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sabato 8 febbraio 2025

Secondi pensieri - 554

zeulig


Antropofagia – Non scandalizzava la sapienza antica? Giacchè si avvisava “canis canem non est” cane non mangia cane, invece che uomo non mangia uomo?
 
Bellezza – “La bellezza è un veleno” - lo psichiatra-psicoterapeuta Raffaele Morelli: “Non si vive nel giudizio degli altri”?
La bellezza è un riflesso – si è “visti” belli? O un dato - come nei trattati, quando non era scorretto classificarla? O non è autoproiettiva, in ragione dell’autoconsiderazione – dei brutti, p.es., che si sentono belli, e lo diventano (in qualche modo lo sono)?
 
Intelligenza Artificiale – L’idea non è nuova – è alla base di tutti i racconti di golem e di molta fantascienza – anche, al fondo, dell’ultimo Orwell, “1984”. Ma, quasi con precisione, è in Furio Camillo, il maestro primo Cinquecento di grammatica e di eloquenza, del suo “Teatro della memoria”, una “mente artificiale”, o “mente fuori di noi”, progetto o ricerca che doveva arrivare a contenere “tutte le cose che sono in tutto il mondo”. Un sistema di produzione conoscitiva autonomo, creato dall’uomo ma capace di operare per sé, imparare infinitamente, assimilando e riorganizzando ogni evento dello scibile.
Niente per questo da temere? Il diavolo è in ogni piega, ance dei santi, specie dei santi.
 
Malinconia – È, era, genio. Lo è stata a ungo. Da Aristotele in poi – da Aristotele in qualità di medico: prodotta da vapori che eccitano la mente, all’entusiasmo, al delirio, alla profezia – il proprio delle sacerdotesse, e anche dei filosofi, dei poeti e degli artisti, se sono sommi. Legata a Saturno, il settimo pianeta, che è il più maligno di tutti i pianeti, perché quello della malinconia, faro e alimento del genio. Fino al Seicento, all’“Anatomia della malinconia” di Robert Burton, che non era e non si pensava medico, ma uno scrittore, che provava a liberarsene. Avrà poi alti e bassi, alti soprattutto nella vena romantica, del pensiero e della scrittura, ma più spesso, come oggi, solo associata alla depressione, il male che distrugge per cause sconosciute, seppure non contagioso, e incurabile – più o meno (dovrebbe autocurarsi).
L’associazione a Saturno ne definiva già in origine la natura: l’ultimo e più remoto dei pianeti si associa alla vecchiaia umana, all’età cioè in cui le forze e i sensi declinano, vista, gusto, tatto, sensibilità.
Memoria – Nutre o dissecca? “Sono convinto che il morbo di Alzheimer ci assalga perché ricordiamo troppo”, lo psichiatra Raffaele Morelli: “Il pensiero è un nemico”.
La memoria nutre e dissecca – il pensiero non può essere nemico: è un flusso ma è anche una selezione.
 
Natura – Di umano le resta poco. A opera dell’uomo.
Ma più a opera della donna: c’è un’altra uscita (cacciata?) in corso, dopo quella dall’eden?
 
Omeopatia - Curiosa contraddizione di una terapia che si presenta come malattia. Basata sul “principio di similitudine del farmaco” con la patologia da curare.
Similia similibus curantur” è principio del primo Ottocento, primo positivismo. Senza base scientifica – con prova cioè. Il suo teorico Hahnemann si basava sugli effetti del chinino sulla malaria. Sulla quale però il chinino influisce per quanto non lo accomuna alla malaria – e ha effetto non nella profilassi, ma quando il morbo è in atto.  

Tricolore – Le origini non sono religiose – anche quelle della bandiera, come di ogni assetto, procedura, emblema della democrazia (mobilità sociale, elettività, cooptazione, autorità delegata o rappresentanza)?
Bianco, rosso e verde sono i colori di fede, speranza e carità, le virtù teologali della cristianità. Nei paramenti liturgici dei celebranti. E nella
imagerie- pubblicistica, a cominciare dalla pittura, da Giotto in poi. Per esempio nella “Natività mistica” di Botticelli, National Gallery a Londra.
 
Verità – È (anche) la famosa coscienza di sé, che non è onorevole. Se essa è, malgrado sant’Agostino, l’altro lato del subconscio, altrettanto inattendibile.
 
A volte è banale – l’acqua bolle a 100° C. M anche qui a certe condizioni: no, dice la fisica, l’acqua non bolle sempre a 100° C, solo al livello del mare. No, nemmeno questo: dev’essere acqua pura distillata, e a pressione atmosferica 1. In montagna, per esempio, dove la pressione è inferiore, l’acqua bolle prima – è per questo che in montagna la pasta non cuoce bene. La verità è circostanziale.
 
“Nulla importa di più alla verità del rispetto per tutto ciò che è”, sia esso Inconscio, Dio o Quintessenza – Lou Salomé. C’è ancora dunque la Quintessenza?
Ma anche senza, ciò che è è ciò che è.
 
È opera d’autore. Nel senso delal persuasività – del ragionamento controversistico. O dell’ermeneutica della reticenza di Kojève: un enunciato va letto per ciò che non dice più che per ciò che dice, per il mimetismo dell’autore.
La controversia è modo retorico, anche filosofico, di servire la verità, se i contendenti hanno lo stesso scopo - tra rivali è solo lite mascherata.
 
L’ipotesi è la cosa più sicura, tutto il resto è cao-s-uale. È la causa di Heisenberg - o ne è l’effetto (il principio d’indeterminazione, Wittgenstein vi s’imbatté senza riconoscerlo). Criticare è perturbare, analizzare è trasformare, riflettere trasforma il problema. È come in artiglieria, molto influisce l’osservatore. E il percorso: i venti, le ondulazioni del terreno, gli effetti ottici. Per l’impossibilità accertata di subordinare la verità di un enunciato al suo assetto formale.
 
Ci sono tante verità quanti sono i percorsi per arrivarci. Lo sa per primo lo scrittore, la cui opera varia per le stesse condizioni materiali dello scrivere, oltre che per lo stato di salute e l’umore. Freud, dice Auden, “in nome suo viviamo ormai vite diverse”.  
Un percorso è l’irriducibilità del caso o del disordine. E poi? Niente, non si esce dall‘unitas multiplex.


zeulig@antiit.eu


La guerra-macello e la critica-netflix

Il racconto di tre amici e sodali, di buona borghesia, che nella sanità, dietro le trincee affollate di morti, nella Grande Guerra, si confrontano autodistruggendosi col problema del rifiuto della guerra. Le trincee sono ammassi di cadaveri. Gli ospedali da campo, dove i tre operano, due capitani medici e la comune amica crocerossina, peraltro lindi e asettici come non il migliore ospedale romano di oggi, rigurgitano di coscritti delle aree più diverse d’Italia che, magari amputati, magari mezzo ciechi, sognano la smobilitazione. Bisogna aiutarli, o non invece mandarli in trineca, disfattisti – sono, o possono essere stati, autolesionisti?
Un film duro. All men, se non per due sole figure femminili, deboli - si direbbe sceme, da poche scene. Una requisitoria contro la guerra, in ogni sua forma. Senza assolvere la simulazione, l’autolesionismo – il simulatore più abile si rivelerà il trafficante più spregiudicato. Ma tutto succede – ammassi di morti, mutilazioni, fucilazioni di renitenti, denunce, tradimenti, di ogni sentimento - nell’“anno della Vittoria”. Dietro un prologo, o scena di apertura, che è lo lo scandaglio di ammassi di morti o moribondi alla ricerca di qualcosa da trafugare, un accendino, una medagliett, un portafogli da poche lire.
Un fim non truce, malgrado grondi sangue e sofferenza. Molto ben argomentato nella dialettica tra i due medici, il riflessivo e il fanatico. Borghi e Montesi – specialmente il primo, irriconoscibile, tanto è compenetrato nel ruolo.
Una mega-produzione, per una volta, del cinema made in Italy, costata dodici milioni, che non ha raccolto in sala più di un decimo. Sono possibili ormai filmetti svelti, tipo serial? Non è un fim “facile”, da passaparola, ma anche la critica ormai ha perso ogni sensibilità – e ruolo, da portavoce netflix?
Gianni Amelio, Campo di battaglia, Sky Cinema

 

venerdì 7 febbraio 2025

A Sud del Sud - il S ud visto da sotto (584)

Giuseppe Leuzzi


Si riparla di Mauro Rostagno, per il lancio della docuserie di Saviano su Sky, e si ricorda che per il suo assassinio fu ipotizzato dai giudici di Trapani: 1) un traffico d’armi: 2) il “caso Calabresi”; 3) una vendetta interna alla comunità Saman che aveva fondato per il recupero dei tossici; 4) un delitto di “corna”: per favoreggiamento dei colpevoli (non identificati) o di suoi possibili\probabili amanti fu arrestata la sua compagna devota Chicca Roveri. Nel 1988, non nella preistoria. Mentre a pochi passi, a Palermo, si combatteva la mafia con acume e impegno, dai giudici Chinnici e Falcone.
 
Nella graduatoria delle liste d’attesa per regioni nelle strutture sanitarie pubbliche di Federconsumatori il Sud figura poco – a parte la Sardegna, in ritardo in tutte le specialità. I ritardi maggiori sono in Friluli-Venezia Giulia, che svetta nella classifica al negativo in tutti i campi (due anni e più per tutto, anche la mammografia, anche la visita ginecologica), la Lombardia, la Liguria. Dove cioè la sanità è più privaizzata.
Si segnala l’assenza da questa graduatoria negativa della Calabria, dove la sanità pubblica è commissariata, da una quindicina d’anni. 
 
“Il Mondo” nasce a Sud
Carmine Chiodo, “Di alcuni articoli di Corrado Alvaro apparsi su “Il Mondo” di Giovanni Amendola”:
“Il salernitano Andrea Torre, affiancato dal conterraneo Giovanni Amendola e dal calabrese Giovanni Ciraolo, tutti e tre laureati in legge, giornalisti e uomini di tendenze politiche liberal-democratiche, idearono il quotidiano romano “Il Mondo”1. Il giornale si affermò «rapidamente grazie all’autorevolezza della parte politica ma non privo, per la pagina culturale, di apporti rilevanti come gli articoli di Adriano Tilgher e di Corrado Alvaro”.
Alvaro, chiamato al “Mondo” da Giovanni Amendola, fu prima corrispondente da Parigi, da dove inviò corrispondenze che tuttora si eggno con interesse – fu un dei pirmi, se non il prmo, a parlare del fenomeno Proust. “Lettere parigine e altri scritti 1922-1925” è unar accla, acurata da Anne-Christine Faitrop-Porta, che ne fa il primo scrittore-viaggiatore del Novecento (il secondo, Arbasino, ne ripercorre molte maniere, e perfino alcuni lessemi) - anche se sempre, anche qui, con un distinto senso delle radici, benché sofferto, della famiglia, del paese. Nelaraccolta di Faitrop-Porta c’è anche una prima prova di traduzione di Proust. E poi, oltre Prosust, Pirandello, Copeau, Crémieux – insieme con San Luca, il padre, i fratelli, la madre-donna.
Il volume contiene anche una bibliografia di tutti gli articoli di Alvaro per “Il Mondo”.


Unità, imposte e leva
Ippolito Nievo passò a Palermo otto mesi al seguito di Garibaldi tra alti e bassi. Un po’ la Sicilia e la città gli pacciono, un po’ no. Soprattutto per i troppi importuni che sollecitano pensioni e favori – lo scriittore era stato nominato Intendente della spedizione, quindi alla gestione della cassa.
Ne scrive ai familiari in toni contrastanti, ammirativi e critici. Ma verso la fine del soggiorno (e della vita: morirà nel viaggio di ritorno, per il naufragio del piroscafo su cui era imbarcato), il 5 dixcembre 1860, con l’amico Andrea Cassa, di Brescia (Castenedolo), letterato anche lui e patriota, ci andrà giù pesante: “Che gente, Andrea, che gente!.... Sarà forse colpa del Borbone o del diavolo, ma non si può campare un giorno in Sicilia senza mandar a quel paese la razza umana e chi le somiglia! Miracolo e fortuna che tanto senno rimase loro per grattarsi la rogna peggiore e aiutar noi che venivamo a guarirla!”
Per finire, benché giovane sensibile e rivoluzionario sincero, con la fine dell’Italia fin dal suo principio: “Imposte e leva, leva ed imposte: questo è il miglior mezzo d’educazione….”.

Il Piemontesismo è meglio
Un periodo dimenticato della brillante carriera di Costantino Nigra, letterato e diplomatico, all’opera soprattutto con Cavour, è stato il soggiorno a Napoli nel 1861, all’indomani dei plebisciti unitari, per quattro mesi tra gennaio e maggio, in qualità di segretario della seconda Luogotenenza del Regno, affidata il 3 gennaio 1861 al principe Eugenio di Savoia Carignano. Dopo il fallimento della prima Luogotenenza, affidata dopo Teano, il 6 novembre 1860, a Luigi Carlo Farini, subito incapace e impopolare, con Garibaldi e con la città.
Nigra era a Napoli come uomo di Cavour. Con un incarico delicato, deciso da Cavour per venire a capo delle resistenze a Napoli, e a Torino – a opera dello stesso re, Vittorio Emanuele II. Un periodo e un incarico di Nigra dimenticato sia dalle biografie sia dallo stesso sito documentario a lui intitolato. Ma testimoniato dalle lettere a Cavour – non molto valutate dagli storici dell’unificazione. E da un rapporto finale, di una decina di pagine, sempre a Cavour: “Un sunto dell’amministrazione delle Provincie Napolitane dal principio del corrente anno fino ad oggi”, 21 maggio 1861 – otto giorni prima del malore ferale che colpì il suo protettore.
Secondo la Treccani, che peraltro gli dedica una nota breve, a Napoli Nigra “non fu così felice amministratore come era stato abile diplomatico”, anzi “si rivelò inadatto e fu il primo fallimento nella sua brillante carriera pubblica, perché privo di esperienza di governo e portato più a mediare con cautela che a dirigere con decisione”.
In uno dei primi rapporti a Cavour, una messa dozzia di pagine, il 17 marzo, esordisce allarmato: “Trovammo il paese irritato e malconento. Farini e i suoi consiglieri impopolarissimi. Il nome di V.E impopolare anch’esso”. V.E., Vostra Eccellenza, è Cavour. “Di me si diffidava. Si temeva l’invasione del Piemontesismo”. Decide allora di affidare ilgoverno a Liborio Romano, l’ultimo ministro di Polizia borbonico, ma liberale e sicuro aptriorta. Per il motivo, però, che era – Nigra lo riteneva – un incapace, benché popolare: “Romano non ha capacità di nessuna specie: non è cattivo di proposito deliberato, ma è debole, senza carattere, con una certa furberia tra contadinesca e curale, di nessuna convinzione politica…. Fin dal primo giorno che lo vidi, fui certo che avrebbe male amministrato, ma fui egualmente cetto che avrebbe ben tosto perduto ogni prestigio, e sarebbe diventato di pericolosissimo che era, innocuo affatto. Quel che previdi, avvenne. Commise errori, su errori”, etc..
Gli “errori”, le “incapacità”, favoriscono l’unificazione, il “piemontesismo”? Sì: “Abbiam reso evidente che non si può camminare con uomini municipali, che bisogna procedere nella via dell’unificazione, che bisogna accettare gli uomini nostri e i Piemontesi … Si va dileguando l’impopolarità del Re, ed è già quasi dileguata quella di V.E.”.
Segue un elenco delle locali lamentele, poche righe. E subito poi: “Ecco in qual bolgia mi ha mandato. E per soprammercato pochi carabinieri e poca forza nelle province. E un’amministrazione corrottissima da capo a fondo. Pessima stampa. Popolo, docile sì, ma instabile, ozioso ed ignorante”. Quindi mezza pagina di raccomandazioni – di “raccompandati”.
 
Crtoache dela differenza: Sicilia
“Che bel paese verde”, sbotta a un certo punto, il 28 maggio 1860, pochi giorni dop lo sbarco, Ippolito Nievo scrivendo alla madre dell’avventura dei Mlile, “spopolato, sereno e miserabile! Ricorda un po’ il Friuli”.
Alla cugina Bice invece scriverà, con un po’ più di esperienza, il 20 novembre, nostalgico “di aria lombarda”: “La Sicilia è una specie di paradiso senza alberi, ove io mi trovo perfettamente fuori del mio centro terreno; non ho aria per i miei polmoni, non ho immagini pel mio spirito”.
 
Nievo appena entrato a Palermo, il 24 giugno, sempre alla madre: “Palermo, con un po’ più di caldo, è negli usi, nella società, nei pettegolezzi, una fotografia di Venezia. Ti ricordi delle commedie palermitane di Goldoni, di Donna Beatrice, del Marchese di Castel d’oro, ec.? Or bene: quella società è ancora viva, grazie ala preziosa facoltà conservatrice dei governanti Napolitani. Qui si vive in pieno Seicento, col Barocchismo, le raffinatezze e l’ignoranza di allora”. E tre settimane dopo, il 15 luglio, sempre im chiave Serenissima: “Che gente questi Siciliani! Veneziani più flosci, più falsi e senza una gran dote di coraggio!”
 
“Qui siamo in mezzo al gran frastuono dei ”, scriveva Nievo ancora a Bice, il 23 ottobre, dopo il plebiscito per l’annessione all’Italia: “L’Italia una e indivisibile ha travolto le teste di questi buoni Palermitani, i quali non fanno altro che correre gridando sì sì che paiono dannati. In 32.000 votanti non abbiamo che 20 no”.
 
E ancora, sempre a Bice, l’11 novembre: “I Siciliani sono gelosi come gli avari; non abbandonano mai le loro donne, per un’ottima ragione che non si può dire ma che ti assicuro è ottima”.
La famosa donna del Sud….
 
“A un certo nputo papà”, racconta Angelo Moratti di Gian Marco, “ha preso atto che per laurearsi doveva evitare le distrazioni, così insieme a Umberto Agnelli andarono a Catania”. Alla laurea facile. Come i laureati in legge per generazioni sono andati a Catanzaro per l’abilitazione ad avvocato.
 
“Siciliane a Parigi” sono di Dolce e Gabbana alle sfilate della haute couture: “Veli, pizzi. Ricami, corsetti, e un colore su tutti: il nero”. Sempre la famosa “donna del Sud”.
 
“Camilleri era di un’altra Sicilia. Parlava un altro dialetto. Conoscva uomini diversi, che non hanno ironia (pensi invece ai catanesi), immagimava donne brune dalla pelle diafana,… “, la poetesssa messinese-ragusana Letizia Dimartino scrive al “Corriere della sera”. Camilleri?
Per un non siciliano è l’affabulatore per eccellenza - e dunque siciliano per eccellenza. A partire dalle lettere di giovinetto fuorisede a Roma agli amati genitori. Dopo l’“incontro” fortuito con Robert Capa, e il “comunismo precoce”, col catechismo e l’arcivescovo.
 
“Papà era nato a Milano, parlava dialetto milanese, sapeva tutte le canzoni popolari, oltre a tutte le canzoni politiche, da quelle anarchiche a quelle fasciste; ma era un siciliano”, Stefania Craxi a Cazzulo (“Craxi, l’ultimo vero politico”). Con lei, con la figlia – il figlio era e fu festeggiato come  l’“atteso”, ma la figlia  era un bene geloso.
 
A proposito del figlio maschio – sempre Stefania Craxi: “Nella nostra famiglia siciliana c’era molta frenesia per il figlio maschio; e mio nonno materno, che si chiamava Vittorio come l’altro nonno ed era pure lui socialista, capì e mi portò a fare una passeggiata”.
 
“La principessa Carine Vanni Calvello Mantegna di Gangi, proprietaria col marito del bel palazzo scelto da Luchino Visconti per girare la celebre scena del valzer del ‘Gattopardo’, ha smesso di prestare i suoi saloni a matrimoni perché gli ospirti rubavano oggetti di arredo”, Mario Di Caro spiega sul “Venerdì di Repubblica”.
“Abbiamo restaurato 350 mobili”, spiega la principessa, “ci sono voluti più di quattro mesi per restaurare un divano a cui la gente aveva strappato trenta pezzi”. Vandalismo? Disprezzo? Disprezzo-di-sé?


leuzzi@antiit.eu

La tarda avanguardia fiorentina

Una mostra “unica”, sul gruppo artistico che negli anni 1960-1970 tentò di rianimare Firenze, ma  è stato poi dimenticato. Per prima dalla città.
Firenze, che era stata il centro letterario e una capitale delle belle arti tra le due guerre, attorno ai celebri caffè, doveva reintrodursi nel mainstream: secondo Piero Santi, che teneva salotto notturno all’Erta San Giorgio, lungo un percorso tradizionale, oppure invece introdursi, secondo Eugenio Miccini, l’animatore, e Lamberto Pignotti, “genio universale”, soprattutto esuberante, al passo con i tempi. Cioè con le avanguardie. Partendo dal modesto caffè di piazza San Marco, dove attorno a Miccini confluivano però Alfredo Giuliani e pochi altri – malgrado il patrocinio, alla lontana, di Mario Luzi.
Più vivace il movimento pittorico, animato da Pignotti, attorno a via degli Artisti e piazza Beccaria. Su molteplici esperienze: dalla serigrafia e la calligrafia cinesi al “materico”, e infine al collage – tecnica che la mostra meglio documenta, con più reperti.
Un manifesto di giovani adulti, attorno ai cinquant’anni. Sul tema d’epoca: la società dei consumi e i  suoi contraccettivi. Da un pinto di vista di giovanile, di contestazione naturalmente, per un’arte “democratica e militante”.
In mostra opere “verbovisuali” dello steso Miccini, e di Pignotti, Roberto Malquori, Michele Perfetti, Lucia Marcucci, Luciano Ori. Tutti nati nei tardi anni 1920.
Un’avanguardia isolata. Più ferace nella grafica, la poesia volendo abbracciare all’immagine. Facendo tesoro degli stessi “materiali” del consumismo contestato – grafiche pubblicitarie, pin-up, loghi, slogan, testi.
In questa direzione l’esito più imporatnte, e forse più riuscito, che però qui non è documentato, è “Ca Balà”, la prima rivista a fumetti, di “umorismo grafico e satira politica”, anni 1971-1979, un mensile redatto e stampato a Firenze, dapprima diretto da Piero Santi e Mauro Senesi, e poi, trimestrale, da Daniele Protti e Franco Manescalchi. Che fece uso su larga scala delle tecniche “verbovisuali” del Gruppo Settanta.
“La poesia ti guarda”. Omaggio al Gruppo 70 (1963-2013)
, Galleria d’Arte Moderna, Roma

giovedì 6 febbraio 2025

Problemi di base bellicosi septies - 838

spock
Facciano la guerra per non fare la pace – non sapremmo che altro fare?
 
Trump, figlio di immigrati, è cattivo con gli immigrati: ce l’ha col suo papà?
 
Netanyahu, di una stirpe di deportati, vuole deportare i palestinesi: vuole dare ragione ai persecutori?
 
O è l’effetto della guerra: in mezzo alle armi il decoro tace?
 
La guerra non ha limiti?
 
O è come il presidente Mao diceva: la guerra può essere abolita solo con la guerra (il terzo principio della Dinamica di Newton)?

spock@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo – imperiali (325)

“Quattro ipotesi sullo scioccante piano Trump per Gaza – Trump ha scioccato il Medio Oriente,  i suoi oppositori e i suoi alleati, domestici e stranieri, col progetto di deportazione di 2 milioni di Palestinesi, e di intervento militare americano nel “calderone del Medio Oriente»”:
“È un diversivo”, per distrarre i media e il pubblico da altre questioni.
“È è un artificio negoziale”, per ottenere in Medio Oriente qualche altro scopo, per esempio l’isolamento di Hamas nel mondo arabo-islamico.
“È ancora una volta un ricorso alla «teoria del pazzo»” di Nixon: eccedere per disorientare il nemico o l’interlocutore (secondo Nixon sarebbe bastato minacciare l’uso dell’atomica per portare Ho Chi Min “a Parigi in un giorno o due”, cioè alla pace) – ma propri questa teoria Trump ha escluso, richiesto se si poteva usarla con la Cina.
“La sua improvvisa uscita imperialista è molto reale”. Anche se ancora recentemente ha ribadito che il suo impegno resta “America First”, è che il “nation-building” americano (l’esportazione della democrazia) è fuori tempo, “specie nel Medio Oriente”.
(“The Washington Post”)

Quanta pittura, antifuturista

La “deformazione” non c’entra. Neanche l’espressionismo - c’entra poco, pochissimo, solo in qualche proponimento programmatico. È la mostra della pittura “altra” degli anni tra le due guerre, con propaggini postbelliche, fino a Emilio  Vedova, l’Arte povera, un po’ d’informale. Altra cioè che Futurista e Novecento. Del gruppo di Corrente, della Scuola romana di via Cavour, Mafai, Raphaël, Scipione, di Guttuso giovane, e di un lungo elenco di pittori attivi tra Milano e Torino. Ognuno con molti quadri esposti: Cassinari, Cantatore, Badodi, Valenti, Sassu, Morlotti, Pirandello, Treccani, Birolli, Carlo Levi, e perfino De Pisis. Con Manzù, Mazzacurati e Fontana, scultore anche lui, agli inizi.  
Una mostra politica, afascista se non antifascista. Programma che molti dei pittori qui recuperati condividevano e non. Messi da parte i presupposti politici – l’eterno, incancellabile, polemismo fascismo-antifascismo (ma chi è stato fascista? anche ora, per esempio, non ci sono (stati) più comunisti, tutti erano liberali, un po’ anche cattolici, al massimo socialisti, anzi liberaldemocratici….), un’occasione per vedere pittori e quadri ormai praticamente invisibili. Poco presenti nelle gallerie, molto nelle collezioni private. E di vederli tutte insieme, con oltre 130 quadri esposti, da una quarantina di collezioni – soprattutto da quella dell’avvocato Jannaccone.
Una mostra senza curatori. Anche se lo sforzo organizzativo dev’essere stato complicato. Ma bene ordinata. Con didascalie minime, ma ben redatte. Purtroppo rinchiusa negli spazi angusti in cui continua a essere ospitata la Galleria d’Arte Moderna della città di Roma, stanze e stanzette, chiuse e sfalsate, senza luce, senz’aria.  
Estetica della deformazione. Protagonisti dell'Espressionismo Italiano,
Galleria d’Arte Moderna, Roma

mercoledì 5 febbraio 2025

Ombre - 759

Anticlimax alla Camera, alle dichiarazioni del governo sul caso Almasri: dibattito freddo, e presumibilmente per pochi, alla tanto strombazzata diretta su Rai 2 e Sky Tg24. Era prevedibile, ci vuole abilità per fare spettacolo parlando – e questa semmai l’hanno avuta i due ministri, composti e severi (sennò, che ministri sono?). È curioso che dei deputati, persone abili alla comunicazione, si esibiscano con toni falsi, allentando tensione e attenzione – le emittenti avevano messo il “pilota automatico”. Soprattutto i più giovani. Che si penserebbero più scafati in materia di  comunicazione.

 
“A Monfalcone (Gorizia) cinque studentesse dell’Istituto superiore Sandro Pertini, prima di entrare in classe la mattina e in una stanza appartata, vengono riconosciute da una referente per poi cominciare velate la lezione”, velate dalla testa ai piedi. Grande lezione di democrazia – povero Pertini? Di una regione che ha abolito la sanità pubblica – ha code d’attesa di due anni e più per le visite specialistiche e per tutti gli esami di laboratorio, a partire dalla mammografia.
 
Raccapricciante la conferenza stampa al caminetto di Trump, che esponeva il suo progetto di  “Riviera di Gaza”, e lo ripeteva, tema unico della chilometrica esibizione. Raccapricciante per il Netanyahu sorridente, anzi ridente, che ogni tanto s’inquadrava - appositamente invitato, per l’annuncio? Col caminetto acceso, alle cinque del pomeriggio, per accentuare la Gemütlichkeit, la familiarità. E con la massa dei giornalisti, altrimenti feroci con Trump, partecipe della bella idea. La deportazione di una popolazione, nel 2024. In massa: oggi i due milioni di Gaza, domani i tre della Cisgiordania, e i 3 o 400 mila di Gerusalemme. Una pulizizia etnica. A opera del Paese guida della democrazia nel mondo. E di un Paese ebraico. Una farsa tragica.
 
Curioso che lo “sviluppo immobiliare” di Gaza, come Riviera per ricchi israeliani, non sia argomento per i giornali – non è una sorpresa, ma solo questo sito l’ha segnalato, ed è tutto dire
http://www.antiit.com/2025/01/ombre-757.html
Giornali per i quali Trump è sempre un tycoon, un immobiliarista, un arricchito, ma non in questo caso. Non si capisce? Non si vuole? Non si deve?
 
Si liquida il traffico campano di permessi di soggiorno per immigrati, a 7.000 euro (settemila…), come un caso, la delinquenza di poche persone. Sfugge quello che a tutti risulta, e non per l’inchiesta campana: che attorno all’immigrazione irregolare c’è un vasto mercato, anche avvocatesco, anche commercialistico, anche giudiziario (sic!), di diritti d’asilo. Anche perché, certo, obiezioni?, non c’è una sola democrazia in Africa, o nell’Arco della Crisi islamico, dal Marocco al Bangladesh.
 
Ora che anche Lollobrigida viene incoronato da Politico.eu, dopo Meloni, e dopo Giorgetti, come miglior ministro europeo, è per questo che monta l’“aria di crisi” attorno al governo, per la novità?  Che il governo fosse di destra si sapeva. Ora intervengono le graduatorie di Politico.eu, che non si può dire di destra, e dicono che il governo sta facendo bene. È per questo che bisogna abbatterlo, dalle finte sinistre di Elkann e Urbano Cairo? Si fanno schermo perfino di Lo Voi.
 
Per converso non un commento, nemmeno una battuta, sulla pretesa del governo di salvaguardare l’“italianità” di Generali, colpevole di puntare al mercato francese, tramite Mps (non era fallita?). E di Bpm, il cui maggiore azionista è una banca francese, dalle mire di Unicredit, “una multinazionale”, con “banche all’estero” e “azionisti stranieri”. Mentre svolge solo un’occupazione senza precedenti, da quarant’anni in qua, del mondo bancario. Nemmeno una critica velata, un sussurro?
 
“La Libia era ed è una questione di interesse nazionale al suo livello più alto: la sicurezza, cioè l’incolumità anche fisica di ogni cittadino. Un pezzo grande di sicurezza nazionale si gioca fuori dai confini nazionali”. Dice cose giuste l’ex ministro dell’Interno Minniti sul “Corriere della sera”, per chi abbia solo una cognizione geografica (la mappa) delle cose.  Ma per dirlo ha dovuto lasciare il Pd (“da non pentito”).
 
Dice anche un’altra cosa Minniti, sottosegretario nel 1998, quando D’Alema accolse il leader curdo di Turchia Očalan come rifugiato politico, e poi dovete espellerlo come terrorista: “I tedeschi non ce ne chiesero l’estradizione, benché avessero emesso contro di lui un mandato di cattura per terrorismo: c’erano in Germania le comunità turca e curda più importanti d’Europa…”. La Germania sempre spara il colpo e nasconde la mano – come con Almasri?
 
Li Gotti, l’avvocato che ha fatto fortuna con i “pentiti” di mafia, ha aperto la strada, e adesso è folla di avvocati in cerca di un africano per denunciare Almastri come torturatore e Meloni come favoreggiatrice. Altrove sarebbe da ridere, ma gli “avvocati” in Italia sono più rispettati dei giudici (“danno notizie”), ed è tutto dire.
Il problema però resta: questi avvocati a percentuale non faranno un favore a Meloni, la “pura e dura” - che comunque non sarà condannata, Lo Voi o non Lo Voi, nemmeno processata? Un favore politico. E dunque la percentuale, chi la paga?
 
Roberto Giacobbo, il divulgatore gigante di cultura e buon ambiente, ha un dubbio e un cruccio: “Perché ai miei sei bassotti regolarmente scappa la pipì a cento metri dal portone, dopo tre ore di passeggiata”. Per due o tre volte al giorno, presumibilmente. Una pipì innocua – buona da leccare, da altri bassotti, e non? Si va alla transizione in mezzo agli escrementi.
 
La prima o seconda cosa che fa Trump, votato soprattutto dai meno favoriti, middle-eastern disoccupati, meridionali poveri, latinos, e anche afro, è aumentare i dazi all’importazione. Che saranno pagati all’80 per cento (ci sono tre aggravi possibili dei dazi, per gli esportatori o gli importatori, se se ne assumono l’onere comprimendo i margini, oppure, solitamente, per i consumatori) dai suoi elettori: i dazi di Trump colpiscono soprattutto consumi primari, ortofrutta (Messico) e combustibili (Canada). La politica è indipendente dall’economia – dalla borsa della spesa?
 
Gabriele Romagnoli non si dà pace, riscrive e ripubblica la difesa di un amico di sempre, un ex “ragazzo, altissimo (più di me che sono un metro e novanta)” e mite, Andrea Rossi, condannato all’ergastolo per assassinio. A Perugia, alle udienze per la revisione del processo, scrive, un paio di mesi fa, “ho sentito due periti, quello di parte e quello della corte, spostare la morte a un’ora in cui l’imputato aveva infine un alibi, ma è stato deciso di non tenerne conto”. Ma ha pur sempre “fede nella giustizia”. Che vorrà dire?

Giallo freddo

Un giallo di atmosfere. A Roma, città della luce, una narrazione notturna, anche di giorno. Attorno al furto di a ripetizione di moto importanti, 33 ne sono stati effettuati, senza mai lasciare tracce, se non per la modalità, sempre la stessa. Due commissari indagano, quello romano, e un suo amico francese. Ma con poca tensione. La produzione si annuncia importante, l’esito è un film di serie B.
Il drak drama è il genere più difficile. Forse richiede pochi mezzi, senza attori, non di nome, con pochi ciak (solo Golino qui, in poche pose, mai in azione), senza scenografie. Qui le immagini sono suggestive, il Tevere “de loin”, le molteplici prospettive cui la Piramide si presta di notte, o i lunghi sottopassi urbani, ma sono poche, e ripetitive. È comunque difficile alimentare l’ansia con le ombre - gli esiti che si ricordano sono pochi. Michela Cescon, attrice multiverso, ci ha voluto provare – ma non fino in fondo?
Michela Cescon, Occhi blu, Rai 5, Raiplay

martedì 4 febbraio 2025

Parla forte, ma senza bastone – e punta al Nobel

Puntare grosso per ottenere un minimo viene giudicata alla Farnesina la divisa del Trump II – come lo è stata nel Trump I. Di Trump si dice e si scrive il contrario, ma anche questo avvio di presidenza è tonitruante e mite, a parere di chi ha confidenza con gli affari diplomatici.
“Parla piano ma con un grosso bastone, andrai lontano”, il presunto proverbio africano di Theodor Roosevelt, il presidente di inizio Novecento evocato a proposito di Trump, funziona con Trump in realtà al contrario: Trump è un dealer, un negoziatore, e non un imperialista come Th. Roosevelt,  che la massima “africana” prospettò al Congresso per farsi autorizzare una grande flotta. Per fare cioè degli Stati Uniti una potenza imperialista come le altre, Inghilterra, Francia, Germania, Italia (avendo già aggredito con profitto la potenza più debole, la Spagna). Trump invece non ha fatto, e non progetta, guerre. E punta grosso per ottenere un minimo, negoziabile.
Un tratto però – si può aggiungere - accomuna Trump a Th. Roosevelt: l’ambizione a fare del deal, della mediazione, un’arte. L’aggressivo Th. Roosevelt si fece dare nel 1906 il Nobel per la pace, per avere mediato l’anno prima la fine del conflitto nel Pacifico fra la Russia e il Giappone. Trump ci è andato vicino con gli “accordi di Abramo”, stabilizzando definitivamente Israele, ma Stoccolma ha esitato.
P.S. - Russia e Giappone si fecero guerra soprattutto per Port Arthur, un porto nel Pacifico (oggi Lüshunkou- Dalian, in Cina) che dava alla Russia libertà di navigazione nel Pacifico – Vladivostok essendo impraticabile nel lungo inverno. La liberazione dai ghiacci oggi la Russia si prospetta sull’Atlantico, in capo a Groenlandia e Canada.

Famiglia in un interno, borghese, solido

Rebecca, la figlia tanto attesa che nasce con una voglia vistosa sulla guancia, porta la madre già scossa all’isolamento e alla depressione, per lunghi anni. Tensioni anche drammatiche si succedono. Entro una cornice di “normalità”, ora spregiata ma imprescindibile, in famiglia, a scuola, in città, al lavoro, seppure in professioni di eccellenza, medica e musicale.
Un dramma – uno dei tanti – familiare. Nella storia principale, della bambina con la voglia, e in quella della sua compagna di banco a scuola, dove il padre è un violento. Ma un racconto efettivamente borghese, senza l’ansia cioè dell’anti-borghesismo o dell’anti-familismo ora d’obbligo: Giordana è un grande narratore. Anche nella sagomatura dell’ambiente esterno, la provincia veneta, anzi specificamente Vicenza – che curiosamente è sempre ancora quella di Parise.
Una regia dietro le quinte, con recitazioni tutte in carattere: Valentina Bellé la madre, Paolo Pierobon il padre, Sonia Bergamasco la pianista, sorella del padre e vice-mamma, sulle cui tracce si indirizzerà la bambina “talento naturale” (premiata a Valencia, al festival che a fine novembre si è comunque tenuto dopo l’eccidio dell’alluvione), e sopattutto le tre Rebbecca, a sei, dieci e diciott’anni, Viola Basso, Sara Ciocca e Beatrice Barison.
Marco Tullio Giordana, La vita accanto, Sky Cinema, Now

lunedì 3 febbraio 2025

Eurexit

Perché l’Italia è diventata poco competitiva? “Per il costo dell’energia. L’energia elettrica costa l’82 per cento in più rispetto alla Francia, il 78 per cento in più rispetto alla Spagna, il 38 per cento in più rispetto alla Germania. Per quanto riguarda il gas: 7,4 euro al mwh negli Usa, 34,4 in Europa e oltre 36,3 in Italia”. Per la transione verde. Mentre altrove il nucleare di prima generazione è ancora  prospero, e anche il carbone - la Spagna è un caso a parte: lontana dalla Russia, si è sintonizzata da tempo sul  gas liquido Usa, e non ha risentito della guerra, delle sanzioni.
Il costo dell’energia pesa ma è solo uno dei tanti fattori di dipendenza e di minorazione dell’Italia nell’Unione Europea così come è stata organizzata. Dopo il primo momento di europeismo entusiasta egualitario, alla Spinelli, con l’iniziativa decisiva dell’Italia, a fronte della Germania divisa e quindi incerta, e della Franca gollista, cioè scettica, negli anni negli anni 1950.
A fronte del costo dell’energia lamentato dal presidente di Confindustria Lombardia, sullo stesso giornale Dario Di Vico riafferma il solito “Tutti a Bruxelles”, o “l’illusione perduta di poter fare da soli”.  Il che è vero, ma solo per la fine: in economia è come in politica, non si può fare da soli. Resta però il problema: con chi e come accompagnarsi? Mentre “l’illusione perduta” è con ogni evidenza l’Europa, l’Unione.
È facile dire che l’Italia “non può” fare a meno della Ue. Nessun può fare a meno di nessuno. Ma quanto è conveniente? E forse – forse – quanto non è più conveniente non farne parte?
La domanda è un’eresia. Sembra un’eresia prima ancora che un’impossibilità, una stupidaggine, ma l’esperienza va tutta in quel senso dopo i primi vagiti dell’Unione. Dopo i primissimi, già la politica agricola dissipava decenni di fantasie e ideali. L’Unione è soltanto di Francia e Germania, i due  paesi la cui storia e la cui economia sono le meno europeiste e le più nazionaliste, e tali hanno continuato a essere. Ne è esempio perfino incredibile il mercantilismo del lungo cancellierato Merkel, l’unica bussola di una che emergeva adulta dal niente e quindi non era cresciuta con la paura come la Germania di Bonn con i russi a Berlino, che per questo si attaccava all’Italia (alla Nato e al Pci….) e al cosiddetto “Occidente” – altro fantasma. Anche oggi, la crisi Ue è la crisi politica di Francia e Germania, aggravata in Germania da quella economica.
È per questo che i Conservatori britannici, che avevano portoiato la Gran Bretagna nell’Unione nel 1973, contro la volontà della Francia, l’hanno portata fuori cinque ani fa: perché la Gran Bretagna non contava nulla. Il “Financial Times”, che aveva aperto un’edizione tedesca sulle ali dell’entusiasmo europeista, presto ha dovuto chiuderla, dopo il ritorno della Germania a Berlino. Anche l’Italia, paese “fondatore”, non ha mai contato nulla, neanche quando aveva a Bruxelles persone di spessore, Mario Monti, Romano Prodi. Ma l’Italia, si sa, è conservatrice, e preferisce tenersi il poco – tutti europeisti, gli italiani, perfino l’anarchica Salis siede a Bruxelles beata.   
L’esperienza aziendale dice che è possibile fare tutto con la finanza e l’industria americane, su piede di parità, niente con gli analoghi francesi o tedeschi, se non per compiacerli. È come per la difesa, che l’Europa non sa darsi da cinquanta anni ormai, o sessanta. Le forze armate italiane hanno collaborato e collaborano attivamente, anche troppo, con gli americani, in Libano come in Somalia cinquant’anni fa, e ovunque in Medio Oriente nel Millennio. Ma non potrebbero mai fare niente accanto ai francesi, neanche un pattugliamento – per esempio, non molto tempo fa, nel Sahel, il primo frangiflutti contro l’immigrazione di massa. Non si possono nemmeno fare investimenti in Francia e in Germania, se non a piacimento dei governi nazionali, mentre l’inverso deve essere possibile e fattibile. L’Italia non si oppone, e se volesse non lo potrebbe, all’acquisto di banche da parte di banche francesi, mentre l’inverso non è stato possibile (Société Générale e altre minori). Nessuna acquisizione italiana è stata possibile ni Germania, Continental, Opel, ora Commerzbank. Si cita sempre in contrario la HypoVereinsbank di Monaco vent’anni fa, ma Unicredit operava allora il salvataggio di una banca tecnicamente fallita, nel quadro di un accordo fra potentati “popolari”, la Csu bavarese e Berlusconi, in una Germania in crisi da quasi un quinquennio, con cinque milioni di disoccupati - veri. E del resto la Germania si occupa poco dell’Italia: qualche decennio fa, prima della riunificazione, ancora con la Repubblica Federale di Bonn aggrappata politicamente al Bel Paese, a un’indagine sugli investimenti stranieri la piccola Svezia sopravanzava largamente la Germania.
Per quanto riguarda la politica è presto detto: non c’è mai stata sintonia francese con i governi italiani, basti ricordare la sufficienza del socialista Mitterrand nei riguardi del socialista Craxi, e il parallelo, patrocinante ma beffardo, apprezzamento del celebrato “eurocomunismo” berlingueriano. O del cancelliere socialista Schmidt. Craxi, di cui ora si rivaluta la politica estera, non andava mai a Bruxelles e parlava di più, molto di più, con Reagan e gli altri americani con i quali era quasi venuto alle mani. I presidenti tedeschi vengono spesso a Roma ma perché non hanno nulla da fare. I cancellieri ci vengono ogni tanto, per l’aria, Adenauer a Cadenabbia, Schröder al Conero, o per le acque, Merkel a Ischia, ma niente di più - Merkel che è stata la governante più “mercantilista” che si ricodi dell’Unione, cioè nazionalista, per gli interessi economici nazionali, nella crisi del debito, nei rapporti con la Russia, in quelli con la Cina. Kohl ha avuto un po’ di patrocinante vicinanza “popolare” con la Dc in fase di disgregazione, e basta.  
Oggi che l’incontestato, anzi plaudito, Piano Draghi è lettera morta, l’autodissoluzione della Ue è evidente. Fa la guerra e non sa darsi una difesa – non se la darà mai, neanche quando Trump leverà l’ombrello americano. È attorniata da guerre nel Mediterraneo, Libia, Siria, Palestina, mar Rosso, ma non sa dove e cosa è il Mediterraneo, e nessuna intenzione d’imparar e. Dovrebbe diventare una grande piazza finanziaria, attirare col debito comune gli investimenti dei ricconi e riccastri del pianeta – mai ce ne n’è stati così tanti, fondi, fiduciarie, finanziarie, in ricerca avida di piazzamenti – e finanziare così il rinnovamento industriale, ma non ci vede e non ci sente. Parliamo sempre dell’Europa franco-tedesca, di due tombe politiche, senza mai una visione  di insieme, e da tempo senza forza politica (minacciano ora Trump e gli Usa, ma forse per ridere). L’inerzia è proprio migliore della dissoluzione?

Cronache dell’altro mondo – istruttive (324)

“Le scuole private sono diventate proprio oscene. Le scuole di élite alimentano le pretese, consolidano le ineguaglianze, e pretendono di essere motori di mutamento sociale”.
“Come l’Ivy League ha distrutto l’America. La meritocrazia non funziona” – Ivy League è terminologia sportiva che identifica otto università del Nord-Est di antica tradizione: Brown, Columbia, Cornell, Dartmouth, Harvard, Princeton, Pennsylvania, Yale, n.d.r.).
“Gli studenti delle università d’élite che non possono leggere libri – per leggere un libro all’università bisogna aver letto un libro al liceo”.
“Come la vita è diventata un’interminabile, terribile competizione. La meritocrazia privilegia il risultato su ogni altra cosa, rendendo tutti - perfino i ricchi – insoddisfatti e infelici!”.
“Perché bisogna preoccuparsi di queste dodici università: cambia queste e cambi l’America” (l’Ivy League propriamente detta, più quattro aggiuntive: Stanford, le due di Chicago - Northwestern e Chicago - e l’Mit, n.d.r.).   
(The Atlantic”).

Ritorno a “Grand Hotel”, il fotoromanzo

Curiosa evoluzione della serie, pure tratta dai racconti “veloci”, sapidi, di De Giovanni, verso “Grand Hotel”. Che non si ricorda, ma era il genere fotoromanzo.  Nei temi (amori contrastati per lo più, o indecisi, problemi madre-figlia, i belli-brutti e i brutti-belli, e qualche maternità, impossibile o non voluta). Ma più ancora nel linguaggio – dialoghi come didascalie. E nelle stesse immagini: tagli, colori, inquadrature.  
Ma non solo di “Mina Settembre”, a ripensarci. Altre serie Rai 1 rasentano qesto richiamo. “Un passo dal cielo” è solo un po’ più complicato come trame (e comunque è favorito dagli scenari), ma il fondo è sempre quello. O le prime serie di “Lolita Lobosco”.
È una questione di domanda o di offerta (pubblicità) - un passo indietro del pubblico, oppure della Rai?
Tiziana Aristarco, Mina Settembre, Rai 1

domenica 2 febbraio 2025

Almasri, tre gialli in uno – anzi quattro

C’è in questa vicenda Almasri un fatto eccezionale, da film d’azione, che stranamente si trascura. Che la Questura di Torino, di notte, all’uscita dallo stadio di Juventus-Milan, ferma per caso, per un controllo di routine, tra le migliaia di macchine che defluiscono, una di libici. E al controllo dei documenti risulta che uno di loro è ricercato.
In alternativa un’altra narrazione, altrettanto fantastica. La Questura di Torino a tarda notte fa irruzione nell’albergo dove Almasri alloggia, con un passaporto caraibico, e lo arresta. Per virtù dello Spirito Santo? Ma sceneggiare l’albergo circondato, l’irruzione, gli altri ospiti al piano, non è fantastico?
E poi c’è la Corte dell’Aja, quella che vuole Putin e Netanyahu all’ergastolo, che lascia Almasri a passeggiare per mezza Europa, Inghilterra, Francia, Belgio, Germania, e appena varca le Alpi zàcchete, con gli esecutori volenterosi di Torino, cioè con i servizi italiani, lo afferra.
Magari con lo zampino della Francia – un pizzico di spy story non guasta. La quale già rumoreggiava contro il riavvicinamento della Libia all’Italia – troppo pochi sbarchi. E Macron con l’Italia è piuttosto sbrigativo, come già Sarkozy nel 2011 – con grande successo allora, il disastro per l’Italia. E con un pizzico di storia, in chiave naturalmente di antifascismo: Mussolini pagato dalla Francia per far entrare l’Italia in guerra nel 1914-1915. Qui però si porrebbe un problema: Mussolini si faceva pagare, Li Gotti, Lo Voi e la sinistra marciano gratis?
Questa si potrebbe dribblare: sono i servizi italiani a essere venduti alla Francia, cioè a farsi pagare, come Mussolini. Oppure sono semplicemente inutili – non è già successo nel 2011?
Una quarta storia si potrebbe raccontare, dell’avvocato Li Gotti e del giudice Lo Voi il gatto e la volpe. Ma questa è ordinaria, in ambito calabro-siculo, negli anditi del potere immarcescibile – dove starebbe la sorpresa?

Ombre - 758

Unicredit è dunque anche in Generali. Che può essere un mero investimento, Generali è sicura e generosa con gli azionisti. Ma, bizzarria del caso?, il gruppo triestino è stato, nella vicenda a lungo travagliata di Commerzbank, uno dei possibili salvatori, se non il solo, una ventina di anni fa.


Governo di destra anche in Belgio. Ci sono voluti sei mesi per formarlo dopo il voto di giugno, ma solo per tenerne fuori l’estrema destra, per di più separatista fiamminga, secondo partito al voto. Si completa lo scivolamento a destra del cuore dell’Europa, Italia, Olanda, Austria, Francia, Svezia, Finlandia. con la Germania che tutto dice seguirà il 23 p.v. Per disposizione personale, senza regimi al comando.
 
”Piazza Affari, utili giù di 14,6 miliardi. Solo da Stellantis 12 miliardi in meno” – “Il Sole 24 Ore”. E la produzione industriale in costante calo da quasi due anni? Stellantis costa caro all’Italia. Carissimo.
 
Ineffabile il ministro del Tesoro Giorgetti, vecchia volpe Dc in petto, solo “rovesciato”, come il vecchio montone, “qui lo nego e qui lo dico”: “Mps-Mediobanca non è una guerra Roma-Milano . La dimensione di quelle banche è internazionale”. Come no, Mps è ovunque – soprattutto tra  i risparmiatori, giorno e notte.
 
Ma Mps è solo un’occasione: il ministro vuole mettere in guardia Unicredit, l’ad Orcel che continua a snobbarlo. Inopinato dà infatti ragione al vicecancelliere tedesco che chiede un intervento del Tesoro italiano contro Unicredit. A un vicecancelliere talmente competente che rischia di affondare il suo partito al voto domenica 23 – dal quasi il 15 per cento a meno del 5. Chi si somiglia si piglia? Ma, certo Giorgetti va sul sicuro, in Italia non c’è lo sbarramento elettorale.
 
Giorgetti rivendica il successo politico del governo di dui è parte: “Il governo Meloni sarà ricordato per avere ridato fiducia e speranza aa un paese abituato a essere considerato la pecora nera. Invece questo è un grande paese, con grandi potenzialità”. Lo stesso si disse di Craxi, e si sa come è andata a finire, nella morsa giornali-giudici. Che non è una cosa ovvia o naturale.
 
Sgambetto di Merkel al suo successore alla Cdu\Cdu, o il solito gioco delle parti fra correnti democristiani (popolari)? Il successore Merz ha fatto passare la mozione restringi-immigrazione coi voti della destra, Alternative fùr Deutschland, Merkel non ha consentito che la mozione diventasse legge. Merz ha mostrato agli elettori che farà il duro con gli immigrati illegali, ma senza impegnare il suo partito a un’alleanza con la destra – deve rubare voti a Afd e sperare che Liberali e Verdi superino il 5 per cento.
 
In Italia il giochetto “democristiano” è presentato come uno sgambetto di Merkel a Merz. Solo in Italia. Con ammirazione per Merkel. La quale ha sgambettato il suo predecessore e padre politico Kohl, e ora sgambetterebbe il successore. Molta ammirazione, solo in Italia, soprattutto a sinistra, per questo tipo di politica, “machiavellica”.o
 
Il governo decide che sulla sicurezza dei paesi d’origine degli immigrati (ai fini del riconoscimento del diritto d’asilo) è competente la Corte d’Appello. E allora il presidente della Corte d’Appello Meliadò chiama alla speciale sezione le quattro giudici che già si erano pronunciate contro il governo – tutti paesi insicuri, loro ne sanno di più. La questione immigrati è seria, ma ci sarebbe tutto da ridere – le giudici si divertono moltissimo, nelle foto che postano.
 
Marina Terragni, proto e toto femminista, che sa anche di che parla quando parla di diritti,  sull’utero in affitto, la prostituzione, la “transizione” indotta, è il bersaglio non solo del Mit, Movimento identità trans, ma anche della “sua” Libreria delle donne. È sempre Milano, città sempre ultrà – ma, poi, Marina è ben milanese. Ma più che altro è fanatismo – a essere sempre più all’estrema non si sbaglia mai.
 
Singolare retroscena di “la  Repubblica” sul caso Lo Voi-Meloni, affidato a due cronisti principe del giornale, Ciriaco e Foschini,
https://www.repubblica.it/politica/2025/01/31/news/governo_contro_lo_voi_macchina_fango_almasri-423971995/
che per dare ragione a Lo Voi spiega finalmente come e perché potrebbe essere lui l’incriminato – al Csm naturalmente, e cioè al peggio diventare Procuratore Generale: i voli di Stato per il week-end, con un primo tentativo di ritorsione spiando Caputi, il capo di gabinetto a palazzo Chigi di Meloni, il secondo attraverso la vecchia conoscenza Li Gotti.
 
È impressionante la difesa che la i giornali per bene fano del Procuratore Lo Voi, che con l’amico Li Gotti denunciano Meloni per essersi liberata di Almasri, persona non grata. Usava l’aereo di Stato per i fine settimana, ma per ragioni di sicurezza. Candidato alla Corte dell’Aja, ma in quanto giurista eminente. Persona mite, e di destra, portato a Roma dalla sinistra ma per caso.
Si capisce la proprietà dei giornali, si capiscono i direttori, funzionari della proprietà, ma i giornalisti che firmano? Chi è Lo Voi?
 
A Roma gli ultrà delle squadre di calcio si dividono per colore politico: quelli della Roma si vogliono “rossi”, quelli della Lazio “neri”. Ma quando vengono in città gli ultrà delle squadre olandesi, che si prestano al gioco degli scontri, tutti inalberano il “Sieg, Heil”, Tutti hitleriani. Non è solo ignoranza.
 
Non c’è modo per Lo Voi e Li Gotti di far decadere Meloni. Quale che sia l’orientamento politico (il giudizi è politico) delle tre donne del Tribunale dei ministri non ci sarà mai un’autorizzazione  della Camera (Meloni e Nordio) e del Senato (Piantedosi). Ma la questione galvanizza i media. Poterà voti, e copie\ascolti? A Meloni?
 
DeepSeek dopo TikTok: è durato un week-end il turbamento americano per l’irruzione dell’IA cinese – il tempo di due miliardarie (in 40 ore) manovre di Borsa, al ribasso e al rialzo. “Pechino ci spia, ruba i nostri dati” ed è fatta: fuori DeepSeek, oppure si americanizzi. Non una sorpresa, è successo cinquant’anni fa col Giappone, succede ora con la Cina. La sola novità è che gli onorati corrispondenti ci credono – sembrano perfino convinti.
 
Si tengono a Roma due mostre in contemporanea sul primo Novecento, una sul Futurismo e una detta dell’Espressionismo, cioè dei (tantissimi) artisti non futuristi per programma – e non “Novecento”, Futurismo e Novecento essendo assimilati nelle didascalie dell’“Espressionismo”, al fascismo. Ma con una strana differenza: il Futurismo è una mostra benissimo organizzata (centinaia i prestiti importanti) e molto bene esposta, l’“Espressionismo” rinchiuso nelle stanze anguste e poco praticabili dell’Arte Moderna comunale, e senza catalogo – benché sia la prima grande mostra di pittura a Torino e Milano tra le due guerre. La Cultura è di destra, la sinistra nelle cantine?
 
Non si conclude l’analisi del comitato speciale per l’esercizio del “golden power” su Unicredit-Bpm, sull’offerta di acquisto. Anche se, pare, attende ancora le carte richieste a Unicredit. È che dovrebbe provare l’equazione, a suol tempo anticipata ai media, che Unicredit è straniera, “proprietà” dei fondi che ci hanno investito perché rende, mentre Bpm è italiana. E non sanno che fare con Crédit Agricole, che non è un fondo, che fa piazzamenti finanziari, ma la seconda grande banca francese, ed è l’azionista di maggioranza di Bpm.

Curie radioattiva, in laboratorio e fuori

Un ritratto a tutto tondo della scienziata, nelle sue varie componenti, caratteriali (volitiva), sociali (“la polacca” in Francia), affettivi (altalenanti, col marito, tra la riconoscenza e il rimprovero, e con le figlie, tra cura e disattenzione), sempre corretti solo con la sorella, ma per l’equilibrio della sorella (la stabilità della comune origine, polacca). Con l’adescamento, da vedova, del ricercatore in laboratorio sposato, a un’attrice di teatro molto combattiva, che ne fa il ludibrio nazionale. E con la prima, ssatta, valutazione dei rischi delle proprie scoperte, delle radiazioni – di cui forse finisce vittima, come forse lo è già stato il marito Curie.
Una rivalutazione del genere bio dilagante. Il più “veritiero”, cioè convincente oltre che appassionante, dei tanti film su Marie Curie. “Basato sul fumetto di Lauren Redniss” forse per solidarietà tra fumettisti, ma capolavoro della romanziera grafica di “Persepolis”, iraniana di nascita, francese di adozione. Coadiuvata da una Rosamund Pike che sembra la perfezione in tutti i registri.
Satrapi stranamene, dopo il successo dell’autobiografica graphic novel “Persepolis”, in quattro volumi, portata anche al cinema, ha soltanto tre film all’attivo come regista, “Pollo alle prugne”, “The Voices” e questo “Radiactive”, vecchio ormai di cinque-sei anni - non distribuito in Italia per via del covid, pare (si presenta datato 2023).
Marjane Satrapi, Radioactive, Sky Cinema, Now