sabato 8 febbraio 2025
Secondi pensieri - 554
Tricolore
– Le origini non sono religiose – anche
quelle della bandiera, come di ogni assetto, procedura, emblema della democrazia
(mobilità sociale, elettività, cooptazione, autorità delegata o rappresentanza)?
La guerra-macello e la critica-netflix
Il racconto di tre amici e sodali, di buona
borghesia, che nella sanità, dietro le trincee affollate di morti, nella Grande
Guerra, si confrontano autodistruggendosi col problema del rifiuto della guerra.
Le trincee sono ammassi di cadaveri. Gli ospedali da campo, dove i tre operano,
due capitani medici e la comune amica crocerossina, peraltro lindi e asettici
come non il migliore ospedale romano di oggi, rigurgitano di coscritti delle
aree più diverse d’Italia che, magari amputati, magari mezzo ciechi, sognano la
smobilitazione. Bisogna aiutarli, o non invece mandarli in trineca, disfattisti
– sono, o possono essere stati, autolesionisti?
Un film duro. All men, se non per
due sole figure femminili, deboli - si direbbe sceme, da poche scene. Una requisitoria
contro la guerra, in ogni sua forma. Senza assolvere la simulazione, l’autolesionismo
– il simulatore più abile si rivelerà il trafficante più spregiudicato. Ma tutto
succede – ammassi di morti, mutilazioni, fucilazioni di renitenti, denunce, tradimenti,
di ogni sentimento - nell’“anno della Vittoria”. Dietro un prologo, o scena di
apertura, che è lo lo scandaglio di ammassi di morti o moribondi alla ricerca
di qualcosa da trafugare, un accendino, una medagliett, un portafogli da poche
lire.
Un fim non truce, malgrado grondi sangue e
sofferenza. Molto ben argomentato nella dialettica tra i due medici, il riflessivo
e il fanatico. Borghi e Montesi – specialmente il primo, irriconoscibile, tanto
è compenetrato nel ruolo.
Una mega-produzione, per una volta, del
cinema made in Italy, costata dodici milioni, che non ha raccolto in
sala più di un decimo. Sono possibili ormai filmetti svelti, tipo serial?
Non è un fim “facile”, da passaparola, ma anche la critica ormai ha perso
ogni sensibilità – e ruolo, da portavoce netflix?
Gianni Amelio, Campo di battaglia,
Sky Cinema
venerdì 7 febbraio 2025
A Sud del Sud - il S ud visto da sotto (584)
Giuseppe Leuzzi
Si riparla di Mauro Rostagno, per il lancio della
docuserie di Saviano su Sky, e si ricorda che per il suo assassinio fu ipotizzato
dai giudici di Trapani: 1) un traffico d’armi: 2) il “caso Calabresi”; 3) una
vendetta interna alla comunità Saman che aveva fondato per il recupero dei
tossici; 4) un delitto di “corna”: per favoreggiamento dei colpevoli (non identificati)
o di suoi possibili\probabili amanti fu arrestata la sua compagna devota Chicca
Roveri. Nel 1988, non nella preistoria. Mentre a pochi passi, a Palermo, si
combatteva la mafia con acume e impegno, dai giudici Chinnici e Falcone.
Nella graduatoria delle liste
d’attesa per regioni nelle strutture sanitarie pubbliche di Federconsumatori il
Sud figura poco – a parte la Sardegna, in ritardo in tutte le specialità. I
ritardi maggiori sono in Friluli-Venezia Giulia, che svetta nella classifica al
negativo in tutti i campi (due anni e più per tutto, anche la mammografia,
anche la visita ginecologica), la Lombardia, la Liguria. Dove cioè la sanità è
più privaizzata.
Si segnala l’assenza da questa
graduatoria negativa della Calabria, dove la sanità pubblica è commissariata,
da una quindicina d’anni.
“Il Mondo” nasce a
Sud
Carmine Chiodo, “Di alcuni
articoli di Corrado Alvaro apparsi su “Il Mondo” di Giovanni Amendola”:
“Il salernitano Andrea Torre,
affiancato dal conterraneo Giovanni Amendola e dal calabrese Giovanni Ciraolo,
tutti e tre laureati in legge, giornalisti e uomini di tendenze politiche
liberal-democratiche, idearono il quotidiano romano “Il Mondo”1. Il giornale si
affermò «rapidamente grazie all’autorevolezza della parte politica ma non
privo, per la pagina culturale, di apporti rilevanti come gli articoli di
Adriano Tilgher e di Corrado Alvaro”.
Alvaro, chiamato al “Mondo” da
Giovanni Amendola, fu prima corrispondente da Parigi, da dove inviò
corrispondenze che tuttora si eggno con interesse – fu un dei pirmi, se non il
prmo, a parlare del fenomeno Proust. “Lettere parigine e altri scritti
1922-1925” è unar accla, acurata da Anne-Christine Faitrop-Porta, che ne fa il
primo scrittore-viaggiatore del Novecento (il secondo, Arbasino, ne ripercorre
molte maniere, e perfino alcuni lessemi) - anche se sempre, anche qui, con un
distinto senso delle radici, benché sofferto, della famiglia, del paese. Nelaraccolta
di Faitrop-Porta c’è anche una prima prova di traduzione di Proust. E poi,
oltre Prosust, Pirandello, Copeau, Crémieux – insieme con San Luca, il padre, i
fratelli, la madre-donna.
Il volume contiene anche una
bibliografia di tutti gli articoli di Alvaro per “Il Mondo”.
Unità, imposte e
leva
Ippolito Nievo passò a Palermo
otto mesi al seguito di Garibaldi tra alti e bassi. Un po’ la Sicilia e la
città gli pacciono, un po’ no. Soprattutto per i troppi importuni che sollecitano
pensioni e favori – lo scriittore era stato nominato Intendente della
spedizione, quindi alla gestione della cassa.
Ne scrive ai familiari in toni
contrastanti, ammirativi e critici. Ma verso la fine del soggiorno (e della
vita: morirà nel viaggio di ritorno, per il naufragio del piroscafo su cui era
imbarcato), il 5 dixcembre 1860, con l’amico Andrea Cassa, di Brescia (Castenedolo),
letterato anche lui e patriota, ci andrà giù pesante: “Che gente, Andrea, che
gente!.... Sarà forse colpa del Borbone o del diavolo, ma non si può campare un
giorno in Sicilia senza mandar a quel paese la razza umana e chi le somiglia! Miracolo
e fortuna che tanto senno rimase loro per grattarsi la rogna peggiore e aiutar
noi che venivamo a guarirla!”
Per finire, benché giovane
sensibile e rivoluzionario sincero, con la fine dell’Italia fin dal suo principio:
“Imposte e leva, leva ed imposte: questo è il miglior mezzo d’educazione….”.
Il Piemontesismo è meglio
Un periodo dimenticato della brillante
carriera di Costantino Nigra, letterato e diplomatico, all’opera soprattutto
con Cavour, è stato il soggiorno a Napoli nel 1861, all’indomani dei plebisciti
unitari, per quattro mesi tra gennaio e maggio, in qualità di segretario della
seconda Luogotenenza del Regno, affidata il 3 gennaio 1861 al principe Eugenio
di Savoia Carignano. Dopo il fallimento della prima Luogotenenza, affidata dopo
Teano, il 6 novembre 1860, a Luigi Carlo Farini, subito incapace e impopolare,
con Garibaldi e con la città.
Nigra era a Napoli come uomo
di Cavour. Con un incarico delicato, deciso da Cavour per venire a capo delle resistenze
a Napoli, e a Torino – a opera dello stesso re, Vittorio Emanuele II. Un
periodo e un incarico di Nigra dimenticato sia dalle biografie sia dallo stesso
sito documentario a lui intitolato. Ma testimoniato dalle lettere a Cavour – non
molto valutate dagli storici dell’unificazione. E da un rapporto finale, di una
decina di pagine, sempre a Cavour: “Un sunto dell’amministrazione delle
Provincie Napolitane dal principio del corrente anno fino ad oggi”, 21 maggio
1861 – otto giorni prima del malore ferale che colpì il suo protettore.
Secondo la Treccani, che
peraltro gli dedica una nota breve, a Napoli Nigra “non fu così felice
amministratore come era stato abile diplomatico”, anzi “si rivelò inadatto e fu
il primo fallimento nella sua brillante carriera pubblica, perché privo di esperienza
di governo e portato più a mediare con cautela che a dirigere con decisione”.
In uno dei primi rapporti a
Cavour, una messa dozzia di pagine, il 17 marzo, esordisce allarmato: “Trovammo
il paese irritato e malconento. Farini e i suoi consiglieri impopolarissimi. Il
nome di V.E impopolare anch’esso”. V.E., Vostra Eccellenza, è Cavour. “Di me si
diffidava. Si temeva l’invasione del Piemontesismo”. Decide allora di affidare ilgoverno
a Liborio Romano, l’ultimo ministro di Polizia borbonico, ma liberale e sicuro
aptriorta. Per il motivo, però, che era – Nigra lo riteneva – un incapace,
benché popolare: “Romano non ha capacità di nessuna specie: non è cattivo di
proposito deliberato, ma è debole, senza carattere, con una certa furberia tra
contadinesca e curale, di nessuna convinzione politica…. Fin dal primo giorno
che lo vidi, fui certo che avrebbe male amministrato, ma fui egualmente cetto
che avrebbe ben tosto perduto ogni prestigio, e sarebbe diventato di pericolosissimo
che era, innocuo affatto. Quel che previdi, avvenne. Commise errori, su errori”,
etc..
Gli “errori”, le “incapacità”,
favoriscono l’unificazione, il “piemontesismo”? Sì: “Abbiam reso evidente che
non si può camminare con uomini municipali, che bisogna procedere nella via
dell’unificazione, che bisogna accettare gli uomini nostri e i Piemontesi … Si
va dileguando l’impopolarità del Re, ed è già quasi dileguata quella di V.E.”.
Segue un elenco delle locali lamentele,
poche righe. E subito poi: “Ecco in qual bolgia mi ha mandato. E per
soprammercato pochi carabinieri e poca forza nelle province. E un’amministrazione
corrottissima da capo a fondo. Pessima stampa. Popolo, docile sì, ma instabile,
ozioso ed ignorante”. Quindi mezza pagina di raccomandazioni – di “raccompandati”.
Crtoache dela
differenza: Sicilia
“Che bel paese verde”, sbotta
a un certo punto, il 28 maggio 1860, pochi giorni dop lo sbarco, Ippolito Nievo
scrivendo alla madre dell’avventura dei Mlile, “spopolato, sereno e miserabile!
Ricorda un po’ il Friuli”.
Alla cugina Bice invece scriverà,
con un po’ più di esperienza, il 20 novembre, nostalgico “di aria lombarda”: “La
Sicilia è una specie di paradiso senza alberi, ove io mi trovo perfettamente fuori
del mio centro terreno; non ho aria per i miei polmoni, non ho immagini pel mio
spirito”.
Nievo appena entrato a Palermo, il 24 giugno, sempre alla madre: “Palermo,
con un po’ più di caldo, è negli usi, nella società, nei pettegolezzi, una
fotografia di Venezia. Ti ricordi delle commedie palermitane di Goldoni, di
Donna Beatrice, del Marchese di Castel d’oro, ec.? Or bene: quella società è
ancora viva, grazie ala preziosa facoltà conservatrice dei governanti
Napolitani. Qui si vive in pieno Seicento, col Barocchismo, le raffinatezze e
l’ignoranza di allora”. E tre settimane dopo, il 15 luglio, sempre im chiave
Serenissima: “Che gente questi Siciliani! Veneziani più flosci, più falsi e
senza una gran dote di coraggio!”
“Qui siamo in mezzo al gran
frastuono dei sì”, scriveva Nievo ancora a Bice, il 23 ottobre, dopo il
plebiscito per l’annessione all’Italia: “L’Italia una e indivisibile ha
travolto le teste di questi buoni Palermitani, i quali non fanno altro che
correre gridando sì sì che paiono dannati. In 32.000 votanti non abbiamo
che 20 no”.
E ancora, sempre a Bice, l’11
novembre: “I Siciliani sono gelosi come gli avari; non abbandonano mai le loro
donne, per un’ottima ragione che non si può dire ma che ti assicuro è ottima”.
La famosa donna del Sud….
“A un certo nputo papà”, racconta
Angelo Moratti di Gian Marco, “ha preso atto che per laurearsi doveva evitare
le distrazioni, così insieme a Umberto Agnelli andarono a Catania”. Alla laurea
facile. Come i laureati in legge per generazioni sono andati a Catanzaro per
l’abilitazione ad avvocato.
“Siciliane a Parigi” sono di Dolce
e Gabbana alle sfilate della haute couture: “Veli, pizzi. Ricami,
corsetti, e un colore su tutti: il nero”. Sempre la famosa “donna del Sud”.
“Camilleri era di un’altra Sicilia.
Parlava un altro dialetto. Conoscva uomini diversi, che non hanno ironia (pensi
invece ai catanesi), immagimava donne brune dalla pelle diafana,… “, la poetesssa
messinese-ragusana Letizia Dimartino scrive al “Corriere della sera”.
Camilleri?
Per un non siciliano è l’affabulatore
per eccellenza - e dunque siciliano per eccellenza. A partire dalle lettere di
giovinetto fuorisede a Roma agli amati genitori. Dopo l’“incontro” fortuito con
Robert Capa, e il “comunismo precoce”, col catechismo e l’arcivescovo.
“Papà era nato a Milano,
parlava dialetto milanese, sapeva tutte le canzoni popolari, oltre a tutte le
canzoni politiche, da quelle anarchiche a quelle fasciste; ma era un siciliano”,
Stefania Craxi a Cazzulo (“Craxi, l’ultimo vero politico”). Con lei, con la
figlia – il figlio era e fu festeggiato come
l’“atteso”, ma la figlia era un
bene geloso.
A proposito del figlio maschio
– sempre Stefania Craxi: “Nella nostra famiglia siciliana c’era molta frenesia
per il figlio maschio; e mio nonno materno, che si chiamava Vittorio come l’altro
nonno ed era pure lui socialista, capì e mi portò a fare una passeggiata”.
“La principessa Carine Vanni
Calvello Mantegna di Gangi, proprietaria col marito del bel palazzo scelto da
Luchino Visconti per girare la celebre scena del valzer del ‘Gattopardo’, ha
smesso di prestare i suoi saloni a matrimoni perché gli ospirti rubavano
oggetti di arredo”, Mario Di Caro spiega sul “Venerdì di Repubblica”.
“Abbiamo restaurato 350 mobili”, spiega la
principessa, “ci sono voluti più di quattro mesi per restaurare un divano a cui
la gente aveva strappato trenta pezzi”. Vandalismo? Disprezzo? Disprezzo-di-sé?
leuzzi@antiit.eu
La tarda avanguardia fiorentina
Una mostra “unica”, sul gruppo artistico
che negli anni 1960-1970 tentò di rianimare Firenze, ma è stato poi dimenticato. Per prima dalla città.
Firenze, che era stata il centro letterario
e una capitale delle belle arti tra le due guerre, attorno ai celebri caffè,
doveva reintrodursi nel mainstream: secondo Piero Santi, che teneva
salotto notturno all’Erta San Giorgio, lungo un percorso tradizionale, oppure
invece introdursi, secondo Eugenio Miccini, l’animatore, e Lamberto Pignotti, “genio
universale”, soprattutto esuberante, al passo con i tempi. Cioè con le avanguardie.
Partendo dal modesto caffè di piazza San Marco, dove attorno a Miccini confluivano
però Alfredo Giuliani e pochi altri – malgrado il patrocinio, alla lontana, di
Mario Luzi.
Più vivace il movimento pittorico, animato da
Pignotti, attorno a via degli Artisti e piazza Beccaria. Su molteplici esperienze:
dalla serigrafia e la calligrafia cinesi al “materico”, e infine al collage –
tecnica che la mostra meglio documenta, con più reperti.
Un manifesto di giovani adulti, attorno ai
cinquant’anni. Sul tema d’epoca: la società dei consumi e i suoi contraccettivi. Da un pinto di vista di
giovanile, di contestazione naturalmente, per un’arte “democratica e militante”.
In mostra opere “verbovisuali” dello steso
Miccini, e di Pignotti, Roberto Malquori, Michele Perfetti, Lucia Marcucci,
Luciano Ori. Tutti nati nei tardi anni 1920.
Un’avanguardia isolata. Più ferace nella grafica,
la poesia volendo abbracciare all’immagine. Facendo tesoro degli stessi “materiali”
del consumismo contestato – grafiche pubblicitarie, pin-up, loghi, slogan,
testi.
In questa direzione l’esito più imporatnte, e
forse più riuscito, che però qui non è documentato, è “Ca Balà”, la prima rivista
a fumetti, di “umorismo grafico e satira politica”, anni 1971-1979, un mensile redatto
e stampato a Firenze, dapprima diretto da Piero Santi e Mauro Senesi, e poi,
trimestrale, da Daniele Protti e Franco Manescalchi. Che fece uso su larga
scala delle tecniche “verbovisuali” del Gruppo Settanta.
“La poesia ti guarda”. Omaggio al Gruppo 70
(1963-2013), Galleria
d’Arte Moderna, Roma
giovedì 6 febbraio 2025
Problemi di base bellicosi septies - 838
spock
Facciano la
guerra per non fare la pace – non sapremmo che altro fare?
Trump, figlio
di immigrati, è cattivo con gli immigrati: ce l’ha col suo papà?
Netanyahu, di
una stirpe di deportati, vuole deportare i palestinesi: vuole dare ragione ai
persecutori?
O è l’effetto
della guerra: in mezzo alle armi il decoro tace?
La guerra non
ha limiti?
O è come il
presidente Mao diceva: la guerra può essere abolita solo con la guerra (il
terzo principio della Dinamica di Newton)?
spock@antiit.eu