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sabato 15 marzo 2025

Problemi di base slavonici - 843

spock


A Mosca, a Mosca, Cechov è da riscrivere?
 
È aperta la cacia all’orso russo, di primavera?
 
L’Europa è passata dal Reno agli slavi, che si odiano?
 
L’Europa all’ora slava vuole abolire la Russia, che è tanto più grande?
 
E vanno abolite la cattedre di russo?
 
E che ce ne facciamo di tutti gli slavisti?

spock@antiit.eu

La città dei 15 minuti siamo noi

“Tutto a portata di sette minuti: primato di Milano, la città più «camminabile”. Lo dice l’“Economist” e i milanesi sono d’accordo”. Anche gli imprenditori. Cioè no: “È una città a misura d’uomo”, commenta il presidente di Assolombarda, “grazie alle dimensioni ridotte e ai servizi ben dislocati”. Ma aggiungendo: “È prioritario allargare i confini della città”, dei suoi servizi  accessibilissimi si residenti, “almeno alla dimensione metropolitana” - della provincia e oltre, al pavese magari, alla bergamasca, anche solo a Malpensa.
Lo studio originale, su cui si basa l’“Economist”, sulla nozione della “città dei 15 minuti” dell’urbanista franco-colombiano Carlos Moreno, è stato messo a punto da un gruppo di ricercatori della Sapienza di Roma, dei Sony Computer Science Laboratories presso il Centro Ricerche Enrico Fermi (Cref), pubblicato due anni fa sulle pagine di “Nature Cities”, che di fatto dice altro (in sintesi lo studio è tradotto su wired.it, “Servizi a portata di camminata o di bicicletta, esistono davvero le città dei 15 minuti?”
https://www.wired.it/article/citta-15-minuti-servizi-accessibili-esistono-davvero/)
I ricercatori premettono che non intendono sbilanciarsi sulla desiderabilità del modello 15 minuiti. Hanno solo analizzato come funzionano i servzi in molte città. Geolocalizzando, attraverso Open street map, supermercati, scuole, banche, ospedali, farmacie, uffici postali, uffici municipali, e luoghi dove fosse possibile fare attività fisica e partecipare ad attività culturali. E hanno scoperto  che ci sono molte città da 15 minuti, anche molto grandi.
Al centro città l’accessibilità è più elevata e i tempi più corti. Man mano che si va verso le periferie i tempi si allungano. Con quest’ottica, centro-periferie, poche città possono dirsi policentriche, cioè avere localmente servizi per tutti. E fanno il caso di Parigi e Barcellona, per esempio. Eliminando la differenza centro-periferie, e cioè i pendolarismi, molte città, compatte, risultano accessibili al modello “15 minuti”. Tra esse Milano, Berlino, Dublino, Monaco, che totalizzano più del 90 per cento di popolazione con servizi a portata di mano. Una città “diffusa”come Roma lo sarebbe al 70 per cento, percentuale rispettabile. Altre città europee con un buon equilibrio tra accessibilità ai servizi e densità residenziale sono Torino e Madrid.  
Ma, poi, conta molto l’integrazione territoriale, l’attività, il lavoro, il sistema produttivo. Col pendolarismo. E conta molto anche l’urbanistica. La ricerca fa l’esempio di molte città americane, cresciute con i criteri urbanistici dominanti nel dopoguerra, dove le zone periferiche, residenziali, più ricche, e molto più ricche, hanno una bassa densità di servizi. È nelle città tradizionali del modello europeo, compatte, che si ha un una buona e anche ottima accessibilità ai servizi. Anche se il modello urbanistico non è, o non lo è più, ottimale per altri versi – verde pubblico, mobilità, accessibilità dall’esterno.
Matteo Bruno-Hygor Plaget Monteiro Melo-Bruno Campanelli-Vittorio Loreto, A universal framework for inclusive 15-minute cities, “Nature Cities"

venerdì 14 marzo 2025

Problemi di base circostanziali - 842

spock


Se due senza patria, uno domiciliato in Svizzera e uno in Olanda per non pagare le tasse, possano fare i maestri di democrazia in Italia.
 
O Trump o morte?
 
Se l’Europa può permettersi una guerra su due fronti.
 
Se l’Europa è da “Promessi sposi”, “un vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro”.
 
Se l’Europa è quella, ancora, dei “Promessi sposi”, delle grida – in senso proprio, a chi le spara più grosse.
 
Se i giudici sono senza colpa, ancorché delinquenti.

spock@antiit.eu

Un fesso non sono, e ho scritto “Il gattopardo”

Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Alessandra “Licy” Wolff von Stomersee si sposarono tardi, nel 1932, lei di 38 anni, appena divorziata (da un marito omosessuale, n.d.r.), lui di 36, e per undici anni, fino al 1943, passarono la lunga calda estate siciliana separati, lui nel palazzo avito a Palermo, lei nel castello di famiglia in Lettonia. A Palermo dominava la madre amatissima del futuro scrittore, Beatrice Tasca di Cutò, “Bona” nella corrispondenza del figlio, madre che si sa tirannica (fino a imporre nomignoli femminili al figlio - già amante di Ignazio Florio) alla quale la nuora era e resterà invisa. In alternativa a Stomersee, al castello grande e freddo, e a Palermo, Licy passava anche lunghe stagioni a Roma, dove viveva la sorella “Lolette” (Olga), sposa del diplomatico Augusto Biancheri, e la loro madre, Alice Barbi, “la prima cantante italiana da concerto”. Grande personaggio questo, sia detto in aggiunta, specialista di lieder, famosissimo contralto di Fine Secolo, pregiata da Brahms, Clara Schumann e tutto l’ambiente musicale, che si era ritirata dalle scene sposandosi, col barone Wolf von Stomersee – poi zia acquisita di Giuseppe: vedova del barone von Wolff, aveva sposato l’ex ministro degli Esteri (governo Bonomi) e ambasciatore italiano a Londra Pietro Tomasi della Torretta, zio di Giuseppe.  
Si scrivevano in francese, come la nobiltà russa aveva usato, anche dopo “Guerra e pace” – gli Stati baltici, benché teutonici, erano una propaggine russa. Da cosmopoliti mistilingue peraltro, con incisi inglesi, o l’italiano colloquiale. Si scrivevano di niente, dopo le primissime lettere, maggio 1932, di Giuseppe innamorato. Legati dal “non detto”, “dall’implicito”, come avverte la curatrice: “Per anni riempiono facciate di fogli parlando di niente, o meglio, parlando di tutto; della loro salute (lei soprattutto), dell’amico Bebbuzzo e dell’altro chiamato «le Philosophe», delle liti fra cugini, di cibo, di cani (molto), di case, di tasse e di soldi (sempre pochi), di inquilini morosi e lamentevoli, di matrimoni e conseguenti regali di nozze da fare, di Lila e Lolette (l’amica di sempre e la sorella), dei pettegolezi del circolo Bellini e del caldo e del freddo, tremendi, di Palermo e di Stomersee”. Ma il libro, singolare, è godibilissimo, per il genio della curatrice. Che lo arricchisce di una breve nota, in cui spiega come se ne sia occupata quasi quarant’anni fa, delle “due singolari e bizzarre figure di Giuseppe e Licy”, collaborando con Gioacchino (erede di Tomasi) e Nicoletta Lanza Tomasi, e con Boris e Gippi Biancheri, cugini del “gattopardo”, per la rilevazione e valutazione delle allora poco o nulla “attenzionate” carte di Tomasi di Lampedusa.
“Un matrinonio epistolare” aprì una valanga di studi, ricerche, analisi, ipotesi, “romanzi, aneddoti, racconti e dicerie le più varie”. Ma questo dietro le quinte di Cardona, per quanto conciso, resta insuperato. Per la capacità di organare in un racconto le varie vicissitudini della lunga corrispondenza - evidenziata anche dall’inerzia della postfazione di Manganelli, più del solito manieristica. Di entrare nello “«stile» di un matrimonio”, nella “forza che doveva avere il non detto”. Con confidenza, malgrado tutto, e anche affettuosità. Lui è “Mimi” per lei, lei è “Murili”.  
Non la corrispondenza insomma fra i due coniugi, ma il racconto della corrispondenza. Pagine poche, ma densissime: non ci sono segreti svelati, o pettegolezzi alimentati, eppure si legge. Con ampie e pertinenti narrazioni di personaggi o eventi oggi remoti. Con molte chicche. Tra esse la lettura argomentata del sogno premonitore che Giuseppe dettaglia a Licy nel 1950, della sua fine e dell’opera che lo attende prima, imperiosa. E la lettera ora famosa a Guido Lajolo, “il suo migliore amico”, il 31 marzo 1955, in cui gli comunica: “1) ho scritto un romanzo, 2) stiamo per adottare un figlio”. E spiega: “Comincio dal primo e meno importante evento. Io non ho cugini da parte paterna, intendo dire cugini di primo grado. Ne ho invece tre da parte materna”. Sono i cugini Piccolo, di Capo d’Orlando, Giovanna Agata, Casimiro e Lucio. Che con il cugino Giuseppe condividevano l’amore dei cani – nel giardino della loro villa a Capo d’Orlando. Agata, la primogenita, ha predisposto e lasciato un cimiterino affollato di cani, con nomi e date, una ventina almeno. “Da un paio d’anni in questi miei tre cugini si è risvegliata un violenta attività artsitica”, continua Tomasi - che attribuisce anche ad Agata, che ha lasciato memoria di botanista, per la cura del giardino, anche incisioni di acqueforti all’improvviso esposte “in mostre a Roma e a Milano, con largo successo di pubblico e di critica”. Mentre Casimiro, “che aveva dipinto tutta la vita da dilettante”, specialista di elfi e farfalle, “a sessant’anni suonati ha messo su una mostra personale”, ha venduto tutto “in una settimana ed è proclamato grande artista”. Il terzo, “il più giovane ma che ha cinquantatré anni”, ha “fatto stampare un volumetto di versi, ne ha inviato una copia al terribile Eugenio Mntale”, e il resto si sa – Montale folgorato, inni, premi, onori, “un’iradiddio”. Conlusione: “Benché io voglia molto bene a questi cugini (specie ai due ultimi) debbo confessare che mi sono sentito pungere sul vivo: avevo la certezza matematica di non essere più fesso di loro”. E ha scritto il romanzo.  
Più di un saggio critico, più di una biografia accurata, una curatela piena di insight fulminanti. Di Tomasi è detto tutto a proposito dei Cugini Piccolo, “parte, con Licy, di quella specialissima «setta segreta» che contemplava cultura ed aristocrazia come qualità inscindibili, unita indissolubilmente da un senso di decadenza delle cose e da un’infanzia aureolata come un Paradiso Terrestre”. Nel verso buono? Con i Piccolo il pranzo di Pasqua del 1942, certo a guerra non ancora perduta, è a dir poco sibaritico - p. 130 (ma tutti i racconti dei pasti in casa Piccolo, numerosi, sono straordinari). Poi c’è, sullo sfondo, la madre “Bona”, la Grande Madre Mediterranea di Ernst Benrhard, che tenne Giuseppe al guinzaglio per cinquant’anni. L’inverno del 1943 i bombardamenti su Palermo si intensificano, il palazzo di famiglia, nel quale la madre vorrà poi restare a vivere, è praticamente distrutto, “Licy” sta a Roma, e non scrive, o raramente.
Caterina Cardona, Un matrimonio epistolare, Sellerio, pp. 197 € 14

giovedì 13 marzo 2025

Europa e Usa indivisibili

Europa e Usa simul stabunt vel simul cadent? Così sembra, contro tutta l’agitazione in corso. Si sono inflitti dei dazi, ma ne soffrono, entrarmbi.  Si fanno la guerra sulla pace con la Russia, ma poi decide Putin. E, poi, non sarebbero tutti contro Trump, Europa e Usa uniti nella lotta – anche se nonèvero?
Lo stesso sulla difesa. L’Europa alza i toni contro Trump il liquidatore, ma perché ha in mente un piano di riarmo, e vuole un nemico in casa – uno meglio di un nemico esterno, che può mettere l’assedio. Ma, poi, anche qui, il riarmo europeo non può che fare piacere agli Stati Uniti, e all’industria americana degli armamenti.

Ombre - 765

E dunque l’“Economist” può censire una crescita esponenziale dell’estrema destra in Europa, in soli quindici anni, maggiore che nei turbolenti anni 1930: con una media ponderata oggi del 24 per cento, superando socialdemocratici e conservatori (popolari compresi), di qualche decimo sotto quella soglia. Ma mettendo in quello schieramento il 34 per cento di Fdi e Lega, che invece starebbero meglio fra i conservatori. E senza tener conto della destra “sociale”, che occupa un vuoto delle sinistre. Ma, soprattutto, senza dire che è una destra senza le piazze e la violenza: una destra d’opinione – malgrado i  mass media, a questa destra avversi. Su questo sì, ci sarebbe da riflettere. 


Si vota in Groenlandia, paese di 58 mila abitanti, di cui 41 mila elettori, che vanno a votare per il 70 per cento, quindi in 30 mila nelle elezioni affollate, su una superficie di 2 milioni 166 mila km quadrati – la metà dell’Unione Europea. Che pensarne? Dice che dal voto nell’isola dipende il futuro dell’Europa. È ridotta così male?
 
La bilancia commerciale Usa chiude in rosso da mezzo secolo, nel 2024 per 1.220 miliardi, più 14 per cento sul 2023. La bilancia dei pagamenti, beneficiando di un attivo negli scambi di servizi per 293 miliardi, si assesta su un rosso di 927 miliardi. Il secondo peggior saldo dopo quello del 2022, di 951,2 miliardi di dollari. I Paesi con cui il deficit è maggiore sono stati la Cina (295 miliardi), la UE (235 miliardi), il Messico (172 miliardi), e il Canada (63 miliardi).
 
“M. figlio del secolo” non trova distribuzione fuori d’Italia, troppo brutto. Ma si vuole che i distributori non lo vogliono perché gli Usa, il maggior mercato, sono fascisti - e magari anche, un po’, l’Inghilterra (della Germania si sa)? O bisogna fare una seconda serie, e allora si tiene il ferro caldo, accusando il mondo di fascismo.
 
Potenza delle piattaforme, Sky, Netflix, HBO, Paramount+, Disney etc. O dei loro agenti italiani, quanto più furbi dei critici, più forti dell’opinione. Che possono vendere impuni, e anzi con successo, come cult o blockbuster, robetta da telenovela – girata in una stanza, dieci e quindici scene al giorno, tutta fuffa.
 
Si riapre il delitto di Garlasco, l’assassinio di Chiara Poggi, perché sotto le unghie della vittima ci sono – c’erano - tracce di Dna di un sospettabile. Tracce evidenti dopo quindici anni ma non all’epoca del delitto? I gialli ci hanno abituati tropo alla solerzia delle polizie.
 
O Garlasco non è un problema di polizie. C’è un condannato che ha scontato sedici anni in carcere, su decisione della Corte di Cassazione, dopo essere stato assolto in Assise e in Appello. La Cassazione che decide, dovrebbe, su motivi procedurali, formali e non di merito. Ma la giustizia è quella, dei giudici.
 
“Rimpatri veloci. Sì a centri per le espulsioni in paesi terzi”, Bruxelles fa sua la soluzione Meloni-Rama: una breve, dodici (mezze) righe. Fanno notizia solo le giudici bas-bleu che decidono loro, benché non sappiano le lingue, quali paesi africani e asiatici e latinoamericani sono democratici e quali no. Peccato che la politica le protegga, ci sarebbero molte gag comiche in materia.
 
Zaynad Dosso piange sul podio dopo aver vinto l’oro agli Europei indoor sui 60 metri. Ma esibisce direi dita con unghie artificiali ad artiglio, artisticamente allungate. In ginocchio ai blocchi di partenza, con le dieci dita naturali non guadagnerebbe secondi, altro che centesimi o decimi?
 
Giudice Gratteri a ruota libera e titoli impegnativi: “Dalle carriere separate rischi per i cittadini, con un pm che lavora per condannare a tutti i costi”. Che è la funzione del Pm. Anche nell’ordinamento attuale. Anzi ora più che mai – perché estromette la difesa, fino al processo.
“Un pm al di fuori della giurisdizione, che non lavora più per cercare la verità”. Il giudice Gratteri dà sempre l’impressione di non credere a quello che dice, attore in un ruolo. Ma qui è sarcastico.
 
Ridono Costa e Von der Leyen nella foto ricordo, sotto il sorriso furbo di Zelensky, per il riarmo dell’Europa. Che l’Europa si sveni per l’eroicomico Zelensky è certo un’avventura impensabile – un tempo si sarebbe detta da minorati.
 
“Sono in tre commissioni, sanità, ambient e bilancio”, racconta Ignazio Marino, eurodeputato Verdi-Si a Bruxelles, dopo essere stato sindaco Pd di Roma cacciato dallo stesso Pd, di suo chirurgo dei trapianti di fegato: “I tedeschi hanno un senso quasi proprietario del bilancio, e all’inizio ero guardato con sospetto”. Così funziona Bruxelles.
 
La Cassazione che fa pagare a Meloni i danni morali a un immigrato illegale contro tutti i tribunali sottostanti, e contro la stessa Procura della Cassazione, ha voluto “alzare una palla”. Ai media, tutti più o meno Pd, o a Meloni? Al Pd, certo: tre giorni di sconfitta per il governo, facendo trapelare di otto ricorrenti invece di uno, con una provvisionale di centinaia di migliaia di euro invece di 160 – quanto i supremi giudici hanno devoluto per il giorno di permanenza contestato sulla nave della Giardia Costiera al ricorrente (che ha rinunciato all’indennizzo). Sembra ridicolo, e lo è.
 
Ma non si può dire. Il capo della Cassazione tuona che la Suprema Corte va rispettata. Gonfia, s’immagina, dei suoi ermellini – le toghe preziose che i giudici esibiscono nelle loro cerimonie. Il giudiziario è l’unico ordinamento delle istituzioni che si è mantenuto fascista: dagli ermellini alle toghe e all’autoritarismo non hanno rinunciato a nulla
 
Però. Però non si sa se sono più furbi o più scemi. Una condanna che non è una condanna, ma un rinvio in corte d’Appello - una condanna solo per i media, che se la bevono. Per 160 euro di danni morali. L’unica consolazione è che non si sono riuniti a Ferragosto per decidere. E di questo va dato atto al capo della Suprema Corte di Cassazione Cassano, è già un passo democratico.
 
Si fa grande caso come è giusto dei dazi che Trump va minacciando. Silenzio invece sulla Brexit, che nasce dalla stessa idea, “isolazionista”, nel senso di introdurre vincoli al commercio e anche agli scambi di persone. L’antiamericanismo ha sostituito la “perfida Albione”?

Quel Gattopardo è un po’ verghiano

“Il gattopardo” senza il glamour visconteo – del regista aristocratico e delle sue star. O “Il gattopardo” messo a nudo? Virtuosamente centrato sulla ragione borghese di Concetta, la figlia del  principe, che si ribella all’autorità paterna in chiave “io sono mia”. Piuttosto che sul declino della magnificenza - o nostalgia, sotto forma di coscienza critica.
Giusto, perché “Il gattopardo” non sarebbe un romanzo verghiano, di scrittura semplice, con nobili impecuniosi invece dei cafoni arricchiti? Di autore titolato, per parentela, frequentazioni, e cause civili, ma di vita modesta, anzi triste e scialba, specie dopo i bombardamenti bellici.
Un “Gattopardo” in questo, filologicamente, dunque preciso. Ma una produzione senza pretese, tipo soap opera, per un “pubblico universale”. Affidata a un regista inglese, della scuola che le serie inventò settant’anni fa, gli “sceneggiati”. Che il romanzo solennemente “storico”, come fino ad ora è stato recepito, riporta al feuilleton, con uno spruzzo verghiano.  
Straordinaria la potenza di promozione e persuasione di Netflix. Per la regia di Tinny Andreatta, ora regina delle serie americane come lo era a Rai 1?
Richard Warlow, Il gattopardo, Netflix

mercoledì 12 marzo 2025

L’Europa in guerra su due fronti

Una guerra su due fronti è votata alla sconfitta, è uno dei (pochi) principi assodati dell’arte militare. È la situazione su cui l’Europa è ora confrontata.
Con la Russia, scontro militare, non c’è accordo possibile. Con gli Stati Uniti, fronte commerciale e anche politico, aperto oggi ufficialmente, l’accordo è possibile e va cercato - a parte i discorsi di civiltà comune.
È curioso, ma è vero, Meloni è quella, forse l’unica, che lo spiega e lo sostiene. Con l’Inghilterra di Starmer – anche in questo, il colloquio con Londra, Meloni aveva da tempo, anche prima dell’Ucraina, visto giusto.
Su questa linea è certo che anche la Germania di Merz si muoverà. E quindi la UE, tedesco-dipendente? Ma c’è un problema di rapporti con l’America di Trump, per come si rappresenta nell’opinione in Europa. Non è un problema da poco, il rischio è forte e solido che l’Europa resti confusa in allarme, cioè perdente. Tanto più che della pace ormai inevitabile tra Russia e Ucraina si avvantaggerà l’America, la Russia avendo l’Europa, prigioniera della sua agitazione, deciso che è e sarà il suo Nemico. Mentre la logica, militare e politica, vorrebbe che anche la Ue apra un suo canale con Mosca - Meloni, ancora uno sforzo?

Ma la Germania non marcia

L’Europa torna bellicosa, e lo fa naturalmente, come tutto in questa Europa, attorno alla Germania. Che però ha organici semivuoti per l’apparato militare – il ministro uscente della Difesa, Pistorius, aveva per questo ipotizzato il ritorno alla leva.
Il militare in Germania è una seconda o terza scelta: la carriera non è ambita, e anzi disprezzata. Dopo la riunificazione il governo dovette promettere una laurea civile a chi, ufficiale o sottufficiale, firmava per sei anni.
La Germania, 83 milioni di abitanti, ha 180 mila effettivi, nelle tre armi - 20 mila in meno dell’organico, Tanti quanti ne ha l’Italia, che professa il pacifismo – ma con molti più impegni operativi, su vari scacchieri - e con una popolazione ridotta.
Il bellicismo non è nel dna della Repubblica Federale, ancora meno dopo la riunificazione. L’antibellicismo ha pesato molto nel voto di febbraio a favore anche della destra, forse più che della sinistra.    

Se il sindaco è per bene

A giubileo inoltrato si cammina a Roma con difficoltà, tutti gli spazi, più o meno, sono occupati dai lavori, con cantieri che stanno aperti a tempo indeterminato. Senza controlli da parte dell’appaltante, il Campidoglio? Tutto ok per il sindaco Gualtieri – che tutti si affrettano a dire “una persona per bene” (un sindaco, normalmente, non è “per bene? non a Roma?). E non finisce qui: un altro giubileo si annuncia, ben più “pesante”, nel 2033, quando saranno due mila anni dalla morte del Cristo, e mille dal primo giubileo della storia.
A Roma hanno chiuso due edicole su quattro – in Centro e semi-Centro tre su quattro. E il sindaco ne vuole chiudere venticinque. Il motivo non si sa, e lui non lo dice. I giornali insistono, e lui niente. Qualche galoppino azzarda: è il nuovo codice della strada. Ma il nuovo codice della strada è immutato per quanto riguarda le edicole. Il sindaco ha bisogno di quegli spazi per altri business, evidentemente, e si vergogna a dirlo.
È una persona per bene” dice del sindaco di Roma Gualtieri anche l’ex sindaco Marino, silurato dal suo partito – lo stesso di Gualtieri – perché voleva “mettere le cose a posto”: le bancarelle, lo straordinario notturno ai vigili dopo le quattro del pomeriggio, la rotazione del personale…. E perché “l’organigramma delle società partecipate dal comune rispecchia sempre le quote su base partitica: ce n’è per tutti”. Anche negli appalti, bisogna aggiungere.
Sarà a Roma per i sindaco Gualtieri come a Milano per il sindaco Sala, anche lui per bene, che nulla sapeva?

Corpo alle emozioni

Fogliati e Fanelli tengono su, e fanno divertente, questo primo appuntamento fra due delusi in amore. Pilar Fogliati protagonista dell’invito a cena, con un restio Edoardo Leo, Emanuela Fanelli, “Roma Nord”, animatrice del coretto di quattro amiche, che assistono da remoto Pilar all’incontro – lo stesso avviene per Leo, quattro amici vigilano da remoto su ogni pulsione.
U’idea semplice dello stesso Genovese. Come la messinscena, necessariamente a huit clos, quasi penitenziale per lo spettatore – teatrale: lui e lei in una stanza, gli amici in un’altra, le amiche in un’altra ancora.  
Un’idea geniale. Ma forse più per la realizzazione, grazie soprattutto alle due attrici comiche - l’idea è la stessa di “Inside Out”, il fim Pixar dieci anni fa che animava le emozioni, Gioia, Tristezza eccetera. I due coretti di rinforzo sono le sinapsi dei protagonisti, impulsi mutevoli a ogni svolta dell’incontro. Per lei, con Fanelli (Trilli, spontaneità), Pandolfi (Alfa, autocontrollo, con tanto di citazioni di Carla Lonzi), Puccini (Giulietta, romanticismo) e Maria Chiara Giannetta (Scheggia, imprevedibilità). Per lui Giallini (il Professore, psicoterapeuta), Santamaria (Eros, erotismo), Papaleo (Valium, pigrizia, cinismo) e Lastrico (Romeo, tenerezza).
Paolo Genovese, FolleMente

martedì 11 marzo 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (586)

 Giuseppe Leuzzi


“Il maggiore esperto della mafia giapponese è un’italiana”. Il nome, Martina Baradel, la dice veneto-friulana. Ma è pur sempre italiana. 
L’ultima definizione di mafia potrebbe essere: fenomeno tipicamente italiano, di cui è vittima il Sud Italia.

 
“Mia mamma era di Ferrara, la dodicesima di 12 figli. Mio nonno materno era torinese. Mia nonna materna era invece di Genova”. È Rita Pavone che parla. Rita Pavone ha quasi ottant’anni, parla dunque di una famiglia materna negli anni 1930, tra Ferrara, Torino e Genova.
 
La Wada agenzia mondiale antidoping si sbraccia a spiegare perché ha “dovuto” squalificare Sinner, e come e quanto ha operato per ridurre la squalifica al minimo. L’agenzia antidoping è nota per la corruzione, dapprima degli Stati Uniti, fino a ieri, Olimpiade di Parigi, da parte della Cina. L’antidoping è come l’antimafia. Con le mazzette invece che con le carriere, giornalistiche e giudiziarie.
 
Si celebra in Calabria l’appello per il maxi-processo Rinascita-Scott che cinque anni fa portò all’arresto di circa 500 persone del vibonese. Ma si celebra a Catania – con gran danno naturalmente delle difese, logistico e procedurale. Perché l’apposita aula-bunker costruita a tamburo battente per il processo si è allagata con le piogge a Natale. Ci sarà un Rinascita-Scott per la costruzione del maxi-tribunale?
 
Caporali a Milano
Rosarno non è sola, e il caporalato non è solo di Foggia. “Il caporalato non è mai stato una piaga soltanto delle pianure foggiane o delle campagne di Latina. Tra Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia il tasso di irregolarità tra i lavoratori nei campi oscilla tra il 20 e il 30 per cento Ad oggi, il numero dei procedimenti giudiziari per sfruttamento del lavoro aperti nelle regioni del Nord è pari al 28 per cento, quasi un terzo di tutta Italia. E la Lombardia non è solo la prima regione italiana per valore della produzione agroalimentare, è anche quella più colpita dalle indagini sul caporalato. La fotografia degli sfruttati nei campi dal Piemonte al Friuli Venezia Giulia arriva dall’associazione Terra!, che ha presentato ieri il suo nuovo rapporto “Gli ingredienti del caporalato - Il caso del Nord Italia” (“Il Sole 24 ore”).
Con un po’ di ritardo, quello che si sapeva viene infine documentato.
 
Senza tempo
Mo’ vidimu”, ora vediamo, Ulderico Nicastro assume a forma verbale che caratterizza le sue Calabrie (“Controstoria delle Calabrie”, p.119), e di fatto tutto il Sud – la sua paginetta richiama Sciascia e la sua Sicilia senza futuro, il tempo futuro. “Gli antichi Greci usavano un tempo verbale che chiamarono aoristos, che vuol dire «senza determinazioni»; e che non era il passato e nemmeno il presente, ma la pura azione o condizione. Lo stesso i calabresi (“è questa, insieme a qualche termine dialettale e cognome, la sola eredità che lasciano i Greci ai Calabresi”), che dicono jia e vitti, sono andato, ho visto, “non riferendosi ad anni e neppure a giorni fa, ma ad appena un momento prima; o al presente in atto”. Una forma di passato prossimo, o presente continuo, anche se espresso nelle forme del passato remoto. Che conduce però Nisticò alla conclusione: “Essi dunque non posseggono alcun sentimento del tempo, bensì vivono in un’immutata eternità in cui da almeno tre millenni non si avverte modificazione”. Nell’immobilismo.
Qualcosa di vero c’è. Ma non nella conclusione di Nisticò: “La prima conseguenza, più grave in questo mondo di fatti”, nel mondo attuale, “è che, non sapendo di passato e presente, non sanno neanche di futuro”, i calabresi, i meridionali; “e qualunque cosa pensino e compiano, la rinviano a non si sa quando… che per loro, del resto, è sempre il costante presente”. Nisticò non lo sa o non lo dice, ma accosta questo presente continuo al “bukra” e “malesh” degli arabi, il loro mañana e “non importa” - spesso assortito dall’“in šāʾ Allāh”, se Dio vuole. Al cosiddetto fatalismo. Che non è sicuramente il caso.
 
Le retate della madonna
Mimmo Gangemi si chiede su “l‘Altravoce”, il giornale gioiellino di Alessandro Barbano, il perché delle “retate”: “Per esempio dei ragazzi delle bande giovanili l’altro giorno, 73 arresti e 154 denunce in tutta Italia.  Il delitto non va punito, la colpa non è individuale, perché aspettare?”, si chiede. Potrebbe aggiungere che solo in Italia si fanno le retate, se avesse accesso alla stampa europea e americana.
Perché le retate, e perché solo in Italia? Perché se non ci sono i numeri non c’è l’eco di stampa, e non si va nemmeno in tivù. Che è l’obiettivo delle retate: creare, o mantenere vivo, l’allarme, non rassicurare, come normalmente fanno le polizie. Un obiettivo talmente “necessario” che si va per la via più facile, quella dell’associazione delittuosa - nessun bisogno di provare un delitto. Giudici, carabinieri e polizia vi si esercitano con soddisfazione evidente, anche perché con le retate si rimediano titoli in carriera, ma che c’entra questo con la repressione dei delitti e del malaffare?
Si arriva così al tuttomafia. Per delitto d’associazione. Compresa la Madonna. Anzi, la Madonna specialmente, in Calabria. Da parte di giudici e colonnelli neppure massoni, anzi alcuni buoni democristiani, se non credenti. Gli inchini delle Madonne ai mafiosi, Polsi santuario dei mafiosi, giuramenti mariani dei mafiosi.
Usa in dialetto siculo-calabrese-campano dire “della madonna” per dire un’esagerazione. Ma non basta per dire le retate per associazione mafiosa. In Calabria si celebra un processo “Rinascita-Scott” partito con 479 imputati – della sola provincia di Vibo Valentia (170 mila abitanti, meno di Belluno). Quasi tutti per associazione, politici, amministratori, funzionari, carabinieri e poliziotti compresi, dignitari massoni. Attorno al piccolo nucleo di “un grosso traffico internazionale di stupefacenti”. Ora all’appello sono ridotti a 236, la maggior parte sempre per concorso esterno in associazione.
 
Arrestare, arrestare, qualcuno pagherà
Si fanno sempre, come ai tempi del confino, niente è cambiato da Mussolini, anche se in nome più spesso dell’antifascismo, molti arresti facili. All’uzzo dei Procuratori – i gip, che gli arresti validano, anzi autorizzano, non contano niente. Le domande di “riparazione” per ingiusta detenzione prima del processo, e quindi della sentenza, sono state l’anno scorso 1.293, per tre quarti ritenute valide. I distretti del carcere facile sono Napoli, Reggio Calabria, Catanzaro, secondo la disamina che ne fa “l’Altravoce”, il giornale di Alessandro Bar8bano.
Sul “Foglio” Ermes Antonucci documenta che dal 2018 al 2024, in sette anni, lo Stato ha pagato 220 milioni per indennizzare le vittime di ingiusta detenzione. Ed evidenzia che “di questi 220 milioni ben 78 (cioè il 35 per cento) sono stati versati in Calabria”. Con l’ovvia considerazione che “una regione di 1,8 milioni di abitanti ha assorbito negli ultimi sette anni il 35 per cento dell’intera spesa” per risarcimenti. “Un record”, prosegue Antoncci, “confermato anche nel 2024: su 26,9 milioni complessivi, 8,8 milioni (il 33 per cento) sono stati versati per risarcire chi è stato incarcerato ingiustamente in Calabria”.
Non in tutta la Calabria però: la maggiore spesa è per i processi avviati dalla Procura di Catanzaro. Negli anni i cui a capo della Procura è stato Nicola Gratteri, narratore di mafia egregio, oltre che capo della Procura, ora, a Napoli. Antonucci fa un elenco di almeno quattro procedimenti “storici” che hanno fatto più danni che buoni effetti. E conclude. “Nel 2024 il maggior numero di ordinanze  di indennizzo per ingiusta detenzione è stato emesso dalla Corte d’Appello di Catanzaro: 110 sulle 552 di tutto il territorio nazionale”, il 20 per cento del totale.
 
Il patrimonio del radicamento
“Puoi togliere una ragazza dalla provincia, ma non la provincia da una ragazza…”, propone l’intervistatrice, Paola Piacenza, su “Io Donna”. “Io nemmeno sono di provincia, io sono paesana”, risponde Vanessa Scalera: “Che è molto oltre. Ogni cellula di me parla quella lingua…. Torno a Latiana (Latiano? provincia di Brindisi, n.dr.) ogni volta che posso, la mia famiglia che è lì è la mia tana”. 
È il distintivo dell’Italia, in mezzo all’Europa: il radicamento. Che può essere una trappola, ma c’è. Sicuramente è (anche) una linfa, un radicamento generativo. Un patrimonio, si direbbe. Se non che l’Italia, da un quindici anni, si diverte a smantellarlo.
Si investe molto nei “borghi”. Soprattutto in pubblicità. E in sponsorizzazioni Unesco, del tipo “patrimonio dell’umanità”. Per spendere denaro pubblico l’Italia non si tira indietro. Nel mentre, però, che governa per smantellarli, anche con asprezza. Quando non siano convertiti in agroturismi o centri vacanze, per lo più milionari. Con tasse – tasse e non imposte, senza rapporto con il reddito o i consumi, o con i servizi resi. Le cosiddette patrimonialine, Imu, Tari, elettricità.
La casa è stata scoperta come cespite per finanziare l’allegra finanza pubblica da Mario Monti nel 2012, e da allora è una sagra. Specie sulla seconda casa. La quale è al novanta per cento la casa originaria, paterna, familiare, paesana. Di cui è giocoforza liberarsi, diventando un focolaio di costi – le tasse aggiungendosi alla manutenzione – cui non si può che sottrarsi.
Poco di questo Appennino si salva. Forse quello sopra Bologna e sopra Firenze. E l’Alto Lazio e l’Abruzzo marsicano, per il pendolarismo possibile su Roma. Nelle aree di emigrazione, tra Piemonte e Liguria, in Calabria e in Sicilia, le case abbandonate sono più di quelle abitate.


leuzzi@antiit.eu

Zeno contro la guerra

Era antibellicista e pacifista Italo Svevo, che così chiude “La coscienza di Zeno”:
“Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati. Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute.
“Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli.
“Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie”.

Giallo della memoria

Quando la perdita accelerata della memoria lo colpisce, il reduce della guerra del Golfo un po’ filosofo diventato killer professionale, riscopre la moglie e il figlio, organizza per loro un’eredità in contanti, e per il figlio escogita una serie di “tutte evidenze” che che obbligheranno alla sua discolpa invece che all’imputazione per il delitto di cui si è macchiato. La colpa del peccatore redime il prossimo.
Indaga un’ispettrice – ma non si può dire, non c’è lui o lei, solo “una persona” – asiatica. Una novità totale, anche nel tratto – risparmia allo spettatare le melensaggini che allungano il tempo nei gialli.
Michale Keaton dirige se stesso (una forma di scongiuro a settant’anni?) nel ruolo del pensatore- -killer. Coadiuvato da Al Pacino, il “agente” del malaffare – sempre più nei panni di Shylock, un ruolo, si vede, che lo ha segnato.
Michael Keaton, La memoria dell’assassino, Sky Cinema

lunedì 10 marzo 2025

Populismo riformatore

C’è una logica in Trump, anche se le cronache ci confondono le idee, nelle paci “imposte”, nei dazi minacciati, rimossi, riminacciati, nell’attacco tutti azimut alla spesa pubblica, al governo federale. È quella populista, ricorrente in America ogni paio di generazioni. Doppiata nel partito Repubblicano dalle limitazioni alla proliferazione federale, allo Stato dei politici, lontano dal cittadino.

La parola populismo è osteggiata in questa insorgenza come sinonimo di fascismo, ma è altra cosa - ed è, in America, anche di sinistra (lo è stata per esempio nel decennio di F.D. Roosevelt. In questa fase è conservativo ma non reazionario – c’era anche il fascismo “sociale”. Sicuramente non antidemocratico: è un’espressione democratica – una conformazione della democrazia, una delle tante.

Molte per esempio sono le analogie dell’attuale momento dell’Occidente – l’Europa e gli Stati Uniti – con gli anni 1980. La politica naviga da qualche anno a destra in Occidente. Successe, forse con maggiore radicalità, negli anni 1980. In Italia furono detti anni del “riflusso” – al governo c’erano, bene o male, i socialisti. Ma nell’autunno del 1980 la Fiat tenne fermo sul risanamento di Mirafiori, allora una fabbrica gigantesca, dove però lavorava un\a operaio\a su dieci, e sconfisse gli scioperi, mentre il capo del Pci Berlinguer ai cancelli patrocinava l’occupazione, con la “marcia dei 40 mila”. Qualche settimana dopo in America Reagan, reduce da un attentato quasi mortale a poche settimane dall’insediamento, affrontò con asprezza lo sciopero dei controllori di volo (per una piattaforma di richieste del tipo: aumenti di migliaia di dollari, settimana di quattro giorni…..) – indetto da un sindacato che lo aveva sostenuto nella campagna elettorale. Licenziò gli scioperanti, e li bandì da ogni futuro incarico federale – il divieto fu abolito dal primo Clinton, dieci anni più tardi. Gli scioperanti furono licenziati sulla base del principio stabilito dal presidente Coolidge, 1923-1928: “Non c’è diritto di sciopero nella sicurezza pubblica, per nessuno, in nessun luogo, in nessun momento”. Al posto degli operatori licenziati furono tremila estranei al sindacato, in aggiunta ai tremila che non avevano scioperato, più 900 militari. Nella controversia furono cancellati settemila voli, ci vollero settimane per normalizzare i voli. Reagan aveva esordito con un brutale, più di Elon Musk: “Il governo non è la soluzione del nostro problema, il governo è il problema”.

Due anni dopo Margaret Thatcher annientò il sindacato dei minatori, che fece inutilmente uno sciopero di un anno e mezzo, tra 1983 e 1984 – e liquidò l’industria pubblica.

Regana fu anche il presidente della liberalizzazione, sui canoni dell’economista premio Nobel Milton Friedman, con la riduzione delle tasse, etc. … Un’operazione non violenta, ma radicale. Mentre stanava il militarismo sovietico, avviandolo alla glasnost e alla perestrojka. E avviava la globalizzazione: la maggiore rivoluzione (anche sociale) e la più radicale dopo quella industriale del Settecento, che porterà in una sola generazione tre quarti dell’umanità all’affluenza (subito dopo Reagan gli Stati Uniti del suo vice Bush faranno pure finta di non accorgersi di Tienamen, della lunga repressione del dissenso politico e la libertà in Cina).

Dieci anni fa lo scippo Sai - per “fare una banca” all’ex Pci

Domanda: “Gli inquirenti la sospettavano di falso in bilancio aggravato, false comunicazioni sociali, manipolazioni del mercato”. Risposta: “Io sapevo di essere innocente e resto convinta che lo sapessero già anche loro”. Giulia Ligresti, abusata dalla giustizia per sei anni, dodici anni fa, ha diritto infine a un’intervista risarcitoria sul “Corriere della sera”, il giornale di Milano – anche perché ha deciso di scrivere la verità in un libro.
Ligresti è stata assolta nel 2018 perché “il fatto non sussiste”. Ma dopo aver perso la salute, e l’assicurazione Sai, passata a ingrossare Unipol, quelli dell’“abbiamo una banca” di Consorte col segretario dei Ds, ex Pci, Piero Fassino. Sai era la seconda assicurazione dopo Generali.  
Dei due giudici che hanno rovinato Giulia Ligresti uno fa lo scrittore di gialli in provincia di Como, Vittorio Nessi. L’altro, Marco Gianoglio, ha creato e anima Area Democratica per la Giustizia – una sua corrente sindacale, con la quale tenta di scalare Magistratura Democratica dall’esterno.
La vicenda ha un secondo volet. Liquidati i Ligresti, grazie anche al pronto riallineamento politico di Mediobanca post-Cuccia, erano insorti problemi sui modi e le misure con cui Unipol aveva fagocitato Sai, e la Procura di Milano aveva aperto un’inchiesta. Indagava il giudice Luigi Orsi, uno che non aveva avuto timori a inquisire perfino Carlo De Benedetti, e quindi non era affidabile. Pronti Gianoglio e Nessi avocarono l’inchiesta a Torino, aggiungendo una seconda ipotesi di reato – per poi mandare subito assolto l’indagato Cimbri, l’ad di UnipolSai.
L’assegnazione dell’inchiesta UnipolSai ai due di Torino fu decretata in Cassazione da Aldo Policastro, che si definisce “colonna” di Magistratura Democratica, la corrente sindacale dell’ex Pci.
P.s. - Curiosamente “Il Fatto Quotidiano”, una sorta di organo allora dei giudici “democratici”, contestava nella fattispecie all’eccellenza Policastro “un clamoroso errore”. Ma senza ravvedimento - per i giudici non è come per gli arbitri, che vengono “puniti”. Questo “Il Fatto”:
“ L’indagine sulla fusione UnipolSai è stata strappata alla Procura di Milano e mandata a quella di Torino sulla base di un clamoroso errore della Procura generale della Cassazione: non ha tenuto conto che la pena per la manipolazione di mercato, che era da 1 a 6 anni, nel 2005 è stata raddoppiata, da 2 a 12 anni. La vicenda ha origine nel giugno 2014, quando tra i pm di Milano (Luigi Orsi) e Torino (Vittorio Nessi e Marco Gianoglio) scoppia un conflitto per chi deve condurre l’indagine sulla fusione tra Unipol e Fon-sai. Venerdì 12 settembre la procura generale della Cassazione comunica che dev’essere Torino. E lo motiva in un decreto di 12 pagine firmato dal sostituto procuratore generale Aldo Policastro, il quale spiega che entrambe le sedi giudiziarie procedono ipotizzando a carico di alcuni indagati, tra cui l’amministratore delegato di UnipolSai Carlo Cimbri, il reato di manipolazione di mercato (articolo 185 del Testo unico finanziario, pene da 1 a 6 anni), ma Torino ci aggiunge anche le false comunicazioni sociali (articolo 2622 del codice civile, pene da 2 a 6 anni)”.
Semplice, no? La “manipolazione di mercato” è punita da 2 a 12 anni, ma Policastro può decidere di no, e l’affare è fatto.
L’articolo del “Fatto”, del 16 settembre 2014, merita una lettura, per le tantissime “escogitazioni” di Policastro a favore di Torino invece di Milano, cioè del duo Norri-Gianoglio.

Ps 2 - Durante la detenzione di Giulia Ligresti ci fu anche un intermezzo semi-istituzionale. Poiché da ragazza aveva sofferto di anoressia, la matrigna Gabriella Fragni consigliò di cointeressare alla sua detenzione il ministro degli Interni, amico di famiglia, in quanto responsabile del Dap, per assicurarle un trattamento adeguato. Norri e Gianoglio lo seppero e si agitarono molto. Fecero anche sapere che un figlio del ministro era o era stato dirigente della FondiariaSai, la compagnia assicurativa dei Ligresti. Ministro era un prefetto, Annamaria Cancellieri. Un ministro tecnico. Ma era il governo di  Mario Monti. E la cosa finì lì - Norri e Gianoglio si spinsero poi a chiedere la scarcerazione di Giulia Ligresti, per la detenzione ai domiciliari, ma il gip inflessibile disse no (Silvia Salvadori, oggi alla Procura Generale in Cassazione).       

Plauto restituito alla comicità

Il tema del doppio. Per ridere – non dissacrato, sfruttato in tutti i suoi equivoci. Grazie a un’interpretazione magistrale di Piero Sarpa, il giovane attore brillante del Centro Stabile del Classico, che fa i due fratelli (gemelli) Menecmi in uno. E alla verve di Annalena Lombardi, “Erotia”, che canta, oltre che ingolosire barbogi e gemelli. Sull’idea semplice e geniale di Vincenzo Zingaro, il direttore artistico del teatro romano della Nomentana, che è anche uno specialista nel recupero dei classici – di Plauto in particolare, la sua compagnia è di casa al Plautus Festival estivo di Sarsina, il paese di origine del commediografo: una scena da teatro dei burattini, e personaggi molto caratterizzati, da commedia dell’arte. Con movenze marionettistiche, ammorbidite, senza meccanicismi, e linguaggi popolari (regionali) misti, per attività o carattere dei personaggi. Per un’allegria costante. Di equivoco in equivoco, che è la marcia plautina.  
T. M. Plauto, I Menecmi, Teatro Arcobaleno, Roma

domenica 9 marzo 2025

Problemi si base bellicosi decies - 841

spock
 
In guerra senza armi?
 
O molte armi per non fare la guerra?
 
Ci vuole un nemico per fare la guerra?
 
O ci vuole una guerra per farsi un nemico?
 
Senza nemici niente onore?
 
O per che altro l’Europa vuole mettere fine a una pace durata ottant’anni?
 
“Macron, farai la fine di Napoleone”, f.to Putin. Voliamo alto?


spock@antiit.eu


Vecchia Francia, di fango e galline

Fantastica Francia di provincia, canali, strade sterrate, oche, galline, conigli, pure qualche asino, senza telefono, o solo alla Posta, una osteria, una drogheria, villici in quantità, infidi, per lo più ubriaconi. Non remota, nei dintorni di Parigi, a una corsa breve in automobile dal quai des Orfèvres, al più nel Nord-Pas-de-Calais. Negli anni 1950, non nell’Ottocento.
La lunga serie di Maigret con Bruno Cremer, di 50-60 episodi di un’ora e mezza, girata negli anni 1990, transpose l’ambientazione anni 1920-1930 negli anni 1950. Ma con le caratterizzazioni e le ambientazioni originarie ritenute sempre attendibili. E sembrano vere. Le psicologie – i linguaggi -  più ancora delle ambientazioni.
Molti episodi sono girati, per economia, al chiuso di un bi-trilocale al quai des Orfèvres. Ma gli esterni, perfino in qualche caso nella stessa Parigi, sono “caratterizzati”, di mentalità e modi ristretti, lenti e dissimulatori, di economie povere e poverissime. Una sorta di “Francia  eterna” fatta di provincia chiusa.
Questi anni 1950 richiamano Tati e il suo immortale “Giorno di festa”. Ma quella era una “vecchia Francia”, rurale, per ridere.
AaVv., Maigret e…. . Top Crime