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sabato 29 marzo 2025

Problemi di base geostorici - 850

spock


Il Canada, una piccola enclave tra l’Alaska e i Grandi Laghi?
 
Quand’è che il Messico si è staccato dal Texas?
 
Ma, poi, l’America non era dei vichinghi, passando per la Groenlandia?
 
Trump ci fa o ci è, il capo del mondo libero?
 
Il mondo libero non è più libero?
 
“In un mondo rovesciato, il vero è un momento del falso”, Guy Debord?
 
spock@antiit.eu

Il banco vince sempre, o no

Il contabile della ditta risolve a Londra un problema al Grande Capo, che lo omaggia di una luna di miele pagata al Grand Hotel di Montecarlo. Dove gli dà appuntamento ma non si fa vedere. Le cose si mettono dunque male, ma no problem. L’albergo gli anticipa graziosamente milioni, poiché è ospite del magnate. E a Montecarlo c’è il casinò. Dove il ragioniere matematico rischia di diventare non solo milionario, ma addirittura padrone della ditta.
Non un giallo, non ci sono morti, ma molte curiosità e ribaltamenti, dentro l’ordinario, sul solco del giallo all’inglese, benché - o per questo - totalmente irrealistico. A margine, una parodia feroce del modo di (non) essere della finanza - allora come oggi: tecnicamente irreprensibile.  
Un “divertimento” dello scrittore “cattolico”, senza politica e senza il “fattore umano”, scritto nel 1955 e subito tradotto, ma poi derelitto, e ora quasi introvabile. Che invece meriterebbe.
Graham Greene, Vince chi perde

venerdì 28 marzo 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (588)

Giuseppe Leuzzi


Buio in sala, pagato dal Sud

“U.S.Palmese”, l’ultimo film dei Manetti Bros, ha tutto per essere recepito come un film di culto. Il calcio di oggi, tutto social e influencer, contro la passione antica, il club del cuore (l’identificazione), la partita come sfida e come sogno, i derby o le passioni paesane, di quartiere, di ceto, politiche, contradaiole. E la raccolta dei fondi, poveri e ricchi uniti nella lotta. Se non fosse ambientato in Calabria. Ma, per dire, a Cervignano del Friuli. O a San Miniato (ex) al Tedesco.
La nomea della Calabria è di ostacolo anche alle piccole cose - in questo caso al successo commerciale del film. Oltre che all’autostima.
La Calabria Film Commission, che ha finanziato questo (interamente girato a Palmi, con qualche posa a Milano) come tutti i film che mostrano un qualche riferimento alla Calabria, è un caso macroscopico di autolesionismo, trattandosi di capitali, per quanto irrisori, investiti nelle ‘ndranghete. Altrove c’è più cautela. Soprattutto in Puglia, che è riuscita a ribaltare in pochi anni la sua immagine, ora prospera e grassa, e sorridente. Ma anche in Sicilia, e naturalmente a Napoli.
 
Il Gattopardo della Grande Madre Mediterranea
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, poi autore del “Gattopardo”, Caterina Cardona, che ne editava a mezzo secolo fa la corrispondenza con la moglie (“Un matrimonio epistolare”), vuole a metà trattazione (p.95), dovendo incidentalmente menzionare la madre, figlio della della Grande Madre, “colei che comprende tutto, perdona tutto, sopporta tutto”. Ma di fatto fagocitando i figli, una Medea, seppure figurativa.
Figlio della “Grande Madre Mediterranea” in senso proprio, precisa la stessa Cardona subito dopo, la figura creata da Ernst Bernhard, il non dimenticato analista junghiano. “Riconoscibile nei miti di Demetra e Persefone, primitiva e inconscia, che quanto più vizia i suoi figli «tanto più li rende dipendenti da sé»”. Li rende dipendenti da sé viziandoli.
Tomasi di Lampedusa, il futuro autore del “Gattopardo”, giovane trentaseienne, scrive da Palermo alla sua amata futura moglie a Stomersee in Lettonia che si alza “alle nove e dieci”. Fa la colazione che il servo gli porta. E non fa più nulla tutto il giorno. Per tre volte al circolo, mattina, pomeriggio, dopocena, qui con i cugini, “e all’una rientro”, all’una di notte. Completa la routine quotidiana la passeggiata con la madre: “Alle sei esco con mia Madre, a piedi. Percorriamo via Ingham, il Politeama, via Libertà e andiamo a prendere un cremolato di fragole e crema (molto buono). Dopo di che alle sette e un quarto deposito mia Madre da sua sorella, cioè proprio di fronte alala gelateria, e vado al Circolo dove mi applico a scandalizzare le anime timorate…”.
Anche in guerra, “tra il ’40 e il ‘43”, spiega Cardona, “Giuseppe scrive a sua moglie quasi tutti i giorni. Non ha niente da dire”, non potendo più parlare della madre, in rotta con la moglie, “di altro non si cura, la guerra, i bombardamenti, l’invasione, e denuncia la fatica del cercare qualcosa da raccontarle”. Prima del “Gattopardo”, un Buonannulla.
L’inerzia personale poi diventerà capo d’accusa nel romanzo. Quando don Fabrizio dice: “Il peccato che non perdoniamo è quello di fare”. Ma lo dice della Sicilia.
 
La liberazione della Sicilia
Raleigh Trevelyan, “Principi sotto il vulcano”, il “romanzo” delle famiglie inglesi di Sicilia, Ingham e Whitaker, ha una pagina, 383, sulla liberazione della Sicilia nel 1943:
“L’11 giugno 1943, Pantelleria fu occupata dagli alleati, la cui unica perdita consistette in «un soldato morsicato da un mulo». Subito dopo, ci fu la conquista di un’altra isola, Lampedusa. Arresasi a un aviatore britannico atterratovi per errore, essendo rimasto senza benzina. L’inizio dell’invasione della Sicilia, la cosiddetta ‘Operazione Husky’, ebbe luogo il 19 luglio, e fu preceduta da violenti bombardamenti su tutte le maggiori città dell’isola. Gli sbarchi avvennero a Licata e a Gela. Quattro dei cinque traghetti usati dai tedeschi nello stretto di Messina furono affondati, e della cattedrale di quella città rimasero soltanto le mura esterne. Gravemente danneggiata fu anche la biblioteca universitaria, ma per fortuna la preziosa collezione di manoscritti greci era stata trasferita a Bronte. Anche Catania venne duramente colpita. Il museo di Marsala, che ospitava molti dei reperti di Mozia, e il baglio Woodhouse furono completamente distrutti, e andarono perduti tutti gli archivi dei Woodhouse, degli Ingham, dei Whitaker e dei Florio. Il Ginnasio Romano di Siracusa fu anch’esso gravemente danneggiato sia dalle bombe che dai vandali, ma la sorte peggiore toccò a Palermo: vaste zone della città furono rase al suolo, e oltre sessanta chiese, in gran parte barocche, furono distrutte o gravemente danneggiate.
“Come ebbe a dire lo stesso generale Patton, per una profondità di due isolati a partire dal fronte del porto, praticamente ogni casa fu ridotta a un mucchio di macerie”.
 
Le due Sicilie sono tre
C’è fra le “due scritture” siciliane della Sicilia - di cui alla precedente rubrica - una terza posizione, di amore e ammirazione incondizionati, per la natura. Esemplificata da Tomasi di Lampedusa, nel “Gattopardo” e poi ancora ne “I luoghi della mia prima infanzia”. In Tomasi la sicilitudine è “l’amore abbagliato, commosso per il paesaggio ed il clima siciliano” che il suo allievo Francesco Orlando molti anni dopo (“Ricordo di Lampedusa”) scopre con stupore nel suo sempre pudico, diminutivo, maestro.
Nei “Luoghi”, oltre che nella corrispondenza con la moglie sempre lontana, questa speciale sicilitudine emerge costante. Rivendicata subito, fin dall’infanzia, in antitesi con Stendhal che la sua infanzia ricordava come tempo di tirannie e prepotenze: “Per me l’infanzia è un paradiso perduto. Tutti erano buoni con me, ero il re della casa. Anche personaggi che poi mi furono ostili” - al lettore promettendo-minacciando “un Paradiso Terrestre e perduto”.
Nel febbraio del 1943, scrivendo alla moglie “Licy” della loro futura casa a Palermo ha occhio solo per la natura: “La campagna è incantevole, tutta in toni di grigio molto delicati; il grigio argenteo degli ulivi si fonde con il grigio perla del cielo, e i mandorli già fioriti gettano lievi sul paesaggio ombre di luce bianca rosata e rosa biancastra…. Il mare sembra di latte e le isole vi sono poggiate sopra come dei grossi fiocchi di fumo…. Intorno alla nostra futura casa i limoni sono carichi di frutti. C’è un albero stranissimo carico nello stesso tempo di grossi limoni e di grosse arance…”.
Qualche giorno prima, dello stesso mese di febbraio, ha scritto,  benché non immemore della guerra: “La campagna è piena di rose rosse, di mandorli fioriti, di narcisi selvatici, e con gli alberi carichi di limoni è veramente una bellezza. Ma proprio a un passo quante atroci cose accadono….”..
 
Cronache della differenza: Napoli
È il centro e il cervello del raggiro anziani. In forme sofisticate, con eccesso di capacità  organizzative (i riferimenti per i controlli, assicurativi, di polizia, di sanità, etc., anche bancari) e di introspezioni psicologiche. A danno di persone forse deboli, ma senza violenza e con abilità - tatto, ragionevolezza, generazione di ansie, di colpevolezza, etc.. Il vecchio furto con destrezza aggiornato alla terza età e alle vite in solitudine. Con le usate capacità mimetiche, attoriali, registiche. Però, quanta energia e managerialità, applicata al delitto.
 
Si segnala perfino per la “gestione” del reddito di cittadinanza. Con la vecchia regolamentazione, lassista, di Conte e con quella, restrittiva, di Meloni. Molti percettori lo hanno percepito senza aver fatto domanda e senza nemmeno sapere a opera di chi - cioè sapendo di avere mille euro da “qualcuno”. Il delitto perfetto?
 
Del resto a Napoli e dintorni non esiste nemmeno un elenco delle case popolari su cui basare la graduatoria degli aventi diritto - si sa che ce ne sono e che sono abitate. Lo dice Meloni, ma nessuno obietta.
 
“Conobbi Raffaele (La Capria) solo negli anni Ottanta, a una cena da Giosetta Fioroni. Capii subito che anche lui, come me”, chi parla è Elisabetta Rasy, “era fuggito da Napoli”. Una città da cui “si fugge” – si fuggiva perlomeno, fino a non molti anni fa. Senza rimedio?
 
Salvo la nostalgia: “La nostra amicizia”, continua Rasy parlando sempre di La Capria, “crebbe sul sentimento della perdita. Su qualcosa che la città, nonostante tutto, ci aveva donato e che si era smarrita!”. Negli stessi anni anche scrittori che per Roma avevano abbandonato Milano. Ma senza acrimonia – giusto quel pizzico per insaporirne il racconto. Si può emigrare senza risentimento, ma con Napoli non avviene?
 
Non si ricordano regine sabaude o italiane – giusto Maria José, per un mese o due. Se ne ricordano invece di napoletane. Spose, e quindi straniere, ma a Napoli attive e onorate. Anche la sabauda Maria Cristina, ora beata, madre dell’ultimo re, cacciato dai Savoia. Maria Sofia, sorella di “Sissi” e sposa di Francesco II, che regnò meno di due anni, è ancora onorata per la tenacia, e la capacità politica. Dopo l’invasione francese del 1799 fu la teutonica Maria Carolina a dare battaglia nella penisola, dal rifugio di Palermo, in collegamento con metà delle cancellerie europee.


Un’altra Absburgo, Maria Teresa, sposa di Ferdinando II, il penultimo re, provò a salvare il regno col suo proprio figlio Luigi invece del figliastro “Franceschiello” - ma era del partito reazionario.
Molte storie se ne fanno, ma come di esseri avulsi da Napoli, mentre erano ben “napoletane”.
 
“Qui manca un centro sportivo. Non c’è un settore giovanile”, lamenta Conte, l’allenatore del Napoli, che potrebbe (ri)vincere lo scudetto. Manca sempre qualcosa per il “decollo” economico. L’ingegnosità supplisce all’accumulazione – la struttura, l’organizzazione, la tenuta o durata - essenziale alla crescita stabile, allo “sviluppo”.
 
Finalmente a Napoli, dopo il lungo “esilio” a Palermo, Ippolito Nievo ne scrive il 2 febbraio 1861 alla cugina Bice un po’ estasiato: “Quella bella Svizzera Meridionale che circonda Napoli” detto delle ville vesuviane. Ma poi le dice: “Ti accorgi che vo diventando tronfio come un Napoletano?”
 
Precedentemente, ottobre 1860, uno dei fratelli minori di Ippolito Nievo, Carlo, mentre era accampato a Sessa Aurunca, in attesa dell’assalto alla fortezza di Gaeta, gli scriveva: “Fin ora sul Napoletano non vedi che paesi da far vomito al solo entrarvi, altro che annessione e voti popolari! dal Tronto a qui dove sono, io farei abbruciare vivi tutti gli abitanti, che razza di briganti! passando i nostri generali ed anche il Re ne fecero fucilare qualcheduno; ma ci vuole ben altro!”
 
Virgilio, mantovano di nascita, fu napoletano di adozione. Il personaggio più dimenticato a Napoli, fra tante celebrazioni cittadine, patrie, storiche, sentimentali.

Tutto sa di detto, a Napoli e dintorni, esibito, gridato, piazzaiolo, poi viene fuori una superatleta del volley, Monica De Gennaro, che ha 38 anni, dice il giornale, e da dieci è il libero più forte del mondo, di cui nessuno sa nulla tanto è riservata - mentre la campionessa da cui ha preso il testimone, Francesca Piccinini, bergamasca, faceva e fa di tutto, copertine, gossip, calendario Playboy, e tutte le trasmissioni tv.

La metropolitana che si ferma, per molte ore, “per le troppe assenze dei guidatori”, in effetti è proprio teatro. 


leuzzi@antiit.eu


La Resistenza “rossa” a Hitler

La storia di Hilde a Hans Coppi, incarcerati e condannati a Berlino a fine 1942 come membri dell’“Orchestra Rossa”, una rete di spionaggio in favore della Russia comunista durante la guerra. Lui impiccato il 22 dicembre, lei ghigliottinata il 5 agosto 1943 - avendo partorito il 27 novembre, l’esecuzione della condanna fu ritardata degli otto mesi previsti per l’allattamento al seno.
Coppi, tornitore, attore, figlio di comunisti, era stato fermato la prima volta a sedici ani, per aver volantinato al liceo il film “Cameratismo” di Pabst che celebrava l’amicizia franco-tedesca sullo sfondo della Ruhr occupata. Il figlio della coppia, Hans Coppi jr, è storico della Resistenza. Di molti campi di concentramento politici, e anche dell’“Orchestra rossa” di cui i genitori sarebbero stati parte, di Arvid Harnack e Harro Schulze-Boysen che l’avevano organizzata, con la moglie di quest’ultimo, Libertas. Sulle sue ricerche è in larga parte costruito il film.
Un raro film sulla Resistenza tedesca. Come per pareggiare l’unico altro, vent’anni fa, “La Rosa Bianca - Sophie Scholl”, sulla memoria cattolica della Resistenza, recuperata negli anni di Giovanni Paolo II.
La Germania non ha ha una festa della Liberazione. E ha poche memorie, ricerche, analisi sulla Resistenza, pur avendone avuta la più ampia e la più perseguitata che in ogni altro paese europeo, Italia e Francia comprese. Già nel 1933, a pochi mesi dall’ascesa di Hitler al cancellierato, un migliaio di campi di concentramento erano stati allestiti per i “politici”.
Andreas Dresen, Berlino Estate ‘42


P.s. - Sull’“Orchestra rossa” si trova un raro passaggio in Astolfo, “Non c’è anarchico felice”, pp. 385-387:
“Nipote del grand’ammiraglio Alfred von Tirpitz, Harro Schulze-Boysen fu membro a sedici anni del Jungdeutschen Orden, la lega giovanile nazionalista, antisemita, e due anni dopo ne fondò una sua, la Volksnationale Reichsvereinigung, di borghesi e agrari. Altri due anni e lanciava col periodico francese Plans un progetto d’unione economica europea a base collettivista, editava la rivista Der Gegner, l’oppositore, e organizzava incontri della gioventù rivoluzionaria europea. Hitler non ne apprezzò gli obiettivi, tra essi l’abolizione del sistema capitalista, e nel ‘33 fece chiudere Der Gegner e arrestare i redattori. Harro riemerge nel ‘35, a ventisei anni, con un circolo di artisti e funzionari che pubblica scritti antinazisti. E quando in guerra, tenente della Luftwaffe, ebbe accesso a documenti militari riservati, li passò all’ufficio informazioni dell’Urss, che fino al ‘41 restò aperto a Berlino. Finché non incontrò Anatolij Gurevitch, alias “Vicente Sierra”, alias “Kent”, agente sovietico a Bruxelles: il controspionaggio decifrò i sette dispacci radio nei quali i loro colloqui furono riassunti a Mosca, e i complimenti di Stalin. Il 31 agosto ‘42 Harro fu arrestato, il 22 dicembre impiccato, con la moglie Libertas.
“Per Montanelli storico Harro è “un intellettuale surrealista”. Per la Gestapo Harro e Libertas dirigevano la Rote Kapelle, l’orchestra rossa, di spie dell’Urss. Libertas Haas-Heye, che aveva sposato nel ‘36 il coetaneo e altrettanto bello Harro, era nipote del principe Philipp von Eulenburg, il consigliere fidato di Guglielmo II. Eulenburg era antimperialista, ma era stato compagno di giochi in gioventù a Capri e Taormina del kaiser e ne copriva le debolezze, anche sessuali – “Il cannone è quella cosa\ che in Germania s’è ingrossato,\ or lo trova esagerato\ anche il principe Eulenburg”, canterà Petrolini. Agevolmente i bismarckiani lo costrinsero a vita privata nel castello di Liebenberg, il monte degli amanti, in compagnia della moglie, la contessa svedese Auguste von Sandeln, alla quale aveva pur fatto sei figli. Maximilian Harden prima lo ricattò e poi l’accusò in vari processi di sodomia, Karl Kraus inutilmente lo difese da Vienna.
“Terzogenita dell’ultima figlia del principe, Libertas nacque a Parigi. Crebbe tra Parigi, Garmisch e Londra, la famiglia transumava col padre, il creatore di moda Otto Haas-Heye, bello anch’egli e ricco, per ultimo a Berlino, dove Otto diresse il Museo di Arti Applicate, nell’edificio in Prinz-Albrecht che poi sarà sede della Gestapo. Libertas si educò nei pensionati svizzeri, e al ritorno in patria nel 1933 si entusiasmò per Hitler, aderendo alla sezione nazista aperta a Liebenberg dal barone Rudolf von Engelhardt, un cugino acquisito. Ma per poco. Andò a Berlino, fu addetto stampa della Mgm, e sposò Harro. Nei sette giorni di libertà goduti in più rispetto al marito Libertas bruciò carte e foto, ma 126 amici di Harro furono ugualmente arrestati, per un terzo donne. “Courte et bonne” era stata sua divisa e filosofia di vita da ragazza, il titolo del romanzo di Marie Colombier, l’attrice amica e poi acerrima nemica di Sarah Bernhardt, motto del Reggente libertino di Francia dopo Luigi XIV.
“Con Harro e Libertas furono giustiziati tra i tanti Hans Coppi, Arvid Harnack, Rudolf von Scheliha, tutti nel carcere di Plötzensee. Coppi, tornitore, membro del gruppo di Wilhelm Schürmann-Horster, attore, che sarà scoperto dopo qualche mese, era comunista militante dai sedici anni, per aver visto al Liceo Cameratismo, il film di Pabst che celebra l’amicizia franco-tedesca sullo sfondo della Ruhr occupata. Sua moglie Hilde Rake ebbe la condanna e l’esecuzione ritardate fino a che, il 27 novembre, non partorì, in carcere, il loro unico figlio Hans. Harnack, economista, il cui nonno aveva innovato la teologia luterana di Fine Secolo, maestro di Karl Barth, negatore dell’Immacolata Concezione, la divinità di Cristo, la resurrezione dei corpi, l’esistenza del demonio, e il cui zio Ernst sarà tra le vittime della furia di Hitler dopo il 20 luglio, fu arrestato il 7 settembre con la moglie Mildred Fish, poche settimane dopo essere diventato Oberregierungsrat al ministero dell’Economia, direttore generale.
“Si dice che i tedeschi obbediscono e basta. Ma almeno cento-mila si ribellarono a Hitler in guerra, non tutti renitenti, una buona metà si batté con la Resistenza in Grecia e Jugoslavia, qualcuno all’Est. In Ita-lia non si può dire, ma la presenza tedesca nella Resistenza “ha raggiunto dimensioni ragguardevoli”, dice lo storico Battaglia: “In tutte le regioni del Nord, senza eccezioni, è dimostrata la presenza di tedeschi nelle principali formazioni partigiane” - lo dice in tedesco, in convegno, a Vienna. A Civitella d’Arezzo la polizia tedesca ha contato 721 diserzioni nel solo luglio ‘44. A diciotto anni membro dei Freikorp, e dal ‘37 del partito Nazista, Harnack, creatore con Friedrich Lenz della scuola di economia nazionale, aveva costituito un Gruppo di studio dell’economia sovietica, Arplan, per pianificare il futuro della Germania dopo il nazismo. Dal ‘41 collaborò con la rivista sovversiva Die innere Front e dal ’42 con i servizi segreti sovietici, ai quali spiegò nei dettagli la Soluzione Finale, sulla base delle notizie attinte al ministero degli Esteri da von Scheliha. Sua moglie, cittadina americana, filologa all’università di Berlino, condannata a sette anni, fu giustiziata tre settimane dopo. Von Scheliha, arrestato il 29 ottobre con la moglie, poi liberata, fu impiccato il 22 dicembre”.

giovedì 27 marzo 2025

Ombre - 767

Platini assolto definitivamente, e mai condannato in dieci anni di processi, sulla base delle stesse carte dell’accusa. Ma condannato preventivamente, con l’imputazione nel 2015: “Per impedirmi di diventare presidente della Fifa”, commenta semplice. È successo in Svizzera, dove si sa che i poteri occulti sono reali. Ma di che sport stiamo parlando, quando parliamo di calcio? E di che giustizia?
 
L’intervista di Vespa a Meloni, per l’uscita del libro “La versione di Giorgia” con Sallusti, è senz’altro eccessiva - non è produttivo parlare per quasi un’ora in tv, un’eternità, con la faccia che occupa il monitor. Ma il “dead cat bounce” è un colpo di genio - l’economia dell’ultimo governo Conte che marciava a doppia cifra, perché usciva dall’inerzia, dalla gente chiusa in casa da mesi.
 
Anche “chiedersi cosa vuole l’interlocutore” non è male - specie in politica estera, con estranei. “La lingua mi favorisce nei colloqui, ma anche chiedersi che voglio io? che vuole ottenere lui?”. Per capire “dove c’è la convergenza”. E parlare con tutti, “non come usa in Italia, parlare con Germania e Francia, e poi basta”. Compresi gli africani, il “Sud globale”. E cercare di capire “se e come posso dare una mano”.
Un corso di diplomazia in tre battute. Con la conversazione “franca, di sì anche di no, e le persone si fidano”.
 
Preoccupante invece l’analisi dell’impoverimento delle classi medie, nel patrimonio e nei redditi da lavoro o professione (il giornalismo p. es.
) a opera del “mercato”, degli speculatori di ogni tipo, dall’“alta” finanza ai venditori di polizze. Questo è Platone, “la Repubblica”, 380 a.C., disponibile in molte edizioni, anche economiche. Possibile che solo Meloni ne abbia conoscenza?

 
Poche righe per Hamdan Ballal, uno degli autori del documentario “No other Land”, sulle pietraie di Masafer Yatta in Cisgiordania, da cui i coloni israeliani vogliono cacciare i (poverissimi) palestinesi che le abitano: “Arrestato uno dei registi di «No other Land»”. Mentre la notizia è che Ballal è sopravvissuto a un tentativo di linciaggio dei coloni. Per poi, pesto e sanguinante, essere arrestato dall’esercito israeliano. Arrestato e non soccorso. Lui e non i suoi aggressori.
 
Il giorno dopo Ballal viene liberato. Ha bisogno di cure? Dopo l’attacco del papa morente a Israele per i bombardamenti rinnovati su Gaza? Perché il troppo è troppo? E dire che “No other Land” è sciropposo, malgrado le violenze, dei coloni e dell’esercito israeliano, soldatesse incluse. Il solito sermone volemose bene, con i giovani, palestinesi e israeliani, che la sera esorcizzano le bestialità bevendo e fumando, insieme.
 
“Il vice-presidente Vance scrive al segretario alla Difesa Hegseth: «Se pensi che dovremmo farlo, andiamo. Io proprio odio salvare di nuovo l’Europa». Hegseth risponde: «Condivido totalmente il tuo disgusto per gli scrocconi europei. È PATETICO». Per sbaglio, nella chat per pianificare i raid Usa contro gli Houthi c’è il direttore dell’Atlantic”.
Per sbaglio? Includere in una chat segreta il direttore della rivista più feroce contro Trump? Trump ha subito “perdonato” il responsabile della Sicurezza Nazionale Walz, autore dello “sbaglio”. Chiunque in Europa ritiene di poter ritenere Trump e i suoi dei cretini.
 
“Grandi Opere. Tempo medio d’attuazione trent’anni”. Senza vergogna. Una legge sugli appalti che consente di aggiudicarseli al massimo ribasso per poi, intascata la prima rata, contestare il progetto e pretendere la revisione dell’appalto: meno lavoro, meno materiali, più soldi. Specialisti Ferrovie e Anas: alta velocità ferroviaria (Torino-Lione, Milano-Padova, Salerno-Rc, Palermo.-Messina-Catania) e autostrade (Salerno-Rc, Terzo valico dei Giovi). E la Metro C di Roma, che non sarà finita in trent’anni - già a tre (o trenta?) revisione prezzi?
 
Penalizzazioni in corsa e sberleffi per Ferrari. Che è la metà dell’attivo Exor, cassaforte di famiglia Agnelli-Elkann. E cambio di allenatore in corsa per fingere il salvataggio Juventus. L’impero Elkann fa crepe - crepare da ridere - da tutte le parti.
Ma nel calcio di più: il direttore tecnico Giuntoli, cui Elkann ha delegato poteri che suo nonno nemmeno a Boniperti, ha potuto spendere 234 milioni per tredici acquisti inutili, più una ventina per cacciare due allenatori anzitempo, e svendere gioielli come Hujsen, Kean, Fagioli e altri per spiccioli. E questo non è solo incompetenza: è materia penale.
 
Galli della Loggia scopre, oggi, che “mercato libero” è subire un profluvio di telefonate di call center accalappiacontratti, e la cosa diventa materia giornalistica. In trent’anni che questo “mercato” importuna i viventi il giornalismo non se n’era accorto?
 
Michele Magno, vecchio Cgil, Pci, Pds, Ds, Pd, recupera su “Start Magazine” un Berlinguer d’annata, su “Pattuglia. Settimanale della gioventù”, a. VIII, n. 12, 22 marzo 1953. Della gioventù comunista, di cui Berlinguer era capo. E in tale veste autore di due cartelle di “Gloria eterna al grande e caro Stalin!”, appena morto: “immortale”, “vero patriota”, “difensore della pace”, pur avendo “fatto della Russia il Paese più potente”, forgiatore dell’“uomo nuovo quale mai la storia ha conosciuto: l’uomo felice, il giovane eroe della vita socialista, il giovane libero dell’epoca staliniana”. Non erano noti i crimini di Stalin? Beh, sì. E Berlinguer era giovane ma di 31 anni.
Ai tanti film che ne alimentano il culto il particolare è sfuggito, ma l’abbiamo scampata bella.
 
Inni, gioia, esultanze per la Cina che prova e infilarsi nella coalizione europea dei “volenterosi”. Per tenere a bada Putin, e allontanare l’Europa dagli Usa. Semplice, no? Dagli Usa? Un’assurdità e una stupidaggine. Ma quanto gaudio sui media della “correttezza” politica. È l’ipercomunista Cina meglio del “fascista” Trump?
Si dice antifascismo ma è solo stupidità. Non si finisce mai d’imparare.
 
Alcaraz, Kyrgios, perfino Djokovic, più naturalmente ogni carneade, s’illustrano sui social - si autoillustrano - parlando male di Sinner. Poi vanno in campo, anche in piatti ricchi, e perdono. Hanno sprecato il fiato?
 
Sinner è un tirolese gentile che si presta a fare l’italiano. Ma perché sovraccaricarlo di “italianità”? Non basta che sia un ragazzo, magro e non atletico, gentile, e vincente, di che abbiamo bisogno, noi che non facciamo nulla per illustrare l’Italia, p.es. lavorare al meglio, con applicazione?
 
Le protezioni tutti azimut di Trump che mettono in crisi la tavola americana di Pasqua sembrano ridicole e lo sono. L’appello dell’ambasciatore Usa alle coccodè venete, a dieci giorni dalle minacciate dogane, perché facciano più uova sono roba da Crozza.
Manca pure la carne vaccina, e quindi che faranno gli Usa, chiuderanno i McDonald’s?
 
“Il decreto legge sulla «funzionalità delle pubbliche amministrazioni» … consta di 22 articoli, di 112 commi, alcuni lunghi sei pagine,… e contiene 255 riferimenti ad altre norme”. È semplice e incontestabile Sabino Cassese: come di fa a fare una legge sulla semplificazione che complica tutto? La Funzione Pubblica si è ridotta a una malattia – stupidità non può essere, in tale concentrazione.
 
Elkann dopo Tavares, o un collaboratore di Elkann, spiega alla Camera che produrre in Italia costa fino a due volte più caro che in Spagna o in Polonia, per costo dell’energia e condizioni sindacali. I deputati non ascoltano, o non capiscono. Fu per questo che l’illustre auto britannica scomparve cinquant’anni fa. E beneficiava del petrolio dei mari scozzesi, e dell’elettricità nucleare fatta in casa. Ma aveva pause caffè, pipì, sigaretta, straordinari rigidi, e malattie facili.

Della controrivoluzione, o del voto a destra

Si dice “quinta colonna” per dire nazionalismo. E di questo qui si tratta - p. 27, nota: “In tutto il mondo nazionalismo è diventato sinonimo di tradimento. Qesto è comprensibile: il nazionalismo è stato ovunque l’arma della controrivoluzione, così come il patriottismo è stato l’arma della rivoluzione” - la “quinta colonna è un fenomeno essenzialmente controrivoluzionario per il quale il nazionalismo funge da camuffamento”.
“I poteri legittimi hanno spesso avuto più paura della guerra - e intendono una guerra seria - che della sconfitta, e più paura della vittoria che della Guerra…. Il Senato romano temeva particolarmente la vittoria delle sue truppe” (pp- 29-30).
Una sola guerra dal 1914 al 1945, in tre tappe, p. 21, n.: “1) vittoria della rivoluzione in Russia, 2) vittoria della controrivoluzione in Italia e Germania, 3) guerra nazionale: guerra di conquista condotta dalle potenze controrivoluzionarie contro i Paese democratici in preda al dissesto sociale”.
Sul pacifismo, p. 35, n.: “La democrazia antica non è né pacifica né pacifista. La democrazia borghese moderna, se rimane sana, è pacifica ma non pacifista”.
Sulle origini del fascismo. P.37: “Fu la minaccia della rivouzione, e la grande paura che ne seguiva, a spingere la borghesia occidentale verso un’alleanza con i suoi nemici tradizionali e nuovi, le forze della tradizione e della contro-rivoluzione”.
“Quest’alleanza fu rafforzata, e persino cementata, da unfatto di capitale importanza, ossia l’estensione, legale o semplicemente effettiva, del suffragio universale, che minacciava le classi borghesi di perdere il loro ascendente politico proprio nel momento in cui le rovine finanziarie causate dalla guerra, di cui avevano sostenuto il costo, e l’inflazione che ne era la conseguenza, che aveva provocato o almeno accelerato il fenomeno, così ben descritto da Platone, della concentrazione della ricchezza e dell’impoverimento delle classi medie fecero perdere loro l’ascendente economico e fecero vacillare le stabili fondamenta su cui avevano costruito la loro esistenza”.
Senza fare la voce grossa tra fascismo e antifascismo, la modeata rilevazione delle cose come stanno - grande novità. A p. 40, n. 35: “La controrivoluzione non si riduce affatto a un complotto oligarchico, come viene comunemente frainteso. Il fascismo (il totalitarismo, la dittatura, la tirannia) ha fonti moltelici e profonde. L’oligarchia non crea la contro-rivoluzione: la aiuta e le chiede aiuto”.
Una riflessione di fine guerra, per porre il problema acuto in Francia, se la controrivoluzione (Vichy, collaborazione con la Germania) non riuscirà “a fare in tempo di pace ciò che non “è riuscita “a fare in tempo di guerra, ossia riconquistare le masse borghesi”. A “realizzare la controrivoluzione preventiva” tentata con Vichy, ma sotto occupazione.
“I nemici dei nostri nemici sono nostri amici”, 14
La Russia di Stalin - e quella di oggi, 25: “Non è per il regime sovietico, o la religione marxista, che la Russia combatte oggi, ma per la «patria sovietica», l’impero sovietico, cioè la Santa Russia. L’Impero Russo nel quale la struttura sovietica è diventata autoctona e in cui il compagno, o meglio il maresciallo, Stalin ha sostituito lo zar”.
E, più pregnanti di tutte, le considerazioni sul riemergere della destra, sulla controrivoluzione - forte della conoscenza di Platone, del Platone politico, di cui resta riconosciuto interprete principe. V. 32, n. 26: “Il termine «controrivoluzione» ha una cattiva reputazione… Ecco perché i più autentici controrivoluzionari - Hitler, Mussolini, Pétain, etc. - amano definirsi “rivoluzionari” e parlare di Rivoluzione Fascista, Rivoluzione Nazionale”. E: “Determinare l’esatto significato dei due termini è arduo. Basta osservare: a) che la controrivoluzione non è la restaurazione di uno Stato passato e che, di conseguenza, i reazionari che si uniscono alle forze controrivoluzionarie sono sempre - almeno in parte - ingannati; b) che la rivoluzione….significa un cambiamento totale, e la controrivoluzione il mantenimento, almeno parziale, dello stato di cose e del personale dirigente”.
Un saggio, meglio, note sparse, le cui tracce risalgono al II e III numero o volume (o al IV e V, il curatore non è preciso) di “Renaissance”, una rivista create nel 1943 dalla École Libre des Hautes Études creata a New York dagli esuli gaullisti nel 1943, insieme con la rivista - che avrebbe dovuto avere periodicità trimestrale, ma uscì sporadicamente, solo tre numeri nello stesso 1943 (in uno di questi numeri del 1943 Koyré aveva pubblicato il saggio “Sulla menzogna politica”.
La lunga nota editoriale del curatore Marco Dotti prova a raccordare l’interesse di Koyré per la “quinta Colonna” col suo passato, per la parte conosciuta, di giovane “informatore” dei servizi francesi in Russia, la sua patria di nascita. Infiltrato nell’esercito russo “con un grado fittizio… per consentirgli di trattare alla pari con gli ufficiali”. Della sua attività nei due anni successivi, nei quali riuscì a ottenere - documentate - due importanti decorazioni militari, la Croce di Guerra e la Croce di San Giorgio. E poi, dopo il ‘17, negli eventi rivoluzionari e contro-rivoluzionari.

Un saggio breve che è una fungaia di idee. Sulla guerra, p. 33: Contrariamente alla convinzione così diffusa incerti ambienti, non sono affatto gli «armaioli» e i «mercati di cannoni che, con le loro torbide macchinazioni, spingono i popoli alla guerra; non sono nemmeno i «capitalisti» che lo fanno per guadagnare sbocchi nei «mercati». Questo poteva essere vero ai tempi degli eserciti professionali, ma non lo è certo oggi. La guerra, ai giorni nostri - e forse lo è sempre stata - è soprattutto un affare nazionale. E sono i popoli, ora, a farla”.

Un saggio apparso random su una rivista random, molto disordinato, scritto evidentemente all’impronta, come di riflessioni sotto forma di appunti. Disordinato. Alcune, anzi molte, considerazioni sono in nota, come occasionali, marginali. Un saggio seminale, confrontato dalla ricerca-memoria storica, anche se con difficoltà, per i tanti suoi punti eretici o controversi.

Alexandre Koyré, La quinta colonna, Meltemi, pp.76 € 10




mercoledì 26 marzo 2025

Problemi di base storici - 849

spock


La storia è piena di oggi?
 
E di scarti, che se non si vedono però zavorrano?
 
La storia resta sempre da fare?
 
Storia non c’è se non si racconta?
 
La storia non è lineare?
 
Tutto è storia, anche le pietre, ma senza una morale?

spock@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo – spionistiche (335)

 Non ci sono molte novità nelle ultime carte dell’assassinio Kennedy rese pubbliche. Se non che molti hanno scoperto di genitori, nonni, spose, zii, partecipi del sistema di spionaggio della Cia: un informatore che raccoglie notizie tra i sostenitori di Castro, uno che impianta una pulce in un’agenzia cinese, un accademico che riferisce dei colloqui con colleghi russi.
Non molto. Eccetto che per Jefferson Morley, già giornalista al “Washington Post”, autore nel 2017 di una voluminosa biografia di James Angleton, il capo del controspionaggio Cia che aveva rintracciato Oswald prima dell’assassinio di Kennedy. Orley ha scritto sul suo sito JFKFacts, sulla piattaforma Substack: “Lo schema fattuale che emerge dai nuovi documenti JFK mostra che una piccola cricca nel controspionaggio Cia fu responsabile dell’assassinio di JFK”.
Dalle ultime carte si sa con certezza che la Cia aveva dal 1958 “un programma d’intercettazione postale”, per “identificare possibili reclute dietro la cortina di ferro con legami possibilmente in America”. E che a questo programma erano addette “centinaia di persone della Cia”, secondo un documento riepilogativo interno all’Fbi.
Il documento Fbi spiega: “Le buste erano fotografate ma non venivano aperte. Quindi microfilmate, i nomi e gli indirizzi indicizzati, con macchine Ibm. Ma molti mesi fa la Cia ha cominciato ad aprire alcune di queste lettere, microfilmando i contenuti e indicizzando i dati pertinenti per tema. Circa 250 mila nomi sono stati indicizzati dalla Cia”.
(The Washington post)

Giallo Sppedy

Rai 1 insiste con questa serie francese per il terzo o quarto anno, anche se le costa il sorpasso in prima serata di mezza tv italiana, con i suoi due milioni di spettatori. Perdi più, probabilmente, semiaddormentati, o altrimenti frustrati dall’affastellamento a raffica di situazioni, ipotesi, indizi, litigi. Sembra un personaggio che si vuole comico e grottesco, ma non eccita. Non, perlomeno, su Rai 1. 

Morgane è una “donna delle pulizie” sventata, fa figli con non sa chi, parla e si muove come Speedy Gonzales, ma è dotata di uno specialissimo intuito, e per questo si è imposta collaboratrice decisiva della squadra omicidi di Lille. Scombinata però in eccesso. Anche nell’intuito - ieri sera questo “intuito” nasceva da specialissime, arzigogolate, incomprensibili, dopo lunga spiegazione, nozioni di chimica.

La serie arriva con la fama di successo straordinario in Francia, con dieci milioni di audience. Sarà vero? Forse risponde a un cliché di superwoman di pianerottolo. O il linguaggio originale propizia il riso? Doppiata, su Rai 1, non diverte e non convince.

Morgan - detective geniale, Rai

martedì 25 marzo 2025

Indietro tutta, la questione è la depopolazione

Per secoli, almeno da Malthus, da fine Settecento, eravamo in troppi sulla terra e ora, d’improvviso, ci avviamo all’estinzione. Come umani s’intende, come umanità.
Dalla sovrappolazione, minacciosa per quasi due secoli e mezzo, e da ultimo all’origine del green deal a tappe forzate, alla depopolazione. Si stima - si sa, la demografia è prevedibile - che tra un quarto di secolo, al 2050, tre quarti dei paesi del mondo (155 su 204) avranno una popolazione in calo. E che lo stesso problema, la depopolazione, riguarderà quasi tutto il mondo (198 paesi su 204) entro fine secolo - praticamente una volta esaurita la spinta demografica africana, l’unico continente che ancora fa figli.
L’Italia perderà un terzo della popolazione entro fine secolo. Il Giappone si ridurrà di un quinto entro il 2050. E così via. Vanno a ridursi anche le grandi fucine demografiche: la Cina ha già cominciato, con numeri naturalmente molto elevati, l’India seguirà.
Dopo due secoli di malthusianesimo, tendenze teoriche opposte subentrano. A fine Settecento 9la teoria apparentemente inoppugnabile di Thomas Malthus vedeva la luce: il rapporto è stretto tra popolazione e risorse naturali, queste sono limitate e quella, se non regolamentata, le renderà presto insufficienti - il rapporto era (è ancora) visibile fra pressione demografica, o eccesso di nascite, e povertà e fame. La crescita della popolazione, calcolava Malthus, è geometrica, quella dei mezzi di sussistenza, delle risorse, aritmetica. Da qui la moltiplicazione della povertà, e la possibile fine del mondo: lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, peraltro non rinnovabili, e quindi il deterioramento dell’ecosistema - la questione ecologica, il green deal.
C’è di che preoccuparsi per le capacità previsionali, e anche conoscitive, delle scienze? Fino a ieri la pressione era malthusiana, quasi terroristica: un secolo e più di campagna per il controllo delle nascite, questione di vita o di morte per il pianeta, fino alla castrazione chimica, in India e altrove, e al green deal a tappe forzate. In realtà il problema si pone di una certa scienza, “politicizzata” - ideologica, assolutistica. La demografia, che ora sa cosa succederà al 2050 e nel 2100, è bene pure essa una scienza.

Il futuro della coppia in una notte - quella del matrimonio

Fogliati e Scicchitano rivivono la stessa notte delle nozze, benché accasati nella Love Suite sulla terrazza del Grand Hotel, tra cielo e terra, tutte le piccole, scontate, comuni, per quanto sciocche, diatribe di coppia che li attendono, compresi amici-amiche e genitori. Tutte insieme, vagando con tutti i mezzi, compresa un’auto della Polizia, insospettita dal vagabondaggio, per piazze, vicoli e viali di Roma. A partire dal vecchio ghetto, portico d’Ottavia e via della Reginella.
Il solito artificio plautino degli equivoci. Vivificato da una sceneggiatura brillante, sempre ben “tagliata”, come la regia. E dalla “naturalezza” dei due interpreti. Le incertezze giovanili, post-adolescenziali, cui Antonaroli ha abituato, con i cortometraggi e “La svolta”. Una sfida anche: un film che si vuole comico senza gli artifici della comicità.
Non minore pregio, fa rivivere la romanità giudaico-romanesca, rinfrescante. Non della poesia e della lingua, per la quale l’identità ricorre - ricorreva. Ma per avere abbandonato l’arcigno sionismo degli ultimi tempi. A tratti Antonaroli trasporta i suoi giovani sposi nelle modalità, i ritmi, lo spiritaccio del primo Woody Allen a New York.  
Una “commedia romantica” apprezzata dai critici per l’inconsueta vivacità. Di linguaggio, di ritmo, di sintonizzazione degli interpreti, smisurati e misurati, ma non dalla distribuzione (è uscito in sala ad agosto…., prima ancora della promozione al 70mo Film Fest di Taormina).
Riccardo Antonaroli, Finché notte non ci separi, Sky Cinema

lunedì 24 marzo 2025

Letture - 574

letterautore

Bona – Così chiamava la madre Tomasi di Lampedusa, di cui era figlio unico (una primogenita era morta di tre anni), la tirannica Beatrice “Bice” Mastrogiovanni Tasca di Cutò, donna possessiva e ultimativa, che, in varie lettere, si indirizza al figlio con costruzioni femminili. “Cara” lo interpella in una delle ultime lettere, quando il figlio è già cinquantenne, o anche “bona” - e un  “Pony mia cara e bona”. Tomasi, che le è stato sempre devoto e sottomesso, si scoprirà scrittore solo dopo la sua morte, a luglio del 1946, di 76 anni. Vivendo per questo fino a quella data lungamente separato dalla moglie, per i primi quattordici anni di matrimonio. “Mia Bonissima Bona” la interpella nelle lettere strappalacrime che le scrisse a fine agosto 1932, quando decise di sposarsi (C. Cardona, “Un matrimonio epistolare”, 65-69), per richiederne la benedizione, che non ebbe.
Prima di molte sorelle e un fratello, “Bice” ebbe una storia da sposata, anzi ancora a 36 anni, quando il figlio ne aveva 10, con Ignazio Florio. Il diario di Tina Whitaker registra il 17 marzo 1906: “Ho notato che Bice indossava il braccialetto che le ha regalato Ignazio Florio: povera Franca (Florio)”. E la biografa di Franca Florio, Costanza Afan de Rivera, “L’ultima leonessa”: “La famosa collana di perle era giunta (a Franca, n.d.r.) a seguito dell’ennesimo adulterio, la lunga relazione segreta con Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò”.
Una sorella di “Bice”, Teresa, era la madre dei Piccolo. Un’altra, Maria, era morta suicida. Giulia, sposa del conte Romuazldo Trigona di Sant’Elia (che Ignazio Florio aveva portato a sindaco di Palermo), dama di corte della regina Elena, morì assassinata dal suo amante, un ufficiale di cavalleria, in un alberghetto romano della stazione Termini - un caso che fece epoca.
L’unico fratello maschio, Alessandro, erede di tutti i beni di famiglia, li dilapidò - morirà in miseria, nel 1943.  Era detto a Palermo “il principe rosso”, poiché esibiva propositi socialisti.   
 
Canto
- La voce è lo strumento ideale, spiega Muti a Cacciari ne “Le sette parole di Cristo”, 45: “Lo strumento ideale, perfetto, è il canto; nel canto lo strumento è in te, ti esprimi attraverso il tuo corpo; quindi è lo strumento più emotivo e, in questo senso, anche il più fragile - le due cose vanno insieme. La voce è strumento e suono interiore, questo rappresenta un pericolo e un privilegio a un tempo”.
 
Checca – Era il primo titolo in italiano (Adelphi), nel 1985, della traduzione del racconto “Queer” (di lunga lavorazione, 1951-1953) di William Burroughs, ora ripubblicato col titolo originale, in occasione dell’uscita del film che ne ha tratto  Luca Guadagnino.
 
Dante - Un lussurioso lo dice Boccaccio nel “Trattatello in laude”, verso la fine, nel lungo capitolo, il XXV, sul carattere: “In questo mirifico poeta trovò ampissimo luogo la lussuria, e non solamente ne’ giovani anni, ma ancora ne’ maturi”. Tale che l’autore del “Decameron”, non altri, non può che riprovare: “Il quale vizio, comeché naturale e comune e quasi necessario sia, nel vero non che commendare, ma scusare non si può degnamente”.
 
Epilettico o narcolettico è stato anche voluto. Ma per poco. Sull’onda positivista, lombrosiana.  
Maggiore teorico ne è stato l’antropologo Fabio Frassetto, lombrosiano, con cattedra a Bologna per quasi mezzo secolo, incaricato nel 1921 dal Comitato Dantesco Ravennate, a conclusione delle celebrazioni epe il sesto centenario della morte di una nuova ricognizione, con aggiornati strumenti di indagine, delle ossa del poeta ritrovate nel 1865. Ci lavorò per una dozzina d’anni, dando alla luce nel 1933 il lavoro per cui è rimasto nella dantistica, “Dantis Ossa. La forma corporea di Dante - Scheletro, ritratti, maschere e busti”. Il naso affilato e il grande pomo d’Adamo l’antropologo dice “segni indubbi della virilità sua che fu sì grande” - forse sulla traccia di Boccaccio. Fra le tante ipotesi sulla fisionomia di Dante ripete “scientificamente” quelle del “Trattatello” di Boccaccio, § XX, “Fattezze e costumi di Dante”. Ma avanzando l’ipotesi di epilessia, o più probabilmente narcolessia. Per le ansie, il “tremar le vene e i polsi”, le quasi convulsioni, gli svenimenti nel viaggio d’oltretomba.

Il narcolettismo è stato derivato recentemente, e vagamente, dalla chiusa del canto III dell’“Inferno” (Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate…”), “e caddi come l’uom cui sonno piglia”. In un saggio del 2013 del neurologo Giuseppe Plazzi, anche lui con cattedra a Bologna, “Dante’s Description of Narcolepsy” (in «Sleep Medicine», vol. 14, 2013, fasc. 14, pp. 1221-23), e in uno pubblicato nel 2016 da ricercatori di Zurigo, “Dante Alighieri’s Narcolepsy”, sulla rivista “Lancet - Neurology” (F.M.Galassi, M.E. Habicht, F.J. Rühli, “Dante Alighieri's Narcolepsy”, «The Lancet Neurology», vol. 15, fasc. 3, p. 245), si argomenta “tecnicamente” questa possibilità. Ma è un’ipotesi, tratta dalla biografia di Marco Santagata, “Dante. Il romanzo della sua vita”, 2012, p. 32, là dove commenta le crisi psicofisiche descritte nella canzone “E’ m’incresce” - senza menzionar e Frassetto: “Nulla hanno a che vedere con la concezione dell’amore come patologia … diffusa nella scienza medica del tempo, ma …. sono unicamente dantesche, mostrano tutti i sintomi di un attacco apoplettico o epilettico” - e ancora:”La precisione e la partecipazione emotiva con le quali Dante rappresenta quegli attacchi lasciano intendere che al testo letterario soggiaccia una forte dose di vissuto. Della malattia sembra aver sofferto fin dalla prima infanzia”.
 
Mimi - “Mimi”, senza l’accento scritto ma pronunziato alla francese (la corrispondenza si svolgeva in francese), è il vezzeggiativo dell’autore del “Gattopardo”, Giuseppe Tomasi di Lampedusa usato dalla moglie Alessandra - Mimì è diminutivo di Domenico, ma qui è un vezzeggiativo - nella lunga corrispondenza postmatrimoniale che la coppia intrattenne dopo il matrimonio, separata per la maggior parte del tempo. Lei, Alessandra Wolff von Stomersee, detta familiarmente, nella famiglia d’origine, “Licy”, è da lui invece interpellata col vezzeggiativo Murili.
 
Machiavelli - “La genialità delle opere di Machiavelli” celebra Hegel nel saggio “La costituzione della Germania”, § “Gli Stati nel resto d’Europa” - nell’antologia “Gli scritti politici (1798-1806” messa a punto da Armando Plebe nel 1961. L’ultima parte di questo saggio è un lungo ripetuto elogio di Machiavelli. In polemica con “L’Anti-Machiavel” del re di Prussia Federico II, di cui denuncia l’ipocrisia: contrappone a Machiavelli “delle massime morali, la cui vacuità ha mostrato egli stesso attraverso la sua condotta e anche espressamente nelle sue opere di scrittore”.  
 
Marx - Un borghese. Non solo per estrazione e condizione sociale. Alexandre Koyré ne sintetizza la natura - il pensiero - senza citarlo in nota al saggio “La quinta colonna”, p.21: “I fenomeni politici sono quasi sempre ridotti o spiegati da fattori economici; la prevalenza dell’economico è un tratto caratteristico della società borghese, e soprattutto capitalista, e il materialismo economico - contrariamente a quanto credevano i suoi creatori - ne esprime perfettamente la mentalità”.
 
Murili - È il vezzeggiativo con cui Tomasi di Lampedusa si rivolgeva alla moglie Alessandra nella lunga corrispondenza che intrattennero nei primi tredici anni di matrimonio - Alessandra era detta Licy” in famiglia. La coppia visse separata la più parte del tempo perché Alessandra non era gradita alla madre di Tomasi. E nemmeno alla parentela siciliana - gli stessi cugini Piccolo, con cui Tomasi era intimità, la chiamavano tra di loro “l’orsa baltica”.
 
Svevo – “Svevo è grandissimo”, Magris dichiara a Aldo Cazzullo sul “Corriere della sera” domenica in una mega-intervista (dove però Cazzullo lo fa studioso di Philip Roth, e non di Joseph): “Al confronto, Joyce è un autore di serie b. L’ultima pagina che scrisse Svevo è grandiosa….Una pagina stupenda. La spiaggia estrema del nichilismo occidentale”.

letterautore@antiit.eu

Se i morti degli altri sono i nostri

Racconti di Resistenza, politica. La storia della violenta repressione della giunta militare in Corea nel 1980 in sette racconti. Due contemporanei ai fatti, 1980, gli altri successivi datati a varie epoche: la giornalista d’inchiesta, 1985, il prigioniero, 1990, l’operaia, 2002, la madre del ragazzo, 2010. Fino all’epilogo, 2013, la storia della storia. Non una raccolta di racconti, ma un racconto scaglionato in più tempi, da più punti di vista. Su vari personaggi, ragazzi al tempo della repressione del 1980, ma di fatto sulla lunga stagione coreana di dittatura militare, sulle tante forme di violenza - e di resistenza.
“la Repubblica” inaugura la serie “Voci d’Oriente”, di scrittori asiatici, con un romanzo politico, l’unico della mezza dozzina pubblicati dalla poetessa e romanziera coreana Nobel 2024. Un coro polifonico di vittime del massacro operato dalla dittatura militare nel maggio 1980 a Gwangju. Delle voci minime dei ragazzi che ordinano, rassettano, lavano i cadaveri, li avvolgono in teli d’occasione o bare di compensato, accudiscono i parenti che arrivano a mano a mano per il riconoscimento. In ambienti angusti, al freddo, nella putredine. Smarriti, tormentati, perseguitati. Tra timori e voci di un ritorno in forze dei militari autori dell’eccidio.
La Corea del Sud è di modernizzazione recente - è membro dell’Onu solo dal 1991. A partire dal 1961 è stata governata da una dittatura militare. A fine ottobre 1979 il primo dittatore, il generale Park, fu assassinato dal suo capo dei servizi segreti - a sua volta poi impiccato. Arrivato al vertice dei servizi segreti nell’aprile del 1980, il generale Chung Doo-hwan immediatamente cacciò il presidente pro tempore e si prese i pieni poteri. Impose la legge marziale, e le proteste represse con la violenza, specie dei paracadutisti, di cui era stato comandante, specie a Gwangju, dove si erano succedute manifestazioni di protesta - governerà con pugno di ferro, tra esecuzioni e torture, per otto anni, gli anni del “miracolo economico”, del “decollo”, del boom, sarà poi condannato a morte, ma graziato (è morto novantenne nel 2021).
Han Khang, nove anni, lasciava Gwangju per Seul con la famiglia qualche giorno prima dei massacri. Non ne ebbe cognizione all’epoca - giusto qualche allusione tra adulti, o uno strano libro di foto di cadaveri. Ci tornerà 33 anni dopo, racconta in epilogo, documentatissima, sul vago ricordo delle conversazioni parentali che chi aveva comprato la loro casa, tradizionale coreana, aveva affittato un piccolo ambiente nel cortile a due ragazzi, fratello e sorella, che avevano partecipato alle proteste, ne erano rimasti vittime - e avevano creato problemi agli affittuari. I massacri sono ricostruiti con i loro occhi.
Seguiamo queste vittime dopo il massacro. Il ragazzo in cerca dell’amico. La giornalista dapprima censurata poi torturata. L’operaia che il poliziotto borghese calpesta con ferocia a sangue. L’investigatrice-narratrice lo stesso. Il prigioniero confuso dalla sopravvivenza. Una storia di sevizie, carcere, delazioni, soprusi. E poi dinieghi. Fino a che si comincia ad ammettere. Perfino a celebrare le vittime della persecuzione. Come a dire che l’umanità resta dubbia.
Una storia truce. Affliggente, anche perché ripetitiva, come una nenia lugubre. Sebbene scritta con levità, almeno in traduzione, “poetica”: lirica, elegiaca, modernamente epica, senza barocchismi.
Ha Kan è nata letterata, si può dire. In una famiglia di scrittori, anche di nome il padre e un fratello. Poetessa al debuto, poi via via natratrice. Ma col problema persistente, malgrado la notorietà, della traduzione. Il successo internazionale arriva nel 2016 con la sua prima traduzione inglese, subito premiata con l’International Booker Prize – seguito a ruota dal Prix Médicis a Parigi e il Premio Malaparte. Se non che la traduzione inglese, su cui vengono fatte le altre traduzioni - il romanzo è “La vegetariana” - è presto scoperto infedele per molti aspetti, alcuni dei quali poi ammessi dalla traduttrice. Ultimamente, dopo il Nobel, un suo romanzo è stato tradotto da Lia Jovenitti, iamatologa ripiegata da tempo a Seul, dove ha famiglia ed esercita l’export-import, direttamente dall’originale. Le altre traduzioni, compresa questa (ripresa dall’edizione Adelphi, 2017), sono dall’inglese. Milena Zemira Ciccimarra, la traduttrice accreditata di Han Kang, risulta avere fatto tesoro delle correzioni apportate alle traduzioni inglesi. Ma, certo, di che parliamo quando parliamo di Han Kang? Di Nobel alle traduttrici?
Una nota storica non avrebbe guastato - il racconto si vuole storico.

Han Kang, Atti umani. “la Repubblica”, pp. 191 € 9,90


domenica 23 marzo 2025

Cronache dell’altro mondo – legali (334)

 l presidente Trump ha minacciato due settimane fa di privare lo studio legale Paul Weiss degli accrediti presso l’amministrazione federale, e quindi della possibilità di operare su contenziosi concernenti il governo. Per avere esplicato “attività dannose” e “palesi discriminazioni e altre attività contrarie agli interessi degli Stati Uniti”.
Lo studio Weiss, uno dei maggiori a New York e Washington, ha scongiurato la minaccia impegnandosi a fornire servizi legali gratuitamente al governo federale fino a un ammontare di 40 milioni.
Fra le “attività dannose” dello studio Trump ha espresamemte citato nel suo “ordine esecutivo “ di due settimane fa l’attività dell’avvocato Mark Pomeranz, uno dei soci dello studio, nella causa che il  Tribunale (democratico) di Manhattan gli ha intentato su ricatto di una pornostar.

Secondi pensieri - 556

zeulig


Anima - C’è, ed è l’immaginazione – una facoltà, non un organo. L’anima di Eraclito, che “non ha fine”.
 
Confessione – Quella religiosa, sacramentale, recupera, senza volerlo?, la psicoterapeuta Alexandra von Wolf-Stermesse, moglie di Tomasi di Lampedua, scrivendone al marito una notte di settembre, dopo una “estenuante” seduta di “analisi della S .”, una collaboratrice domestica fidata e amata che manifesta pulsioni omicide, un caso che la occupava molto: “Comprendo adesso molto bene l’influenza che può avere la religione: influenza la coscienza, e quando questa non è troppo malata, o perlomeno è malata soltanto per delle ragioni coscienti, di ‘peccati’ che il penitente conosce, solo allora può assorbirla”.
Con l’analisi il paziente è messo a conoscenza della propria situazione (“impulsi omicidi, vita sessuale piena di ‘peccato’”) “ma non ha il coraggio né la forza di permettersi di guarire”. Da qui, non detta, la forza della confessione sacramentale: “Gli ci vuole l’autorità che possa assolverlo, che gli insegni nello stesso tempo a incatenare le passioni, a sostituire a poco a poco il perdono all’odio. E dove trovare questo meglio che in Gesù Cristo?”.
 
EugeneticaSi vuole normalizzare la “buona morte”, la fine anticipata della vita dopo una congrua esperienza “produttiva” – anticipata rispetto al ciclo vitale. Era il tema un secolo fa, e ritorna ma non per ciclicità, né con gli stessi motivi di allora, razzisti (del “miglioramento della razza”), ma dell’economicità. Che però era uno dei motivi del razzismo, partendo dal concetto di “razza pura”: come eliminare i non-perfetti non per  un fatto di estetica o di “normalizzazione” ma economicistico.
Un altro filone della vecchia eugenetica è ripreso, in forme anche qui economico-commerciali, ed è quello della cura del corpo, estesa dalla selezione genetica alla chirurgia estetica – esemplificata ora, ma già con orrore, nei film , come di esperienza vissuta e trapassata. Non si è detto nel dopoguerra, trattandosi di società democratiche, ma la selezione razziale che l’eugenetica hitleriana curava, fra “ariani”, si è prolungata nel lungo dopoguerra in molte combinazioni nei paesi scandinavi.
 
Non se ne parla, ma sono noti gli orientamenti della scienza dell’anestesia, in Italia messi a punto dalla Siaaarti, Società italiana di Anestesia, Anelgesia, Rianimazione, Terapia Intensiva – emersi nella pandemia del covid: di lasciar morire gli anziani per risparmiare energie, posti letto in rianimazione e bombole di ossigeno per i più resistenti al coronavirus. In un momento critico, la  distinzione ponendo, “da un punto di vista etico oltre che clinico, quali pazienti sottoporre a trattamenti intensivi quando le risorse non sono sufficienti per tutti”. Non un’idea come un’altra, di un singolo specialista o ricercatore, ma sulla base di un imperativo deontologico, che non tutti i pazienti sono uguali. La Siaarti “privilegia la «maggiore speranza di vita»: questo comporta di non dover necessariamente seguire un criterio di accesso alle cure intensive del tipo «first come, first served»”.
Gli anestesisti sono i medici della “buona morte”, quella indotta come cura. E si riportano a una tradizione che si penserebbe estinta da millenni, quella di uccidere i vecchi. Ripresa cinquant’anni fa, quando si pensava che le droghe liberassero, in America. Abbie Hoffman e Jerry Rubin proponevano di uccidere i padri, cancellando all’anagrafe chi compie trent’anni, per un “governo di Roboam”, dove, dice la Bibbia, di giovani che comandano sui vecchi. Un limbus patrum. 
Alcune tribù del Brasile uccidevano gli infermi. I massageti e i derbicciani gli ultrasettantenni. I càtari pii di Monforte d’Alba o Asti le endura abbreviavano alla fine, i suicidi dei saggi anziani per digiuno, per evitare loro i patimenti dell’agonia. Gli abitanti dell’isola di Choa, dove l’aria pura dà lunga vita, ci pensavano invece da soli: prima dell’ebetudine o la malattia i vecchi prendevano la papaverina o la cicuta. Analogamente l’eschimese che, prossimo alla fine, inutile alla famiglia, esce o usciva dall’iglù per perdersi nel pack. Fra i batak di Raffles, esploratore fededegno, che sarebbero i dagroian di Marco Polo, i vecchi erano mangiati: “Un uomo che sia stanco di vivere invita i figli a divorarlo nel momento in cui il sale e i limoni sono a buon mercato”. 
 
La vecchia pratica degli svedesi trogloditi, dei nomadi dell’antico Egitto, dei sardi, di uccidere gli anziani a colpi di clava o pietra. “Tra l’antichissima popolazione di Sardegna, i sardi o sardoni, vigeva l’uso di uccidere i vecchi”, spiega Propp, l’analista delle fiabe, “e mentre uccidevano i vecchi, ridevano sonori”. Sulla base di alcune testimonianze del 200-300 d.C.: lo storico di origine siciliana Timeo di Tauromenio (Taormina) e lo scrittore ateniese Demone. Sardonico del resto deriverebbe da “erba sardonica”, una pianta velenosa che provocherebbe convulsioni simili al riso.

Limbus patrum, o sinus Abrahae, è nella scolastica il posto sottoterra, non paradiso né inferno, dove chi ben meritò in base al futuro Nuovo Testamento, patriarchi, profeti, restò fino alla vittoria di Cristo su Satana, distinto dal limbus infantum, dei neonati non battezzati. Il consiglio di Roboam è nel libro dei Re.
Resta il problema di determinare l’età giusta.
 
Inferno - L’inferno è per Platone invenzione del potere. Ma non c’era bisogno d’inventarlo, è quotidiano: il desiderio di morire caratterizza le prime figurazioni, ebraiche, dell’inferno.
 
Religione – “La religione non è niente altro che la sublimazione dell’amore infantile per il padre, che si trasferisce nel «Padre che è nei cieli»”, scrive Alexandra von Wolf-Stomersee (nella stessa lettera citata sotto “Confessione”. v.s.), ma con una funzione in analisi: la religione - la trascendenza, la fede – può aiutare: “Non si tratta di sostituire la religione all’analisi, ma una volta terminata l’analisi, bisogna trovare un campo di attività senza pericolo per la1 coscienza malata, un’identificazione con un’autorità abbastanza forte per essere di sostegno”, il Vangelo – “alle minime parole di Gesù Cristo che le dico (e per fortuna conosco tutto questo a memoria) vedo un musetto fremente, proteso verso di me…”. Sempre l’analisi rimanda alla confessione – alla confessione sacramentale.
 
Totalitarismo - La politica si fa totalitaria in modo logico, perfino pulito. Col “ragionamento glaciale” che Hitler vantava e Stalin ha esercitato, introdotto in filosofia da Socrate.
Arendt lo spiega in un appunto: “Se la filosofia occidentale ha sempre sostenuto che la realtà è verità, adequatio rei et intellectus, il totalitarismo ne ha tratto la conseguenza che noi possiamo fabbricare la verità nella misura in cui fabbrichiamo la realtà”. Il dittatore totalitario non è Attila né Napoleone, non rapina, neanche per le sorelle. È un demiurgo, fabbrica realtà-verità, indifferente al rosso e al nero. E non per farci più saggi ma per coinvolgerci “nel deserto delle proprie conclusioni e deduzioni logiche astratte”.
Il difetto è antico, stando a Bacone, che però è uno che crede, pure lui, alla  verità: è di Aristotele, il quale la fisica fece dialettica, e la metafisica volle realista. Gli scolastici fecero peggio, abbandonando l’esperienza.     

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Antropologia del silenzio – nella guerra civile iraniana

Adelkhah, antropologa, iraniana con la doppia nazionalità, francese, arrestata il 5 giugno 2019 senza una motivazione, è stata detenuta in varie carceri, ma prevalentemente a Evin, il carcere di Teheran, per quattro anni e mezzo. Senza mai un capo d'accusa. Il suo arresto, spiega, non è stato quello delle “tante donne pronte a grandi sacrifici personali e familiari per dare il loro contributo a un futuro migliore”. Al momento dell’arresto conduceva una ricerca sulla formazione del clero nella provincia di Qom, la città che è un po’ il centro dello sciismo. Ma non di questo si è trattato, la ricerca non le è stata contestata.
Senza un’accusa, qualsiasi accusa, non c’è possibilità di difesa, naturalmente. Per lei antropologa, avvezza a decifrare segni, sono stati anni di vuoto totale. Riempiti dalla comunanza con le altre detenute, obbligata ma alla fine più benefica che pesante. Una forma di compartecipazione dei destini più variati. Anche di chi “vi trova un rifugio per studiare lontano dai vincoli familiari”. E perfino di “costruirsi un capitale politico e simbolico”.
Ciò che più l’ha colpita è trovare in prigione no solo “oppositori della Repubblica islamica” ma anche “alcuni dei suoi servitori e sostenitori, membri delle famiglie dei martiri, comandanti delle Guardie della Rivoluzione, deputati e ministri”. La rivoluzione che divora i suoi figli? Non sembra il caso, niente di rivoluzionario a Teheran.
“La guerra civile iraniana - perché di questo si tratta – si svolge in gran parte nelle carceri”. All’ombra del silenzio: “Il silenzio è parte del mondo carcerario e ha una funzione strutturante”. Fa la realtà – “la cosa peggiore del silenzio è che si può sapere perché lo si rompe, ma non sempre perché lo si mantiene”. Un’antropologia del silenzio.
Fariba Adelkhah, Prisonnière à Teheran, Seuil, pp. 248 € 19,50