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sabato 22 marzo 2025

Problemi di base europeisti ter - 848

spock


Impiccare Meloni perché vuole parlare con gli Usa?
 
Ha fatto più per l’Italia, in economia, nella politica, nella politica estera, l’America oppure la Germania?
 
Quante joint-ventures italo-tedesche, e quanti investimenti italiani in Germania (e quanti invece con e negli Stati Uniti)?
 
E la Francia, perché la Franca può investire e comprare liberamente in Italia e l’Italia non può in Francia?
 
E la Ue, si decide a Berlino, si interina a Bruxelles?
 
È più difficile parlare a Berlino o a Pechino – con Trump è perfino facile?


spock@aniit.eu

Gerini da sola merita la trasferta a Palmi

La favola del borgataro improvvisamente celebre - nell’occasione parigino, perché serviva un funambolo del calcio, insomma un borgataro africano - tradito dalle cattive abitudini di arricchito e dalla sapienza-insolenza, che per riscattarsi dalla unanime condanna social si convince a lavori sociali sui generis, fare una campionato con una squadretta di eccellenza, di dilettanti. Da Milano, dove rischia la squalifica a vita, a Palmi, in Calabria. Dove un pensionato si è messo in testa che, ora che il campione è in disgrazia e praticamente radiato, mettendo assieme ognuno pochi euro, si riuscirà a pagargli un ingaggio. Una sorta di “operazione Ronaldo”: il fuoriclasse scelse l’Italia, colpo di fulmine, per 100 milioni, il supercampione di Francia Morville va alla Palmese, anche lui all’improvviso, per niente.
Un favolello. Gli incorreggibili fratelli tornano per ambientarlo nel paese della loro infanzia. Che tratteggiano con i personaggi – “tipi” - di tutti i paesi: l’Avvocato, il Professore, il Macellaio, il Pensionato, nullafacenti, conversatori inesausti, di tutto e del niente. Ma niente o poco di turistico, promozionale: tra cielo e mare si attraversa Palmi nella realtà come in un empireo, ma qui è privilegiato il lato terragno, il fronte mare viene sbiadito. E poi, anche qui è come altrove: duo di ragazze, cani passeggiati la mattina, spritz, birre, disco. Di locale è notevole invece il linguaggio, segnato sempre dall’eccesso e l’ironia – “’a zannella”, l’impronta peninsulare di cui fu maestro nell’infanzia dei Bros uno scrittore proprio di Palmi, Domenico Zappone, che ebbe lustro anche a Roma ma presto finì suicida.
Notevolissimo, in questo sguardo sorridente, divertito più che ironico o satirico, il personaggio della Professoressa-Poetessa inventato dalla icona bionda-fatta-bruna (“Ammore e malavita”) dei Bros, Claudia Gerini. A questo punto, da ragazzina bionda svampita a questa turris eburnea sotto folti pelami corvini, Gerini è un cult : un’attrice di comicità satirica di questo spessore, misurata ed esilarante (esilarante perché misurata), era ancora da vedere.
Manetti Bros, U.S. Palmese

venerdì 21 marzo 2025

Ombre - 766

Strana Europa, all’improvviso decisionista. Il ReArm, i dazi, le minacce, a Trump e a Putin egualmente. Da un giorno all’altro. E che spesa per il riarmo. Ma è Merz, il nuovo cancelliere tedesco, un imprenditore e un manager. Questa Europa è sempre quella.
Tacciono naturalmente, nel caso, i “frugali”.

Fa senso anche vedere che l’unica, a quello che si sa, ad avere nel gran consiglio europeo un’idea di politica estera è Meloni: no al decoupling dagli Stati Uniti (talmente insensato che uno si meraviglia si possa anche solo menzionarlo), no alla guerra dei dazi. Qui non è questione solo di sapere le lingue e la storia, si tratta di buonsenso, un minimo.
 
Saltano le valvole anche a Heathrow, dunque, l’aeroporto più grande d’Europa, non solo alla Stazione Centrale di Milano. Dove però da qualche tempo non  svalvolano più. È perché le ferrovie sono state presidiate?
 
Superbo inno all’Europa di Benigni sulla Rai – a un ideale, che qualche generazione fa, compresa la sua, sembrava possibile, con la Germania di Bonn e i russi a Berlino. Poi vennero la riunificazione e Merkel e tutto è finito. 
 
“La proprietà privata dovrà essere abolita, limitata, corretta”, chiosa Giorgia Meloni al Senato dal “Manifesto” di Ventotene, “attraverso la dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo Stato”, e aggiunge: “Questo non mi sento di condividerlo”. Erano le perplessità dello stesso Spinelli (si può testimoniarlo personalmente), ma apriti cielo!, la Camera, che non sa di che si tratta, insorge. L’onorevole Fornaro, ex Psdi ora Pd, maledice e condanna la capa del governo all’inferno. E un’eco richiama, la parola offa: era il boccone destinato ad ammansire Cerbero. Sull’onorevole invece è un eccitante.
L’offa rivelandosi ghiotta, Meloni il giorno dopo la rilancia, dalla tribuna di Bruxelles, a reti unificate.
 
Nell’occasione, è vero, l’on. Fornaro ha pure gli onori dei giornali. Come il pazzo di Gogol’ (“Memorie di un pazzo”).
Gogol’, un ucraino che si pensava russo. Nell’Ottocento era possibile, non c’erano ancora le patenti di antifascismo.   
 
Erdogan fa arrestare da una imponente forza armata il concorrente alla presidenza. Che vuole per la terza volta, dopo quattrodici anni (nel 2026), dopo essere stato per quattordici primo ministro. Il precedente avversario, nel 2018, Fethullah Gülen, che lo conosceva, si tenne prudente lontano negli Usa.
 
Erdogan si direbbe un fascista – fa anche arrestare i giornalisti critici, e licenziare, in gran numero, in massa, 
giudici e accademici che gli stanno antipatici. Ma è un beniamino in Europa. In Germania e, di più, sui giornali: si legge il “Corriere della sera”, le interviste dei suoi inviati, o “la Repubblica”, con divertita meraviglia, fanno salti mortali. Per un motivo arcano, non dicibile?

 
“In cinque anni gli Stati Uniti hanno prodotto tremila nuove norme. L’Europa quindicimila”, Emanuele Orsini, presidente della Confindustria. Magari non è esatto ma rende bene l’idea.
 
“In Myanmar vivono circa mezzo milione di cattolici”, in 14 diocesi e 3 arcidiocesi, con un cardinale, elettore. Con i cristiani di altre chiese, fanno il 6 per cento della popolazione. Perseguitati. “Dopo il golpe del 2021 molte chiese vengono bruciate o saccheggiate dai militari”. Ne fa il caso Filippo Di Giacomo sul “Venerdì di Repubblica”. Spiegando: “Subiscono le stesse angherie dei musulmani Rohingya”. Ma “l’invito alla preghiera per i Rohingya” si sente spesso in Vaticano, “sui cristiani perdura il silenzio”. Non è l’unica sorpresa del papa Francesco.
 
Capita, scioccamente, per curiosità, di seguire una sera un talk-show - “Di martedì”. Con gli applausi suonati dalla regia a ogni battuta, le battute precotte, il conduttore ghignante di furbizia, ospiti altri conduttori, per un reciproco mercato - a parte il maestro Piovani, imbarazzato - con finti dialoghi all’impronta, copioni di genere basso. E poi scoprire di essere stato parte di un 10 per cento di share, un milione e mezzo di spettatori (un punto o due sotto Rai 1....). Che si beano della politica come forma pubblicitaria? Per due ore. Certo, la democrazia è un boccone amaro.
 
Si candida a presidente in Romania George Simion, uno del raggruppamento meloniano dei Conservatori, dopo che la Corte Costituzionale ha dichiarato decaduto e ha inibito alla ricandidatura il primo arrivato al primo turno a dicembre, Georgescu – annullando l’elezione. La stessa Corte “ammette” Simion alle nuove presidenziali, ma “parzialmente”. E nessuno che protesti, a Bruxelles, nei media. Una Corte costituzionale che fa le elezioni? La democrazia spesso traballa. Nei Balcani, poi… E altrove?
 
Galli della Loggia ha deciso a ottant’anni di lasciare l’Enel per il mercato libero, e dal giorno dopo è alluvionato di chiamate, quelle che riceviamo tutti, di cercatori di contratti – oggi anche dalla Spagna, segnala il cellulare. Un atto grave, dice, al punto che ci scrive una colonna sul “Corriere della sera”, una persecuzione, minacciosa. Di cui reputa responsabile – fa capire da cosa scrive - l’Enel. Mentre l’Enel è la vittima del “mercato libero”. Una palude lutulenta, chiamata mercato, dei servizi (telefono, luce, gas), aperta da Prodi trent’anni fa a tutti gli scalzacani, che lucrano sulla fatturazione senza produrre alcunché, da qui la persecutoria “caccia all’utente”.
 
Dalle cronache incomprensibili che il “Corriere della sera” fa dello spionaggio Equalize alla morte del suo animatore Carmine Gallo, pure affidate al suo cronista giudiziario principe, si vede però l’incrocio tra questi “spioni” e il giornalismo “d’inchiesta”. Facevamo scambio di informazioni “all’interno di un circuito di giornalisti investigativi”, così si difende Calamucci, l’altro responsabile, con Gallo, della società di intercettazioni.
Una società di intercettazioni?  
 
Piazza del Popolo mezza piena, o mezza vuota – 30 mila sono stati conteggiati, la piazza ne contiene 60.  Ma vuota di idee. Un “evento” del giornale di Elkann “la Repubblica”, con il pubblico di “la Repubblica” – il “generone” intellettuale romano. Per incontrarsi, per “riconoscersi”,  celebrarsi.
Ce n’erano di più, più ammassati, più stretti, a piazza Barberini, piazza alternativa, contestativa. E più compatti: loro sapevano cosa volevano, buono o cattivo che fosse.
 
Ridicolo che i Comuni abbiano pagato la gita a Roma dei sindaci per l’evento promozionale di “la Repubblica”. E che il Campidoglio abbia offerto molti servizi d’appoggio, promozione, decorazioni, bandiere, alcune centinaia di migliaia di euro.
Non sarebbe pure illegale? Non per Lo Voi naturalmente, il Procuratore.
 
Gli scarti della Juventus, ceduti a buon prezzo a Firenze, fanno la festa alla casa madre, la ridicolizzano. Non è una novità. I campioni della Fiorentina che la Juventus compra a caro prezzo, da ultimo Bernardeschi, Chiesa e Vlahovic, rivendono ridotti a niente. Mentre quelli che la Juventus svende, ora Kean e Fagioli, la affossano. Non si spiega, c’è del marcio a Torino
.


Ora che, dopo tre anni e qualche milione di morti, la guerra di trincea Russia-Ucraina in qualche modo va a finire, si dice infine quello che si sapeva, che i servizi americani e inglesi hanno operato molto in questa guerra. Fin dal primo giorno, quando fu sventato il tentativo di Putin di deporre Zelensky. O che il Nord Stream, la condotta del gas tra Russia e Germania, fu sabotato con un “atto di guerra asimmetrica” da Cia-Polonia-Ucraina. 

Iniziazione alla vita, a Palermo

La notte brava di una brava americana innocente in vacanza in Sicilia, che per sottrarsi alla sorella secchiona di opere d’arte se ne va alla spiaggia, e passa allegra pomeriggio, serata, e lunga movimentata nottata, non senza tranelli mafiosi, diventando forte tra i pericoli, e autorevole nel branco. Un racconto di formazione, concentrata in una nottata. Con un sentore di femminismo, tra l’innocente americana risolutrice e i papocchioni ragazzoni siculi.
Un ritorno di Muccino alla gioventù, e alle origini, al debutto – dopo tanto vagare nel non memorabile. Con un sentore d’America, della lunga permanenza hollywoodiana. Con un sentore anche di suspense, ma senza vertigini.
Senza grandi nomi, tutte facce giuste nella parte.
Gabriele Muccino, Fino alla fine, Sky Cinema, Now

giovedì 20 marzo 2025

Problemi di base europeisti bis - 847

spock
 
L’Europa farà da sé, cioè come dice Merz?
 
Merz, chi era costui?
 
Oppure come dice Macron – che non completa l’adolescenza?
 
Si sta in Europa tra eguali, come dice Benigni, o alla don Abbondio, come vasi di coccio tra vasi di ferro?
 
Ma allora, alla periferia di quale impero - di coppe o di bastoni?
 

E anche i fanti, saranno di carta?

spock@antiit.eu

Da Istanbul a Riad, l’Occidente col velo sunnita

L’Arabia Saudita, e per essa il principe ereditario Mohammed bin Salman, cui si addebita un assassinio feroce, fa la pace in Ucraina. Il Qatar quella in Medio Oriente. L’Arabia Saudita media pure fra Trump e Xi, fra gli Stati Uniti e la Cina, per prevenire o alleviare la guerra commerciale. Gli Emirati hano fatto gli “accordi di Abramo”, con Israele, uno schema di pace dei governi arabi con lo Stato sionista. Prima del principe Mbs si accreditava mediatore di pace in Ucraina un altro sunnita eminente, il presidente turco Erdogan – uno che a ogni elezione presidenziale fa arrestare i concorrenti, e tra una elezione e la successiva incarcera i giornalisti e licenziavgiudici e accademici.  
Cinquant’anni fa i principati della penisola arabica erano quello che erano stati per secoli, deserti popolati da scarse tribù. Il Kuwait provava a sedentarizzarli e scolarizzarli, con pensioni e case di abitazione gratuite, che però per lo più restavano disabitate – più successo avevano le licenze dei taxi, sui quali il beduino provava subito a vendere il whisky proibito a 100 dollari la bottiglia, nel 1968. Nessun saudita, kuwaitiano, emiratino, qatariota lavorava, orgoglio di beduino. Lavoravano in Kuwait edili, carpentieri, falegnami, idraulici, etc. iracheni. Negli Emirati, fino al 1971 protettorato inglese, lavoravano gli inglesi – nel 1972 il console britannico contava 2.000 espatriati muratori, carpentieri, meccanici, etc.. I principi si reggevano con le royalties del petrolio, la regalizia delle compagnie petrolifere, e col contrabbando verso l’India.
In Arabia Saudita non c’erano scuole, se non coraniche. Non c’era la televisione. Il re Feisal - uno dei tanti re-zii dell’attuale principe ereditario - che aprì la televisione, per la lettura del Corano, e una scuola per le ragazze, con due aule e un insegnante cieco, fu ucciso in una congiura di palazzo (si disse da un nipote squilibrato). Ai lavori edili o ai (rari) servizi domestici erano adibiti adibiti somali, eritrei e altri africani. A quelli amministrativi, in Arabia Saudita come negli altri principati della penisola, erano adibiti egiziani, libanesi e palestinesi.
Con la quadruplicazione dei prezzi del petrolio a fine1973 l’economia povera della penisola si è trasformata in boom permanente. E un po’ anche la società è cambiata. Gli stanchi habitués dei caffè si sono trasformati in abili commercianti e finanzieri, le economie sono diventate ricche e ricchissime, città verticali si moltiplicano vertiginose. Nel 1973 a Riad non c’era l’albergo, solo un “villaggio svizzero”, fuori mano, di chalet di seconda mano, con la moquette vecchi, stinta e puzzolente, e alcune camere sopra un ferramenta, dove la maniglia della porta non funzionava, il falegname l’aveva montata male, si entrava dalla finestra balcone su una terrazza, e la luce veniva da una lampadina appesa a un filo.
Ora la penisola è un mondo graveolente semmai di ricchezza, e di modernità. Ma politicamente – istituzionalmente – è rimasta al 1973, una comunità di Stati che Max Weber dice “patrimoniali”, cioè di proprietà privata. L’Arabia Saudita, che in pochi decenni ha triplicato e forse quadruplicato al popolazione, e ha una superficie immensa, non ha uno Stato, delle istituzioni. Si regge su un patto familiare tra i discendenti del fondatore della dinastia, Saud Abdelaziz - il futuro re Mohammed bin Salman bin Abdelaziz, “figlio di Salman figlio di Abdelaziz”, sarà il primo di terza generazione, dopo una lunga serie di fratellastri figli di Abdelaziz. Della politica del fondatore, di imparentarsi per matrimonio con le maggiori tribù dell’Heggiaz (Mecca, Medina, Taif) e del Neged (petrolio) - ma non 'è una Camera delle Famiglie, delle Tribù.
Come questo mondo è diventato l’ombelico del mondo, occidentale?
E il presidente turco Erdogan? Che è un dittatore a tutti gli effetti, benché la Turchia abbia e mantenga istituzioni democratiche. Ma s’impone, ed è creduto, in tutte le partite “democratiche”: la lotta al terrorismo islamista, la liberazione della Siria dalla dittatura sciita, e variamente il fronte anti-Putin, ora con l’esercito che difenderà l’Europa. Anche lui, a che titolo?
Erdogan era amico “fraterno” di Berlusconi. È la “fraternità” che unisce, ora allargata anche a Trump, insieme con i molti soldi? Una fraternità sunnita, dunque. Curioso finale dell’Occidente, col velo.

Il sogno dell’Europa unita, un monumento

Tenere quattro milioni di spettatori svegli e attenti per due ore e mezza senza intervallo, e senza barzellette, divagazioni, scherzi, vallette, pin-up, su un tema serio e anche serioso, l’avvenire dell’Europa, resterà un exploit memorabile. Oltre che, per il tema, un monumento di senso civico. Di Benigni attore e anche, a questo punto, autore: scrittore, poeta, drammaturgo, qui anche storico. Tenerli poi incollati al teleschermo sul federalismo europeo è pure commovente – non c’è altra parola, per più ragioni, di passione politica, di capacità di analisi, di politica dell’istruzione, di comunicazione.
Due ore e mezza di un’oratoria coinvolgente, senza un minuto di stanchezza. Come una consacrazione. E mai affettata, sempre convincente, anche se sorprendente. E questa è forse l’emozione maggiore, specie ora che le insidie mercantiliste avvelenano il federalismo. Insieme con una succedanea, per essere semplici cittadini italiani. Per il senso critico e la protettività della storia, della conoscenza critica degli eventi che in cui siamo vissuti e viviamo. Che una riforma stupida prima che ideologica (populista di sinistra…), ha bandito dalla scuola, abbandonando le ultime generazioni al qualunquismo - analfabetismo, social, talk-show, all’industria della pubblicità.  
La celebrazione di ottant’anni di pace, senza precedenti nella storia, è già un exploit, ma non una novità – quattro generazioni, ora cinque, senza guerra. Il peana alla creazione, al tentativo di costruzione, di un’Europa unita, federata, come gli Stati Uniti d’America, anche questa un’esperienza senza precedenti nella storia, è qualcosa di più: geniale. La brillantezza di linguaggio e la capacità comunicativa di Benigni hanno fatto un miracolo. Partendo dal “Manifesto di Ventotene” (con le stesse riserve, curiosamente, e analogamente solo accennate, che nel pomeriggio la presidente del consiglio aveva espresso alla Camera, come offa all’opposizione per perdersi nelle urla – che sono le riserve dello stesso Altiero Spinelli, l’animatore del “Manifesto”, qualche anno dopo: perché stracciarsi le vesti per qualcosa che non si è nemmeno letto (e il “Manifesto” prende poco, una decina di minuti)? Una costruzione interamente nuova. E rivoluzionaria.

Roberto Benigni, Il sogno, Rai 1, Raiplay

mercoledì 19 marzo 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (587)

Giuseppe Leuzzi


“Gli italiani con origini nel Sud venuti qui ai primi del Novecento”, spiega a New York Gay Talese a Viviana Mazza (“La Lettura”), “o negli anni Quaranta dopo la guerra, vedono più lati della stessa questione. È questa una parte della nostra natura, che a volte ci porta al successo, a volte al fallimento”. È la disposizione – “comprensiva” - del “sia….sia”, invece che dell’“o….o”.
 
Bendicò, l’alano di casa Salina nel “Gattopardo”, “è un cane meridionale”, spiega Caterina Cardona analizzando la corrispondenza di Tomasi di Lampedusa con la moglie Alessandra, nella quale molto posto il principe fa al cane che gli tiene compagnia: “Appartiene, anche lui (anche lui come il suo padrone, n.d.r.), ad una civiltà «materna», non «paterna», come quella, tedesca, di Bauschan (il cane di Thomas Mann nella “Montagna incantata!”, n.d.r.)".
Che fa giustizia anche della “donna del Sud” e del “patriarcato”.
 
Scettico sulla Magna Grecia, “invenzione” recenziore del tardo Settecento illuminista, il grecista Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, 170, dice “il pianto greco unica vera eredità che ci è giunta dalla cultura greco-arcaica, notoriamente e immotivatamente lamentosa”.
 
È “notevole”, nota ancora Nisticò, p. 90, "che Napoleone, buon conoscitore della storia e della natura delle cose, non pensasse di annettere il Meridione alla Francia, come aveva fatto o farà di Torino, Firenze e persino di Roma; ma ne riconoscesse in qualche modo la millenaria identità e autonomia”.
 
Le due Sicilie
Acculata ora anch’essa nel mercato librario, se non letterario, ai “gialli”, al malaffare e alla mafia, la Sicilia delle lettere ha avuto tra fine Ottocento e fine Novecento due vite distinte. Una fortemente realistica  (storica, sociale, satirica): Capuana, Verga, De Roberto, Brancati, Sapienza, e in buona misura Bonaviri e Bufalino. E una pirandelliana: Pirandello naturalmente, e Sciascia, Camilleri, Consolo, lo stesso Tomasi di Lampedusa, attorcigliata anch’essa sui tempi e sulla politica ma medusacea, di convulsioni e contorsioni, distruttiva. Tra due poli geografici: Catania (borghese, fattiva, la – ex? – “Milano del Sud”) e Agrigento (elucubrativa, sul niente di fatto).
Anche la Sicilia orientale ha avuto la sua borghesia, sebbene di immigrazione, i Whitaker, Ingham, Woodhouse, Florio. Ma l’isola li ha vissuti e li rivive da “Leoni di  Sicilia” – decadenti: una tessitura di nostalgie, che sono di fatto (in un modo riccamente letterario, certo) creazioni di una mancanza, elucubrazioni, escogitazioni. Proiezioni di un desiderio, i sogni a occhi aperti. Che quando si avvicinano alla realtà se ne fanno vittime – da mezzo secolo della mafia, delle mafie, criminali, politiche, storiche, eccetera.
Proiezioni anche di un compiacimento decadente, di un modo di essere moribondo, nella parte occidentale. Accentuato in Tomasi. Che nel principe di Salina fa un autoritratto, rovesciando le colpe, sull’isola, sulla storia, sulla stirpe. Incapacitato per cinquant’anni, vittima volente della madre anche nei confronti della pur amata Alessandra “Licy” Wolff von Stomersee, nullafacente a suo stesso dire. che invecchia solitario in una grama routine quotidiana, di chiacchiere al circolo, che all’improvviso, per tenere testa ai cugini Piccolo che a sessanta e più anni si sono improvvisati artisti di successo “scrive un romanzo”, in forma di autoritratto, di come è e di come avrebbe immaginato di essere ma non era, in nessuna misura. Del suo essere e dei suoi mondi – e di quelli del suo circolo – accasciando l’isola (per grandi generi “Il Gattopardo” va ascritto al filone “verista”, catanese e non palermitano – Proust non c’entra, che c’entra Proust?).
 
La luna di Napoli
“La luna di Napoli è più grande di quella di qua”, andava sostenendo qualche generazione fa il coscritto in licenza o in congedo, tornato in paese nella Calabria ultra per vie traverse (itinerari sbagliati, treni accelerati, treni perduti), e questa sicurezza gli aveva valso il soprannome Luna ‘e Napoli.
“Per via di Foggia” è – era - invece modo di dire, ma legato anch’esso a qualche coscritto. Rientrato da Napoli dopo alcuni giorni “per via di Foggia”, avendo sbagliato treno. È una storia postunitaria, dato che la coscrizione fu il primo provvedimento sociale dell’unità.
Si va da Napoli a Reggio Calabria direttamente solo da fine Ottocento. Prima bisognava passare però non per “via di Foggia” ma di Metaponto. Si raddoppiava comunque il percorso. Su treni locali, quindi cambiando spesso. Era facile perdersi. Tanto più per gli analfabeti. Molti, con la “bassa” di passaggio in mano, che non sapevano leggere o non si orientavano sugli itinerari, prendevano i treni più diversi. Dopodiché i capotreni dovevano farli avanzare e mai tornare indietro.
Lo stesso “errore” fa Lampedusa nel “Gattopardo”, p. 237 della riedizione di Lanza Tomasi: nel 1883 il principe Salina decide di tornare a Palermo da Napoli, dove è andato con la nave a farsi visitare da un illustre clinico, via terra. E ha una brutta sorpresa: “La linea ferroviaria non era ancora compiuta: nel suo ultimo tratto vicino a Reggio faceva una larga svolta per Metaponto attraverso paesaggi lunari che per scherzo portavano i nomi atletici e voluttuosi di Crotone e di Sibari”.
Nel 1883 la linea ferroviaria Napoli-Reggio non era effettivamente compiuta, ne mancavano lunghi tratti. Anche la “larga svolta” teoricamente c’era, poiché triplica il percorso. Ma Metaponto non sta “vicino a Reggio”, dista da Reggio come Napoli. Anche l’itinerario è sbagliato, Sibari è tra Metaponto e Crotone, non dopo.
 
Calabria-Sicilia
Non c’è confronto possibile tra le due regioni limitrofe, e in qualche modo sorelle, linguisticamente e per vari accidenti storici, terremoti compresi. L’isola teatro sempre di grande storia, dai fenici ai greci, alla stessa Roma e poi agli arabi, ai normanni, agli angioini, aragonesi, castigliani, napoletani, e talvolta in proprio, reami (emirati) e vicereami. L’altra sempre una provincia trascurata di poteri remoti, Roma, Bisanzio, Napoli nelle sue varie forme, e poi dell’Italia unita. Ma parlano allo stesso modo, e si ritengono uguali e concorrenti, i siciliani per generosità, i calabresi per testardaggine. Ancora negli anni 1950 i calabresi, che non avevano una università e dovevano andare a Messina e a Palermo, si ritenevano superiori perchè i loro treni erano elettrificati mentre in Sicilia erano ancora ciuff-ciuff, andavano a carbone. Poi per l’autostrada, che la Calabria ebbe negli anni 1960 – la Messina-Palermo è stata completata da Berlusconi, nel 2004.
Non c’è paragone possibile neppure per il diverso peso economico fra le due regioni: agricoltura, agroindustria, industria (farmaceutica, chimica, meccanica), oltre che per il peso demografico, cuturale, storico. Ma è calabrese, di origine, la famiglia siciliana più illustre della storia unitaria, i  Florio. Senza dimenticare, dei Florio, il possibile Shakespeare “alternativo” Giovanni “John” Florio, “il più importante umanista del Rinascimento inglese”, figlio di Michelangelo, un altro che da Bagnara era emigrato qualche secolo prima, invece che in Sicilia (dove i Florio commercianti cresceranno insieme con gli inglesi locali, Whitaker, Ingham, Woodhouse), direttamente a Londra, per salvarsi dal rogo, essendo un calvinista. Più la più grande collezione d’arte del Seicento, in Italia e probabilmente in Europa, creata a Messina da un Ruffo della Scaletta, Antonio, figlio di Carlo Ruffo, duca di Bagnara, che nella città dello Stretto aveva sposato una ricca borghese locale, Antonia Spatafora.
 
Cronache della differenza: Calabria
Ha vissuto una sola stagione, nell’antichità, tra Locri, Sibari, Crotone, Medma, Tauriana, Reggio e altri toponimi della cosiddetta Magna Grecia. Poi più nulla – non ci ha nemmeno provato: sempre subordnata.
 
Non ne aveva buona immagine Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo”. Dove sovraccarica don Fabrizio Salina nell’ultimo viaggio da Napoli nel 1883 di vedute micidiali: “Si attraversano paesaggi malefici, giogaie maledette, pianure malariche e torpide; quei panorami calabresi e basilischi che a lui sembravano barbarici”.
 
Reggio vara la costruzione del Museo del Mare, un’opera commissionata a Zaha Hadid e poi accantonata, perché intanto un nuovo sindaco, Pd, era succeduto al vecchio Fdi, quindici anni fa. Politica, affari, futuro, sono solo beghe, di paese, di famiglie – la vecchia faida senza più i morti.


Il sindaco Pd di Reggio riprende il Museo del Mare perché inserito nei “progetti bandiera voluti dal ministro Franceschini”. Che è stato ministro dal 2014 al 2022. Un’opera che chissà se verrà completata, ma la bandiera è piantata, e tanto basta.

 
Clarissa Burt è stata modella e attrice, in voga negli anni a cavaliere del 1990, per qualche tempo fidanzata con Francesco Nuti. Che ora così ricoda, con Giovanna Cavalli, sul “Corriere della sera”: “Ogni due settimane mi portava a Prato da sua madre, che stava sempere in cucina e parlava calabrese stretto, non capivo una parola”. Non è vero (Nuti aveva 32 anni nel 1987, il fidanzamento durò un anno e mezzo, tra 1987 e 1988, e non viveva a Prato da una decina d’anni), ma rende l’idea, di un rapporto madre-figlio che esclude.
 
“Il Sole 24 Ore” rimedia alla classifica della vivibilità con cui ha condannato Reggio Calabria all’ultimo posto e pubblica una corrispdnenza in cui tutto funziona. Perfino l’aeroporto, da sempre disastrato. A chi credere – terra incognita?
 
Però, non passa giorno che non si celebri un nuovo record dei tre aeroporti calabresi. Da quando sono passati, praticamente, a Ryanair (la Regione finanzia molte tratte). Con Ryanair naturalmente è cambiata la qualità del messaggio pubblicitario (Ryanair sa vendere) e così pure l’immagine.
Poi magari a terra la ricezione (alberghi, ristoranti, trasporti) è quela che era, ma la pubbicità non è l’anima del commercio?
 
Cordoglio enorme per Giovanni Scambia, il ginecologo di Catanzaro a Roma che ne ha formati millecinque. Sui Tg, e sui giornali nazionali. Poche righe sui giornali calabresi. Del prof si avverte l’importanza il giorno dopo, avendo letto i giornali nazionali.
L’appartenenza è dei fatti – Scambia a Catanzaro non c’era, né in Calabria?
 
Può capitare di leggere, lo stesso giorno, in due pagine di seguito del “Quotidiano Reggio Calabria”, una commemorazione di Walter Pedullà, di Siderno, decano degli studi di letteratura contemporanea alla Sapienza, morto due mesi prima, un’intervista al professor Pierpaolo D’Urso, di Trebisacce, che celebra i 100 anni di Scienze Politiche alla Sapienza, di cui è preside. Alla presenza della rettrice della Sapienza, Antonella Polimeni, di Reggio Calabria. E l’elezione al Bundestag, il Parlamento tedesco, dell’architetto Luigi Pantisano, di Cariati, professore di Urbanistica all’università di Stoccarda. Mentre Pietro Gaeta, di Reggio, diventa Procuratore generale della Cassazione. Fuori è meglio – è possibile?
 
Gioia Tauro, nelle cronache solo per mafia, col record forse mondiale delle consiliature sciolte per mafia, esibisce più o meno, a naso, la ricchezza media di Milano, e ora vince con la scuola di ballo Armada Nueva il campionato mondiale categoria Adult 1 Latin Show. Procure e Carabinieri dovrebbero aggiornare le informative.
 
Singolare la noncuranza per la “Chanson d’Aspremont”, XII secolo, e  per la volgarizzazione “Aspramonte” due secoli dopo, benché celebrino la Montagna, ne inventino il nome, e anticipino Boiardo e Ariosto di due secoli, che hanno certo capacità narrative e di versificazione più attraenti, ma sono pur semrpe epigoni. Di un genere che, seppure in adattamento dai cicli carolingi francesi, era una novità in Italia. Con Ruggero a Reggio, etc..
 
“Alla Calabria non manca proprio nulla”, risponde il mangiaterroni Vittorio Feltri a un lettore nella rubrica “la Stanza”, che fu di Montanelli, sul “Giornale”: “È terra ricca di risorse, forse la più ricca che abbiamo in Italia, tuttavia la meno valorizzata e sfruttata. La ricchezza viene sprecata. La bellezza mortificata. La natura maltrattata. Spiagge e monti trascurati”. Obiezioni?
 
“Quando, negli anni ’90, vennero inventati i telefoni cellulari a uso privato, e costavano moltissimo per acquistarli e ancora più per usarli, la Calabria vantò il primato europeo di possesso di questi aggeggi…. Quei cellulari costosissimi altro uso non avevano che far vedere agli amici di esserne dotati” – Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, p. 198.
 
“Nato nelle Serre calabresi”, può notare Nisticò, p. 200, il nome di Italia finì a Milano, per poi tornare anche da noi, ma ufficialmente solo dopo il 1860”. Era successo che “nel Medioevo e fino a Napoleone il Regno d’Italia”, benché “sempre nominale, ebbe per confini le Marche….Confini verso sud”.

Della grecità di recente riscoperta fanno parte un numero esorbitante di personaggi del mito passati in Calabria a combattere o morire (Edipo, per esempio, Oreste, etc.), e di sbarchi di Ulisse nella sua odissea – sia nello Jonio che nel Tirreno, e anche sui monti fra i due mari – a Tiriolo per esempio. A  Catanzaro Lido Ulisse si imbarcò, attestava fino a qualche anno fa un cartellone del Comune – due cartelloni, uno sul lato nord del Lido e uno su quello Sud.


leuzzi@antiit.eu

Lilit marziana

Due superstar, Kate Blanchett e Jamie Lee Crtis, che è pure attrice comica, rara avis, spese per un fanta-western. Su Andorra, “pianeta selvaggio”, una cacciatrice di taglie (Kate Blanchett) dal babilonese-ebraico nome di Lilit, demone della tempesta, è impegnata in una difficile opera di salvataggio di una donzella. Per farlo arruola una squadra molto speciale: un mercenario, una scienziata eccentrica (Jamie Lee Curtis), l’adolescente capicciosissima Tiny Tina (Ariana Greenblatt), una specie di gigante, e il robot Claptrap – anticipazione, certo, di un personaggio che dovremo sopportare sempre più spesso. Ma non si ride e non si trema.
Il film sarebbe un adattamento di una “saga videoludica” di successo.
Eli Roth, Borderlands, Sky Cinema

martedì 18 marzo 2025

Problemi di base europeisti - 846

spock


L’Europa farà da sé, senza la Nato?
 
Con la Germania?
 
E con la Francia?
 
Troppo antiamericanismo, camuffato da anti-Trump: forse che non vogliamo le paci che minaccia?
 
Si ragiona o si sragiona?
 
Così tanto - non è che c’è lo zampino di Putin, che manovra come in Romania, e ci manda alla guerra contro gli Usa?

spock@antiit.eu

Niente figli, meno risparmio (meno immobiliare)

Fondi, polizze vita, fondazione fiduciaria, trust: le assicurazioni e il “private banking”, i gestori di patrimoni, li muovono verso la filantropia. Anche loro nell’ottica del “fine vita”, ma al fine di valorizzare i patrimoni: consigliano lasciti per opere di bene. Perché la demografia in calo riduce fortemente le successioni ereditarie. E allora, piuttosto che lasciare patrimoni inerti, contesi da parentele dubbie e Stati inerti, consgliano di promuovere la filantropia – di beneficiare enti di tutela sociale. È la novità che l’Aipb, l’associazione del “private banking” dettaglia nel rapporto 2024.
Entro il 2040, calcola la F ondazione Cariplo, patrimoni per 88 miliardi non avranno eredi, a causa della demografia carente, tra bassa natalità e prolungamento della vita media. Fra cinque anni, al 2030, saranno senza eredi patrimoni per 21 miliardi. Un Fondo Filantropico Italiano è già nato per canalizzare le nuove vie ereditarie.
La mutata demografia dovrebbe a breve influire sulle abitudini-attitudini al risparmio, privilegiando la spesa per consumi. Per un’economia come quella italiana, caratterizzata da una forte capacità\attitudine al risparmio privato, di cui detiene il record mondiale (fino a qualche anno fa alla pari con le famiglie giapponesi), è un cambiamento di ottica radicale.
Le ripercussioni si potrebbero avere già a breve, sull’immobiliare – le seconde case, le case da investimento.

La Cina terzo incomodo guarda all’Europa

La Cina non vuole restare fuori della pace, che si annuncia sull’Ucraina, fra Trump e Putin. In questi anni di guerra ha potuto avere al suo fianco la Russia di Putin, grande potenza nucleare, e non intenderebbe perderla. La “triplice alleanza” che si sarebbe prospettata ancora qualche mese fa, tra Usa, Cina e Russia (secondo uno schema proposto su “Le Monde” dal gesuita francese Benoît Vermander, direttore dell’Accademia Matteo Ricci all’università Furlan di Shanhgai) rischiando di diventare “duplice”, Pechino mostra di guardare con interesse al riarmo dell’Europa.
Di fatto, l’approccio di Trump alla Russia di Putin muove dall’obiettivo, principalmente, di isolare la Cina. Gli effetti sono già visibili sulle automobili: le auto cinesi, che hanno soppiantato in questi tre anni in Russia le auto europee, ora sono oberate di dazi.

Vigilare sui vigili

Al Pantheon “continuano i bivacchi sugli scalini” della fontana, appena oggetto di un un lunghissimo (un anno? due?) restauro. Lo stesso a Trinità dei Monti, la scalinata, anch’essa  restaurata, lungamente, una decina d’anni fa. Non basterebbe un vigile, col fischietto? I vigili non lavorano alle ore dei pasti, 12-15 (cioè, come vuole la vulgata, in queste ore non ci sono, è nelle altre che non lavorano).
Succede a Roma perché i vigili vi hanno uno statuto speciale? L’ex sindaco Marino fu fatto rimuovere dai vigili, per mezzo del suo stesso intemerato partito, il Pd, perché pretendeva di non pagargli lo straordinario notturno dopo le quattro del pomeriggio. Mentre si vedono nel quartiere , invece che nelle strade commerciali, dove si parcheggia liberamente in doppia fila da entrambi i lati, agli incroci, sui marciapiedi, aggirarsi la mattina, dalle 8.30 alle 10, ora del caffè, per le stradine residenziali, a contare i centimetri con cui un copertone fa ombra alle strisce pedonali, per in due, anche in tre, redigere la salatissima multa.
Ma poi si legge che un comandante dei vigili di Anzola ha ucciso con un colpo di pistola alla tempia, nella sede del comando, una vigilessa sua amante perché legata a lui da un “contratto di sottomissione sessuale” – questa la sua tesi difensiva. E ciò succede ad Anzola, cioè a Bologna.
Vigili di quale urbanità? Se i Comuni hanno bisogno delle multe, non bastano i multatori, a percentuale? Perché dobbiamo pure pagarli?

Ma il popolo è vivo, e combatte insieme a noi

“L’esistenza nell’epoca della post-politica” è il sottotitolo della riflessione. Un saggio di un fenomenologo, e cioè non di un osservatore della realtà, dei linguaggi, dei costumi o modi di essere, ma del modo di essere della lettura di questi “fatti”. Per concludere con la tesi: “C’è populismo perché non non c’è più Popolo”.
Sul “Popolo” molto si è riflettuto, un paio di secoli fa, quando la parola si è imposta dopo la rivoluzione del 1789, specialmente in Francia, da Fourier, Porudhon, Michelet, Victor Hugo e altri. Ancora recentemente, nel 1990 a Barcellona, si è anche arrivati a una Dichiarazione universale dei Diritti Collettivi dei Popoli (in chiave secessione catalana?): “Ogni collettività umana avente un riferimento comune ad una propria cultura e una propria tradizione storica, sviluppate su un territorio geograficamente determinato (...) costituisce un popolo. Ogni popolo ha il diritto di identificarsi in quanto tale. Ogni popolo ha il diritto ad affermarsi come nazione”. Molte guerre, del resto, anche recentemente, sono state fatte, e anche molto sanguinose, nel nome del diritto dei popoli. Qual è il popolo che interessa il fenomenologo? Quello del “populismo”, il popolo politico, elettore: il populismo l’ha ucciso, è il tema di Costa, si esercita in corpore vili. Gravi conseguenze ne discendono per il “processo democratico”.   
Ma c’era più democaazia con i partiti-partiti – quando l’Italia era affetta, sempre secondo i teorici liberaldemocratici, dal partitismo? Il populismo che si lamenta è una risultanza. È trafficare – farne incetta, farla prigioniera – sull’opinione pubblica senza filtri critici, a chi la spara “meglio”, o più grossa. Senza più mediazione politica, né d’informazione. È un corto circuito dell’informazione – discussione, analisi.

Costa, fenomenologo, la prende forse un po’ da troppo lontano. La barbarie che percepisce non è l’assenza del popolo, che al contrario è più vivo che mai – più di quando andava a votare perché “portato dal partito”. Ma non ha più opinione pubblica, che è sempre una mediazione (un foro di dibattito, di consultazione, di aggregazione), diretta o indiretta. Ha solo il voto per esprimersi, che è poco efficace e quindi poco usato. Si va a naso. Se Costa fosse stato uno storico, avrebbe saputo che c’è molto popolo sotto il populismo. Che si dimena, stanco della sinistra come della destra, che sempre lo deludono – raccogliticce, affariste, incostanti - ma non si arrende.
Vincenzo Costa, Populismo senza Popolo, Armando, pp. 90 € 10

lunedì 17 marzo 2025

Problemi di base undecies - 845

spock


Dobbiamo finalmente sfidarli, questi porci americani?
 
Che ci hanno pure dato da mangiare, ma erano scatolette?
 
O viva l’America, abbasso Trump, si può fare?
 
Quale altra America?
 
Il nemico era Xi, poi Putin, ora Trump: l’Europa non ha amici?
 
O è come le vecchie zie, dispettosa invece che autorevole?

spock@antiit.eu

La Corte costituzionale de noantri

Il governo ci riprova, questo come gli altri, a non pagare le pensioni, a pagare meno del dovuto, e la Corte costituzionale infine dice che sì, le pensioni di chi se le è pagate, se superano una certa cifra, non si rivalutano per l’inflazione. È giustizia? Sì, plebea – “rivoluzionaria” ma “de noantri”, i…. furbi.
Una previdenza privata pagherebbe l’inflazione, in qualche misura, l’Inps e le casse di categoria possono non farlo. Le Corti precedenti avevano l’accortezza, patrocinando le esigenze di cassa dei governi, che in Italia sono tanto incompetenti quanto insaziabili, di dire che la misura era temporanea, una tantum, un contributo, etc. La corte dell’eccellenza Amoroso, che è un tributarista e quindi sa quello che ha fatto, statuisce che ha diritto alla rivalutazione solo chi prende meno di una certa soglia – ha maturato un vitalizio minore di una certa soglia. Al di sotto della quale la metà delle pensioni pagate dall’Inps va a chi non ha mai “lavorato”, cioè non ha mai pagato tasse né contributi. Chi cioè ha avuto licenza di accumulare senza oneri, e alla fine di prendersi, “gratuitamente, la pensione Inps, con l’indicizzazione.
Una sentenza violenta, questa della Corte. Ma la giustizia è questa.  

Gli artigli del governo che non mette le mani in tasca

S’illustra il governo Meloni per un decreto che non fa pagare il caro-energia a chi ha un Isee basso, cioè a chi non denuncia il reddito per non pagare le tasse. Mentre autorizza bollette con cui i fornitori si fanno pagare venti e trenta ero, a bimestre, per zero consumi. Altrettanto per voci di spesa assurde, come il trasporto dell’energia e la lettura del contatore. Il tutto assortito da “imposte di scopo” a nessuno scopo, solo impinguare l’erario, i famosi, lucrosissimi, “oneri di sistema”. Su questa montagna di latrocini facendo pagare l’Iva.
Una patrimonialina da centina di euro sui consumi energetici. Più gli innumerevoli bolli che fa gravare sui conti bancari, dopo averli resi obbligatori – qui senza l’ipocrisia dell’Isee. Più accise e bolli su carburanti e tabacchi. Con, naturalmente, la battaglia infine vinta alla Corte Costituzionale  Amoroso contro il reintegro, seppure parziale, dell’inflazione sulle pensioni.
Il tutto a opera di un governo che si vanta di “non mettere le mani in tasca agli italiani”. Parla di mani perché usa gli artiglia. A carco di chi “si dichiara”, o “risulta”, paga cioè le tasse.

L’occupazione della Cisgiordania

In una pietraia in Cisgiordania gli abitanti palestinesi delle grotte vengono sloggiati con le ruspe dall’esercito israeliano. Per un paio volte, in un paio d’anni. Dopo una causa durata ventisei o ventotto anni alla Corte Suprema israeliana, che ha dato torto ai ricorrenti palestinesi.
Un documentario che si vuole coraggioso, perché mostra le ruspe israeliane in azione. E anche il pestaggio di un dimostrante, che ne resta storpio, e l’assassinio a bruciapelo e a freddo di un altro, da parte di un colono israeliano. Opera di due giovani palestinesi e due israeliani. Pieno di riflessioni notturne, tra i fumi del narghilé, e buoni propositi. Anche un po’ disperati, ma il giusto. Per questo premiato, a Berlino e agli Oscar, come un progetto di speranza.          
Un documentario girato prima del 7 ottobre. Ma già disperante, di fatto, contro le evidenti buone intenzioni. In azione, affardellati come marziani, non sono militari di carriera o professione, ma reclute e riservisti (richiamati) – tra essi due giovani donne, una ride, una sbraita. L’area viene sgomberata perché è destinata a riserva militare. Ma ai residenti non viene offerta una ricollocazione. E all’orizzonte, nella stessa area ma fuori dalla pietraia, nel verde dell’oasi, si vedono le villette dei coloni israeliani – ordinate, programmate. E poi si sa: l’esercito israeliano aveva lasciato sguarnita la frontiera sud, verso Gaza, perché impegnato come polizia in Cisgiordania. Non c’è compassione possibile nella violenza.  
Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham, Rachel Szor,
No other Land

domenica 16 marzo 2025

E adesso povero Elkann 7 – al fallimento

La Fiat-Stellantis che a gennaio ha fabbricato in Italia – fabbricato, non venduto – la miseria di 10.800 macchine, quando ne fabbricava e vendeva 108 mila e 180 mila. La Ferrari del pluripagato Hamilton che è prima delle ultime. La plurititolata squadra di calcio Juventus che becca tre e quattro gol da chi capita - pagando il maggiore monte ingaggi, e dopo la più costosa campagna acquisti, 250-300 milioni.
Si dice: il mercato è difficile. Per Elkann. Si vede dalla squadra di calcio; nessuna idea di management, di gestione.  
E ora? Pazienza per Juventus, sono pur sempre partite di calcio. E anche per Ferrari – il lusso ci sta anche a perdere. Ma la Fiat? Non è nazionalizzabile. E non è riproducibile. E quindi Elkann ha messo in ginocchio l’industria italiana, che ne è dipendente.  

Letture - 572

letterautore


Anna Karenina – Le eroine dei film che fanno la stagione, “Emilia Pérez”, “The Substance”, “Anora”, onusti di premi, hanno “il finale ottocentesco in cui, comunque, alla fine, la ragazza soccombe”, s’indigna Annalena Benini sul “Foglio” domenica scorsa, “la vita precedente le presenta il conto”. Non è un fatto, “è la maledizione dei romanzi dell’Ottocento, in cui fuori dalle regole, ragazza, non ti puoi salvare” – “ancor a non le abbiam perdonate, queste ragazze, ancora dobbiamo assistere al salto nel precipizio di Thelma e Louise”.
 
Batiouschkismo
- Resta menzionato, in due secoli, da Alessandra “Licy” Wolff von Stomersee a Tomasi di Lampedusa, suo marito, in una lettera come lenitivo nel “caso S.”, un caso di scuola di psicoanalisi condotto dalla stessa Licy. Il riferimento è a Konstantin Batjuškov, poeta russo del primo Ottocento, che molto influenzò Puškin con la sua predicazione di una lingua russa con sonorità “italiane”, dolci, aperte.
 
Dante
– È gioachimita. Questa non è una novità, ma Ulderico Nisticò, “Controstorie delle Calabrie”, p.59, ci trova ragioni precise: per il pensiero, per la “disposizione triadica che domina il poema”, e per “l’influenza dei simboli gioachimiti in quegli aspetti per noi in parte oscuri che sono le immagini, i colori, le allegorie”.
 
Anche machiavellico? Ci pensa Cacciari, “Le sette parole di Cristo”, p. 6: “Dante è poeta dell’umanesimo, sia nel timbro armonizzante, neoplatonico, che in quello tragico, machiavellico, che caratterizza il pensiero italiano tra Petrarca e l’inizio del XVI secolo.
 
Sicuramente è musicologo. Ci pensa il maestro Muti, a dialogo con Cacciari, pp.24-25: “Dante nel XIV canto del Paradiso ci dona in questi versi - una dele poche cose che so a memoria – la spiegazione, la più precisa, perfetta, di che cos’è la musica:
E come giga e arpa, in tempra tesa
di molte corde, fa dolce tintinno
a tal da cui la nota non è intesa,
 
così da’ lumi che lì m’apparinno
s’accogliea per la croce una melode
che mi rapiva, senza intender l’inno.
Qui Dante non si riferisce soltanto a coloro che non sanno «tecnicamente» distinguere le note  prodotte dagli strumenti musicali, ma intende esprimere l’emozione che ogni comprensione che rapisce chiunque ascolta la melodia, pur essendo questa perfettamente composta sulla base della propria sintassi. La musica è un mondo finto e infinito insieme”.
 
Dioniso
– “Non è ‘uno’ ma ‘molti’”, Giampiero Moretti, “il Foglio” domenica scorsa: “I suoi miti raccontano vicende differenti a seconda delle zone della Grecia, dell’A sia Minore, e fino in India”.
 
Gattopardo
– Non un romanzo, ma tre novelle? Cosi Tomasi di Lampedusa ne annunciava la scrittura al miglior amico Guido Lajolo, che si era trasferito in Brasile: “Mi sono seduto a tavolino ed ho scritto un romanzo: per meglio dire tre lunghe novelle collegate tra loro” – “l’Espresso”, 8 gennaio 1984, ora in C. Cardona, “Un matrimonio epistolare”, p.3.
 
Italo-americani
– Sono un’altra etnia – hanno altra identità. In cucina per esempio, “come nel caso degli spaghetti con le polpette o della cotoletta con pomodoro e parmigiano”, e nelle “pasta con sugo di finocchi” di Lady Gaga: “Negli Stati Uniti si sta formando una nuova identità culinaria…. La cucina italo-americana parla una lingua diversa da quella dele sue origini ed è giusto così: pur vantando radici italiane ha ormai acquisito una propria autonomia”, Luca Cesari, “Il Sole 24 Ore Domenica”.
Anche perché gli ingredienti in vario modo sono diversi – anche quando sono gli stessi.  
 
Liala
– Il genere è sempre prospero – “le donne leggono molto più degli uomini, in prevalenza romanzi” – ma modificato: non si basa più “sulla tradizionale figura del principe azzurro”, o non soltanto, deve “offrire anche la realizzazione professionale”, spiega Lucetta Scaraffia sul “Foglio” dopo vasta lunga disamina. Con un handicap: dopo la lettura, “la frustrazione al moment del ritorno alla realtà sarà ancora più forte”.
 
Omertà – Il dizionario Treccani (e la Crusca?) la dice una “variante napol. di umiltà, dalla «società dell’umiltà», nome con cui fu anche indicata la camorra per il fatto che i suoi affiliati dovevano sottostare a un capo e a determinate leggi”. Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, ne ha una più persuasiva: “Dal latino homo, che nel linguaggio medievale indica il vassallo armato di un signore”. Un etimo che la lega a ‘ndrangheta, “in origine «atteggiamento di andreia, valore guerriero». E anche di condizione servile,  bisogna aggiungere.
 
Pet – Il cane domina la corrispondenza di Tomasi di Lampedusa, da Palermo, con la moglie Alessandra “Licy” Wolff von Stomersee: Crab soprattutto (Craboutzko, Craboutkinsky), cocker nero “dalle “pattes comme du velours”, Poppy, un bracchetto, e altri. Lui vive a Palermo col cane (con Crab passerà il capodanno del 1942) – di cui racconta alla moglie in dettaglio i pasti (“pasta e broccoli”), gli appetiti, le moine, le emozioni. Delle non molte fotografie dell’autore del “Gattopardo”, e di lui con la moglie, molte sono col cane. L’alano Bendicò, fedele alleato del Principe di Salina nel romanzo, è detto da Tomasi (in una lettera del 30 maggio del 1957 all’amico barone Enrico Merlo di Tagliavia, la chiave di lettura del romanzo stesso: la sfiducia negli uomini, la pace con l’animale, fedele.
I cani erano l’occupazione anche dei cugini Piccolo - l’occupazione pratica, le giornate passavano tra spiritismo, snobismo, e ingegnosità artistiche e poetiche. In particolare della sorella, Giovanna Agata, che era anche la primogenita, esperta di cucina, e lo spirito dominante sui fratelli Casimiro e Lucio. Per loro resta un cimitero da lei allestito sotto il villino di Capo d’Orando, un quadrato recintato, con lapidi in pietra grigia, ognuno con la sua targa, con nome e date.  
 
Poesia - Ce n’è tanta – si fa (scrive), si pubblica – e non ce n’è più. Il paradosso è di Berardinelli, recente autore dell’antologia critica “L’ultimo secolo di poesia italiana”. Che se lo spiega con la scomparsa della critica: “La nuova poesia, dagli anni Settanta in poi, è stata una poesia senza critica e senza vera continuità culturale con le varie tradizioni precedenti”. Dagli anni, cioè, “a partire dalla mia generazione, quella che esordì intorno al 1975-1980: i poeti si sono riprodotti e moltiplicati senza freno per ubbidire a un malinteso diritto a una creatività indifferenziata e senza confini” Tutti poeti – un “diritto alla creatività”?
 
Proust – Il tono “lento e svogliato” della “Ricerca” che li aveva “rapiti” nella lettura congiunta che ne avevano fatto per la Pasqua del 1932, nella vacanza che Alessandra Wolff von Stomersee aveva passato a Palermo, innamorando perdutamente Tomasi di Lampedusa, è da questi ricordato nelle lettere appassionate che le scrisse quando fu ritornata nella sua residenza in Lettonia.
 
Società civile – O dei “belli-e-buoni”, erede cioè della καλοκαγαθία greca, si può dire ritratta da Voltare in “Jannot et Coline” come “persone di qualità (che) tutto sanno senza avere imparato nulla”? Comunque, ne scrivono ai giornali – ai tempi di Voltaire non si poteva, non c’era la rubrica dei lettori.

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Problemi di base bellicosi decies - 844

spock


Si ama la pace preparando la guerra, R. Prodi?
 
A Trump?
 
Armarsi, a caro prezzo, per che cosa?
 
Per fare la guerra alla Russia?
 
Per farla all’America – a Trump, certo, perché no?
 
Al comando di generali anglo-francesi, il vecchio ciclo normanno – bilingui?

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Dante mitico

I volti fisici di Dante, come lo si rappresenta, “da Botticelli alla grafica 3D”. La conclusione è nel seguito del titolo: “Ma i software non battono la fantasia”. Perché Dante è mito, il volto, la fisionomia, anche la statura sono soggettive, di ogni lettore, anche se esso stesso autore.
“Tutte le ricostruzioni”, spiega Palmieri, hanno un solo riferimento, il cranio e lo scheletro di Dante “ritrovati fortunosamente in una cassetta lignea a Ravenna il 27 maggio 1865 nei pressi dell’urna marmorea”, da cui le ossa erano state “segretamente sottratte e occultate per secoli dai frati francescani, timorosi che i fiorentini se le riprendessero, cosa che stavano per fare nel 1519 quando ottennero il consenso di papa Leone X” Medici. Ma si dovette aspettare fino al 1921, ai “rilievi attendibili” di “due luminari dell’antropologia, Fabio Frassetto e Giuseppe Sergi”, per ottenerne un’immagine attendibile.
Prima, naturalmente, ma anche dopo, molti si sono sbizzarriti nelle ipotesi più strane. Non hanno giovato le celebrazioni, con r elativi elevati bilanci di spesa, dei centenari. Né i “dantedì” che si celebrano, il 25 marzo, da alcuni anni. “Ci sono studi”, conclude Palmieri, “e a non citare il nome degli autori si fa loro un favore, che deducono persino patologie neurologiche”, di Dante epilettico e\o narcolettico.
Francesco Palmieri, I cento volti di Dante, “Il Foglio”, sabato-domenica