sabato 22 marzo 2025
Problemi di base europeisti ter - 848
Gerini da sola merita la trasferta a Palmi
La
favola del borgataro improvvisamente celebre - nell’occasione parigino, perché serviva
un funambolo del calcio, insomma un borgataro africano - tradito dalle cattive
abitudini di arricchito e dalla sapienza-insolenza, che per riscattarsi dalla
unanime condanna social si convince a lavori sociali sui generis,
fare una campionato con una squadretta di eccellenza, di dilettanti. Da Milano,
dove rischia la squalifica a vita, a Palmi, in Calabria. Dove un pensionato si
è messo in testa che, ora che il campione è in disgrazia e praticamente radiato,
mettendo assieme ognuno pochi euro, si riuscirà a pagargli un ingaggio. Una
sorta di “operazione Ronaldo”: il fuoriclasse scelse l’Italia, colpo di fulmine,
per 100 milioni, il supercampione di Francia Morville va alla Palmese, anche
lui all’improvviso, per niente.
Un
favolello. Gli incorreggibili fratelli tornano per ambientarlo nel paese della
loro infanzia. Che tratteggiano con i personaggi – “tipi” - di tutti i paesi: l’Avvocato,
il Professore, il Macellaio, il Pensionato, nullafacenti, conversatori
inesausti, di tutto e del niente. Ma niente o poco di turistico, promozionale:
tra cielo e mare si attraversa Palmi nella realtà come in un empireo, ma qui è
privilegiato il lato terragno, il fronte mare viene sbiadito. E poi, anche qui è come altrove: duo di ragazze, cani passeggiati la mattina, spritz, birre, disco. Di locale è notevole
invece il linguaggio, segnato sempre dall’eccesso e l’ironia – “’a zannella”, l’impronta
peninsulare di cui fu maestro nell’infanzia dei Bros uno scrittore proprio di
Palmi, Domenico Zappone, che ebbe lustro anche a Roma ma presto finì suicida.
Notevolissimo,
in questo sguardo sorridente, divertito più che ironico o satirico, il personaggio
della Professoressa-Poetessa inventato dalla icona bionda-fatta-bruna (“Ammore
e malavita”) dei Bros, Claudia Gerini. A questo punto, da ragazzina bionda svampita a questa turris
eburnea sotto folti pelami corvini, Gerini è un cult : un’attrice di
comicità satirica di questo spessore, misurata ed esilarante (esilarante perché
misurata), era ancora da vedere.
Manetti Bros, U.S.
Palmese
venerdì 21 marzo 2025
Ombre - 766
Strana Europa,
all’improvviso decisionista. Il ReArm, i dazi, le minacce, a Trump e a Putin
egualmente. Da un giorno all’altro. E che spesa per il riarmo. Ma è Merz, il
nuovo cancelliere tedesco, un imprenditore e un manager. Questa Europa è sempre
quella.
Tacciono
naturalmente, nel caso, i “frugali”.
Fa senso anche
vedere che l’unica, a quello che si sa, ad avere nel gran consiglio europeo
un’idea di politica estera è Meloni: no al decoupling dagli Stati Uniti
(talmente insensato che uno si meraviglia si possa anche solo menzionarlo), no
alla guerra dei dazi. Qui non è questione solo di sapere le lingue e la storia,
si tratta di buonsenso, un minimo.
Saltano le valvole
anche a Heathrow, dunque, l’aeroporto più grande d’Europa, non solo alla Stazione
Centrale di Milano. Dove però da qualche tempo non svalvolano più. È perché le ferrovie
sono state presidiate?
Superbo inno
all’Europa di Benigni sulla Rai – a un ideale, che qualche generazione fa,
compresa la sua, sembrava possibile, con la Germania di Bonn e i russi a
Berlino. Poi vennero la riunificazione e Merkel e tutto è finito.
“La
proprietà privata dovrà essere abolita, limitata, corretta”, chiosa Giorgia
Meloni al Senato dal “Manifesto” di Ventotene, “attraverso la dittatura
del partito rivoluzionario si forma il nuovo Stato”, e aggiunge: “Questo
non mi sento di condividerlo”. Erano le perplessità dello stesso Spinelli (si può testimoniarlo personalmente), ma
apriti cielo!, la Camera, che non sa di che si tratta, insorge. L’onorevole
Fornaro, ex Psdi ora Pd, maledice e condanna la capa del governo all’inferno. E
un’eco richiama, la parola offa: era il boccone destinato ad ammansire Cerbero.
Sull’onorevole invece è un eccitante.
L’offa
rivelandosi ghiotta, Meloni il giorno dopo la rilancia, dalla tribuna di
Bruxelles, a reti unificate.
Nell’occasione,
è vero, l’on. Fornaro ha pure gli onori dei giornali. Come il pazzo di Gogol’ (“Memorie
di un pazzo”).
Gogol’, un
ucraino che si pensava russo. Nell’Ottocento era possibile, non c’erano ancora
le patenti di antifascismo.
Erdogan
fa arrestare da una imponente forza armata il concorrente alla presidenza. Che
vuole per la terza volta, dopo quattrodici anni (nel 2026), dopo essere stato per quattordici
primo ministro. Il precedente avversario, nel 2018, Fethullah Gülen, che lo
conosceva, si tenne prudente lontano negli Usa.
Erdogan
si direbbe un fascista – fa anche arrestare i giornalisti critici, e
licenziare, in gran numero, in massa, giudici e accademici che gli stanno antipatici. Ma è un beniamino in
Europa. In Germania e, di più, sui giornali: si legge il “Corriere della sera”,
le interviste dei suoi inviati, o “la Repubblica”, con divertita meraviglia, fanno
salti mortali. Per un motivo arcano, non dicibile?
“In
cinque anni gli Stati Uniti hanno prodotto tremila nuove norme. L’Europa
quindicimila”, Emanuele Orsini, presidente della Confindustria. Magari non è esatto
ma rende bene l’idea.
“In
Myanmar vivono circa mezzo milione di cattolici”, in 14 diocesi e 3 arcidiocesi,
con un cardinale, elettore. Con i cristiani di altre chiese, fanno il 6 per
cento della popolazione. Perseguitati. “Dopo il golpe del 2021 molte chiese
vengono bruciate o saccheggiate dai militari”. Ne fa il caso Filippo Di Giacomo
sul “Venerdì di Repubblica”. Spiegando: “Subiscono le stesse angherie dei
musulmani Rohingya”. Ma “l’invito alla preghiera per i Rohingya” si sente
spesso in Vaticano, “sui cristiani perdura il silenzio”. Non è l’unica sorpresa
del papa Francesco.
Capita,
scioccamente, per curiosità, di seguire una sera un talk-show - “Di martedì”. Con
gli applausi suonati dalla regia a ogni battuta, le battute precotte, il conduttore
ghignante di furbizia, ospiti altri conduttori, per un reciproco mercato - a parte
il maestro Piovani, imbarazzato - con finti dialoghi all’impronta, copioni di
genere basso. E poi scoprire di essere stato parte di un 10 per cento di share,
un milione e mezzo di spettatori (un punto o due sotto Rai 1....). Che si beano della politica come forma
pubblicitaria? Per due ore. Certo, la democrazia è un boccone amaro.
Si candida
a presidente in Romania George Simion, uno del raggruppamento meloniano dei
Conservatori, dopo che la Corte Costituzionale ha dichiarato decaduto e ha
inibito alla ricandidatura il primo arrivato al primo turno a dicembre,
Georgescu – annullando l’elezione. La stessa Corte “ammette” Simion alle nuove presidenziali,
ma “parzialmente”. E nessuno che protesti, a Bruxelles, nei media. Una Corte costituzionale
che fa le elezioni? La democrazia spesso traballa. Nei Balcani, poi… E altrove?
Galli
della Loggia ha deciso a ottant’anni di lasciare l’Enel per il mercato libero, e dal
giorno dopo è alluvionato di chiamate, quelle che riceviamo tutti, di cercatori
di contratti – oggi anche dalla Spagna, segnala il cellulare. Un atto grave,
dice, al punto che ci scrive una colonna sul “Corriere della sera”, una
persecuzione, minacciosa. Di cui reputa responsabile – fa capire da cosa scrive
- l’Enel. Mentre l’Enel è la vittima del “mercato libero”. Una palude
lutulenta, chiamata mercato, dei servizi (telefono, luce, gas), aperta da Prodi
trent’anni fa a tutti gli scalzacani, che lucrano sulla fatturazione senza
produrre alcunché, da qui la persecutoria “caccia all’utente”.
Dalle
cronache incomprensibili che il “Corriere della sera” fa dello spionaggio Equalize
alla morte del suo animatore Carmine Gallo, pure affidate al suo cronista
giudiziario principe, si vede però l’incrocio tra questi “spioni” e il giornalismo
“d’inchiesta”. Facevamo scambio di informazioni “all’interno di un circuito di
giornalisti investigativi”, così si difende
Calamucci, l’altro responsabile, con Gallo, della società di intercettazioni.
Una società di intercettazioni?
Piazza del
Popolo mezza piena, o mezza vuota – 30 mila sono stati conteggiati, la piazza
ne contiene 60. Ma vuota di idee. Un “evento”
del giornale di Elkann “la Repubblica”, con il pubblico di “la Repubblica” – il
“generone” intellettuale romano. Per incontrarsi, per “riconoscersi”, celebrarsi.
Ce n’erano
di più, più ammassati, più stretti, a piazza Barberini, piazza alternativa,
contestativa. E più compatti: loro sapevano cosa volevano, buono o cattivo che
fosse.
Ridicolo
che i Comuni abbiano pagato la gita a Roma dei sindaci per l’evento promozionale
di “la Repubblica”. E che il Campidoglio abbia offerto molti servizi d’appoggio,
promozione, decorazioni, bandiere, alcune centinaia di migliaia di euro.
Non sarebbe
pure illegale? Non per Lo Voi naturalmente, il Procuratore.
Gli
scarti della Juventus, ceduti a buon prezzo a Firenze, fanno la festa alla casa
madre, la ridicolizzano. Non è una novità. I campioni della Fiorentina che la
Juventus compra a caro prezzo, da ultimo Bernardeschi, Chiesa e Vlahovic, rivendono ridotti a niente. Mentre quelli che la Juventus svende, ora Kean e
Fagioli, la affossano. Non si spiega, c’è del marcio a Torino.
Ora che,
dopo tre anni e qualche milione di morti, la guerra di trincea Russia-Ucraina
in qualche modo va a finire, si dice infine quello che si sapeva, che i servizi
americani e inglesi hanno operato molto in questa guerra. Fin dal primo giorno,
quando fu sventato il tentativo di Putin di deporre Zelensky. O che il Nord Stream,
la condotta del gas tra Russia e Germania, fu sabotato con un “atto di guerra
asimmetrica” da Cia-Polonia-Ucraina.
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Iniziazione alla vita, a Palermo
La notte brava di una brava
americana innocente in vacanza in Sicilia, che per sottrarsi alla sorella
secchiona di opere d’arte se ne va alla spiaggia, e passa allegra pomeriggio,
serata, e lunga movimentata nottata, non senza tranelli mafiosi, diventando forte
tra i pericoli, e autorevole nel branco. Un racconto di formazione, concentrata
in una nottata. Con un sentore di femminismo, tra l’innocente americana risolutrice
e i papocchioni ragazzoni siculi.
Un ritorno di Muccino alla
gioventù, e alle origini, al debutto – dopo tanto vagare nel non memorabile. Con
un sentore d’America, della lunga permanenza hollywoodiana. Con un sentore
anche di suspense, ma senza vertigini.
Senza grandi nomi, tutte facce
giuste nella parte.
Gabriele Muccino, Fino alla fine,
Sky Cinema, Now
giovedì 20 marzo 2025
Problemi di base europeisti bis - 847
spock
L’Europa farà da
sé, cioè come dice Merz?
Merz, chi era
costui?
Oppure come
dice Macron – che non completa l’adolescenza?
Si sta in Europa
tra eguali, come dice Benigni, o alla don Abbondio, come vasi di coccio tra vasi
di ferro?
Ma allora, alla
periferia di quale impero - di coppe o di bastoni?
E anche i
fanti, saranno di carta?
spock@antiit.eu
Da Istanbul a Riad, l’Occidente col velo sunnita
L’Arabia Saudita, e per essa il principe ereditario Mohammed bin Salman,
cui si addebita un assassinio feroce, fa la pace in Ucraina. Il Qatar quella in
Medio Oriente. L’Arabia Saudita media pure fra Trump e Xi, fra gli Stati Uniti
e la Cina, per prevenire o alleviare la guerra commerciale. Gli Emirati hano fatto
gli “accordi di Abramo”, con Israele, uno schema di pace dei governi arabi con
lo Stato sionista. Prima del principe Mbs si accreditava mediatore di pace in
Ucraina un altro sunnita eminente, il presidente turco Erdogan – uno che a ogni
elezione presidenziale fa arrestare i concorrenti, e tra una elezione e la successiva incarcera i giornalisti e licenziavgiudici e accademici.
Cinquant’anni fa i principati della penisola arabica erano quello che
erano stati per secoli, deserti popolati da scarse tribù. Il Kuwait provava a
sedentarizzarli e scolarizzarli, con pensioni e case di abitazione gratuite,
che però per lo più restavano disabitate – più successo avevano le licenze dei
taxi, sui quali il beduino provava subito a vendere il whisky proibito a 100
dollari la bottiglia, nel 1968. Nessun saudita, kuwaitiano, emiratino,
qatariota lavorava, orgoglio di beduino. Lavoravano in Kuwait edili,
carpentieri, falegnami, idraulici, etc. iracheni. Negli Emirati, fino al 1971
protettorato inglese, lavoravano gli inglesi – nel 1972 il console britannico
contava 2.000 espatriati muratori, carpentieri, meccanici, etc.. I principi si
reggevano con le royalties del petrolio, la regalizia delle compagnie
petrolifere, e col contrabbando verso l’India.
In Arabia Saudita non c’erano scuole, se non coraniche. Non c’era la televisione.
Il re Feisal - uno dei tanti re-zii dell’attuale principe ereditario - che aprì
la televisione, per la lettura del Corano, e una scuola per le ragazze, con due
aule e un insegnante cieco, fu ucciso in una congiura di palazzo (si disse da
un nipote squilibrato). Ai lavori edili o ai (rari) servizi domestici erano
adibiti adibiti somali, eritrei e altri africani. A quelli amministrativi, in
Arabia Saudita come negli altri principati della penisola, erano adibiti egiziani,
libanesi e palestinesi.
Con la quadruplicazione dei prezzi del petrolio a fine1973 l’economia povera
della penisola si è trasformata in boom permanente. E un po’ anche la società è
cambiata. Gli stanchi habitués dei caffè si sono trasformati in abili
commercianti e finanzieri, le economie sono diventate ricche e ricchissime,
città verticali si moltiplicano vertiginose. Nel 1973 a Riad non c’era l’albergo,
solo un “villaggio svizzero”, fuori mano, di chalet di seconda mano, con
la moquette vecchi, stinta e puzzolente, e alcune camere sopra un ferramenta,
dove la maniglia della porta non funzionava, il falegname l’aveva montata male,
si entrava dalla finestra balcone su una terrazza, e la luce veniva da una lampadina
appesa a un filo.
Ora la penisola è un mondo graveolente semmai di ricchezza, e di modernità.
Ma politicamente – istituzionalmente – è rimasta al 1973, una comunità di Stati
che Max Weber dice “patrimoniali”, cioè di proprietà privata. L’Arabia Saudita,
che in pochi decenni ha triplicato e forse quadruplicato al popolazione, e ha una
superficie immensa, non ha uno Stato, delle istituzioni. Si regge su un patto
familiare tra i discendenti del fondatore della dinastia, Saud Abdelaziz - il futuro
re Mohammed bin Salman bin Abdelaziz, “figlio di Salman figlio di Abdelaziz”, sarà
il primo di terza generazione, dopo una lunga serie di fratellastri figli di Abdelaziz. Della politica del fondatore, di imparentarsi per matrimonio con le maggiori
tribù dell’Heggiaz (Mecca, Medina, Taif) e del Neged (petrolio) - ma non 'è una Camera delle Famiglie, delle Tribù.
Come questo mondo è diventato l’ombelico del mondo, occidentale?
E il
presidente turco Erdogan? Che è un dittatore a tutti gli effetti, benché la Turchia
abbia e mantenga istituzioni democratiche. Ma s’impone, ed è creduto, in tutte
le partite “democratiche”: la lotta al terrorismo islamista, la liberazione della
Siria dalla dittatura sciita, e variamente il fronte anti-Putin, ora con l’esercito
che difenderà l’Europa. Anche lui, a che titolo?
Erdogan era amico “fraterno” di Berlusconi. È la “fraternità” che unisce,
ora allargata anche a Trump, insieme con i molti soldi? Una fraternità sunnita,
dunque. Curioso finale dell’Occidente, col velo.
Il sogno dell’Europa unita, un monumento
Tenere
quattro milioni di spettatori svegli e attenti per due ore e mezza senza intervallo,
e senza barzellette, divagazioni, scherzi, vallette, pin-up, su un tema
serio e anche serioso, l’avvenire dell’Europa, resterà un exploit memorabile. Oltre
che, per il tema, un monumento di senso civico. Di Benigni attore e anche, a questo
punto, autore: scrittore, poeta, drammaturgo, qui anche storico. Tenerli poi incollati
al teleschermo sul federalismo europeo è pure commovente – non c’è altra parola,
per più ragioni, di passione politica, di capacità di analisi, di politica dell’istruzione,
di comunicazione.
Due ore e mezza di un’oratoria
coinvolgente, senza un minuto di stanchezza. Come una consacrazione. E mai affettata,
sempre convincente, anche se sorprendente. E questa è forse l’emozione maggiore,
specie ora che le insidie mercantiliste avvelenano il federalismo. Insieme con
una succedanea, per essere semplici cittadini italiani. Per il senso critico e
la protettività della storia, della conoscenza critica degli eventi che in cui
siamo vissuti e viviamo. Che una riforma stupida prima che ideologica (populista
di sinistra…), ha bandito dalla scuola, abbandonando le ultime generazioni al
qualunquismo - analfabetismo, social, talk-show, all’industria della
pubblicità.
La
celebrazione di ottant’anni di pace, senza precedenti nella storia, è già un exploit,
ma non una novità – quattro generazioni, ora cinque, senza guerra. Il peana
alla creazione, al tentativo di costruzione, di un’Europa unita, federata, come
gli Stati Uniti d’America, anche questa un’esperienza senza precedenti nella
storia, è qualcosa di più: geniale. La brillantezza di linguaggio e la capacità
comunicativa di Benigni hanno fatto un miracolo. Partendo dal “Manifesto di Ventotene”
(con le stesse riserve, curiosamente, e analogamente solo accennate, che nel pomeriggio
la presidente del consiglio aveva espresso alla Camera, come offa all’opposizione
per perdersi nelle urla – che sono le riserve dello stesso Altiero Spinelli, l’animatore
del “Manifesto”, qualche anno dopo: perché stracciarsi le vesti per qualcosa
che non si è nemmeno letto (e il “Manifesto” prende poco, una decina di
minuti)? Una costruzione interamente nuova. E rivoluzionaria.
Roberto Benigni, Il sogno, Rai 1, Raiplay
mercoledì 19 marzo 2025
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (587)
Giuseppe Leuzzi
“Gli italiani con origini nel Sud venuti qui ai primi
del Novecento”, spiega a New York Gay Talese a Viviana Mazza (“La Lettura”), “o
negli anni Quaranta dopo la guerra, vedono più lati della stessa questione. È
questa una parte della nostra natura, che a volte ci porta al successo, a volte
al fallimento”. È la disposizione – “comprensiva” - del “sia….sia”, invece che
dell’“o….o”.
Bendicò, l’alano di casa Salina
nel “Gattopardo”, “è un cane meridionale”, spiega Caterina Cardona analizzando la
corrispondenza di Tomasi di Lampedusa con la moglie Alessandra, nella quale
molto posto il principe fa al cane che gli tiene compagnia: “Appartiene, anche
lui (anche lui come il suo padrone, n.d.r.), ad una civiltà «materna», non «paterna»,
come quella, tedesca, di Bauschan (il cane di Thomas Mann nella “Montagna
incantata!”, n.d.r.)".
Che fa giustizia anche della
“donna del Sud” e del “patriarcato”.
Scettico sulla Magna Grecia,
“invenzione” recenziore del tardo Settecento illuminista, il grecista Ulderico
Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, 170, dice “il pianto greco unica vera eredità
che ci è giunta dalla cultura greco-arcaica, notoriamente e immotivatamente
lamentosa”.
È “notevole”, nota ancora
Nisticò, p. 90, "che Napoleone, buon conoscitore della storia e della natura delle
cose, non pensasse di annettere il Meridione alla Francia, come aveva fatto o
farà di Torino, Firenze e persino di Roma; ma ne riconoscesse in qualche modo
la millenaria identità e autonomia”.
Le due Sicilie
Acculata ora anch’essa nel mercato librario, se non letterario, ai “gialli”, al malaffare e alla mafia, la Sicilia delle lettere ha avuto
tra fine Ottocento e fine Novecento due vite distinte. Una fortemente
realistica (storica, sociale, satirica):
Capuana, Verga, De Roberto, Brancati, Sapienza, e in buona misura Bonaviri e Bufalino.
E una pirandelliana: Pirandello naturalmente, e Sciascia, Camilleri, Consolo, lo
stesso Tomasi di Lampedusa, attorcigliata anch’essa sui tempi e sulla politica
ma medusacea, di convulsioni e contorsioni, distruttiva. Tra due poli geografici:
Catania (borghese, fattiva, la – ex? – “Milano del Sud”) e Agrigento (elucubrativa,
sul niente di fatto).
Anche la Sicilia orientale ha
avuto la sua borghesia, sebbene di immigrazione, i Whitaker, Ingham, Woodhouse,
Florio. Ma l’isola li ha vissuti e li rivive da “Leoni di Sicilia” – decadenti: una tessitura di nostalgie,
che sono di fatto (in un modo riccamente letterario, certo) creazioni di una
mancanza, elucubrazioni, escogitazioni. Proiezioni di un desiderio, i sogni a
occhi aperti. Che quando si avvicinano alla realtà se ne fanno vittime – da mezzo
secolo della mafia, delle mafie, criminali, politiche, storiche, eccetera.
Proiezioni anche di un
compiacimento decadente, di un modo di essere moribondo, nella parte occidentale.
Accentuato in Tomasi. Che nel principe di Salina fa un autoritratto,
rovesciando le colpe, sull’isola, sulla storia, sulla stirpe. Incapacitato per
cinquant’anni, vittima volente della madre anche nei confronti della pur amata
Alessandra “Licy” Wolff von Stomersee, nullafacente a suo stesso dire. che invecchia solitario in una grama routine quotidiana, di chiacchiere al circolo, che
all’improvviso, per tenere testa ai cugini Piccolo che a sessanta e più anni si
sono improvvisati artisti di successo “scrive un romanzo”, in forma di
autoritratto, di come è e di come avrebbe immaginato di essere ma non era, in
nessuna misura. Del suo essere e dei suoi mondi – e di quelli del suo circolo –
accasciando l’isola (per grandi generi “Il Gattopardo” va ascritto al filone “verista”,
catanese e non palermitano – Proust non c’entra, che c’entra Proust?).
La luna di Napoli
“La luna di
Napoli è più grande di quella di qua”, andava sostenendo qualche generazione fa
il coscritto in licenza o in congedo, tornato in paese nella Calabria ultra per vie traverse
(itinerari sbagliati, treni accelerati, treni perduti), e questa sicurezza gli aveva
valso il soprannome Luna ‘e Napoli.
“Per via di
Foggia” è – era - invece modo di dire, ma legato anch’esso a qualche coscritto.
Rientrato da Napoli dopo alcuni giorni “per via di Foggia”, avendo sbagliato
treno. È una storia postunitaria, dato che la coscrizione fu il primo
provvedimento sociale dell’unità.
Si va da Napoli a
Reggio Calabria direttamente solo da fine Ottocento. Prima bisognava passare
però non per “via di Foggia” ma di Metaponto. Si raddoppiava comunque il
percorso. Su treni locali, quindi cambiando spesso. Era facile perdersi. Tanto
più per gli analfabeti. Molti, con la “bassa” di passaggio in mano, che non
sapevano leggere o non si orientavano sugli itinerari, prendevano i treni più
diversi. Dopodiché i capotreni dovevano farli avanzare e mai tornare indietro.
Lo stesso
“errore” fa Lampedusa nel “Gattopardo”, p. 237 della riedizione di Lanza
Tomasi: nel 1883 il principe Salina decide di tornare a Palermo da Napoli, dove
è andato con la nave a farsi visitare da un illustre clinico, via terra. E ha
una brutta sorpresa: “La linea ferroviaria non era ancora compiuta: nel suo
ultimo tratto vicino a Reggio faceva una larga svolta per Metaponto attraverso
paesaggi lunari che per scherzo portavano i nomi atletici e voluttuosi di
Crotone e di Sibari”.
Nel 1883 la linea
ferroviaria Napoli-Reggio non era effettivamente compiuta, ne mancavano lunghi
tratti. Anche la “larga svolta” teoricamente c’era, poiché triplica il
percorso. Ma Metaponto non sta “vicino a Reggio”, dista da Reggio come Napoli.
Anche l’itinerario è sbagliato, Sibari è tra Metaponto e Crotone, non dopo.
Calabria-Sicilia
Non c’è confronto possibile tra
le due regioni limitrofe, e in qualche modo sorelle, linguisticamente e per
vari accidenti storici, terremoti compresi. L’isola teatro sempre di grande
storia, dai fenici ai greci, alla stessa Roma e poi agli arabi, ai normanni,
agli angioini, aragonesi, castigliani, napoletani, e talvolta in proprio, reami
(emirati) e vicereami. L’altra sempre una provincia trascurata di poteri
remoti, Roma, Bisanzio, Napoli nelle sue varie forme, e poi dell’Italia unita.
Ma parlano allo stesso modo, e si ritengono uguali e concorrenti, i siciliani per
generosità, i calabresi per testardaggine. Ancora negli anni 1950 i calabresi,
che non avevano una università e dovevano andare a Messina e a Palermo, si
ritenevano superiori perchè i loro treni erano elettrificati mentre in Sicilia
erano ancora ciuff-ciuff, andavano a carbone. Poi per l’autostrada, che la
Calabria ebbe negli anni 1960 – la Messina-Palermo è stata completata da Berlusconi,
nel 2004.
Non c’è paragone possibile neppure
per il diverso peso economico fra le due regioni: agricoltura, agroindustria,
industria (farmaceutica, chimica, meccanica), oltre che per il peso demografico,
cuturale, storico. Ma è calabrese, di origine, la famiglia siciliana più illustre
della storia unitaria, i Florio. Senza
dimenticare, dei Florio, il possibile Shakespeare “alternativo” Giovanni “John”
Florio, “il più importante umanista del Rinascimento inglese”, figlio di
Michelangelo, un altro che da Bagnara era emigrato qualche secolo prima, invece
che in Sicilia (dove i Florio commercianti cresceranno insieme con gli inglesi locali,
Whitaker, Ingham, Woodhouse), direttamente a Londra, per salvarsi dal rogo,
essendo un calvinista. Più la più grande collezione d’arte del Seicento, in Italia
e probabilmente in Europa, creata a Messina da un Ruffo della Scaletta, Antonio,
figlio di Carlo Ruffo, duca di Bagnara, che nella città dello Stretto aveva
sposato una ricca borghese locale, Antonia Spatafora.
Cronache della
differenza: Calabria
Ha vissuto una sola stagione,
nell’antichità, tra Locri, Sibari, Crotone, Medma, Tauriana, Reggio e altri toponimi
della cosiddetta Magna Grecia. Poi più nulla – non ci ha nemmeno provato: sempre
subordnata.
Non
ne aveva buona immagine Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo”. Dove sovraccarica
don Fabrizio Salina nell’ultimo viaggio da Napoli nel 1883 di vedute micidiali: “Si
attraversano paesaggi malefici, giogaie maledette, pianure malariche e torpide;
quei panorami calabresi e basilischi che a lui sembravano barbarici”.
Reggio
vara la costruzione del Museo del Mare, un’opera commissionata a Zaha Hadid e
poi accantonata, perché intanto un nuovo sindaco, Pd, era succeduto al vecchio
Fdi, quindici anni fa. Politica, affari, futuro, sono solo beghe, di paese, di
famiglie – la vecchia faida senza più i morti.
Il sindaco Pd di Reggio riprende il Museo del Mare perché inserito nei “progetti bandiera voluti dal ministro Franceschini”. Che è stato ministro dal 2014 al 2022. Un’opera che chissà se verrà completata, ma la bandiera è piantata, e tanto basta.
Clarissa Burt è stata modella
e attrice, in voga negli anni a cavaliere del 1990, per qualche tempo fidanzata
con Francesco Nuti. Che ora così ricoda, con Giovanna Cavalli, sul “Corriere della
sera”: “Ogni due settimane mi portava a Prato da sua madre, che stava sempere
in cucina e parlava calabrese stretto, non capivo una parola”. Non è vero (Nuti
aveva 32 anni nel 1987, il fidanzamento durò un anno e mezzo, tra 1987 e 1988,
e non viveva a Prato da una decina d’anni), ma rende l’idea, di un rapporto
madre-figlio che esclude.
“Il Sole 24 Ore” rimedia
alla classifica della vivibilità con cui ha condannato Reggio Calabria
all’ultimo posto e pubblica una corrispdnenza in cui tutto funziona. Perfino
l’aeroporto, da sempre disastrato. A chi credere – terra incognita?
Però, non passa giorno che non
si celebri un nuovo record dei tre aeroporti calabresi. Da quando sono passati,
praticamente, a Ryanair (la Regione finanzia molte tratte). Con Ryanair naturalmente
è cambiata la qualità del messaggio pubblicitario (Ryanair sa vendere) e così
pure l’immagine.
Poi magari a terra la
ricezione (alberghi, ristoranti, trasporti) è quela che era, ma la pubbicità
non è l’anima del commercio?
Cordoglio enorme per Giovanni Scambia,
il ginecologo di Catanzaro a Roma che ne ha formati millecinque. Sui Tg, e sui
giornali nazionali. Poche righe sui giornali calabresi. Del prof si avverte l’importanza
il giorno dopo, avendo letto i giornali nazionali.
L’appartenenza è dei fatti – Scambia
a Catanzaro non c’era, né in Calabria?
Può capitare di leggere, lo
stesso giorno, in due pagine di seguito del “Quotidiano Reggio Calabria”, una
commemorazione di Walter Pedullà, di Siderno, decano degli studi di letteratura
contemporanea alla Sapienza, morto due mesi prima, un’intervista al professor
Pierpaolo D’Urso, di Trebisacce, che celebra i 100 anni di Scienze Politiche alla
Sapienza, di cui è preside. Alla presenza della rettrice della Sapienza, Antonella
Polimeni, di Reggio Calabria. E l’elezione al Bundestag, il Parlamento tedesco,
dell’architetto Luigi Pantisano, di Cariati, professore di Urbanistica
all’università di Stoccarda. Mentre Pietro Gaeta, di Reggio, diventa Procuratore
generale della Cassazione. Fuori è meglio – è possibile?
Gioia Tauro, nelle cronache
solo per mafia, col record forse mondiale delle consiliature sciolte per mafia, esibisce
più o meno, a naso, la ricchezza media di Milano, e ora vince con la scuola di
ballo Armada Nueva il campionato mondiale categoria Adult 1 Latin Show. Procure
e Carabinieri dovrebbero aggiornare le informative.
Singolare la noncuranza per la
“Chanson d’Aspremont”, XII secolo, e per
la volgarizzazione “Aspramonte” due secoli dopo, benché celebrino la Montagna,
ne inventino il nome, e anticipino Boiardo e Ariosto di due secoli, che hanno
certo capacità narrative e di versificazione più attraenti, ma sono pur semrpe
epigoni. Di un genere che, seppure in adattamento dai cicli carolingi francesi,
era una novità in Italia. Con Ruggero a Reggio, etc..
“Alla Calabria non manca
proprio nulla”, risponde il mangiaterroni Vittorio Feltri a un lettore nella
rubrica “la Stanza”, che fu di Montanelli, sul “Giornale”: “È terra ricca di risorse,
forse la più ricca che abbiamo in Italia, tuttavia la meno valorizzata e sfruttata.
La ricchezza viene sprecata. La bellezza mortificata. La natura maltrattata. Spiagge
e monti trascurati”. Obiezioni?
“Quando, negli anni ’90,
vennero inventati i telefoni cellulari a uso privato, e costavano moltissimo per
acquistarli e ancora più per usarli, la Calabria vantò il primato europeo di possesso
di questi aggeggi…. Quei cellulari costosissimi altro uso non avevano che far
vedere agli amici di esserne dotati” – Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, p.
198.
“Nato nelle Serre calabresi”, può notare Nisticò, p. 200,
il nome di Italia finì a Milano, per poi tornare anche da noi, ma ufficialmente
solo dopo il 1860”. Era successo che “nel Medioevo e fino a Napoleone il Regno
d’Italia”, benché “sempre nominale, ebbe per confini le Marche….Confini verso
sud”.
Della grecità di recente riscoperta fanno parte un numero esorbitante di personaggi del mito passati in Calabria a combattere o morire (Edipo, per esempio, Oreste, etc.), e di sbarchi di Ulisse nella sua odissea – sia nello Jonio che nel Tirreno, e anche sui monti fra i due mari – a Tiriolo per esempio. A Catanzaro Lido Ulisse si imbarcò, attestava fino a qualche anno fa un cartellone del Comune – due cartelloni, uno sul lato nord del Lido e uno su quello Sud.
leuzzi@antiit.eu
Lilit marziana
Due
superstar, Kate Blanchett e Jamie Lee Crtis, che è pure attrice comica, rara
avis, spese per un fanta-western. Su Andorra, “pianeta selvaggio”, una
cacciatrice di taglie (Kate Blanchett) dal babilonese-ebraico nome di Lilit, demone
della tempesta, è impegnata in una difficile opera di salvataggio di una donzella.
Per farlo arruola una squadra molto speciale: un mercenario, una scienziata eccentrica (Jamie
Lee Curtis), l’adolescente capicciosissima Tiny Tina (Ariana Greenblatt), una
specie di gigante, e il robot Claptrap – anticipazione, certo, di un personaggio
che dovremo sopportare sempre più spesso. Ma non si ride e non si trema.
Il film sarebbe un adattamento di una “saga videoludica” di successo.
Eli Roth, Borderlands, Sky Cinema
martedì 18 marzo 2025
Problemi di base europeisti - 846
spock
L’Europa farà da sé, senza la Nato?
Con la
Germania?
E con la
Francia?
Troppo antiamericanismo,
camuffato da anti-Trump: forse che non vogliamo le paci che minaccia?
Si ragiona o
si sragiona?
Così tanto -
non è che c’è lo zampino di Putin, che manovra come in Romania, e ci manda alla
guerra contro gli Usa?
spock@antiit.eu
Niente figli, meno risparmio (meno immobiliare)
Fondi, polizze vita, fondazione fiduciaria, trust: le assicurazioni e il “private
banking”, i gestori di patrimoni, li muovono verso la filantropia. Anche loro nell’ottica
del “fine vita”, ma al fine di valorizzare i patrimoni: consigliano lasciti per
opere di bene. Perché la demografia in calo riduce fortemente le successioni
ereditarie. E allora, piuttosto che lasciare patrimoni inerti, contesi da parentele
dubbie e Stati inerti, consgliano di promuovere la filantropia – di beneficiare
enti di tutela sociale. È la novità che l’Aipb, l’associazione del “private
banking” dettaglia nel rapporto 2024.
Entro il 2040, calcola la F ondazione Cariplo, patrimoni per 88 miliardi
non avranno eredi, a causa della demografia carente, tra bassa natalità e prolungamento
della vita media. Fra cinque anni, al 2030, saranno senza eredi patrimoni per
21 miliardi. Un Fondo Filantropico Italiano è già nato per canalizzare le nuove
vie ereditarie.
La mutata demografia dovrebbe a breve influire sulle abitudini-attitudini
al risparmio, privilegiando la spesa per consumi. Per un’economia come quella italiana,
caratterizzata da una forte capacità\attitudine al risparmio privato, di cui
detiene il record mondiale (fino a qualche anno fa alla pari con le famiglie
giapponesi), è un cambiamento di ottica radicale.
Le ripercussioni si potrebbero avere già a breve, sull’immobiliare – le
seconde case, le case da investimento.
La Cina terzo incomodo guarda all’Europa
La Cina non vuole restare fuori della pace, che si annuncia sull’Ucraina,
fra Trump e Putin. In questi anni di guerra ha potuto avere al suo fianco la Russia
di Putin, grande potenza nucleare, e non intenderebbe perderla. La “triplice alleanza”
che si sarebbe prospettata ancora qualche mese fa, tra Usa, Cina e Russia
(secondo uno schema proposto su “Le Monde” dal gesuita francese Benoît
Vermander, direttore dell’Accademia Matteo Ricci all’università Furlan di Shanhgai)
rischiando di diventare “duplice”, Pechino mostra di guardare con interesse al
riarmo dell’Europa.
Di fatto, l’approccio di Trump alla Russia di Putin muove dall’obiettivo,
principalmente, di isolare la Cina. Gli effetti sono già visibili sulle automobili: le auto cinesi, che hanno soppiantato in questi tre anni in Russia le auto europee, ora sono oberate di dazi.
Vigilare sui vigili
Al
Pantheon “continuano i bivacchi sugli scalini” della fontana, appena oggetto di
un un lunghissimo (un anno? due?) restauro. Lo stesso a
Trinità dei Monti, la scalinata, anch’essa restaurata, lungamente, una decina d’anni fa.
Non basterebbe un vigile, col fischietto? I vigili non lavorano alle ore dei pasti,
12-15 (cioè, come vuole la vulgata, in queste ore non ci sono, è nelle altre
che non lavorano).
Succede a Roma perché i vigili vi hanno uno statuto speciale? L’ex sindaco
Marino fu fatto rimuovere dai vigili, per mezzo del suo stesso intemerato partito,
il Pd, perché pretendeva di non pagargli lo straordinario notturno dopo le quattro
del pomeriggio. Mentre si vedono nel quartiere , invece che nelle strade commerciali,
dove si parcheggia liberamente in doppia fila da entrambi i lati, agli incroci,
sui marciapiedi, aggirarsi la mattina, dalle 8.30 alle 10, ora del caffè, per
le stradine residenziali, a contare i centimetri con cui un copertone fa ombra alle strisce pedonali, per in due, anche in tre, redigere la salatissima multa.
Ma poi si legge che un comandante dei vigili di Anzola ha ucciso con un
colpo di pistola alla tempia, nella sede del comando, una vigilessa sua amante
perché legata a lui da un “contratto di sottomissione sessuale” – questa la sua
tesi difensiva. E ciò succede ad Anzola, cioè a Bologna.
Vigili di quale urbanità? Se i Comuni hanno bisogno delle multe, non
bastano i multatori, a percentuale? Perché dobbiamo pure pagarli?
Ma il popolo è vivo, e combatte insieme a noi
“L’esistenza nell’epoca della post-politica”
è il sottotitolo della riflessione. Un saggio di un fenomenologo, e cioè non di
un osservatore della realtà, dei linguaggi, dei costumi o modi di essere, ma del
modo di essere della lettura di questi “fatti”. Per concludere con la tesi: “C’è populismo
perché non non c’è più Popolo”.
Sul “Popolo” molto si è riflettuto, un paio
di secoli fa, quando la parola si è imposta dopo la rivoluzione del 1789, specialmente
in Francia, da Fourier, Porudhon, Michelet, Victor Hugo e altri. Ancora recentemente, nel 1990 a
Barcellona, si è anche arrivati a una Dichiarazione universale dei Diritti
Collettivi dei Popoli (in chiave secessione catalana?): “Ogni collettività umana avente un
riferimento comune ad una propria cultura e una propria tradizione storica,
sviluppate su un territorio geograficamente determinato (...) costituisce un
popolo. Ogni popolo ha il diritto di identificarsi in quanto tale. Ogni popolo
ha il diritto ad affermarsi come nazione”. Molte guerre, del resto, anche recentemente,
sono state fatte, e anche molto sanguinose, nel nome del diritto dei popoli.
Qual è il popolo che interessa il fenomenologo? Quello del “populismo”, il
popolo politico, elettore: il populismo l’ha ucciso, è il tema di Costa, si
esercita in corpore vili. Gravi conseguenze ne discendono per il “processo
democratico”.
Ma c’era più democaazia con i partiti-partiti
– quando l’Italia era affetta, sempre secondo i teorici liberaldemocratici, dal
partitismo? Il populismo che si lamenta è una risultanza. È trafficare – farne
incetta, farla prigioniera – sull’opinione pubblica senza filtri critici, a chi
la spara “meglio”, o più grossa. Senza più mediazione politica, né d’informazione.
È un corto circuito dell’informazione – discussione, analisi.
Costa, fenomenologo, la prende
forse un po’ da troppo lontano. La barbarie che percepisce non è l’assenza del
popolo, che al contrario è più vivo che mai – più di quando andava a votare perché
“portato dal partito”. Ma non ha più opinione pubblica, che è sempre una mediazione
(un foro di dibattito, di consultazione, di aggregazione), diretta o indiretta.
Ha solo il voto per esprimersi, che è poco efficace e quindi poco usato. Si va
a naso. Se Costa fosse stato uno storico, avrebbe saputo che c’è molto popolo
sotto il populismo. Che si dimena, stanco della sinistra come della destra, che
sempre lo deludono – raccogliticce, affariste, incostanti - ma non si arrende.
Vincenzo Costa, Populismo senza Popolo,
Armando, pp. 90 € 10
lunedì 17 marzo 2025
Problemi di base undecies - 845
spock
Dobbiamo
finalmente sfidarli, questi porci americani?
Che ci hanno
pure dato da mangiare, ma erano scatolette?
O viva l’America,
abbasso Trump, si può fare?
Quale altra
America?
Il nemico era Xi,
poi Putin, ora Trump: l’Europa non ha amici?
O è come le vecchie
zie, dispettosa invece che autorevole?
spock@antiit.eu
La Corte costituzionale de noantri
Il governo ci riprova, questo come gli altri, a non pagare le pensioni,
a pagare meno del dovuto, e la Corte costituzionale infine dice che sì, le
pensioni di chi se le è pagate, se superano una certa cifra, non si rivalutano per
l’inflazione. È giustizia? Sì, plebea – “rivoluzionaria” ma “de noantri”, i….
furbi.
Una previdenza privata pagherebbe l’inflazione, in qualche misura, l’Inps
e le casse di categoria possono non farlo. Le Corti precedenti avevano l’accortezza,
patrocinando le esigenze di cassa dei governi, che in Italia sono tanto incompetenti
quanto insaziabili, di dire che la misura era temporanea, una tantum,
un contributo, etc. La corte dell’eccellenza Amoroso, che è un tributarista e
quindi sa quello che ha fatto, statuisce che ha diritto alla rivalutazione solo
chi prende meno di una certa soglia – ha maturato un vitalizio minore di una certa
soglia. Al di sotto della quale la metà delle pensioni pagate dall’Inps va a
chi non ha mai “lavorato”, cioè non ha mai pagato tasse né contributi. Chi cioè
ha avuto licenza di accumulare senza oneri, e alla fine di prendersi, “gratuitamente,
la pensione Inps, con l’indicizzazione.
Una sentenza violenta, questa della Corte. Ma la giustizia è questa.
Gli artigli del governo che non mette le mani in tasca
S’illustra il governo Meloni per un decreto che non fa pagare
il caro-energia a chi ha un Isee basso, cioè a chi non denuncia il reddito per
non pagare le tasse. Mentre autorizza bollette con cui i fornitori si fanno pagare
venti e trenta ero, a bimestre, per zero consumi. Altrettanto per voci di spesa
assurde, come il trasporto dell’energia e la lettura del contatore. Il tutto
assortito da “imposte di scopo” a nessuno scopo, solo impinguare l’erario, i
famosi, lucrosissimi, “oneri di sistema”. Su questa montagna di latrocini facendo
pagare l’Iva.
Una patrimonialina da centina di euro sui consumi energetici. Più gli innumerevoli
bolli che fa gravare sui conti bancari, dopo averli resi obbligatori – qui senza
l’ipocrisia dell’Isee. Più accise e bolli su carburanti e tabacchi. Con,
naturalmente, la battaglia infine vinta alla Corte Costituzionale Amoroso contro il reintegro, seppure parziale,
dell’inflazione sulle pensioni.
Il tutto a opera di un governo che si vanta di “non mettere le mani in
tasca agli italiani”. Parla di mani perché usa gli artiglia. A carco di chi “si
dichiara”, o “risulta”, paga cioè le tasse.
L’occupazione della Cisgiordania
In una pietraia in Cisgiordania gli abitanti palestinesi delle grotte vengono sloggiati con le ruspe dall’esercito
israeliano. Per un paio volte, in un paio d’anni. Dopo una causa durata
ventisei o ventotto anni alla Corte Suprema israeliana, che ha dato torto ai
ricorrenti palestinesi.
Un documentario che si vuole coraggioso,
perché mostra le ruspe israeliane in azione. E anche il pestaggio di un
dimostrante, che ne resta storpio, e l’assassinio a bruciapelo e a freddo di un
altro, da parte di un colono israeliano. Opera di due giovani palestinesi e due
israeliani. Pieno di riflessioni notturne, tra i fumi del narghilé, e buoni
propositi. Anche un po’ disperati, ma il giusto. Per questo premiato, a Berlino
e agli Oscar, come un progetto di speranza.
Un documentario girato prima del
7 ottobre. Ma già disperante, di fatto, contro le evidenti buone intenzioni. In
azione, affardellati come marziani, non sono militari di carriera o
professione, ma reclute e riservisti (richiamati) – tra essi due giovani donne,
una ride, una sbraita. L’area viene sgomberata perché è destinata a riserva militare.
Ma ai residenti non viene offerta una ricollocazione. E all’orizzonte, nella
stessa area ma fuori dalla pietraia, nel verde dell’oasi, si vedono le villette
dei coloni israeliani – ordinate, programmate. E poi si sa: l’esercito israeliano
aveva lasciato sguarnita la frontiera sud, verso Gaza, perché impegnato come
polizia in Cisgiordania. Non c’è compassione possibile nella violenza.
Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval
Abraham, Rachel Szor, No other
Land
domenica 16 marzo 2025
E adesso povero Elkann 7 – al fallimento
La Fiat-Stellantis che a gennaio ha fabbricato in Italia – fabbricato, non
venduto – la miseria di 10.800 macchine, quando ne fabbricava e vendeva 108
mila e 180 mila. La Ferrari del pluripagato Hamilton che è prima delle ultime.
La plurititolata squadra di calcio Juventus che becca tre e quattro gol da chi capita
- pagando il maggiore monte ingaggi, e dopo la più costosa campagna acquisti,
250-300 milioni.
Si dice: il mercato è difficile. Per Elkann. Si vede dalla squadra
di calcio; nessuna idea di management, di gestione.
E ora? Pazienza per Juventus, sono pur sempre partite di calcio. E anche
per Ferrari – il lusso ci sta anche a perdere. Ma la Fiat? Non è nazionalizzabile. E
non è riproducibile. E quindi Elkann ha messo in ginocchio l’industria
italiana, che ne è dipendente.
Letture - 572
letterautore
Anna Karenina – Le eroine dei
film che fanno la stagione, “Emilia Pérez”, “The Substance”, “Anora”, onusti di
premi, hanno “il finale ottocentesco in cui, comunque, alla fine, la ragazza
soccombe”, s’indigna Annalena Benini sul “Foglio” domenica scorsa, “la vita precedente
le presenta il conto”. Non è un fatto, “è la maledizione dei romanzi dell’Ottocento,
in cui fuori dalle regole, ragazza, non ti puoi salvare” – “ancor a non le
abbiam perdonate, queste ragazze, ancora dobbiamo assistere al salto nel
precipizio di Thelma e Louise”.
Batiouschkismo - Resta menzionato,
in due secoli, da Alessandra “Licy” Wolff von Stomersee a Tomasi di Lampedusa,
suo marito, in una lettera come lenitivo nel “caso S.”, un caso di scuola di psicoanalisi
condotto dalla stessa Licy. Il riferimento è a Konstantin Batjuškov, poeta russo del primo Ottocento, che molto
influenzò Puškin con la sua predicazione di una lingua russa con sonorità “italiane”,
dolci, aperte.
Dante – È gioachimita.
Questa non è una novità, ma Ulderico Nisticò, “Controstorie delle Calabrie”,
p.59, ci trova ragioni precise: per il pensiero, per la “disposizione triadica che
domina il poema”, e per “l’influenza dei simboli gioachimiti in quegli aspetti per
noi in parte oscuri che sono le immagini, i colori, le allegorie”.
Anche machiavellico? Ci pensa Cacciari, “Le sette parole di Cristo”, p.
6: “Dante è poeta dell’umanesimo, sia nel timbro armonizzante, neoplatonico,
che in quello tragico, machiavellico, che caratterizza il pensiero italiano tra
Petrarca e l’inizio del XVI secolo.
Sicuramente è musicologo. Ci pensa il maestro Muti, a dialogo con Cacciari,
pp.24-25: “Dante nel XIV canto del Paradiso ci dona in questi versi - una
dele poche cose che so a memoria – la spiegazione, la più precisa, perfetta, di
che cos’è la musica:
E come giga e arpa, in tempra tesa
di molte corde, fa dolce tintinno
a tal da cui la nota non è intesa,
così da’ lumi che lì m’apparinno
s’accogliea per la croce una melode
che mi rapiva, senza intender l’inno.
Qui Dante non si riferisce soltanto a coloro che non sanno «tecnicamente»
distinguere le note prodotte dagli
strumenti musicali, ma intende esprimere l’emozione che ogni comprensione che
rapisce chiunque ascolta la melodia, pur essendo questa perfettamente composta
sulla base della propria sintassi. La musica è un mondo finto e infinito
insieme”.
Dioniso – “Non è ‘uno’
ma ‘molti’”, Giampiero Moretti, “il Foglio” domenica scorsa: “I suoi miti raccontano
vicende differenti a seconda delle zone della Grecia, dell’A sia Minore, e fino
in India”.
Gattopardo – Non un
romanzo, ma tre novelle? Cosi Tomasi di Lampedusa ne annunciava la scrittura al
miglior amico Guido Lajolo, che si era trasferito in Brasile: “Mi sono seduto a
tavolino ed ho scritto un romanzo: per meglio dire tre lunghe novelle collegate
tra loro” – “l’Espresso”, 8 gennaio 1984, ora in C. Cardona, “Un matrimonio
epistolare”, p.3.
Italo-americani – Sono un’altra etnia – hanno altra identità.
In cucina per esempio, “come nel caso degli spaghetti con le polpette o della
cotoletta con pomodoro e parmigiano”, e nelle “pasta con sugo di finocchi” di
Lady Gaga: “Negli Stati Uniti si sta formando una nuova identità culinaria…. La
cucina italo-americana parla una lingua diversa da quella dele sue origini ed è
giusto così: pur vantando radici italiane ha ormai acquisito una propria autonomia”,
Luca Cesari, “Il Sole 24 Ore Domenica”.
Anche perché gli ingredienti in vario modo
sono diversi – anche quando sono gli stessi.
Liala – Il genere è sempre
prospero – “le donne leggono molto più degli uomini, in prevalenza romanzi” –
ma modificato: non si basa più “sulla tradizionale figura del principe azzurro”,
o non soltanto, deve “offrire anche la realizzazione professionale”, spiega
Lucetta Scaraffia sul “Foglio” dopo vasta lunga disamina. Con un handicap: dopo
la lettura, “la frustrazione al moment del ritorno alla realtà sarà ancora più
forte”.
Omertà – Il dizionario
Treccani (e la Crusca?) la dice una “variante napol. di umiltà,
dalla «società dell’umiltà», nome con cui fu anche indicata la camorra per il
fatto che i suoi affiliati dovevano sottostare a un capo e a determinate
leggi”. Ulderico Nisticò, “Controstoria delle Calabrie”, ne ha una più persuasiva:
“Dal latino homo, che nel linguaggio medievale indica il vassallo armato
di un signore”. Un etimo che la lega a ‘ndrangheta, “in origine «atteggiamento
di andreia, valore guerriero». E anche di condizione servile, bisogna aggiungere.
Pet – Il cane domina
la corrispondenza di Tomasi di Lampedusa, da Palermo, con la moglie Alessandra “Licy”
Wolff von Stomersee: Crab soprattutto (Craboutzko, Craboutkinsky), cocker nero “dalle
“pattes comme du velours”, Poppy, un bracchetto, e altri. Lui vive a Palermo
col cane (con Crab passerà il capodanno del 1942) – di cui racconta alla moglie
in dettaglio i pasti (“pasta e broccoli”), gli appetiti, le moine, le emozioni.
Delle non molte fotografie dell’autore del “Gattopardo”, e di lui con la
moglie, molte sono col cane. L’alano Bendicò, fedele alleato del Principe di
Salina nel romanzo, è detto da Tomasi (in una lettera del 30 maggio del 1957 all’amico
barone Enrico Merlo di Tagliavia, la chiave di lettura del romanzo stesso: la sfiducia
negli uomini, la pace con l’animale, fedele.
I cani erano l’occupazione anche dei cugini Piccolo - l’occupazione pratica,
le giornate passavano tra spiritismo, snobismo, e ingegnosità artistiche e poetiche.
In particolare della sorella, Giovanna Agata, che era anche la primogenita, esperta di cucina, e
lo spirito dominante sui fratelli Casimiro e Lucio. Per loro resta un cimitero da
lei allestito sotto il villino di Capo d’Orando, un quadrato recintato, con
lapidi in pietra grigia, ognuno con la sua targa, con nome e date.
Poesia - Ce n’è tanta –
si fa (scrive), si pubblica – e non ce n’è più. Il paradosso è di Berardinelli,
recente autore dell’antologia critica “L’ultimo secolo di poesia italiana”. Che
se lo spiega con la scomparsa della critica: “La nuova poesia, dagli anni Settanta
in poi, è stata una poesia senza critica e senza vera continuità culturale con
le varie tradizioni precedenti”. Dagli anni, cioè, “a partire dalla mia generazione,
quella che esordì intorno al 1975-1980: i poeti si sono riprodotti e moltiplicati
senza freno per ubbidire a un malinteso diritto a una creatività indifferenziata
e senza confini” Tutti poeti – un “diritto alla creatività”?
Proust – Il tono “lento
e svogliato” della “Ricerca” che li aveva “rapiti” nella lettura congiunta che
ne avevano fatto per la Pasqua del 1932, nella vacanza che Alessandra Wolff von
Stomersee aveva passato a Palermo, innamorando perdutamente Tomasi di Lampedusa,
è da questi ricordato nelle lettere appassionate che le scrisse quando fu ritornata
nella sua residenza in Lettonia.
Società civile – O dei “belli-e-buoni”,
erede cioè della καλοκαγαθία greca, si può dire ritratta da Voltare in “Jannot
et Coline” come “persone di qualità (che) tutto sanno senza avere imparato nulla”?
Comunque, ne scrivono ai giornali – ai tempi di Voltaire non si poteva, non c’era
la rubrica dei lettori.
letterautore@antiit.eu
Problemi di base bellicosi decies - 844
spock
Si ama la pace
preparando la guerra, R. Prodi?
A Trump?
Armarsi, a
caro prezzo, per che cosa?
Per fare la guerra
alla Russia?
Per farla all’America
– a Trump, certo, perché no?
Al comando di generali
anglo-francesi, il vecchio ciclo normanno – bilingui?
spock@antiit.eu
Dante mitico
I volti fisici di
Dante, come lo si rappresenta, “da Botticelli alla grafica 3D”. La conclusione è
nel seguito del titolo: “Ma i software non battono la fantasia”. Perché Dante è
mito, il volto, la fisionomia, anche la statura sono soggettive, di ogni lettore,
anche se esso stesso autore.
“Tutte le
ricostruzioni”, spiega Palmieri, hanno un solo riferimento, il cranio e lo scheletro
di Dante “ritrovati fortunosamente in una cassetta lignea a Ravenna il 27 maggio
1865 nei pressi dell’urna marmorea”, da cui le ossa erano state “segretamente
sottratte e occultate per secoli dai frati francescani, timorosi che i
fiorentini se le riprendessero, cosa che stavano per fare nel 1519 quando
ottennero il consenso di papa Leone X” Medici. Ma si dovette aspettare fino al
1921, ai “rilievi attendibili” di “due luminari dell’antropologia, Fabio Frassetto
e Giuseppe Sergi”, per ottenerne un’immagine attendibile.
Prima, naturalmente,
ma anche dopo, molti si sono sbizzarriti nelle ipotesi più strane. Non hanno
giovato le celebrazioni, con r elativi elevati bilanci di spesa, dei centenari.
Né i “dantedì” che si celebrano, il 25 marzo, da alcuni anni. “Ci sono studi”,
conclude Palmieri, “e a non citare il nome degli autori si fa loro un favore,
che deducono persino patologie neurologiche”, di Dante epilettico e\o
narcolettico.
Francesco Palmieri,
I cento volti di Dante, “Il Foglio”, sabato-domenica
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