sabato 15 febbraio 2025

Commerzbank, un affare

Il piano di efficientamento di Commerzbank si fonda sulla riduzione del personale. Di un 12-13 per cento, non di poco, quasi quattromila unità. Con l’accordo del sindacato. In un paese già in recessione da due anni - e avviato ancora peggio in questo 2025. Una stranezza, ma non in Germania: il muro va consolidato contro una scalata, questa l’esigenza primaria - una scalata italiana, poi, figurarsi.
E se Unicredit dovesse o volesse rinunciare all’acquisizione, specie dopo il voto del 23 febbraio, che sancirà il successo del leghismo d’oltralpe? Farebbe un affarone. Sarebbe come ha annunciato a settembre: “Esplorare le opportunità di creazione di valore per gli azionisti di entrambe le banche”. Un gran regalo, impensato, ha già fatto al Tesoro tedesco, cui fa capo ancora un 10 per cento di Commerzbank - abbastanza per ammorbidirne lo sciovinismo?
La quota Unicredit, il 28 o 29 per cento, si avvia a raddoppiare di valore: è stata acquisita a 12,50-13 euro. E ora vale il doppio – si avvia a valere il doppio. 
Commerzbank quota sui 20 euro. In un trend in continua crescita, che il piano di rilancio annunciato dovrebbe consolidare. Unicredit ha rilevato in agosto una quota del 4,49 per cento dal Tesoro tedesco (infangato in Commerzbank dal 2008, un po’ come il Tesoro italiano con Mps) per 702 milioni, valutando il titolo 13,20 euro, contro una quotazione di mercato di 12,50. Ma il build-up della posizione complessiva Unicredit, 9-28 per cento, è stato realizzato presumibilmente a valori inferiori. Commerzbank era reduce da un secondo trimestre in netto peggioramento, meno 7 per cento di fatturato e utili, e prospettive in corso pessimistiche. La sferzata Unicredit ha ribaltato la prospettiva.
Oggi Commerzbank è sui 20 euro, con una capitalizzazione di 23,5 miliardi. Con aspettative ancora molto positive. Il titolo quotava 17,07 il 14 gennaio, 19,59 il 14 febbraio. Il gruppo ha chiuso il 2024 con attivi alla fine in crescita del 20 per cento e una cedola quasi raddoppiata. E in questo 2025 dovrà-vuole fare “molto di più”.

Commerzbank più difficile con la Germania a destra

Avrà vita difficile Orcel in Germania dopo il 23, col presumibile nuovo governo, nella scalata di Commerzbank. Il governo che si prospetta, seppure probabilmente di Grande Coalizione con i socialdemocratici, vedrà comunque i popolari, la Cdu-Csu, spostati a destra. In chiave nazionalista, per fronteggiare l’ascesa della destra dichiarata, Alternative für Deutschland. Sugli “interessi nazionali”, in tema di immigrazione, transizione verde, difesa, e naturalmente economia.
Le maggiori possibilità Unicredit le ha avute col governo dimissionario, di centro-sinistra si direbbe in Italia, benché il Tesoro fosse gestito da un Liberale, un politico di centro-destra. Da lui, grato, Orcel rilevò una quota del fardello che il Tesoro deteneva dal 2008. Da qui forse l’idea che il governo tedesco non avrebbe sgradito un’acquisizione.  
Se Unicredit ha avuto problemi con il centro-sinistra, figurarsi col centro-destra che si prospetta. Tanto più che i suoi contatti politici, quelli del presidente Padoan, sono anche in Germania con gli ambienti politici di centro-sinistra. Compreso il suo amico e interlocutore Joachim Nagel, il presidente della Bundesbank - che ora, come la Banca d’Italia, decide poco, ma in Germania mantiene un ruolo di alto profilo.
P.S. Un Nagel in Bundesbank, un Nagel in Mediobanca, quanti intrecci in questa doppia acquisizione, Unicredit-Commerzbank, Mps-Mediobanca. Anche per questo caratterizzata politicamente – Mps-Mediobanca evidentemente più di Unicredit -Commerzbank.

L’esame del golden power si fa su Padoan

A che punto è la disamina del Dica, il dipartimento coordìnamento amministrativo di palazzo Chigi, dell’ops Unicredit su Bpm? A nessun punto, la valutazione del Dica viene ex post. La decisione è politica, e anche i tempi sono dettati dalle convenienze politiche.
Nella fattispecie l’avocazione del golden power sulla ops è ridicola: Unicredit è ben italiana, e opera nell’interesse di tutti gli stakeholder, di chi ci ha un interesse, azionisti, dipendenti, clienti. Poiché vanta bilanci ottimi, e una proprietà diffusa, non soggetta a controlli. Lo è di fatto, e di statuto. Una “public company” come proclama il sito, “controllata per oltre l’85 per cento da investitori professionali”. Investitori “di cui la maggioranza è ubicata fuori dall’Italia”, è vero, ma come titolo di merito, di soggetti cioè non politici, non di sottogoverno – “la banca non ha un azionista o un gruppo di Azionisti di maggioranza, così come non è presente un patto di sindacato o qualsiasi forma di patto di consultazione”.
E allora, perché il ministro del Tesoro Giorgetti, che ha ambizioni di statista ma è lì come esponente della Lega, non è contento? Perché il presidente di Unicredit è pur sempre Padoan, l’ex ministro del Tesoro degli ultimi governi Pd, Renzi e Gentiloni, dal 2014 al 2018.
 

Se l’Europa ha dimenticato la democrazia

Un discorso violento contro il modo di essere “politicamemte corretto” dell’Europa. Partendo dall’annullamento dell’elezione politica in Romania per decreto - per decisione della Corte costituzionale che Vance dice immotivata.
La solita facezia che deve aprire in America il discorso pubblico. Un tributo alla città di Monaco e alle vittime dell’attentato contro il corteo sindacale. E subito l’affondo: “La minaccia che più mi preoccupa nei confronti dell’Europa non è la Russia, non è la Cina, non è nessun altro attore esterno. Ciò che mi preoccupa è la minaccia dall’interno. La ritirata dell’Europa da alcuni dei suoi valori più fondamentali, valori condivisi con gli Stati Uniti d’America. Ora, mi ha colpito che un ex commissario europeo sia andato in televisione di recente e si sia mostrato compiaciuto del fatto che il governo rumeno avesse appena annullato un’intera elezione. Ha avvertito che se le cose non andranno secondo i piani, la stessa cosa potrebbe accadere anche in Germania. Queste dichiarazioni sprezzanti sono scioccanti per le orecchie americane….. Quando vediamo i tribunali europei annullare le elezioni e alti funzionari minacciare di annullarne altre, dovremmo chiederci se ci stiamo attenendo a uno standard adeguatamente elevato”, in termini di democrazia.
Segue una digressione sulla storia recente dell’Europa. Non sul nazismo, sul bolscevismo: “La Guerra Fredda ha schierato i difensori della democrazia contro forze molto più tiranniche in questo continente. E considerate la parte in quella lotta che censurava i dissidenti, che chiudeva le chiese, che annullava le elezioni. Erano i buoni? Certamente no. E grazie a Dio hanno perso la Guerra Fredda. Hanno perso perché non hanno valorizzato né rispettato tutte le straordinarie benedizioni della libertà. La libertà di sorprendere, di sbagliare, di inventare, di costruire, poiché a quanto pare non si può imporre l’innovazione o la creatività”.
Porta poi esempi di persecuzione pubblica, statale, di persone che protestano pacificamente, in Germania, Svezia, Gran Bretagna – “il governo britannico ha accusato Adam Smith Connor, un fisioterapista di 51 anni e veterano dell’esercito, dell’atroce crimine di essersi fermato a 50 metri da una clinica per aborti e di aver pregato in silenzio per tre minuti. Senza ostacolare nessuno, senza interagire con nessuno, semplicemente pregando in silenzio da solo”: colpevole di avere pregato  contro un aborto, che lui e la sua fidanzata da giovani avevano praticato , “è stato condannato a pagare migliaia di sterline di spese legali alla pubblica accusa”.
Poi l’affondo, la democrazia in Europa è a rischio: “Ora siamo al punto in cui la situazione è diventata così grave che lo scorso dicembre la Romania ha annullato i risultati delle elezioni presidenziali sulla base dei fragili sospetti di un’agenzia di intelligence e delle enormi pressioni dei suoi vicini continentali”. E a Monaco, “gli organizzatori di questa stessa conferenza hanno vietato ai legislatori che rappresentano i partiti populisti sia di sinistra che di destra di partecipare a queste conversazioni…. Per molti di noi dall’altra parte dell’Atlantico, sembra sempre più che si tratti di vecchi interessi radicati che si nascondono dietro brutte parole dell’era sovietica come disinformazione e misinformazione, a cui semplicemente non piace l’idea che qualcuno con un punto di vista alternativo possa esprimere un’opinione diversa o, Dio non voglia, votare in modo diverso o, peggio ancora, vincere un’elezione”.
Infine la sicurezza, tema della conferenza: “Credo profondamente che non ci sia sicurezza se si ha paura delle voci, delle opinioni e della coscienza che guidano il proprio popolo… Se avete paura dei vostri stessi elettori, non c’è niente che l’America possa fare per voi… Avete bisogno di mandati democratici per realizzare qualcosa di valore nei prossimi anni…
“Se volete godere di economie competitive, se volete godere di energia a prezzi accessibili e catene di approvvigionamento sicure, allora avete bisogno di mandati per governare perché dovete fare scelte difficili per godere di tutte queste cose e, ovviamente, lo sappiamo molto bene in America. Non si può ottenere un mandato democratico censurando gli avversari o mettendoli in prigione, che si tratti del leader dell’opposizione, di un’umile cristiana che prega nella propria casa o di un giornalista che cerca di riportare la notizia. Né si può ottenerlo ignorando il proprio elettorato di base su questioni come chi può far parte della nostra società….”
Evoca alcuni motivi del voto di destra: la Brexit, l’immigrazione, l’insicurezza sociale, economica. E commenta: “Ora, mi capita di essere d’accordo con molte di queste preoccupazioni, ma non è necessario che voi siate d’accordo con me. Penso solo che le persone abbiano a cuore le loro case. Hanno a cuore i loro sogni, hanno a cuore la loro sicurezza e la loro capacità di provvedere a se stessi e ai loro figli. E sono intelligenti”. Irride a Davos, l’internazionale del capitale. E conclude: “È compito della democrazia giudicare queste grandi questioni alle urne. Credo che ignorare le persone, ignorare le loro preoccupazioni o, peggio ancora, chiudere i media, annullare le elezioni o escludere le persone dal processo politico non protegga nulla. In realtà, è il modo più sicuro per distruggere la democrazia. E parlare ed esprimere opinioni non è un’interferenza elettorale, anche quando le persone esprimono opinioni al di fuori del proprio paese e anche quando quelle persone sono molto influenti. E credetemi, lo dico con tutto il mio umorismo: se la democrazia americana può sopravvivere a 10 anni di rimproveri di Greta Thunberg, voi potete sopravvivere a qualche mese di Elon Musk!
“Ma ciò a cui non sopravviverà la democrazia tedesca, o meglio nessuna democrazia, americana, tedesca o europea, è dire a milioni di elettori che i loro pensieri e le loro preoccupazioni, le loro aspirazioni, le loro richieste di aiuto non sono legittime o non meritano nemmeno di essere prese in considerazione.  La democrazia si basa sul sacro principio che la voce del popolo conta. Non c’è spazio per i firewall. O si sostiene il principio o non lo si fa”.
Finisce ecumenico: “Come disse una volta Papa Giovanni Paolo II, a mio avviso uno dei più straordinari difensori della democrazia in questo continente e in qualsiasi altro, “non abbiate paura!”. Non dovremmo avere paura del nostro popolo, anche quando esprime opinioni in disaccordo con la propria leadership. Grazie a tutti. Buona fortuna a tutti voi. Dio vi benedica”.
Dopo il discorso Vance si è intrattenuto ostentatamente con Alice Weidel, la candidata cancelliere di Afd, il partito di destra che in Germania molti vorrebbero abolito per decreto – e comunque da tenere fuori dell’“arco costituzionale”, anche se largamente rappresentato in Parlamento. E ha reso omaggio alle vittime di Hitler al lager cittadino, a Dachau.
Il vice-presidente di Trump, forse il più giovane di tutti i vice-presidenti, senatore per l’Ohio dal 2022, è noto per un passato anti-trumpiano, fino al 2022, e ora trumpiano. Ha di suo una formazione culturale, anche se recente – è autore di un best-seller, “Hillbilly Elegy”, di spessore anche letterario, sulla sua vita e l’ambiente di provenienza. Un’infanzia e un’adolescenza disastrate, tra molti padri assenti, una madre alcolizzata, una nonna materna, che lo ha allevato, che minacciava l’uso della pistola, in un Middle-West impoverito, Kentucky, Ohio, di ex operai improvvisamente passati dal partito Democratico ad anti-immigrati, anti-poveri (i ladri di sussidi), alcolizzati, infidi. Sposato a un’avvocata di origine indiana, cui ritiene di dovere “tutto”, la laurea a Yale, dopo avere fatto un po’ di soldi arruolandosi nei Marines (quattro anni di Iraq), e la proficua attività professionale in vari fondi di venture capital. Il tutto in 40 anni, compresa la vice-presidenza.

JD Vance Shames Europe Leaders To Their Faces, Leaves Room Stunned, you tube
Il discorso integrale di Vance a Monaco. Start.mag.it, free online
 

venerdì 14 febbraio 2025

Ucraina, la fine annunciata

Non è un tradimento – o forse lo è, ma non dell’Ucraina – e non è un colpo di testa del “solito Trump”, il negoziato a due, Trump-Putin, per la “pace” in Ucraina. La politica americana ha delle costanti, sotto la diversa “immagine” (caratteri, linguaggi, priorità, anche fisicità) dei presidenti – i comandanti in capo. E la conclusione è in linea con quanto si sapeva – chi segue gli affari internazioali poteva sapere.
Questo sito se ne è occupato a più riprese. Il 6 maggio, per esempio,
http://www.antiit.com/2024/05/il-verso-senso-della-guerra.html
o a novembre del 2022, il 29
http://www.antiit.com/2022/11/secondi-pensieri-498.html
o il 19, “La guerra in Ucraina venticinque anni fa”
http://www.antiit.com/2022/11/la-guerra-in-ucraina-venticinque-anni-fa.html
Gli Stati Uniti non hanno interesse a inimicarsi la Russia, in un contesto globale. Tenerla sotto pressione sì, è una potenza nucleare, ma non inimicarla: questo è un fatto. Le presidenze post-1989 hanno oscillato, tra una sorta di appeasement (già Reagan era molto “vicino” a Gorbaciov) e la vecchia linea del “confronto”, della sfida. Si è arrivati perfino a invitare Putin ai vertici a Sette, e a discutere una qualche forma di avvicinamento della Russia alla Nato – e non per merito di Berlusconi. L’attacco ai russi dell’Ucraina all’origine della crisi, con le cosiddette rivolte di piazza, poi ingigantito da Zelensky, trovava forza in Biden, vice-presidente, ma contro il volere di Obama. 

Un altro fatto è che la Ue è nel gergo americano Fortezza Europa. È su questo sfondo che va letta la critica oggi a Vienna di Vance, il vice di Trump, economista e intellettuale, alla UE sulla libertà di opinione, e sul rispetto degli elettori - anche se di destra. La fine della guerra fredda ha dislocato i destini di Europa e Usa. L’idea di un’Europa grande potenza, con o senza l’ombrello nucleare americano, è sempre stata contrastata dagli Stati Uniti. Impotenti sul piano economico, prima e dopo la creazione dell’Euro, non ne hanno mai favorito, e spesso lo hanno contrastato, un ruolo politico internazionale. È in questo contesto che la guerra in Ucraina – che peraltro l’Europa poteva e non ha voluto\saputo prevenire – è stata combattuta con le sanzioni, con danni anche gravi (la recessione in Germania, ora al terzo anno, che è quanto dire dell’Europa tutta), solo dall’Europa. Che ora viene esclusa da ogni possibile esito.  
 

Il padre è immortale per la figlia

Giovani spensierati, che hanno inseguito fantasie di vite stellari, fuori dai limiti e i condizionamenti della routine, si ritrovano nella disgrazia della disoccupazione e della malattia a confrontarsi con la realtà più stupida: il sindacato corrotto, la sanità inselvaggita, la nuova gioventù “fumata” e balorda. Ma non è un film di fantastoria, o di neo-neorealismo: è un’elaborazione del lutto, un’appassionata, dolorosa e insieme vivificante, celebrazione del padre, che c’era e sempre c’è stato, ma ora è destinato a morire.
Una storia probabilmente personale. La regista ha ora gli anni di quando il padre è morto. Figlia di due giovani “fricchettoni”, lui siciliano lei finlandese, e tali risultano i genitori della storia – lei viene a trovare lui in fin di vita all’ospedale dalla Finlandia. E questo ha allungato il film, come se la regista volesse passare ancora un altro momento col padre. Una sforbiciata ne avrebbe fatto probabilmente un capolavoro – mentre è stato fatto uscire in estate, e non l’ha visto nessuno.
La storia non è originale – anche se la figura del padre ultimamente è sbiadita, se non rifiutata. Ma la sceneggiatura, la regia e gli interpreti la fanno molto robusta. Soprattutto lei, la figlia-autrice, Gelsomina Pascucci, che deve passare tra molti registri e sempre è autorevole, senza mai forzare una battuta. O il disincantato padre, David Coco - siciliano come il babbo vero della storia.
Anne Riitta Ciccone, Gli immortali, Sky Cinema

giovedì 13 febbraio 2025

Germania a rischio valanga, a destra

Non è più in discussione lo spostamento a destra della Germania al voto del 23, ma se non sarà una valanga. La tentata strage di Monaco e la pace in Ucraina accrescono il senso di sfaldamento del governo Scholz, e la debolezza dei Verdi, che nel governo hanno rappresentato il triplice fattore di debolezza elettorale – immigrazione, transizione verde, guerra.  
Per quanto impossibile probabilisticamente – vengono da un 15 per cento dei suffragi – la politica dei Verdi, della porta aperta e della guerra alla Russia, potrebbe portarli alla débâcle elettorale, sotto cioè il 5 per cento minimo per l’accesso al Bundestag. Anche perché forti, alle elezioni del 2021, del voto giovanile, oggi dirottato altrove. A favore del movimento di Sahra Wagenknecht, della destra Afd, e degli stessi, dati già per defunti, Liberali. Dopo Baerbock, ministra degli Esteri, il candidato cancelliere dei Verdi Habeck insisteva ancora recentemente per il raddoppio della spesa per la Difesa, al 3,5 per cento del pil. 

In cerca di un’alternativa all’atlantismo

In Germania, quale che sia l’esito del voto il 23, verrà comunque in discussione dopo il voto, con l’immigrazione, la guerra e la nuova delocalizzazione industriale, uno dei pilastri del dopoguerra: l’atlantismo, la delega agli Stati Uniti della difesa di ultima istanza, l’ombrello nucleare.
Questa scelta non ha alternative. Non immediate. L’Europa è troppo divisa per organizzare una difesa comune, e la Germania con troppi punti di crisi per dare una guida e comunque un impulso. Ma la questione potrebbe orientare la formazione del nuovo governo, che tutto lascia supporre sarà di centro-destra – di orientamento, anche se parlamentarmente dovesse essere di Grande Coalizione.
Questa incertezza – l’impossibilità di un ombrello nucleare alternativo a quello americano - accresce portata e peso della crisi post-Ucraina. Bisognerà costruire un’alternativa.
Un esito paradossale di questa guerra, che l’Europa ha subito, sarà di lasciarla sola. E forse di dover cercare un avvicinamento con Mosca. Anche – paradosso su paradosso – militare.

 

Militanza in calo contro la Russia

Non recepito dai media italiani, bizzarramente sempre in guerra contro la Russia, a sinistra e a destra, c’è diffuso un distanziamento in Europa dalle posizioni più militanti. La stessa Polonia, capofila dell’antirussismo, con una spesa militare quest’anno del 4,7 per cento del pil, sta moderando da qualche settimana i toni bellicosi.
Più marcato il disimpegno britannico: il nuovo governo, laburista, ha smobilitato le strutture di formazione a addestramento delle forze ucraine, e non fornisce più coi suoi Servizi la “notizia di guerra” ogni giorno ai media. Macron, il presidente francese, che non molto tempo fa voleva mandare dei “volontari” alla difesa dell’Ucraina, tace. La Germania discute il militantismo antirusso di Polonia, Moldavia, Georgia, Romania, dei paesi Baltici e ora anche di Finlandia e Svezia. Berlino aveva espresso dubbi alla nomina agli Affari Esteri della Commissione Ue dell’ex primo ministro estone Kallas, “una che, se le chiedete dove si trova l’Africa, vi risponderebbe a sud della Russia”.

Cronache dell’altro mondo – risarcitorie (328)

X, cioè Elon Musk, paga a Trump una penale di 10 milioni di dollari per chiudere l’azione di risarcimento avviata a suo tempo dal neo presidente per l’esclusione dalla piattaforma. Avvenuta a febbraio del 2020, per il motivo che Trump era collegato alla rivolta anti-Congresso del 6 gennaio.
Due settimane fa anche Meta-Facebook ha acceduto a un accordo extragiudiziale con Trump, pagando 25 milioni di penale – di cui 22 destinati a un fondo per la Biblioteca presidenziale. Anche Meta doveva rispondere di diffamazione e danni per la sospensione dell’account di Trump a ridosso dei fatti del 6 gennaio 2020.
Meta aveva già reintegrato Trump nella piattaforma, a luglio del 2024, dopo la vittoria alle primarie Repubblicane. Musk lo aveva fatto nel novembre del 2022, subito dopo aver acquisito la piattaforma Twitter, poi ribattezzata X. Da qui il minore onere della transazione.  
Musk comunque ha speso di suo 250 milioni di dollari per la campagna elettorale di Trump.

La verità sul 1922

Uno storico, Emilio Gentile, che non ha paura di dire le cose come sono state, e un’emittente che non deve sottostare al pizzo del politicamente costretto. Una video-intervista non recente, del 2022, per i cento anni della “marcia su Roma”, ma sempre vivace, e utile a bilanciare il malcostume dell’eterna “guerra civile” – quando non si hanno argomenti politici si fa la “guerra”. E piena di “notizie” – siamo a questo punto, dopo ottant’anni di Repubblica
La Repubblica ha creato una cesura col fascismo poiché nasce dall’antifascismo è l’ultima verità del video:  è la Costituzione, l’atto di nascita di una democrazia talmente “forte” da consentire a tutti, compresi i neo o vecchi fascisti, di partecipare al voto e votarsi - caso unico in Europa. Caso unico fu anche il biennio rosso, 1919-1920. In un paese che pure aveva vinto la Guerra. In Germania, che dalla guerra usciva distrutta, la Novemberrevolution durò poche settimane. Il partito Socialista nell’ottobre del 1919 aderiva all’Internazionale comunista (sovietica) e proclamava la rivoluzione – la soppressione del Parlamento, la dittatura del proletariato. Mussolini non governava il partito Nazionale Fascista e le “squadracce”, creazioni degli agrari, padani, toscani, pugliesi. Non ci fu la “marcia su Roma”, ci fu una sfilata, dopo che Mussolini era stato nominato presidente del consiglio. Ancora a metà 1922 Mussolini proponeva al partito Socialista una coalizione di governo.
La Radio della Svizzera Italiana fa una videointervista con lo storico del fascismo più accreditato. E un’aria di frescura si diffonde, di storia vera, in quindici minuti che disfano il senso di oppressione delle quindici ore skyesche o netflixiane (ma davvero siamo così stupidi, cialtroni, farabutti?).
Senza nulla togliere al fascismo, ma perché raccontarsi bugie? Per fare spettacolo? La storia è piena di “cose” spettacolari. Per tenere su una sinistra che non sa di che parla? Per il governo del non-governo – se governano abbattiamoli.
Rsi, Mussolini fu costretto a marciare su Roma, you tube

mercoledì 12 febbraio 2025

Trump abbaia ma non morde

Trump parla molto perché può fare poco? Certamente non le annessioni: Canada, Groenlandia, Canale di Panama – e Gaza… Le guerre commerciali deve “misurarle”, calcolare gli effetti in termini di benefici e di costi. Sulle paci che rincorre, in Ucraina per ora, ha più peso – sono anche terreni politici che più si confanno alla sua abilità di negoziatore – ma non determinante.
Non c’è molta preoccupazione nella nostra diplomazia, e in quella europea, per l’“uragano Trump”.
Malgrado Trump, l’America è stabile. Molto più di quanto le cronache fanno supporre. Anche in politica estera – è in questo frame, potenzialità e limiti, che Trump può essere più conclusivo.
All’interno il potere presidenziale ha molti contropoteri. Il Cong esso, a maggioranza risicata, rivedibile ogni due anni. Le Corti federali. La Corte Suprema – qui Trump è accreditato di una maggioranza schiacciante, 6-3, ma di fatto i conservatori vi sono divisi, l’equilibrio politico fra i giudici federali è piuttosto un pareggio 3-3-3, progressisti-liberali-conservatori. E anche in campo economico, lo schieramento con Trump di Musk, Zuckerberg, Bezos gli portano, con le loro capitalizzazioni di Borsa, pure stratosferiche, solo l’1,8 per cento del pil – con Apple e Google si arriva al 3,1.
Più in generale, in campo economico, vale un delicato bilanciamento tra la deregolamentazione all’interno (la liberalizzazione) col protezionismo all’esterno. Il protezionismo ha l’effetto di scardinare la deregolamentazione della concorrenza, che potrebbe non risultare di beneficio er gli interessi americani. Mentre l’obiettivo di attrarre più investimenti esteri (con i dazi, con i contributi a fondo perduto, con la deregolamentazione) trova un limite nell’apprezzamento del dollaro.   

L’auto è elettrica in Cina, e cinese

Le vendite di auto elettriche, ibride comprese, in Cina sono aumentate del 70 per cento nel 2024, e quest’anno supereranno le vendite delle auto a combustione interna. Nei due anni in cui le vendite di auto elettriche in Europa e negli Stati Uniti hanno registrato un rallentamento vistoso.
Byd, il maggiore produttore cinese di auto elettriche, ha superato nel 2024, seppure di poco, Tesla, il maggiore marchio occidentale: un milione 778 mila auto contro un milione 733 mila. Tesla che aveva avviato l’elettrificazione dell’auto in Cina con la fabbrica di Shangai, entrata in funzione nel  2020.
La Cina va veloce dunque anche sull’auto elettrica. Ma non in un’ottica di transizione verde: la nuova capacità elettrica richiesta dalla motorizzazione è in gran parte assicurata da centrali a carbone – in un’ottica di autonomia dell’approvvigionamento di energia, per ridurre la dipendenza dagli idrocarburi da importazione.
Questo “balzo in avanti” si ritiene da record, al confronto con gli altri record registrati storicamente nell’industria dell’auto. In passato Ford ha quadruplicato le vendite in un quinquennio, 1920-1924, da 460 mila a 1,9 milioni. Tesla le ha più che triplicate nello stesso arco di tempo cent’anni più tardi, 2020-24, da 500 mila a 1,7 milioni. Byd nello steso periodo, 2020-2024, le ha decuplicate, da 400 mila a 4,2 milioni.

Nascita dell’Italia, micragnosa

È la relazione che Nigra, mandatario di Cavour a Napoli, per gestire la cosa pubblica dal 28 gennaio al 20 maggio 1861, inviò a Torino al suo protettore a fine mandato – solo qualche giorno prima della morte del conte. Cavour aveva inviato Nigra a Napoli per rimediare alla gestione catastrofica di Farini all’indomani di Teano, della “consegna” del Napoletano al Piemonte da parte del “dittatore” Garibaldi.
Nigra gestì la cosa pubblica in qualità di “segretario del Luogotenente”, Eugenio di Savoia Carignano. Antonio Scialoja, l’economista napoletano che era stato ministro delle Finanze nella “dittatura” Garibaldi, fautore dell’annessione al Piemonte, e ci ebbe dei contrasti, lo chiama scrivendo a Cavour “segretario generale di Stato”.
Una relazione molto negativa. Non si salvano nemmeno le monache. Ma anche spenta, se Nigra era o sarà brillante diplomatico, scrittore, amante a Parigi della contessa di Castiglione. Dettagliata, con numerose tignose tabelle di soldi spesi, armi distribuite, lavori pubblici avviati, e di “dispacci telegrafici” inviati, con relativo costo. Testimonianza, più di un trattato storico, della micragnosità dell’unificazione, della nascita dell’Italia unita.
Costantino Nigra, Sunto dell’amministrazione delle Province Napolitane dal principio del corrente anno (1861) fino ad oggi, online

martedì 11 febbraio 2025

Verso una politica dell’immigrazione

Il “piano Mattei” sembra un po’ al palo - dovrebbe avere una dimensione europea, a misura dell’Italia resta un’idea e un progetto. Ma i suoi presupposti hanno già germogliato. La Confindustria Alto Adriatico ha rilevato e rilanciato nel Ghana, nella capitale Accra, la scuola tecnica dei Salesiani per la formazione professionale (elettrotecnici, metalmeccanici - saldatori, tornitori, etc. - impiantisti, muratori…). Confindustria Bergamo prepara analoga inziativa ad Addis Abeba, in Etiopia.
Sul Sud Mediterraneo si è indirizzata Farmindustria. Ha stretto accordi per la formazione in Egitto, e altri ne prepara in Tunisia e in Marocco. In Tunisia investe anche Fincantieri, nel quadro di un piano per la costruzione di scuole che formino le maestranze della cantieristica – che comprende anche il Ghana, le Filippine e il Vietnam.
Sulla formazione nel paese di origine del lavoro immigrato punta anche Fondimpresa, il fondo interprofessionale di Confindustria e confederazioni sindacali per la formazione degli immigrati.

Meloni sull’onda europea

In contrasto - in forte contrasto - con l’immagine che ne proiettano i media italiani, Meloni continua a godere in Europa di molte attenzioni politiche, a Bruxelles, in Germania, e a Parigi e Londra, e anche di buona stampa – e più ne dovrebbe avere dopo il voto in Germania il 23, se l’esito ricalcherà i sondaggi. Come esponente di una destra che risponde alle domande dell’elettorato, in tema di immigrazione e guerra, senza scivoloni politici, autoritari o di altro genere.

“È una voce importante in Europa” per il ministro francese degli Affari europei, Benjamin Haddad, un esponente del partito di Macron. Che aggiunge: “Abbiamo molto da costruire con l’Italia”, nel quadro in un rilancio dell’industria degli armamenti, e del contenimento dell’immigrazione irregolare.

Bruxelles ne ha interinato le politiche dissuasive dell’immigrazione selvaggia. Per l’effetto deterrente, sull’organizzazione dei trasbordi abusivi in Libia, Tunisia e nella stessa Turchia, e sull’opinione nei paesi di partenza. E nell’attuazione pratica: impedire il più possibile l’ingresso abusivo in Italia come ingresso nell’area Schengen, l’ingresso in Europa – da qui l’“invenzione” dell’Albania.

Nella pratica Meloni è messa in scacco dai giudici. Ma la metodologia ha fatto scuola. Il premier britannico Starmer, laburista, l’ha subito adottata e messo in pratica. Il candidato cancelliere tedesco la studia. 

Più in generale - immigrazione, rigore fiscale, Ucraina - resta immutato il rapporto speciale di Meloni con von der Leyen, e in generale con le istituzioni europee, Consiglio compreso. E dovrebbe accrescersi col ritorno alla cancelleria dopo il 23 dei cristiano-democratici, il partito della stessa presidente della Commissione. Il prospettato futuro cancelliere Merz avrebbe già contatti, tramite il capo dei Popolari europei Manfred Weber, con Meloni per quanto riguarda le politiche di controllo dell’immigrazione, e il tema Russia, anche questo molto sensibile in Germania. 

Pechino al sorpasso tecnologico

La primazia dell’innovazione tecnologica è sempre a saldamente americana, ma Pechino avanza a grandi passi. Mentre gli Stati Uniti, pur accrescendo in misura sostanziosa la spesa in ricerca e sviluppo, vedono il loro ruolo ridimensionato nell’insieme degli investimenti mondiali.
L’Ocse calcola che dal 2015 al 2022 la spesa in Ricerca e Sviluppo della Cina è aumentata del 100 per cento, da 344 a 687 miliardi di dollari. Quella americana è aumentata del 50 per cento, da 507 a 762 miliardi.
L’Unione Europea negli stessi anni ha accresciuto la spesa in R&S del 19 per cento, da 340 a 408 miliardi. Il Giappone del 9 per cento, da 168 a 180 miliardi di dollari.
La metodologia delle rilevazioni statistiche in materia può variare notevolmente. La Commissione Europea, p.es., calcola diversamente la spesa in R&S, dandola per il 2023 a soli 381 miliardi di euro – cifra pressappoco uguale se calcolata in dollari. Ma comuni sono le evoluzioni, la progressività degli investimenti.

Il Congressional Research Service americano conferma la tendenza individuata dall’Ocse: la quota cinese sugli investimenti globali in R&S, che era del 5 per cento ne 2000, era salita al 24 per cento nel 2020. La quota americana si è invece ridotta, dal 40 al 31 per cento.

Un Orizzonte nero, di violenza

Dal Nord al Sud, dalla neve del Montana al Wyoming in eterna primavera, alla polvere dell’Arizona, la grande ondata, la Grande Migrazione verso il West, negli stessi anni in cui la guerra civile divideva l’America ex coloniale, è un susseguirsi di violenze. Per tre ore, non una sola scena che ne rifugga. Contro gli Apache traditi, e contro gli Apache traditori, dei colonnelli sui tenenti, dell’amante, o moglie, contro il marito o amante – che le lancerò alle calcagna una posse di figli.
Tre ore non faticose, ma stranianti. I canyon e le chiese abbandonate del Sud, come le ginestre e le mimose che infiorettano il Wyoming, o i primi abbozzi di società, nel nuovo tentativo in Arizona, organizzato, anche se già con i cinesi immigrati non graditi, tutto è suggestivo. Ma l’innesco non parte. Come se Costner non avesse voluto rinunziare a niente, al montaggio del girato. Che è apprezzabile in sé, scena per scena, ma inconcludente.
A meno che Costner in questa saga (questa è solo la prima parte, una seconda, di altre tre ore, seguirà) non volesse dire quello che si vede: che la corsa all’Est fu una guerra, sanguinosa, di tutti contro tutti, indiani e contadini, mercanti di pelle e cercatori d’oro, come in tutte le colonizzazioni. Con gli avventurieri pistoleri come nei western. Che potrebbe essere: tutte le posse e la carovane, dal Sud al Nord, si muovono all’insegna di un progetto “Horizon”, orizzonte. di un signor Pickering vincente sebbene di nessuna qualità – se così fosse, sarebbe un film premonitore…
“Balla coi lupi” 35 anni fa, sette o otto Oscar, tra guerra civile e postazioni di frontiera, in guerra e in pace con gli Apaches, deve essere nostalgia invincibile. Non si spiega altrimenti tanta rilassatezza. Fallimentare anche commercialmente: il produttore Kostner ci avrebbe investito 100 milioni, per ricavarne 40 o 30 – e solo in America, anche questo significa.
Kevin Costner, Horizon: An American Saga, Sky Cinema

lunedì 10 febbraio 2025

Ucraina, guerra degli inganni

Se non fosse una guerra sanguinosa, con morti a centinaia di migliaia (8-900 al giorno solo i russi, a sentire le “nostre” fonti, che sono i servizi inglesi) e distruzioni, sarebbe una spettacolare commedia degli equivoci, o degli inganni, la tipica guerre des dupes. Un “trainello”, direbbe Camilleri, o “sfunnapedi” - una “mandrakata” al dire di Proietti: far correre, e perdere, il brocco sotto le spoglie del purosangue.

Sull’Ucraina Trump parla direttamente con Putin. Zelensky tenta d’intrufolarsi con la “terre rare”. L’Europa non ci tenta nemmeno, dopo avere combattuto una delle vecchie “guerre” per procura Usa-Russia. Con perdite, anche gravose per il portafoglio. E con nessuna “vittoria” ora in vista, o beneficio. Neanche un minimo di considerazione, per il galateo. Anzi con la prospettiva di dover “pagare” una rapida europeizzazione dell’Ucraina, di quello che ne resterà. Senza più la Nato in appoggio, dopo che era stata estesa al Caucaso, e ai mari asiatici - senza più gli Usa. E con la Russia nemica.
Il conto sconsolato su cui rimugina la Farnesina è stato fatto ieri da Fubini sul “Corriere della sera” per exempla. Per esempio con l’arricchimento spropositato della Norvegia, che essendo fuori dalla Ue non è tenuta alle sanzioni contro la Russia, mentre se ne è giovata: ha potuto e può vendere a carissimo prezzo il suo gas e il suo petrolio grazie alla scarsità dell’offerta indotta dalle sanzioni. Ministro delle Finanze di questa pioggia d’oro Jens Stoltenberg, lo stesso che gestiva la Nato.

La Ue non conta con Trump, ma non contava nemmeno con Biden - e con Obama. Aveva patrocinato un accordo tra Ucraina e Russia, nel 2014, poi ha pensato di fare la voce grossa, mosca cocchiera delle strategie americane, e ora rimane sola.

Cronache dell’altro mondo – bellicose per finta (327)

Le guerre per finta di Trump, contro avversari e alleati, sono prova del declino imperiale americano.
Il bullismo del presidente contro gli alleati porta a gesti simbolici, ma rivela debolezze sostanziali.
Finora, in questa sua seconda presidenza, le guerre commerciali di Trump sono state pura messinscena (kayfabe, n.d.r., in uso nel wrestling): rumorose, urtanti, e piene di pieghe narrative sorprendenti, ma senza più legami con la realtà degli “eroi” del wrestling.
Finora le guerre commerciali del secondo Trump sono state prevalentemente contro Paesi considerati stretti alleati, Canada0, Messico, Danimarca, Panama, Colombia; con poca attenzione  al supposto rivale geopolitico Cina. Ma, poi, senza effetti con i nemici-alleati. In realtà, Trump sta combattendo partite truccate come sul ring del wrestling.
(“The Nation”)

Cronache dell’altro mondo – istruttive bis (326)

“Le università americane di élite sono gonfiate, piene di sé e illiberali. Per mantenere i loro titoli le università dell’Ivy League devono cambiare.
Le grandi università sono sotto crescente pressione per reintrodurre rigorose prove scritte di ammissione, dopo anni di regressione dalla meritocarzia.
È anche probabile che le consistenti facilitazioni ideali di cui queste isitituzioni godono andranno sotto scrutinio. Al punto da mettere a rischio la capacità di queste isitituzini “chiuse” di mantenere il loro vantaggio competitivo.
Harvard rischia un’indagine del Congresso per antisemitismo. Columbia è sotto processo per presunta ostilità “endemica” contro gli ebrei”.
(“The Economist”)

Se russo è pazzo

Molto sesso, più o meno aggrovigliato, solitamente d’impeto, una furia breve, per oltre due ore, e poco altro eccetto la follia, del notevolissimo personaggio che è stato Eduard “Limonov” (Ėduard Veniaminovič Savenko), poeta, auto-narratore e attivista politico russo, morto quattro anni fa. Esule volontario da giovane, in America e a Parigi, spregiatore del “vecchio rottame” Solgenitsin, e della parolaia intellighentsia moscovita, rimpatriato volontario con la perestrojka, la liberalizzazione del regime sovietico, e poi sempre all’opposizione, di Yeltsin da sinistra, di Putin da destra, e poi da sinistra, più o meno. Dopo essere stato volontario in Serbia nella guerra della Serbia contro tutti alla dissoluzione della Jugoslavia. Un “nazionalista moderato”, un “socialista della linea dura”, da ultimo un “attivista dei diritti costituzionali”, e perfino un fascista, autoproclamato. Creatore, col pensatore putiniano, teorico dell’Eurasia, Aleksandr Dugin di un Partito Nazionalbolscevico. Poi di un altro partito, L’Altra Russia, su posizioni analoghe. Avversario politico di Putin, e anche dei “neocomunisti”.
Un vero russo, imprevedibile. Una “bomba a mano” – lo pseudonimo non si lega ai limoni ma alla limonka, gergale per bomba a mano, che è, è stato, il simbolo del partito L’Altra Russia nello stemma elettorale (“Limonka” era anche il titolo del giornale del partito). Un personaggio troppo complesso per una narrazione – a meno di non farlo un pazzo? Però Carrère c’è riuscito, nel saggio-romanzo “Limonov” bestseller quindici anni fa. Serebrennikov, antiputiniano, al punto da interrompere la lavorazione del film a Mosca allo scoppio del guerra, poi completata fuori, è  come se avesse voluto dare un quadro problematico del fare politica in Russia.
Kirill Serebrennikov, Limonov, Sky Cinema, Now

domenica 9 febbraio 2025

Ombre - 760

Con l’IA che consente la riproduzione di immagini e voci, dopo le prime truffe, come quella ai danni dei ricchi amici del ministro Crosetto, la comunicazione tornerà al contatto, di persona? Come un loop che di onda in onda nell’etere torna alla casella base, alla sua obliterazione.   
 
Con gli onnipresenti Salvini, Orbàn e Le Pen, le destre-destre europee si celebrano a Madrid. Si nominano Patrioti, e s’impuntano sull’immigrazione. Si ritengono anche la parte vincente dell’Europa, cosa che non sono. Ma sono indubbiamente in crescita. Non tanto loro, ma tutte le destre, di varia affiliazione – compresi i centristi, che per tenere le posizioni devono spostarsi a destra. Molte le cronache coloristiche, sull’umoristico-ridicolo. Mentre il leghismo europeo è un fatto abnorme, storico: andrebbe studiato, minimamente.
 
In Germania Cdu\Csu e Afd, centro popolare (democristiano) e destra, passano una mozione parlamentare anti-immigrazione illegale, ma poi non riescono a farne una legge – alcuni Popolari, q.b., non la votano. Se non che al primo sondaggio successivo entrambi i partiti aumentano i consensi, a due settimane dal voto. Nessuna meraviglia e poche righe in Italia. Mentre la Germania, che è “tutti noi”, non è più la stessa, ha cambiato pelle e cervello.
 
“Il Fatto quotidiano” può vendere 300 pagine di “chat dei parlamentari, ministri e dirigenti di Fratelli d’Italia” a dire del suo direttore “molto promettenti” – “il nostro bravissimo segugio Giacomo Salvini che ha causato la chiusura della chat perforandola più volte con i suoi scoop” ha raccolto di tutto. Si può anzi menare vanto di “perforare” la corrispondenza. E suscitare l’invidia dei giornali “per bene”. Mentre è un reato, accesso abusivo, violazione del segreto postale.
 
Il segreto postale non è un segreto per i giudici poiché la violazione si fa a spese dei loro nemici politici – anche se l’art. 616 del codice penale è semplice, è chiaro, ed è sempre in vigore. Ma è un segno di barbarie - sì capisce che uno non vada più a votare, se per farlo bisogna annusare le mutande degli altri.
 
La cosa più curiosa è che il libro, sfogliandolo, è un’apologia, pagina dopo pagina, particolare dopo particolare, di Giorgia Melon, “leader fredda”, dice il direttore-prefatore, “calcolatrice, pragmatica, spregiudicata, ma prudente e pure leale”. Mai fascista. Una vesta statista.
E non solo lei. “Chi pensa che i Fratelli d’Italia siano perlopiù un esercito di mediocri e di gaffeur, ne troverà la conferma. Ma poi scoprirà che non sono tutti yes-man e adulatori del capo, anzi della capa: nelle chat gli scazzi si sprecano. E spesso per questioni politiche, non personali o d’immagine”, etc.etc.
Anzi: “Fratelli d’Italia è un vero partito vecchio stampo, forse l’ultimo” (sottinteso: rispetto al Pd social, “telefonato”, di Schlein).
 
Più curioso ancora di tutto è che il libro del “Fatto Quotidiano”, uscendo ora, mette in difficoltà non Meloni ma Salvini, evidenziando tutte le giravolte da lui messe in opera nella passata e presente legislatura. Solo per caso – Savini è vittima di “fuoco amico”?
 
Elly Schlein che trova il tempo e la voglia di discutere di “giustizia giusta” con Adriana Faranda, che pure fu brigatista, parte attiva del sequestro Moro, e poi soltanto “dissociata” (non più punibile ma senza l’obbligo di denunciare i complici), che cos’è? Un gesto politico? Uno per la giustizia? Uno per sentirsi “de sinistra”?
 
Witold Banka, polacco, presidente della Wada, agenzia antidoping, condanna Sinner, n.1 del tennis maschile, prima del giudizio che la Wada è chiamata a pronunciare. Dopo avere appena assolto Iga Natalia Świątek, n.,2 del tennis femminile, polacca. “Il clostebolo non è trimetazidina”, spiega. E come no.
Ma una ragione forse c’è: anticipa il giudizio di tre mesi perché ha scommesso contro Sinner, vuole incassare presto?
 
Tre ore di attesa la mattina per varie pratiche all’ambulatorio Apollodoro di Roma, gestito da Casagit, la mutua dei giornalisti, e nessuno che leggesse o avesse comprato il giornale. Tutti sulle cartelle mediche, è anche giusto, e sui cellulari.
 
Il ministro della Difesa di Israele, Katz, ha predisposto un piano per l’evacuazione dei Palestinesi di Gaza, “per tutte le destinazioni che indicheranno” – “in linea col piano del presidente Trump”, che però non ha un piano.
Il ministro sa già le possibili destinazioni: Spagna, Irlanda e Norvegia, Tre paesi i cui governi hanno  criticato la guerra israeliana a Gaza. Anche questo già sentito, novant’anni fa. Mah!
 
I farmaci omeopatici, benché non validati dall’Agenzia del Farmaco, sono detraibili dal fisco. I parafarmaci, categoria a cui sono stati derubricati l’80 o 90 per cento dei farmaci, no.
 
Si temono i dazi di Trump, minacciati, imposti, sospesi, rispettati, come fosse la fine del mondo, paginate e paginate, illazioni, previsioni, commenti, come di cosa avvenuta e già periclitante, mentre sono un’arma a doppio taglio, autopunitiva oltre che punitiva – e per questo Trump è di fatto prudente. Mentre non si dice o non si sa che i sussidi di Biden, delle sue tre leggi d’incentivazione, sono stati e sono molto più “pericolosi”, molto distorsivi della concorrenza. È sempre “sinistra” contro “destra”? Mancanza di un’elementare nozione di economia? Inutilità dell’opinione pubblica?
 
I ministri (segretari) nominati da Trump erano giudicati dai media inadatti o incapaci, a rischio conferma da parte del Senato, ma tutti sono stati avallati, in alcuni casi con qualche voto Democratico – compreso lo “stravagante” ultimo Kennedy. Ma questo non ha fatto più notizia.

Il nome del Tasso in mostra

Una Quercia del Tasso è esistita a Roma, sul Gianicolo, sotto il Faro, che è sotto il piazzale di Garibaldi, luogo di parcheggio fra l’ospedale affollatissimo del Bambin Gesù e il piazzale vedutistico – di giorno, di notte di coppie e spaccio, non si trova posto nemmeno a mezzanotte. Luogo di molta poesia: elegiaca, per il nome evocativo, idilliaca, per l’amenità del lungo, e la vista di Roma, umoristica anche (Achille Campanile ne fece un racconto cinquant’anni fa, in “Manuale di conversazione” – chiudendolo col quesito che si pose infine al comune di Roma che voleva una tassa di soggiorno, ma non sapeva a quale tasso imputarla, fra “il tasso del tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso del tasso barbasso del Tasso”). Luogo infine di rappresentazioni teatrali, nelle Estati Romane dell’assessore architetto Renato Nicolini. Solo che la quercia non c’è più. Naturalmente – c’è un muretto che avrebbe dovuto proteggerla, eretto ad “anfiteatro” per le famose compiante Estati Romane.
Il Museo di Roma riesce a resuscitarla. Un po’ per ricordare il poeta, che invece è dimenticato. Un po’ per la tanta letteratura e pittura che la Quercia ha generato nei secoli – per documentare il turismo che a Roma non si è mai interrotto, e un tempo era anche culturale. Un po’ per dare lustro al sottostante Orto Botanico della Sapienza - che per la verità, dopo essere stato curato e arricchito dai papi per cinque o sei secoli, da un paio non è ben tenuto, e anzi ma tenuto – non si fanno nemmeno le potature.  

Fruibile con la Mic Card - la carta dei Musei di Roma per residenti.
L’Albero del Poeta, Museo di Roma in Trastevere, Piazza di Sant’Egidio