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sabato 22 febbraio 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto

Giuseppe Leuzzi
Postpartita funereo alla Domenica Sportiva, dopo Juventus-Inter. I commentatori Adani e Rimedio s’ingolfano in astruserie che nessuno capisce, ma con aria cupa. La conduttrice tace, benché a rischio audience – telecomando. Tacciono perfino Panatta e Pecci, solitamente pronti di spirito, specie sui gerghi “tecnici”. Sono tenuti all’incomprensibile epicedio? Ma né il presidente dell’Inter, Marotta, né il tecnico Inzaghi sono di quelli intromettenti, non nelle cose dei giornalisti, non se n’è mai letto. Sarà l’aria di Milano - la Domenica Sportiva si fa a Milano – che non può perdere.


“il Venerdì di Repubblica” celebra  la maeustra Marianna Leonetti che a Carfizzi (Crotone) insegna ai bambini a scrivere l’arbëreshë che parlano quotidianamente. Senza mai ricordare che Carfizzi è il paese di uno scrittore, Carmine Abate, forse il più quotato dei  narratori di realtà locali. Il più illustre comunque dei “figli di carfizzoti tornati dalla Germania”, come dice il reportage.
L’odio-di-sé forse è solo trascuratezza.

 
“I bergamaschi, cui mi onoro di appartenere, erano 161 su circa mille. Sarebbero stati molti di più se i parroci di paese non li avessero minacciati a fucilate per non farli partire”, Donato Losa di Milano scrive alla posta del “Corriere della sera”. Spiegando: “Nessuno dei mille era di dubbia moralità, nessun bergamasco era un ex carcerato. Erano persone con un sogno da realizzare e in cui credere”. Ottima trama (un po’ vieta, ma nella trascuratezza di oggi di grande impatto) per l’ennesimo filone garibaldino – meglio dei lazzaroni eroi per caso. In chiave bergamasca poi – ma con o senza il contrappunto di Feltri-Crozza?
 
L’unificazione che non fu di Cavour
Vale più di molte analisi storiche il documento che “Zenone di Elea” ha recuperato negli archivi e messo in rete qualche anno fa, il “Sunto dell’amministrazione delle Province Napolitane” di Costantino Nigra (di cui questo sito ha dato dettagliata lettura), plenipotenziario di Cavour a Napoli tra gennaio e maggio del 1861, dopo i primi disastrosi quattro mesi di luogotenenza affidata a Luigi Carlo Farini. Una disamina dei problemi: l’ostilità del clero e dell’aristocrazia, i troppi licenziamenti, di impiegati e di operai, il malcontento dell’esercito meridionale (cioè garibaldino), “i capitoli di Gaeta che permisero a Francesco Secondo il soggiorno a Roma” (lo voleva in carcere?), i briganti sobillati naturalmente da Francesco II comodo a Roma (non si dice ma si fa capire). Senza un perché del malcontento del clero, private repentinamente della manomorta – con l’esito di lasciare i poveri e molti malati senza accudimento, che era l’opera dei preti. O dei briganti. Una sola notazione di rilievo, seppure escusatoria: “L’antica abitudine di considerare il Governo come naturale nemico della società”.
Quattro mesi di gestione cavouriana del Regno del Sud, nemmeno il tempo di farsene un’idea. E poi Cavour moriva. Sarebbe stata un’altra storia? Da questa premessa è da dubitare: le prime trenta righe levano il fiato, sono trenta, o più, manchevolezze, dei regnanti, ex, e dei sudditi. Dappertutto camorra, brigantaggio e latrocinio. Ignoranza, miseria e fame. E “una schiera immensa d’impiegati, d’amministratori, d'ingegneri, d’avvocati… La polizia trista, arrogante, malvagia … I lavori pubblici pagati e non fatti……Clero immenso, ignorante…. La mendicità esercitata, sotto forme diverse, da tutte le classi dei cittadini, non escluse le più elevate”. E “non giornali, non libri” – a Napoli?
Nigra farà poi carriera brillante nella Parigi di Napoleone III. Dell’esperienza napoletana non avrà nessuna memoria, nemmeno negativa. Il sito che ne cura l’immagine non menziona la gita a Napoli. La Treccani lo dice inadatto all’incarico, e fallimentare: “Il 1861 non fu per lui un anno fortunato”, segretario generale della “seconda luogotenenza napoletana…. allo scopo di guidare più in fretta possibile l’unificazione amministrativa del Mezzogiorno, delle Marche e dell’Umbria”. Ma non nasconde la verità: “Si rivelò inadatto e fu il primo fallimento nella sua brillante carriera pubblica, perché privo di esperienza di governo e portato più a mediare con cautela che a decidere con decisione”. O a decidere di non decidere, che il Sud non meritava, era incurabile, etc..   
 
Il radicamento aiuta, ma è un atto volontario
“Il paese ci vuole, non fosse per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli” , è Cesare Pavese (“La luna e falò”), tipico “uomo di città” ma mai stanco di narrare il paese. Qualche anno dopo, 1954, Ernst Jünger, in autobus da Villasimius a Cagliari, viene continuamente rimandato alla vista di una torre dei saraceni, tanto che finisce per vederla con gioia ad ogni curva serpentina: “La rivedevo con gioia ad ognoi curva, guardiana di un cantone del Mezzogiorno divenuto per me un pezzo di patria spirituale: è la vera presa di possesso”.
In realtà, la presa di possesso di Jünger non è della torre, come per un qualsiasi turista stagionale, ma la vita che sotto quella torre ha trascorso per alcune settimane – di un’intensità tale, nella sua semplicità, nel suo “nulla”, che ha dovuto scriverla, raccontar(se)la, elaborarla. È però vero che la “presa di possesso” non è legata al luogo di nascita. La scrittrice americana Lucia Berlin, emigrata in Cile con la famiglia quando aveva pochi anni,  spiega in un delicato racconto, “Andado” (ora nella raccolta “Sera in paradiso”) che si è scoperta avere  “la qualità di adattamento comune ai mocciosi  di militari e ai figli di diplomatici”, ragazzi che “imparano rapidamente, non solo la lingua o il gergo ma cosa fare, cosa dover sapere. Il problema per questi ragazzi non è di essere isolati o estranei, ma che si adattano così rapidamente e così bene”.
Il paese è l’infanzia. Anche il quartiere lo è, la strada, il palazzo, l’appartamento in città possono essere l’infanzia. E la memoria servire dettagliata. Mentre il radicamento è una infanzia di altro, di linguaggio e di sui, territoriale, sociale, anche socievole. E soprattutto dalla memoria lunga, a differenza della città, fatta per dimenticare. E plurale: una memoria in qualche modo condivisa, anche con estranei. È il paradosso di Ulisse, che scopre chi è dagli altri, dopo lunga peregrinazione – da chi l’ha sempre conosciuto, cioè dalla nascita, e ne conserva la memoria, per quanto estraneo (l’aedo cieco che a casa sua canta gli eroi della guerra di Troia).
 
Il cuore della Lega anti-Meridione è al Sud
“Lega a congresso con tanto Sud”, titolo. Testo: “Non si sa quando, non si sa come, ma si che la maggior parte dei delegati saranno meridionali”. Così il “Corriere della sera” tenta di spiegare  la cosa: “Partito non più nordista ma nazionale, anche nei delegati che saranno chiamati al voto pe  il nuovo mandato. Ai delegati del Sud è infatti affidato il compito non detto di mettere al sicuro il risultato del leader”. Di confermare cioè il contestato Salvini alla segreteria.
Il giornale di Milano lo registra con dispetto, perché non gli piace Salvini - la Lega sì, Salvini no. E subito dopo lo dice. Non per spiegare l’arcano del Sud a congresso dalla Lega, ma il perché di tanto Sud a Giussano, o dov’è che votano per il Congresso: “Nel partito si parla di tesseramenti avventurosi… In breve, dei circa sette o ottocento delegati, moltissimi saranno del meridione”. Cento? Settecento? Non si sa. Salvini si è comprato i delegati, il solito Sud corrotto? Non si dice: Però, l’articolista si fa spiegare da “un leghista pragmatico”: “Ci sono territori al Sud in cui la Lega prende più che al Nord”. E qui, bisogna riconoscere, non c’è perfidia, è un dato di fatto: la Lega senza il Sud forse non andrebbe in Parlamento.


leuzzi@antiit

Il solitario non salva

La comicità in rete – con tutto ciò che si trova e si fa in rete, qui sul piacere solitario, “Il bello della masturbazione è che non devi metterti elegante”.  “Il sesso è cosa più divertente che puoi fare senza rdere”. Masturbazione, tema poco arato – senza motivo? Morelli prova a sdoganarlo con le battute. Specie nella bottega del sesso-metaverso, naturalmente gestito da un cinese. Ma il maschio celibe non l’avrà vinta, l’amore lo intrappolerà, anche lui.
Giampaolo Morelli, L’amore e altre seghe mentali, Sky Cinema, Now
 

venerdì 21 febbraio 2025

E adesso povero Elkann 5 – fuori da tutto

Si celebra in Borsa con il botto di Ferrari – finché non si corre c’è speranza. E pure, dopo anni di derelizione, per una fiammata di Juventus, su cui investitori ricchi di bitcoin lasciano qualche spiccio. Ma in un oceano di malinconia, la realtà è sempre più triste.
Una ex Fiat senza testa da tre mesi – non ne trova più una. Cassa integrazione in tutti gli stabilimenti in cui la ex Fiat usava produrre. Con una botta irrimediabile alla produzione industriale made in Italy, che per il secondo anno boccheggia, per il grande buco ex Fiat. Un’editoria che fa acqua, benché di testate illustri, “Stampa” e “Repubblica”. E un club di calcio già blasonato che in mani sue spende e perde – spende per perdere. Qualcosa come 250 milioni spesi, tra estate e inverno, per restare fuori da ogni competizione, Champions, campionato, e sicuramente Coppa Italia – non c’è squadra più disastrata, dopo aver disastrato i migliori, Chiesa, Dybala, e ora il difensore Huijsen, uno scandalo, Yildiz, Vlahovic. Con lo stadio semivuoto, benché piccolo, e nemmeno uno straccio di sponsor - e qualche preparatore atletico diplomato, i calciatori si infortunano tutti?

Dalle Alpi al Tevere, Schiavone uno e bino

Uno Schiavone doppio, sui ghiacci alpini come sempre e, questa volta, anche a Roma – dove risolve tra casi in uno. Meno claustrale, più mobile e vivace delle serie precedenti, Spada sa movimentare anche il gelo. Con molto spazio per i caratteristi, che sono la parte migliore dei film in tv – il Montabano di Sironi fa testo.
Non molto visto, due milioni, ma è il pubblico della rete (un tema, questo, che non stimola la critica tv, mentre ne è la parte condizionante, la fidelizzazione delle reti). Due milioni di spettatori non è molto, ma è anche una serie poco progandata – annunciata, promossa.
Simone  Spada, Rocco Schiavone, Rai 2

giovedì 20 febbraio 2025

Problemi di base europei - 839

spock
 
“L’Europa deve cambiare, oppure sarà una lenta agonia”, Mario Draghi?
 
L’Europa è una strana creatura, muore da tanti anni?
 
Trump e Zelensky, anche loro, fanno la storia - e l’Europa?
 
Tutti a Parigi, in gita devozionale – Parigi val bene una messa, cantata?
 
Come si può perdere una guerra che non si è combattuta – l’Europa in Ucraina?
 
Ma per la storia, e per la geografia: l’Ucraina è europea, la Russia no?

spock@antiit.eu

Oriana Fallaci contro Hollywood

Oriana Fallaci in America. Al culmine della carriera intervista Kissinger – che, pur sapendo il rischio che corre, non rinuncia a tanto onore. Ma qui agli inizi della carriera. Quando, cronista di mondanità per “L’Europeo”, il settimanale degli anni 1950, approfitta di un viaggio promozionale in America offerto da Alitalia, allora Lai, per intervistare Marylin Monroe. Il racconto di questa intervista impossibile, di giorni, e notti, frustranti in attesa, di intermediari e trucchi vari per arrivarci, sempre falliti, fa il successo del settimanale, e di Fallaci.
Nel secondo episodio è già in America, inviata o corrispondente, a Los Angeles, in un modesto motel, a ridosso di Hollywood, che è incaricata di raccontare per il settimanale. Ha l’idea di spiare i divi in chiesa la domenica, e li trova compunti, reattivi a ogni parola e gesto della liturgia, scrutinati anche lì dalle regine del pettegolezzo giornalistico, Louella Parson, Edda Hppper, Sheila Graham. Il giornalismo scandalistico la scandalizza. 
Assiste a un tranello che il direttore di “Confidential”, il settimanale principe del pettegolezzo, Robert Harrison, tende a Rock Hudson, fingendosene amico, per fotografalo col giovane uomo con cui ha appuntamento. Si infila alla festa annuale dei Cotten, Joseph Cotten e signora, molto esclusiva, dove i giornalisti non sono ammessi, e scopre che anche negli svaghi la vita dei divi del cinema dev’essere molto fredda. Scandalizza tutti alla fine buttandosi vestita in piscina – imitata dopo un momento da Orson Welles. Lei stessa è celebrata in America, Miss Fallaci, come regina del pettegolezzo.

Una megaproduzione, costumi, scene, arredi, paesaggi, compresa Manhattan sotto la neve, d’epoca, e molti esterni. Con la collaborazione alla regia di Alessandra Gonnella, che è anche una degli ideatori della serie, e Giacomo Martelli. Tra chiesa e festa si fanno sfilare celebrità a non finire, Sinatra, etc. Ma monotona. Una sorta di agiografia. Miriam Leone ha una sola faccia, nel modulo narrativo e anche nell’espressione – Oriana fuma e non fa nient’altro, guarda fisso l’obiettivo. Più teatrale, più mobile, la sue improvvisata amica americana che le fa da agente, Francesca Agostini, con più registri, perfino più battute.
Molto diversa, questa “Miss Fallaci”, da “L’Oriana” di dieci anni fa, di Marco Turco (Petraglia e Rulli), con Vittoria Puccini,  sulla vita piuttosto che sul mito Fallaci. Molto più vivace.
I primi due di otto episodi, di 50 minuti l’uno.
Luca Ribuoli, Miss Fallaci, Rai 1


mercoledì 19 febbraio 2025

Ombre - 762

Martedì in Arabia Saudita i ministri degli Esteri americano e russo si dicono che, tutto sommato, ci sono molti buoni affari da riprendere in comune. Da Bruxelles la Ue risponde che tutto è pronto per un altro pacco di sanzioni, il 16mo o il 17mo, contro la Russia. Don Chisciotte? Stupidità (tagliarseli)?
 
La scrittrice Siri Hustedvedt, che col marito Paul Auster, poi deceduto, aveva fondato nel 2020 un movimento di Scrittori contro Trump, non si capacita. A Viviana Mazza spiega: “Di solito nella politica americana c’è un certo conservatorismo: la gente non vuole troppo cambiamento” – non solo nella politica americana, si direbbe. “Anche quando il cambiamento sarebbe stato un bene gli americani resistevano. Adesso invece…. Credo ci sia gioia nel guardare Trump che travolge il governo…. La gioia di distruggere ciò che ritengono costruito dalle élite”. Ma non un mea culpa.
 
Lunedì pomeriggio l’ambasciatore Valensise, presidente dell’Istituto Affari Internazionali, dice a “Timeline”, SkyTg24, che alla Russia va riconosciuto lo stato di paese impegnato nella seconda guerra mondiale nella resistenza a un assedio pluriennale, che ne minacciò la sopravvivenza, e martedì mattina il presidente Mattarella precisa: “Che la Russia torni a svolgere un ruolo di rilievo nel rispetto della sovranità di ogni Stato, è un auspicio che ho sempre fatto nel rispetto del diritto”. Diritto in Ucraina, con i golpe istituzionali, e i missili Nato nella pancia della Russia  – si rischia sempre di compiacere Putin?
 
“La vera questione è…. se noi europei siamo destinati a essere umiliati durevolmente dalle grandi potenze che ci sovrastano, in particolare dagli Stati Uniti in questa fase”. Ci vuole un professore, da Parigi, Giuliano da Empoli, per dire le cose come stanno. Abbiamo anche perso, oltre al senso del giudizio, anche la vista.
 
Sempre lunedì, e sempre a Parigi, minivertice europeo sull’Ucraina, su Trump-Putin. Con quattro posizioni, differenziate, per non dover dire che l’Europa non sa che fare. Se ne poteva fare a meno. Ma l’Europa vuole certificare la sua non-esistenza in vita – sarà anch’essa in attesa della “buona morte”.
Oppure no, vive sempre, ma castrata – si è automutilata, ma non lo sa.
 
“XiJnping chiama a raccolta i capitani del Big Tech. Riabilita anche  Jack Ma”, già silurato. È il modello Trump, anche in Cina.
 
Il “Corriere della sera” fa una mappa dettagliata delle correnti in seno al Pd, sotto Schlein: “Voleva abolirle, ora sono 10”. Ma sette, e le più consistenti nella grafica del quotidiano, ma anche per numero e peso politico dei promotori e membri, sono di democristiani. Procedono divisi per colpire meglio? Forse no, la Dc è sempre stato un partito di signori, già al tempo di De Gasperi. E i vescovi da almeno trent’anni consigliano di procedere divisi.
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La Roma, la squadra di calcio, era tra le ultime del campionato. Po ha cambiato l’allenatore, e nel mini-campionato (segmento di campionato) successivo è la prima – malgrado arbitraggi contestati. Nello sport succede – è la complessità, direbbe il prof. Parisi, la complessità del reale.
Il cambio della guardia non funziona al governo, nella Funzione Pubblica. Che complessa si direbbe, più di una squadra di calcio e i suoi tifosi, ma forse non è reale – è derealizzata, dai giudici-banditi, dai cronisti giudiziari loro compari?
 
È curioso che i big del tennis, Djokovic, benché al declino, Zverev etc., si lamentino della giustizia della Wada. Perché loro hanno la sentenza giusta: squalificare Sinner non per sempre, perché allora le borse dei tornei sarebbero meno ricche, ma per un anno o anche due, il tempo di scalare il ranking e poi riaffrontare l’invincibile Sinner da favoriti, a borsa piena. Cioè, curioso no, è business, in forma di sport.
 
Curioso in senso proprio è invece che nessuno ricorda che la Wada è un tribunale per modo di dire. Essendo l’agenzia della corruzione per conto della Iaaf, la federazione dell’atletica. Corrotta, e anzi corrottissima. Per lunghi anni pagata dai tedeschi (dell’Est), poi dalla Russia, poi dagli Usa contro i russi. Poi dai cinesi – ai giochi di Parigi non si sa, ma fino a R io e a Tokyo sicuramente.
 
La Procura di Torino incrimina un cantante inglese della band Placebo, Brian Molko, per vilipendio delle istituzioni, perché ha dato della “fascista” e “nazista” a Giorgia Meloni, che è ben il capo del governo.
Dopo un anno e cinque mesi dal “reato”.  Erano perplessi? Gli dispiaceva?
 
Abbandonato il giallo Crosetto, dimenticato, proprio sul più bello. Una vicenda che ha, aveva, tutti gli ingredienti della spy story: gli amici ricchi del ministro, amici intimi, se “riconosciuti” dalle segreterie, ognuno con i loro modi e linguaggi, identità del o dei truffatori (non può-possono essere olandese-i). Una beffa? Una cospirazione? Niente. Un giornalismo senza curiosità? Autocensura?
 
La Germania in crisi, soprattutto nel settore dell’auto, soprattutto nel rapporto con la Cina (prima dei dazi di Trump), ha totalizzato il 57 per cento degli investimenti Ue in Cna nel primo semestre 2024 – dopo il 62 per cento del 2023 e il 71 per cento del 2022.  Negli ultimi tre anni gli investimenti esteri tedeschi del settore automotive hanno rappresentato la metà di tutti gli investimenti Ue in Cina.
La Germania è metà-tre quarti della Ue. La crisi in Germania è da delocalizzazione, come a inizio Millennio, questa volta in Cina.

Il diritto della Russia

Rischia di risultare a doppio taglio l’auspicio con cui il presidente Mattarella ha voluto liquidare
la polemica aperta contro di lui ultimamente a Mosca: “L’auspicio è che la Russia torni di nuovo a svolgere un ruolo di rilievo nel rispetto del diritto internazionale”. Perché, al netto dell’invasione ormai triennale dell’Ucraina, la Russia era vittima di una serie di infrazioni e inottemperanze del diritto. Lasciando da parte ideazioni e attuazioni delle periodiche “rivoluzioni colorate” in Ucraina contro gli esiti elettorali e contro la minoranza russa (un quinto della popolazione, in un paese sempre russofono), alcuni trattati e impegni diplomatici non sarebbero stati rispettati, a danno della Russia.
Il primo è il “Trattato sull’accordo finale per quanto concerne la Germania”, sottoscritto a Mosca il 12 settembre 1990, a conclusione del “Two-plus-Four Process”, il gruppo Due-più-Quattro, le due Germanie e le quattro potenze occupanti della Germania, nelle persone di Genscher e De Maiziere per le Germanie, e di Shevarnadze, Baker (Usa), Hurd (Gb), Dumas (Francia), i ministri degli Esteri dei Sei. In base al quale la Nato si poteva estendere alla Germania orientale, “ma senza armamento nucleare”. E soprattutto, la capacità militare della Germania riunificata doveva essere limitata a 370 mila uomini, la metà degli effettivi delle due Germanie, e la Germania doveva abbandonare la produzione e il possesso di armi chimiche, biologiche e nucleari”.
“Analisi Difesa” documenta analoghi impegni negli anni 1990, soprattutto tedeschi e americani, sulla “non compromissione degli interessi sovietici, poi russi, alla sicurezza. A opera del cancelliere della riunificazione Kohl, del suo ministro degli Esteri Genscher, del ministro degli Esteri del presidente Bush, del presidente Bush, di Margaret Thatcher, del suo successore Major. Poi l’Occidente avrebbe profittato dell’indebolimento russo sotto Yeltsin. Fino a che, alla conferenza annuale per la Sicurezza che si tiene a Monaco, nel 2007 Putin, al potere ormai da sette anni, non “denunciò l’allargamento della Nato ad Est: «Abbiamo il legittimo diritto di chiedere contro per chi questo allargamento venga attuato». Come scrisse in seguito Andrei Gračëv (ultimo portavoce di Mikhail Gorbaciov), in un libro recentemente pubblicato in Francia, «in quel momento tutti consideravano Putin un’anatra zoppa. Di conseguenza, purtroppo, il suo discorso a Monaco non venne preso troppo sul serio»”.
“Analisi Difesa” si distingue per i riferimenti costanti, nella crisi in corso fra Russia e Occidente, anche a esponenti russi, anche governativi. Ma l’autore del saggio, pubblicato a fine giugno, è ufficiale in spe dell’esercito, ora in forza all’ITA-JFHQ (Italian Joint Force Headquarters) del COVI (Comando operativo di vertice interforze), con una carriera svlta nei servizi Nato.
Il CVCE, Centre Virtuel de Connaissance de l’Europe, si presenta come centro di ricerca e di documentazione interdisciplinare sull’integrazione europea, a partire dal 1945, creato dal Lussemburgo nel 2002.
Francesco Ferrante, Il lungo cammino dell’incomprensione tra Russia e Occidente, “Analisi Difesa”, online

CVCE-EU, The Treaty on the Final Settlement with respect to Germany

martedì 18 febbraio 2025

Cronache dell’altro mondo – deportative (330)

A Washington il ministero della Sicurezza Interna annuncia di avere compiuto poco meno di 8.800 arresti di immigrati illegali nel primo mese della presidenza Trump, e 5.700 deportazioni.
Non è un record. A meno della sceneggiata dei rimpatri in catene, la presidenza Biden ha fatto il doppio dei rimpatri della precedente presidenza Trump: ha rimpatriato 4,5 milioni di immigrati, contro i 2,2 milioni del Trump 1, secondo i dati del sito Usa Facts.
I rimpatri così calcolati sono: quelli disposti da un giudice, quelli volontari, quelli disposti amministrativamente per ragioni sanitarie al tempo del covid (marzo 2020-maggio 2023). I rimpatri volontari e forzati sono stati poco meno di 2,5 milioni per l’amministrazione Biden,1,7 milioni per il Trump 1.Per motivi sanitari circa 2 milioni di rimpatri sotto Biden, mezzo milione sotto Trump 1.
In tutti gli anni dell’amministrazione Biden i rimpatri sono stati superiori al milione. Negli anni del primo Trump sono stati 300 mila circa nel 2017, circa 495 mila nel 2018, l’anno successivo 540 mila, 730 mila nel 2020.

Cronache dell’altro mondo – immigratorie (329)

Negli anni di Biden, 2021-2024, c’è stato un forte incremento delle immigrazioni. In precedenza non si erano mai registrati mensilmente più di 50 mila ingressi – con la sola eccezione della primavera del 2019, Trump alla presidenza, quando in due mesi si sono calcolati oltre 230 mila ingressi.
Dal 2021 a fine 2024 novembre la Customs and Border Protection ha censito 10,8 milioni di ingressi – di cui 8,72 alla frontiera di Sud-Ovest. Mentre nel quadriennio precedente gli ingressi erano stati circa tre milioni – di cui 2,37 alla frontiera di Sud-Ovest.
Degli ingressi al Sud la CBP conteggia 5,5 milioni di singoli, 2,66 milioni di individui in famiglia, 546.255 minori non accompagnati.
Gli ingressi dal Nord, dal Canada, sono relativamente marginali. Ma nel 2024, secondo la CBP, sono aumentati del 600 per cento sull’anno precedente. In gran parte messicani – che hanno provato dal Nord per essere stata la frontiera Sud più controllata.
Negli anni di Biden gli arresti di immigrati segnalati come terroristi sono stati 385, nelle statistiche della CPB, 55.106 di stranieri già condannati e ricercati.

Una festa piena di grazia

Un lungometraggio in forma di documentario su fede, nientemeno, religiosità, e radicamento sociale di fede e religiosità. Ma svolto con semplicità, con serentà perfino. E coinvolgente. Opera di una regista che si trovava a Palmi per caso, aiuto dei Manetti Bros per il film “U.S .Palmese”, e ne ha approfittato invece per ricavarne una storia semtplie e profonda. Da agnostica peratro, non personalmente sensibile alle tematiche che fa rivivere.
L'occasione è una festa religiosa, che ogni pochi anni si tiene a Palmi in agosto, in cui la Madonna viene portata in processione sotto forma di “animella”, Maria Vergine supponendosi bambina. Rappresentata da una bambina vera, max 10-11nne, prescelta per ogni manifestazione, che oscillerà quindi in processione su un trono ogni volta più imponente, ora su 15 metri, con un san Pietro altrettanto vivente e alcune angele a farne ornamento, lungo tutto il percorso della processione. Una festa ora patrimonio dell’Unesco e attrazione turistica, ma sempre di grande devozione: le confraternite sono sempre numerose, di Artigiani, Bovari, Carrettieri, Contadini, Marinai, l’affiliazione è ambita, la devozione radicata. Una festa che Palmi, come tutto, ha preso in prestito da Messina, la città sorella al dl là dello Stretto – ma Messina ha sostituto Animella e angeli con statuine di cartongesso.  
Il fotografo-videomaker locale, all’origine forse dell’idea del film, un’Animella di cinquant’anni fa, una di otto o dieci anni fa, ora milanese, che molto non ci crede, sindaci e organizzatori dell’evento, sarte e ricamatrici, e molte scene dal vivo animano il film. La candidature delle ragazze. La precernita in una vasta sala del Comune, con una terna esito del voto dei presenti. Come la terna prescelta si prepara alla decisione finale – senza trucchi, senza astii: se non il buon animo delle concorrenti, lo impedisce il fondo religioso. La scelta con una consultazione popolare nella villa comunale, affacciata sullo Stretto, una Domenica - si contano oltre tremila voti, più che per un’elezione politica.
Nicole, Giada e Mariateresa sono le tre ragazze prescelte, tutt’e tre di undici anni, che raccontano l’attesa e le attese. Non con “profondità”, però con buonsenso, e senza invidie.
La Varia serviva anche a “dotare” una bambina povera – nei cinque secoli della tradizione questo era l’aspetto principale. Ora questo aspetto non c’è più – ci sono solo regali, anche ricchi, ma come ex voto. Non c’è più la povertà, evidentemente. O Lucini non se ne occupa – ha scelto il terreno meno attraente, della religiosità infantile sposata all’amore - all’amore virginale. E ne ottiene una favola, bizzarramente, contemporanea.
Senza spocchia, anche un racconto di antropologia. Lucini, dice Antonio Manetti presentando il film, “si è impadronita di Palmi, in ogni piega, delle persone più inverosimili, di cose che nemmeno noi sapevano benché ci siamo cresciuti”, con la madre.
Andrée Lucini, Piena di grazia

lunedì 17 febbraio 2025

Letture - 570

letterautore


Artista – “L’affermazione secondo cui il nostro tempo non è in grado di generare artisti è oggi un luogo comune”, Ernst Jünger in vacanza in Sardegna nel 1954, “Presso la torre saracena”, ora in “Terra sarda” e in “Il contemplatore solitario”: “Ciò significa capovolgere le gerarchie. L’artista non aspetta il tempo. È questo, al contrario, che lo aspetta. Nel momento in cui l’opera gli riesce, ha liberato il tempo”.
 
Buona morte – Il voto della Regione Toscana per la buona morte non è una novità. Spiegava Propp, l’analista delle fiabe, un secolo fa: “Tra l’antichissima popolazione di Sardegna, i sardi o sardoni, vigeva l’uso di uccidere i vecchi. E mentre uccidevano i vecchi, ridevano sonori”. Sulla base di alcune testimonianze del 200-300 d.C.: lo storico di origine siciliana Timeo di Tauromenio (Taormina) e lo scrittore ateniese Demone. Sardonico del resto deriverebbe da “erba sardonica”, una pianta velenosa che provocherebbe convulsioni simili al riso.
 
Espatriati – I figli non soffrono per il cambio di residenza, di pese, dei genitori, non nei primi anni – in controtendenza con la “naturalità” che si presume del radicamento. Lucia Berlin lo spiega col suo proprio caso nel racconto “Andado” (nella raccolta “Sera in paradiso”), degli anni passati a Santiago del Cile, con la famiglia al seguito del padre ingegnere minerario e “spia della Cia”: “Figlia di un ingegnere minerario, aveva la qualità di adattamento comune ai mocciosi  di militari e ai figli di diplomatici. Imparano rapidamente, non solo la lingua o il gergo ma cosa fare, cosa dover sapere. Il problema per questi ragazzi non è di essere isolati o estranei, ma che si adattano così rapidamente e così bene”.
 
Fiat – “La senora Fuenzalida troneggiava. Gli scolari al chiamavano “Fiat”. Sembrava una macchina. Bassa, tozza, quasi nera, con due fari, occhiali da sole a specchio”. Fiat come sinonimo di automobile ricorre in questo racconto di Lucia Berlin, “Andado”, sulla scuola dei suoi primi anni a Santiago del Chile, anni 1945-50, subito dopo la guerra.
Fiat era sinonimo di automobile anche in Russia. Sklovskij celebra l’autoblindo Fiat nella guerra civile ancora nel 1923. Nel 1966, nel pieno della guerra fredda, a Ferragosto, la Fiat firmava a Mosca un accordo per motorizzare la Russia. La grande fabbrica sarà costruita a Stavropol sul Volga, cittadina storica che era stata ribattezzate Togliatti due anni prima, in onore di Togliatti appena morto (in italiano ricorrente nei giornali come “Togliattigrad”) – nome che la città conserva tuttora, anche se la Fiat non vi produce più nulla.
Ma già prima, nel 1930, il senatore Agnelli aveva costruito in Russia la più grande fabbrica al mondo di cuscinetti a sfera, indispensabili nella vecchia meccanica auto, affidandone la realizzazione a Gaetano Ciocca- che poi sarà memorialista, critico, del sovietismo.
 
Gadda – “Gli italiani sono abituati a una prosa barocca rigida, meccanica, statica, a quelle inamidate performance alla Gadda che, per dirla con le parole di Busi, dimostrano molto senso della lingua ma pochissimo del palato”, del gusto: apre con questa citazione di Matteo Marchesini (da “Casa di carte”. N.d.r.) Bruno Sabelli, neo libraio antiquario di Bologna, il bellissimo volume che dedica a Gadda, “Gadda in transito” - con i ghiribizzi del suo amico ingegnere-letterato Marco Bortolotti, e una serie inarrivabile di riproduzioni, di copertine, foto, autografi, disegni, scarabocchi, edizioni le più variate – un tributo senza precedenti all’Ingegnere. Una lingua di stucco?
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Giotto – Fra i titoli che vagheggiò per la parte della “Ricerca” che si intitola “Sodoma e Gomorra” Proust pensò anche a “I vizi e le virtù di Padova”, a una delle sezioni di Giotto alla Cappella degli Scrovegni, quella che oppone su una parete le sette virtù, femminili, alla parete opposta, dei sette vizi, figure femminili e maschili, lo sguardo vacuo, il portamento malfermo.
 
Isola – Un microcosmo che approssima la “patria”, pacificante – Ernst Jünger in Sardegna, 1954, “Presso la torre saracena”: “Le grandi prospettive sono pacificanti, armoniose, spesso dispensatrici di felicità; vento e sole muovono le superfici come il lieve respiro di uno che sogna. L’isola armonizza le costruzioni come fa delle lingue, dei costumi, delle razze e delle piante con la propria pienezza. Indizio di potenza conservatrice. Ci si sente qui come in un paese natale, quando si viene da reami in cui ognuno contesta ognuno nel suo essere nazionale o sociale”.
 
Molly – È di Pascoli prima che di Joyce – di Joyce perché di Pascoli? È la scoperta di Cortellessa, “Forse che sì. Joyce fra Pascoli e Gadda”. Per il nome, anche se in Pascoli Molly è una bambina, si suppone morigerata. Ma più per il “sì”, “yes”, che Molly Bloom pronuncia a ripetizione – “a più riprese (c’è chi ne ha contate una settantina), e poi un’ultima volta alla fine del suo soliloquio «Penelope», cioè nell’ultimo episodio di ‘Ulisse’”. La Molly pascoliana di “Italy!” lo rispondeva alla fine del poemetto: “Chiedeano i bimbi con vocio di festa:\ «Tornerai, Molly?» Rispondeva: - Sì”.      .
 
Sereno - La vecchia figura del portiere di notte a Madrid, che aveva le chiavi di alcuni isolati alla cui sorveglianza notturna era addetto (e garantiva la note comunque una possibilità di rientro, se non s’indovinava il buco della serratura – ma non molti portoni avevano serrature per chiave piatta non ingombrante), resiste nel racconto di Lucia Berlin sui suoi anni cileni, “Andado”: “Andado” era la cantilena del “sereno”: “Medianoche y andado”, mezzanotte e passato, “Andado y sereno”, passato e sicuro.
 
Star system – “Il sistema degli Stati Uniti,  dove ancora è sufficiente chiamare una certa attrice o un certo attore perché il film trovi i finanziamenti”, Pupi Avati, “Corriere della sera” 6 febbraio.
 
Undici – Benché numero non popolare, ne era fanatico Ippolito Nievo. Scrivendo da Palermo alla cugina Bice Melzi Gobio l’11 novembre 1860, cioè l’11\11, alle ore 11 di notte, ne fa l’elogio: “Il numero undici è il mio più fedele alleato; mi accompagna ovunque, mi protegge sempre, mi sorride continuamente”. Lo proporrebbe “al conte di Cavour invece di Napoleone III, ed a Mazzini invece di Dio e il Popolo”. Se “Dio e il Popolo, e perfino Napoleone III (guarda che malignità!) possono andar soggetti a qualche dubbio poco riverente, il numero undici è, sta e starà sempre senza far male a nessuno. Come il primo gradino oltre la decina, rappresenta il progresso, come duplicazione scritta della cifra uno esprime la fecondità, come figura geometrica indica stabilità; e poi non ti pare che quei due pali ritti stiano là umili pazienti ad aspettarne un terzo trasversale che comporterebbe il sacro simbolo della forca? Della forca antica, romantica, patriarcale, non della macchinetta graziosa applicata alla strangolazione dal genio inventivo degli Austriaci!”.
 
Vecchiaia
Nelle sette età della vita di Shakespeare, “Come vi piace”, opera di Shakespeare giovane, abbastanza giovane, atto II, scena IV, è un ritorno da incubo all’infanzia, nella prospettazione di Jacques, l’alter ego dell’autore, moderno intellettuale al seguito del Duca suo signore, col quale vive rifugiato nel bosco di Arden, dell’umanità che finisce: “A chiuder questa storia strana, piena di eventi,\ è la seconda infanzia, il mero oblio,\ senza denti, senz’occhi o gusto, senza niente”.


letterautore@antiit.eu

Se tutto è sette

Tutti i possibili significati, le proprietà, i ricorsi (non tutti, questi: in appendice un repertorio lungo quattro o cinque pagine, costruito trent’anni fa per il romanzo “In virtù della follia”), del numero forse più ricorrente di questa curiosa serie, dall’1 al 12, ideata da Umberto Bottazzini, “Storie di numeri” (“alfabeto di ogni civiltà, i numeri esprimono la misura del cammino umano). Un numero debordante nella numerologia ovviamente, ma di più nel linguaggio profetico, ebraico, e nel calendario. O nelle geografie mentali: la natura “sette bellezze” del poema omonimo di Nezāmī, la “Settimana di bontà” di Max Ernst, il Teatro della Memoria di Giulio Camillo. Con le sette età della vita, per esempio di Shakespeare, “Così è se vi pare”. Un numero ubiquo
Un volumetto denso - Ebgi, storico della filosofia, è versato in molte discipline. Che alla fine pone il problema invece di risolverlo. Perché sette è un problema: perché tanta “popolarità” del sette e non di un altro numero?  Si, indivisibile, etc., “il numero della totalità (dell’unione di cielo, il 3, e terra, il 4); … il numero dell’intelligenza (assieme maschile, il 3, e femminile, 4) che vuole contenere in sé tutto l’universo”, si, ma poi?

Raphael Ebgi, Sette, Il Mulino, pp. 185 € 13


Appendice

Un repertorio ampio del numero sette, nemmeno esaustivo, avevamo potuto compilare nel romanzo “In virtù della follia”:


Il pellegrinaggio delle Sette Chiese era stato da poco restaurato da Filippo Neri, scrive l’oratoriano Carlo Gasbarri nella Visita filippina delle Sette Chiese. La tradizione prevedeva un “giro simbolicamente sintetico dell’Orbe cristiano”, San Pietro rap­presentando il patriarcato di Costantinopoli, San Paolo quello di Alessandria, San Lorenzo quello di Gerusalemme, Santa Ma­ria Maggiore Antiochia, “cioè i capi del mondo fedele, cui so­vrastava il Laterano, sede del Sommo Pastore, che tutti in sé riassumeva”. Alle cinque soste originarie Filippo aggiunse due intermedie, a San Sebastiano — fra San Paolo e San Giovanni in Laterano — e a Santa Croce, anch’essa in Gerusalemme — fra San Giovanni e San Lorenzo. Per un certo periodo si arrivò a nove ma poi, spiega Gasbarri, “ci si polarizzò sulle sette basiliche, che nel numero altamente simbolico e nel percorso di ol­tre sedici miglia costituivano una discreta penitenza”.

San Sebastiano era il punto centrale del pellegrinaggio. Paesag­gio all’epoca “georgico e riposante”, secondo un memorialista, “di armoniose linee classiche”, era ancora campagna aperta, ma non estranea alle vicende umane. “Non vi è palmo di ter­ra”, ha scritto l’abate Carlo Bartolomeo Piazza negli Hyeroxenia, “sotto il quale non sia stata abitazione tra quegli Antri, Grotte, Tombe, Arenari], e Cimiteri]', quasi Steccato di Cristia­na Fortezza, e Pazienza. Da queste sotterranee Caverne, e na­scondigli d’anime grandi, a guisa di Fornaci di Paradiso, usciro­no beati incendij di Amore, e di Carità”.

Della pia pratica e del numero sette scrisse il pontefice Sisto Peretti (1585-1590) nella bolla Egregia Populi Romani Pietas: “E sono esse (le chiese) veramente celeberrime per l’antichità, per il culto, per le venerande reliquie dei Martiri, per le sacre indulgenze, e infine per il mistico senso del numero settenario. Come l’apostolo Giovanni, scrivendo la mirabile sua Apocalisse alle sette Chiese dell’Asia, volle adombrare la Chiesa universa­le, che Dio adorna con i sette doni celesti dello Spirito Santo, e nella quale soltanto dimora e riposa, così sette Chiese in Ro­ma si stabilirono, con grande arcano del numero stesso, affin­ché più chiaramente apparisse l’unione e la perfezione nel capo stesso da cui promana l’unità della Chiesa tutta”.

L’arcano, volendolo, si poteva dire sciolto da una lunga tradi­zione, di cui era stato sistematore nel primo secolo il dotto ebreo Filone d’Alessandria. Sul solco probabilmente dei “Proverbi”, 9,1: “La saggezza ha fabbricato la sua casa, ha lavorato le sue colonne, in numero di sette”. Filone, il conciliatore della fede e della filosofia, attribuiva al numero sette “valore divino”. La potenza del numero, scrisse diffusamente, si esplicava in arit­metica, geometria, biologia, astronomia, cosmologia, musica, moto, cicli della luna (i numeri da 1 a 7, sommati, danno 28). E ancora: sette sono i cerchi del cielo e le schiere dei pianeti, le età dell’uomo (secondo Ippocrate; secondo Solone, invece, le età dell’uomo sono dieci, ma di sette anni ciascuna) e i sensi (ai cinque canonici vanno aggiunti il sesso e la lingua), le secrezioni del corpo (lacrime, muco, saliva, sudore, sperma, cacca, urina) e le sue parti, quelle visibili (testa, tette, braccia, gambe), quel­le invisibili (stomaco, cuore, polmone, milza, fegato, reni) e quelle della testa (occhi, orecchie, narici, bocca). E l’unico numero che “non genera e non è generato”, assimilato dai filosofi a Vittoria-Atena, “che è vergine, non ha madre, e si racconta essere nata dalla testa di Zeus”, e dai pitagorici alla Guida del­l’universo.

Un numero ubiquo, insomma. Centrale nella numerologia semitica. Che lo trasmise alla cultura greca, secondo Nietzsche, “Il servizio divino degli dei”, che ne fa minuto elenco per un paio di pagine. In relazione con i pianeti, con la scala dei suoni, dei colori, dei giorni della settimana. È numero primo privilegiato dalla Bibbia, nonché dall’“Apocalisse”, la Cabala e la Massoneria, ma anche da Auguste Comte, il re dei positivisti. È la base della sua “Synthèse subjective”, il finale “poema dell’Umanità” in ottocento pagine. Il poema Comte lasciò suddiviso in sette capitoli. Ogni capitolo si compone di tre parti, ognuna delle quali è però suddivisa in sette sezioni. Formate a loro volta ognuna da sette gruppi di frasi.

La tradizione religiosa ricorda le sette stanze di Moloch, le set­te porte o gradi di iniziazione di Mitra, le sette vacche belle e grasse, e le sette brune e molto magre, le sette spighe piene e rilucenti, e le sette vuote e arse, i sette anni di abbandono, e i sette di carestia, che salva­rono Giuseppe nella Bibbia, repertorio massimo del numero (sette è “la semitica totalità”, afferma Ceronetti — e lo confer­ma la Cabbala, con i sette santuari e i sette sentieri, le sette di­more impure, i sette bracci della menorah, i sette cieli del Tal­mud, e il Dio dello Zohar, Libro dello Splendore, il quale non procede che per sette: “Il Santo benedetto Egli sia, si trova nel settimo di tutto” — mentre per il commentatore delle Edizioni Paoline il sette “nelle Scritture indica un numero grande, e moltiplicato indica un numero indefinito”), i sette altari, i sette giovenchi e i sette montoni di Balaam, i sette mariti che lascia­rono infelice Sara, morendo la notte stessa in cui si proponeva­no di accostarsi a lei, i sette fratelli, mariti sterili di una sola moglie, della casuistica sadducea, i sette santi, i sette dormienti di Efeso (che secondo Louis Massignon sono gli stessi di pri­ma), le sette piaghe, i sette re d’Egitto, i sette diavoli di Mad­dalena, le sette parole di Cristo in croce, oggetto di appassiona­ta trattazione di san Roberto Bellarmino. O, più antiche, le set­te sorelle e le sette stelle del sogno di Kassi, più moderne, le lita­nie settiformi, la settemplice fraternità rosacroce, i sette gradini della scala di sant’Agostino per valutare la capacità di compren­sione dell’anima, i sette capi del dragone purpureo seduttore del mondo, che è Satana, dell’apocalittico Innocenzo III. Sette gli Inni dei “Mattutini”, che scandivano la vita monastica, sette quelli delle “Laudi”, e Sette dei “Vespri”, che avevano come tema i sette giorni della creazione.

Tutto è sette in Gilgamesh, romanzo dell’amore uranico, e nell’Apocalis­se (Sigilli, Angeli, Trombe, Segni, Lampade, Chiese, Coppe ver­sate), opera di san Giovanni di Patmos patrono della massone­ria, che il pio Renan definì “libello radicale contro l’impero ro­mano” e l’erotologo inglese D.H. Lawrence, figlio di minatore, “un’orgia di mistificazione al lavoro da quasi duemila anni” per minare l’aristocrazia del Cristo, o il carattere individuale della salvezza, mediante la sobillazione delle masse (è “metafora del crollo del capitalismo”, dirà H.M. Enzensberger).

I cigni girarono sette volte attorno a Delo, sottolinea Anaero­bio, al momento della nascita di Apollo, il dio della lira, stru­mento a sette corde. Sette le esistenze di Tiresia. Sette anche i figli e le figlie di Niobe, i re di Roma e i colli, i pilastri della saggezza, le meraviglie del mondo, le porte di Tebe, i santi patroni di Marrakesh, sette i giorni della luna, i raggi del sole, i colori dell’arcobaleno, i sa­cramenti, i vizi capitali, stranamente monchi, le virtù (tre più quattro), le arti liberali, che secondo Marziano Capella condu­cono l’uomo in cielo, gli anni della Montagna incantata.

Sette i Dolori di Maria il venerdì successivo alla prima domenica di Quaresima, oppure il 15 settembre,. le opere di misericordia corporale e quelle di misericordia corporale. Sette i personaggi dei compianti, attorno al Cristo morto. Con il setticlavio. I Sette di Chicago – che erano otto, ma uno fu dimenticato dal giudice che doveva condannarli. E i sette del Franck Report, che prima di Hiroshima ne provò le devastazioni. Sette i nani di Biancaneve dei fratelli Grimm, E lo specchio magico le rispose : «Al di là dei sette monti, al di là delle sette valli c'è la casa dei sette nani, in cui vive Biancaneve che è ancora più bella di te»”. i viaggi di Sinbad il marinaio, le sorelle del pe­trolio, le cinta del castello dell’anima, i gradi della perfezione, le note musicali, le vocali del greco antico, i petali della rosa, le stelle dell’Orsa e le Pleiadi, le colline del Reno, i savi di Ro­ma, dell’Ellade e d’altrove, le vite dei gatti, le donne di Barbablù, i sette anni di riflessione e gli altri sette di disgrazia, che fa  quattordici, un buon titolo.

Arrivando a noi, vanno ricordati II settimo sigillo, Sette spose per sette fratelli, I set­te fratelli, Sette storie gotiche, I sette tipi d'ambiguità, i settennati presidenziali, passando ovviamente per Kafka (“chiesi se die­tro i sette mari ci fossero i sette deserti e dietro a quelli le sette montagne, sulla settima montagna il castello e...”). Il numero è ricorrente anche al gioco delle carte, con primiera, settebello e sette e mezzo, e dell’occulto, sotto il segno di Pietro d’Abano. J.Roth ricorda, celebrando “La quercia di Goethe a Buchenwald”, il “böse Sieben”, il sette cattivo, del Kaiserspiel, antico gioco di carte tedesco Il sette che anche nelle carte tedesche è migliore di tutte le altre, il sette pigliatutto, ma è raffigurato nelle sembianze di una strega:

Ha tradizione in Francia (il Colloquium Heptaplomeres di Jean Bodin, il teorico dello Stato moderno, della tolleranza, e della caccia alle streghe, l’Heptameron di Margherita, energica sorel­la e compagna di svaghi del re Francesco I) e senso universale. E la chiave del segreto di Dante per Renè Guenon.

“Al tre, numero dello spirito e della germinazione di ogni for­ma, si aggiunga il quattro, numero della materia, e si avrà la completezza, il sette, proprio dei nani costruttori”: così Elémire Zolla presenta II signore degli anelli. Ma il quattro, aggiunge, è meglio, è la triade benefica, calore luce e aria, corpo anima e spirito, Padre Figlio e Spirito, più il demonio, significato che una data storica confermerebbe, il 16 aprile 1616, scelta da Shakespeare e Cervantes insieme per riunirsi nell’aldilà - con­tro il parere di Jonathan Swift, il quale, apologeta del numero tre, riteneva il quattro “cabbalistico e superstizioso”. Quattro le stagioni, i punti cardinali, gli elementi, i fluidi vitali (bile nera, bile gialla, flegma, sangue – e lo sperma?), le parti del giorno, le età della vita. La tetraktys di Pitagora. E Schopenahuer pitagorico Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente. Il Geviert di Heidegger, il quadripartito, la quadratura, il quadrato, la “raccolta dei quattro”, la terra, il cielo, i divini, gli umani. Quattro le virtù cardinali, e i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio.

Il tre viene prima – “omne trium est perfectum”, da Proclo a Binswanger. Ma il sette ha più mistero – a partire dal “bau-sette-te infantile. Sette i santi di Firenze, i sette santi fondatori, dal 1888 – di che, dell’Italia massonica? Il Settenario simboleggia per Guénon, Il Demiurgo”, i sette Elohim, i quali rappresentano l’insieme delle forze naturali”, o le sette sfere planetarie  Fu il numero di Hitler. Che vanterà la tessera numero sette della Deutsche Arbeitspartei di Anton Drexler, i laburisti tedeschi, alla quale si iscrisse da neofita in politica nel 1920, mentre invece era cinquantacinquesimo. Sette è l’eletto?

Paolo Legrenzi, Non occorre essere stupidi per non fare sciocchezze”: “La specie umana ha una memoria di lavoro che può contenere 7 “+ o – 2” informazioni, cioè normalmente 7, ma comunque non più di 9.Quest vuol dire che, da giovani, possiamo ricordarci, fino a quando non lo trascriviamo, un numero telefonico di 7 cifre (alcuni si fermano a 5 ed altri arrivano a 9, ma non si va al di là di questi limiti). E analogamente: sette mosse se giochiamo a scacchi, sette cambiamenti di direzione se ci muoviamo in una città sconosciuta, sette sequenze di mosse se pratichiamo uno sport, sette persona appena conosciute a un ricevimento, sette oggetti se diamo un’occhiata a un tavolo su cui ce ne sono tanti”.

Quattro e sette in realtà sono concorrenti nelle perfezioni, e la contro­versia resterà viva a lungo: quando Galileo annunciò i quattro satelliti di Giove, le accuse di sacrilegio vennero dai fautori del numero sette quale metro divino per la regolazione del sistema planetario — li conforterà la cosmologia di Hegel —, mentre gli entusiasti furono coloro che avevano elevato il quattro a ci­fra metafisica.

Sette, secondo la Constitutio criminalis dell’imperatrice progressista Maria Teresa, le fiaccole per le peinliche Fragen, la tortura mediante “quesiti penosi”, ovvero scottatura dei fianchi, dei seni e delle ascelle. Malcolm X dirà nell’Autobiografia: “U sette è sempre stato il mio numero preferito”. Fino a Beast in view, il capola­voro di Margaret Millar: “Aspettando la risposta fece la somma dei numeri, 15115. Tredici. Aggiungendo uno e dividendo per due ebbe sette. Tutto fa sette. Anche se la gente non lo sa”. Millar riecheggiava sant’Agostino, il quale ha visto il numero sette, “simbolo ordinario di universalità”, anche nel dodici, il numero dei patriarchi e degli apostoli, come prodotto di tre per quattro, o di quattro per tre, e nei dieci comandamenti, che so­no tre più sette, ma ha ammonito: “Ci sarebbe molto da dire, sulla perfezione del numero sette. Ma questo libro (La città dì Dio) è già abbastanza prolisso, e potrebbe sembrare che voglia prendere l’occasione per esibire finezze culturali a scopi di nes­sun interesse invece che a vantaggio delle lettere”.

L’astronomia e la Cabala, secondo la scuola di Gerona, danno al mondo sette cicli di settemila anni, 49 mila anni in tutto. Dopo sette millenni il mondo va in sabbatico e si distrugge. Distrugge gli esseri, mantenendo il cielo e la terra. Ma dopo i sette cicli il caos è totale. Tutto ha una fine.  

domenica 16 febbraio 2025

Ombre - 761

Interpellato sulle acquisizioni bancarie in corso, Unicredit-Bpm, Mps-Mediobanca, il governatore della Banca d’Italia Panetta si schermisce: “È difficile ipotizzare che la Banca d’Italia possa commentare come se si fosse in un talk-show”. Ma poi spiega e documenta, con istogrammi raccapriccianti, che il valore medio dell’attivo delle prime cinque banche italiane è “quattro volte inferiore rispetto a quello delle banche francesi” e “una volta e mezza più basso” di quello degli istituti spagnoli e tedeschi. Giganti nani  - impressionano solo una stampa mediocre.
 
Chissà perché il Pd si fa prendere periodicamente dalla chimera patrimoniale – ora anche Conte, ma di lui non si meraviglia, pur di “uscire in televisione” dice di tutto. Che non si farà – non si può fare, la Costituzione comunque non lo consente, a meno di una controriforma fiscale. Ma soleva nell’ottanta per cento degli italiani, che la patrimoniale minacciata non toccherebbe, le patrimonialine che devono ogni mese, le addizionali, l’Imu, la Tarsi, le bollette elettriche a consumo zero. Sulle seconde case, certo, ma alzi la mano un italiano che non abbia la casa dei genitori, dei nonni - un fardello da Monti in poi, dal centro-sinistra, gravoso e gravosissimo.
 
“Il pugno di Vance all’Occidente”, titola a tutta pagina il Corriere della sera” dopo la sfuriata del vice-presidente Usa contro l’Europa. Sotto un fascione: “Draghi. «Ci siamo imposti i dazi da soli»”. Un inizio di resipiscenza? Cerchiobottismo?
 
“Salvaguardare la sicurezza europea deve essere un imperativo per i membri europei della Nato”, spiega mercoledì a Bruxelles Pete Hegeseth, neo ministro Usa della Difesa: “Devono spendere il 5 per cento del loro pil nella difesa”, e dire “con franchezza ai loro popoli che le minacce possono essere affrontare solo spendendo di più nella difesa”. Gli Stati Unti ci spendono il 3,5 per cento del pil. E coprono da soli due quinti della spesa militare mondiale – tre volte quella della Cina, dieci volte quella della Russia.
Ma sono gli Stati Uniti arroganti, o è l’Europa incapace - anche solo di leggere le cifre?
 
Ogni anno Sanremo è record, “l’edizione più seguita da un quarto di secolo”. Ed  è un cabaret (stand-up comedy) anti-governo, Cucciari, Benigni, eccetera, quando il governo è di destra. Da Crozza in poi – che però s’impuntò a fronte di un contestatore. Sembrerebbe un festival anticonformista, e invece è corrivo, sa di saputo.
  
È curioso questo Sanremo sempre de sinistra – come a Roma è festa sempre de noantri: Cristicchi non ha vinto perché fascio. Con due terzi della audience ogni anno, milioni e milioni di spettatori. Per cinque giorni di fila, per cinque lunghe notti, giovani e vecchi insieme, sinceri appassionati? Tutti gli elettori del Pd vedono Sanremo? E gli altri - Sanremo raccoglie tra11 e 17 milioni di spettatori, il doppio dei voti alle sinistre nel 2022? Saranno gli astenuti.
 

Sanremo è uno spettacolo Rai, di un’azienda pubblica cioè, che si suppone gestita dalla  destra, se è al governo. E questo è il suo segreto, che tutti sanno ma non si dice: è sempre impertubabilmente “democristiana”, da Bernabei in poi.

Si almanacca sul perché Maria Zakharova abbia attaccato il presidente Mattarella, a dieci giorni dalla sua critica - peraltro non lieve: assimilare la guerra all’Ucraina, dopo la svolta violenta in quel paese antirussa, alle guerre di Hitler. Mentre il motivo è palese: bullizzare l’Europa dopo l’accordo di massima Trump-Putin. Puntando sull’unico Paese Ue con l’esecutivo stabile, fra quelli di qualche peso – indirettamente sancendo l’irrilevanza di Francia e Germania, dei governi in carica. Ma, poi, della Ue nel suo insieme: si critica una critica storica, non la guerra per l’Ucraina.
 
Si fa strame curiosamente della Russia anche sotto questo aspetto: che sia grossolana e non sottile. Mentre perfino la scelta di Zakharova per la protesta, invece del ministro degli Esteri Lavrov, o del suo ministero, come si sarebbe dovuto da procedura diplomatica, ha un senso: delegare la protesta a una giornalista, peraltro “italianeggiante” – una protesta giornalistica, da chiacchiera.
 
Valentino sul “Corriere della sera” spiega Zakharova, che pure conosce di persona, come una belloccia Roma Nord, che “sempre supergriffata, lo shopping va a farlo a Dubai”. Facile per lei lo smash: “Non ho ma fatto shopping in vita mia, né in Italia né in nessun altro Paese. Ho altri interessi. Musei…. etc.”. O è la Russia sempre incognita? Come ai tempi del bolscevismo, quando non si accettava che le mogli dei prominent, di Gromyko p.es., parlassero inglese e conoscessero i dossier.
 
Il debito scende sotto i 3.000 miliardi, silenzio. Scende anche in rapporto al pil. Silenzio. Era sopra i 3.000 miliardi un mese prima, armageddon. L’“aria di crisi” dev’essere generale, totale. Ma questa crisi estenuata, politica, finanziaria, economica, ora anche militare (chi ci fa la guerra, la Russia?),  a chi giova? È solo giornalismo per non saper fare altro?
 
A un certo punto, nel lungo ritratto che Mara Gergolet abbozza di Alice Weidel, fondatrice e leader della destra tedesca, Alternative für Deutschland, fa parlare il suo ex capo a Allianz e a Goldman Sachs, “l’americano Jin Dilworth”, che tra le tante cose dice, quando Weidel decise di lasciare la finanza per Afd: “Una scelta che mi stupì, la cosa più radicale allora nelle sue opinioni era lo scettiscismo verso l’euro”, Lei si spiegò così: “Nella Cdu ci vorrebbero vent’anni”. Furba, no.
Ma il sottinteso è che Afd si pone come una Dc di destra – il nazismo non c’entra, in Germania non porterebbe un deputato.  
 
È corsa a Generali. Unicredit ammucchia un 5,2 per cento del capitale, Delfin (i Del Vecchio) forse un 20 per cento, partendo dal 9 che già detiene. Pro o contro la scalata di Mps, via Mediobanca? I Del Vecchio sono grandi azionisti anche di Mps, e di Mediobanca. Unicredit si dichiara neutrale, ma è chiaro che è solleva un macigno contro il disegno politico che sta dietro la scalata Mps a Mediobanca-Generali – che è un po’ Davide all’assalto di Golia, ma molto è politica in affari. Unicredit punta al “non facciamo scherzi”, ma sul presupposto che i Del Vecchio, dopotutto, puntino al dividendo e alla rivalutazione.
 
Mps-Mediobanca (con Generali): ci vorrebbe una golden rule che valuti l’interesse “nazionale” contro quello di un governo, o di un partito, di un ministro. Questa, fra la tante norme, ci è mancata, che invece è indispensabile – il sottogoverno è vivo e combatte insieme a noi.
 
Curiosamente, nel suo piano di difesa dalla scalata Unicredit, sventolando la bandiera patriottica Commerzbank licenzia in Germania e assume in Polonia. In Germania ne licenzia non pochi, 3,.900, in Polonia ne assume anche di più. Per ragioni di buona gestione, certo. Il che però vuol dire che finora non era tanto buona. E che Commerzbank non è l’avamposto di nessuna Linea Sigfrido. È curioso che la difesa di Commerzbank si faccia in Germania su basi nazionalistiche,
 
“Volontario a 25 anni, in Vietnam guidavo marines che mi volevano morto!”: William Broyles Jr. ci ha scritto su un libro, cinquant’anni dopo la sconfitta, e vuole propagandarlo, forse esagera. Ma poi precisa, con un dato ufficiale: “Trecento ufficiali furono uccisi dai loro soldati”.
Molto ancora non si sa delle guerre  americane – ancora, cioè in piena era dell’open source, del giornalismo investigativo, della desecretazione dei documenti, del furto dei documenti.
 
Non è più visibile, Sky Tg24 l’ha cancellata, ed è un peccato, l’intervista che Renato Coen a Bruxelles ha azzardato col presidente di una “Associazione rifugiati dalla Libia”, di nome David Yambio. Un sud-sudanese a suo dire fuggito dalla guerra endemica a 16 anni, per approdare, dopo deserti e frontiere (frontiere nel deserto), nella Libia di Almasri: “Io, torturato da Almasri, vi racconto l’inferno della prigione di Mitiga”. Un eloquio inarrestabile che lasciato Coen senza parole, in inglese fluente, da vero politico, che ora professa 24 anni, e vuole processare, anche lui, il governo italiano, L’Africa bisognerebbe conoscerla, anche solo un pochino.
 
Perché gli Yambio? Intanto serve andare in tv. Poi, ci sono avvocati che non si fanno pagare. E alla Corte dell’Aja sa che troverà giudici africani che daranno corda. E questo è un problema, vero: perché la Corte era e doveva essere un organismo giuridico, non dele inarrestabili chiacchiere africane.   
 
Ogni settimana Renzi ha un’intervista sul “Corriere della sera”, qualche volta anche su “la Repubblica”, e non perché abbia qualcosa di nuovo da dire, ma per profetizzare la fine del governo, ora di Meloni. Da rottamatore a guastatore? E al “Corriere della sera” che gliene viene – giusto riempire una pagina senza faticare?
 
C’è stato terrorismo e terrorismo, Cazzullo giustamente ricorda nella posta del “Corriere della sera”: “Anni 1970, stragi senza pentiti”. Da piazza Fontana ai treni, a Bologna, a Brescia. E quello che era un dubbio è a questo punto certezza: le stragi sono opera di terroristi fascisti, ma “protetti”. Dai servizi segreti? Da quali? E perché i vari servizi, che si sono accusati delle peggiori cose, su questo hanno taciuto e tacciono?  
 
Roma è invasa da minicantieri, soprattutto di rifacimenti di marciapiedi, che durano mesi, ingombrano, e si concludono con “basaltine” che poi si rompono subito. Questo succedeva anche col vecchio Giubileo, quello di Rutelli, del Millennio, le “basaltine” si rompevano subito. Sono una fornitura obbligata? Il curioso è che il Pd romano, malgrado tanta impopolarità, è sempre al comando: gli appalti portano più voti dell’opinione.

Morire di media

Un incidente stradale, non grave, sgretola granitiche certezze. Basta poco: la malevolenza dei social, l’invidia dei colleghi. O semplicemente il loro modo di essere e lavorare, la superficialità, a fronte della benevolenza dell’incidentato, la cui madre, immigrata e povera, si bea delle attenzioni della vedette. E il tranquillo modo di essere e di vivere, il tran-tran quotidiano, si rivela inerte o inetto, o ingeneroso – cambia l’occhio, la veduta, la ricezione del reale.
Una vedette del giornalismo televisivo, molto capace, molto famosa, soprattutto per la sua rubrica di interviste, provoca per l’eccesso di cose che deve fare a ogni istante un incidente con un motociclo. Niente di grave. Ma l’incidente diventa materia di scandalismo, tra social per natura pettegoli e stampa di genere. La giornalista, per quanto famosa e straoccupata, si prende cura dell’incidentato, e della famiglia dell’incidentato, e tutto il suo modo di essere e di vivere, compreso il suo status di vedette tv, compresa la famiglia, amorevole e ordinata, le crolla addosso.
Un film classificato del genere romantico-sentimentale. E presentato come la storia di una depressione, tra alti e bassi, bene e male. Ma di fatto questa storia non è speciale - solo Léa Seydoux, sulla cui interpretazione tutto il film è basato, dalla prima scena all’ultima, riesce a mantenerle questo spessore. È piuttosto un caso di cronaca. Il film è un pamphlet, duro benché sottile, contro la superficialità dei media, emittenti, rete, e giornalisti messi assieme.
Bruno Dumont, France, Rai 3