Chigi di Meloni, il secondo attraverso la vecchia
conoscenza Li Gotti.
È impressionante la
difesa che la i giornali per bene fano del Procuratore Lo Voi, che con l’amico
Li Gotti denunciano Meloni per essersi liberata di Almasri, persona non grata. Usava
l’aereo di Stato per i fine settimana, ma per ragioni di sicurezza. Candidato
alla Corte dell’Aja, ma in quanto giurista eminente. Persona mite, e di destra, portato
a Roma dalla sinistra ma per caso.
Si capisce la proprietà
dei giornali, si capiscono i direttori, funzionari della proprietà, ma i giornalisti
che firmano? Chi è Lo Voi?
A Roma gli ultrà
delle squadre di calcio si dividono per colore politico: quelli della Roma si
vogliono “rossi”, quelli della Lazio “neri”. Ma quando vengono in città gli
ultrà delle squadre olandesi, che si prestano al gioco degli scontri, tutti inalberano
il “Sieg, Heil”, Tutti hitleriani. Non è solo ignoranza.
Non c’è modo per Lo Voi e
Li Gotti di far decadere Meloni. Quale che sia l’orientamento politico (il
giudizi è politico) delle tre donne del Tribunale dei ministri non ci sarà mai
un’autorizzazione della Camera (Meloni e
Nordio) e del Senato (Piantedosi). Ma la questione galvanizza i media. Poterà
voti, e copie\ascolti? A Meloni?
DeepSeek dopo TikTok: è
durato un week-end il turbamento americano per l’irruzione dell’IA cinese – il
tempo di due miliardarie (in 40 ore) manovre di Borsa, al ribasso e al rialzo.
“Pechino ci spia, ruba i nostri dati” ed è fatta: fuori DeepSeek, oppure si americanizzi.
Non una sorpresa, è successo cinquant’anni fa col Giappone, succede ora con la
Cina. La sola novità è che gli onorati corrispondenti ci credono – sembrano perfino
convinti.
Si tengono a Roma due
mostre in contemporanea sul primo Novecento, una sul Futurismo e una detta dell’Espressionismo,
cioè dei (tantissimi) artisti non futuristi per programma – e non “Novecento”,
Futurismo e Novecento essendo assimilati nelle didascalie dell’“Espressionismo”,
al fascismo. Ma con una strana differenza: il Futurismo è una mostra benissimo organizzata
(centinaia i prestiti importanti) e molto bene esposta, l’“Espressionismo” rinchiuso
nelle stanze anguste e poco praticabili dell’Arte Moderna comunale, e senza
catalogo – benché sia la prima grande mostra di pittura a Torino e Milano tra
le due guerre. La Cultura è di destra, la sinistra nelle cantine?
Non si conclude l’analisi
del comitato speciale per l’esercizio del “golden power” su Unicredit-Bpm, sull’offerta
di acquisto. Anche se, pare, attende ancora le carte richieste a Unicredit. È che
dovrebbe provare l’equazione, a suol tempo anticipata ai media, che Unicredit
è straniera, “proprietà” dei fondi che ci hanno investito perché rende, mentre
Bpm è italiana. E non sanno che fare con Crédit Agricole, che non è un fondo,
che fa piazzamenti finanziari, ma la seconda grande banca francese, ed è l’azionista
di maggioranza di Bpm.
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Curie radioattiva, in laboratorio e fuori
Un ritratto a tutto tondo della
scienziata, nelle sue varie componenti, caratteriali (volitiva), sociali (“la
polacca” in Francia), affettivi (altalenanti, col marito, tra la riconoscenza e
il rimprovero, e con le figlie, tra cura e disattenzione), sempre corretti solo
con la sorella, ma per l’equilibrio della sorella (la stabilità della comune
origine, polacca). Con l’adescamento, da vedova, del ricercatore in laboratorio
sposato, a un’attrice di teatro molto combattiva, che ne fa il ludibrio nazionale.
E con la prima, ssatta, valutazione dei rischi delle proprie scoperte, delle radiazioni
– di cui forse finisce vittima, come forse lo è già stato il marito Curie.
Una rivalutazione del genere bio
dilagante. Il più “veritiero”, cioè convincente oltre che appassionante, dei
tanti film su Marie Curie. “Basato sul fumetto di Lauren Redniss” forse per solidarietà
tra fumettisti, ma capolavoro della romanziera grafica di “Persepolis”,
iraniana di nascita, francese di adozione. Coadiuvata da una Rosamund Pike che
sembra la perfezione in tutti i registri.
Satrapi stranamene, dopo il
successo dell’autobiografica graphic novel “Persepolis”, in quattro
volumi, portata anche al cinema, ha soltanto tre film all’attivo come regista, “Pollo
alle prugne”, “The Voices” e questo “Radiactive”, vecchio ormai di cinque-sei
anni - non distribuito in Italia per via del covid, pare (si presenta datato 2023).
Marjane Satrapi, Radioactive,
Sky Cinema, Now
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